La maturità di Tomaso da Modena Introduzione
II
L'ascendente veneto si manifestò, soprattutto, nel modo di concepire il ritratto e il volto
umano; furono rilevanti per la sua pittura i monumenti funebri prodotti nel nord-est
della penisola a partire dal secondo decennio del Trecento. Credo che l'artista abbia
studiato attentamente queste opere e ne abbia tratto insegnamento per le sue ricerche
sulla figura umana, indagata realisticamente, quasi scolpita attraverso colore e
chiaroscuro. Esempi fondamentali, non solo per il Barisini, ma in genere per la storia
del ritratto, furono i monumenti del vescovo Castellano Salomone (Treviso, Cattedrale)
e la statua di Enrico Scrovegni (Padova, Eremitani, sagrestia).
Il soggiorno di Tomaso a Treviso durò appena un decennio, ma in quest'arco di
tempo l'artista produsse molto lasciando opere rilevanti e rappresentative: i Domenicani
Illustri, le tavole boeme e il ciclo di Sant'Orsola.
E' stato interessante notare come Tomaso adottò registri linguistici differenti a
seconda dei soggetti rappresentati e dei committenti per i quali lavorò; al tono curioso e
genuino dei Domenicani Illustri si alternò, ad esempio, l'aulica fissità dei pannelli votivi
(trittico del pilastro di San Nicolò) o la solenne impaginazione delle tavole boeme, ma
anche il tono borghesemente laico della leggenda bretone.
Nello sviluppo dell'attività di Tomaso, credo sia stato determinante anche il
fortunato incontro con una committenza influente, si pensi all'imperatore Carlo IV, ai
Cavalieri Gaudenti o ai padri predicatori. Senza di loro la produzione di Tomaso non
sarebbe stata così florida, basti considerare e confrontare le poche opere del tardo
periodo modenese, per capire che, probabilmente, a Modena il Barisini non trovò, come
nella cittadina della Marca, personaggi o congregazioni insigni che potessero
sostenerlo.
E' opinione personale che la pratica con ambienti colti ed ufficiali abbia permesso al
nostro di affermarsi creativamente, emancipandosi dal funzione di mero esecutore,
tipica dell'artista medievale; la consapevolezza della dignità intellettuale della propria
creazione si espresse con evidenza nell'iscrizione sul trittico di Karlstejn, attraverso la
quale egli volle mostrare il nuovo ruolo dell'artefice liberale, dell'artista in senso
moderno, capace di soddisfare le esigenze della committenza senza rinunciare alla
personale invenzione.
Osservando gli affreschi trevigiani ho potuto notare l'adozione di soluzioni colte e
ricercate, leggermente diverse dai freschi ma solenni risultati delle tavole giovanili
legate alla piccola devozione privata.
La maturità di Tomaso da Modena Introduzione
III
Per Tomaso Treviso costituì un momento proficuo, sperimentale, durante il quale
l'artista partendo dall'attento studio fisionomico dell'individuo (Domenicani Illustri)
giunse all'analisi del movimento e del gesto umano (Martirio di Sant'Orsola),
un'evoluzione che toccò la punta estrema nella fase matura del soggiorno veneto, con le
Storie di Sant'Orsola.
Ma già sul finire del sesto decennio, iniziò a manifestarsi in Tomaso un
cambiamento di direzione; nei frammenti delle Storie di Cristo (Treviso, Museo Civico,
deposito) - senz'altro tomaseschi - si respira un'aria diversa rispetto al precedente ciclo
ursolano. Innanzitutto sembra mutato il modo di concepire l'evento sacro - non più
calato in una realtà concreta o quotidiana - elevato ed idealizzato.
Anche la tecnica pittorica sembra subire variazioni: la gamma cromatica si
schiarisce, i toni sfumano, il modellato si raffina. Alla finezza di tocco corrisponde l'alto
profilo qualitativo della rappresentazione, dove il soggetto è affrontato con maggior
sobrietà.
Il mutamento derivò, molto probabilmente, dai nuovi interessi di Tomaso - che prese
la decisione di tornare in patria - ma anche dalle cattive condizioni politiche ed
economiche in cui versava la Marca Trevigiana assediata, in quegli anni, dalle truppe
ungheresi. Le diminuite possibilità lavorative dovettero convincere l'artista, intorno al
1358, a lasciare Treviso.
Prima di occuparmi della tarda attività modenese, ho analizzato il controverso Ciclo
di San Ludovico D'Angiò (Mantova, San Francesco, cappella Gonzaga), oggi attribuito a
Serafino de' Serafini
2
, un tempo ritenuto di Tomaso
3
.
Al contrario di chi esclude la partecipazione del Barisini, continuo a vedere
l'impronta del più anziano maestro, soprattutto nelle scene del lunettone e nell'ultimo
riquadro con la Morte del Santo.
2
A. De Marchi Serafino de' Serafini, in Il Gotico a Piacenza. Maestri e botteghe tra l'Emilia e la
Lombardia, Piacenza, 1998, pp. 173-174. Già G. Paccagnini (La pittura, in Mantova e le arti. Il
Medioevo, Mantova, 1960, vol. I, pp. 268-280) ipotizzò una collaborazione tra i due artisti modenesi.
3
P. Toesca (La pittura e la miniatura nella Lombardia, Einaudi, 1912, pp. 125-126) fu il primo studioso,
seguito dai successivi, ad assegnare (dubitativamente) il ciclo mantovano al Barisini.
La maturità di Tomaso da Modena Introduzione
IV
Certo le storie mantovane - se raffrontate ai precedenti cicli di Tomaso - rivelano un
atteggiamento differente, l'approccio al dato spaziale e architettonico appare, infatti,
razionalizzato, informato dai prepotenti riflessi veronesi e altichireschi, ma il tono delle
immagini, pacato e solenne è, comunque, quello delle ultime opere del Modenese.
L'indagine fisionomica è condotta con perizia estrema e molte sono le citazioni dai
Domenicani Illustri e dalle Storie di Sant'Orsola.
Per quanto concerne la datazione e la committenza, basandomi su considerazioni
storico-critiche ho prospettato che, presumibilmente, il ciclo venne commissionato da
Ludovico Gonzaga, non durante il proprio governo, come è stato affermato di recente
4
,
ma sotto la signoria paterna; infatti, credo che gli affreschi della cappella Gonzaga siano
stati ordinati prima del 1367, in occasione del cinquantenario della morte del santo.
Ludovico potrebbe aver voluto onorare il suo protettore insieme al fondatore della
dinastia Gonzaga, Luigi, il quale venne ritratto - come si pensa
5
e come credo -
nell'ultima scena del ciclo.
In merito ai possibili rapporti tra i Gonzaga e il Barisini ho trovato rilevante un
episodio narrato nelle cronache mantovane
6
, il quale oltre a rivelare i legami politici ed
economici tra la signoria e l'imperatore Carlo IV (il più illustre committente di Tomaso)
evidenzia anche gli importanti scambi religiosi e culturali stabiliti con la corte boema;
considerando quanto detto, pare naturale pensare che un artista scelto dall'imperatore
presentava le migliori credenziali per essere chiamato a lavorare nella cappella di
famiglia. Continuando a vedere le Storie di San Ludovico nell'ambito di Tomaso, pare
inevitabile collocarle nella fase matura dell'artista, ovvero nell'ultimo periodo
modenese; i caratteri grafici e cromatici e il tono della rappresentazione coincidono,
infatti, con gli elementi stilistici degli affreschi sopravvissuti nella cittadina emiliana.
4
A. De Marchi, op. cit., 1998, pp. 173-174.
5
C. D'Arco Dalle arti agli artefici di Mantova, Mantova, vol. I, pp. 54-59; G. Paccagnini, op. cit., 1960,
pp. 268-280; A. De Marchi, op. cit., 1998, pp. 173-174.
6
F. Amidei Cronaca universale della città di Mantova, Mantova, 1745 (ed. cons., Mantova, 1954), vol.
I, pp. 542-547.
La maturità di Tomaso da Modena Introduzione
V
Le opere tarde del Barisini sono davvero poche se si pensa a ciò che è rimasto a
Treviso; è vero che dopo le Storie di Sant'Orsola Tomaso non realizzò nulla di
confrontabile e che a Modena non risultano suoi cicli ad affresco, tuttavia, non credo sia
sufficiente parlare di fase discendente del pittore per giustificare questa carenza
produttiva. Penso, invece, che Tomaso abbia dovuto affrontare una serie di difficoltà al
rientro, legate anche all'instabilità cittadina. Probabilmente le commissioni
scarseggiavano e in qualche modo egli dovette adeguarsi alle esigenze del mercato.
Potrebbe, comunque, aver gestito una bottega organizzando collaboratori ed allievi,
partecipando meno attivamente alla realizzazione delle opere, ma fornendo cartoni e
disegni. Non credo sia tornato a Treviso, come un tempo si pensava, benché potrebbe
aver lavorato in altri centri emiliani, come Piacenza e Parma.
Dal punto di vista stilistico negli ultimi affreschi pare che qualcosa sia mutato; le
immagini delle Vergini modenesi e del Santo Vescovo di Piacenza non rispecchiano più
la giocosa vivacità delle opere trevigiane. I dipinti maturi sembrano perdere il gusto
descrittivo e cortese del particolare alla moda e il senso borghesemente laico del tema
sacro, assumendo un tono solenne e composto. Ma Tomaso non abbandonò la sua vena
bonaria e sincera, quel senso di affettuosa umanità che lo accompagnò sino alla fine. La
raggiunta maturità dell'uomo, oltre che dell'artista, comportò piuttosto un accrescimento
spirituale, una più intima devozione che si espresse nelle dolcissime Madonne
dell'Umiltà.
Il recente ritrovamento della Vergine col Bambino di San Biagio al Carmine
7
ha
aggiunto un tassello importante al corpus dell'ultimo Tomaso, aprendo la strada a nuovi
ritrovamenti che potrebbero inquadrare compiutamente il periodo meno precisato
dell'artista. Costruendo il lavoro di tesi, tuttavia, è emerso il problema ancora aperto
della cronologia delle opere tomasesche che ho tentato di risolvere in questa maniera:
ritengo che nella fase iniziale della sua attività Tomaso abbia realizzato quasi tutte le
opere su tavola e che dopo il definitivo trasferimento a Treviso si sia dedicato
unicamente alla tecnica a fresco, sicuramente più vicina alla sua natura spontanea ed
immediata; questa considerazione mi ha portato a datare opere ritenute tarde - come
l'ala di dittico del Museo di Castelvecchio (Verona) o l'altarolo reliquiario della Walters
Art Gallery (Baltimora) - nel periodo emiliano, o comunque nel primissimo periodo
7
E. Negro, Per un affresco ritrovato di Tomaso a Modena, Modena, 1991.
La maturità di Tomaso da Modena Introduzione
VI
trevigiano; il Modenese tornerà, in seguito, a dipingere su tavola, ma sarà solamente in
occasione della prestigiosa commissione imperiale.
La questione dei riflessi di Tomaso non solo sull’arte regionale, ma anche sull’arte
boema, andrebbe ulteriormente approfondita; a margine delle mie ricerche, ho cercato
di delineare le personalità di quei pittori che si ispirarono o che seguirono le orme del
Barisini, la cui influenza ebbe un’eco duratura su artisti assai diversi tra loro come il
Maestro di Feltre o Teodorico da Praga. La speranza attuale è che ragionando della vita,
della attività e del ruolo di Tomaso nell'arte italiana e straniera si siano posti nuovi
quesiti che permettano di rendere chiara l'originale personalità di un artefice che ebbe
tanta parte nella storia della pittura padana.
La maturità di Tomaso da Modena Capitolo primo
1
Capitolo Primo
I fondamenti dell'arte di Tomaso
L'apporto emiliano
M o d e n a
a vicenda umana e artistica di Tomaso Barisini si apre sullo scenario della città
di Modena ed ha come sfondo la vita e la cultura della terra emiliana.
Ricondurre la memoria del pittore al proprio luogo d'origine è stato un
cammino lento e tortuoso sviato da ipotesi campanilistiche e poco attendibili
1
.
Oggi, dopo circa un secolo di ricerca, la sua nascita “modenese” è un dato di fatto,
confermato da documenti ed atti scrupolosamente rintracciati e riportati alla luce
2
. Il
supporto di fonti scritte si è rivelato decisivo per la ricostruzione della storia di questo
pittore trecentesco, ma soprattutto le sue opere rappresentano la prova effettiva
dell'origine emiliana.
Prima di analizzare l'attività matura di Tomaso sarà necessario, perciò, considerare
quali ambienti e impulsi indirizzarono l'immatura inclinazione del futuro pittore;
addentrarsi nella realtà emiliana del Trecento è parso un metodo adeguato per seguire,
con continuità, il percorso formativo del Barisini. L'evoluzione della pittura, della
scultura e della miniatura del tempo verrà esaminata al fine di qualificare la maniera e
lo stile dell'artista, o perlomeno, di identificarne l'impronta originaria.
1
C. De Mechel (Catalogue des tableaux de la Galerie Imperiale et Royale de Vienne, Basel, 1794, pp.
XX, 229) sostenne l'origine boema del pittore, mentre F. Federici (Memorie trevigiane sulle opere di
disegno, Venezia, 1803, vol. I, pp. 51-75) lo ritenne cittadino trevigiano.
2
G. Bertoni-E. P. Vicini Tomaso da Modena pittore modenese del secolo XIV, in Atti e Memorie della
Regia Deputazione di Storia Patria per le Provincie modenesi, 1903, voll. III, pp. 141-177.
L
I fondamenti dell'arte di Tomaso L'apporto emiliano: Modena
2
Il contesto
Considerando la Modena trecentesca è necessario individuare quale contesto letterario e
artistico si presentasse agli occhi del nostro giovane Tomaso; la città, nonostante il
predominante ruolo accentratore di Bologna, cercò di creare una propria tradizione
culturale ed artistica che reinterpretasse le tendenze protoumanistiche del capoluogo
emiliano.
In scultura lo dimostrerebbero i monumenti funebri dei lettori dello Studio
modenese (Modena, Museo Lapidario Estense) vicini, per tipologia e concezione, a
quelli bolognesi. Era consuetudine ritrarre questi illustri cittadini nella loro veste di
studiosi, maestri di scienze e virtù, assisi alle loro cattedre e circondati da attenti
discepoli; un esempio contemporaneo al Barisini fu l'arca di Pietro della Rocca (m.
1362), lettore e medico del re Giovanni di Boemia - padre dell'imperatore Carlo IV - il
quale venne ritratto affiancato da due discepoli e dai SS. Caterina e Nicola
3
. Per il
nostro pittore furono edificanti anche i precedenti modelli di scultura funeraria: è il caso
della Tomba di Pietro da Suzzara (m. 1327), lettore dell'ateneo, seduto in cattedra
mentre impartisce lezioni a quattro studenti
4
, oppure l'arca del medico Jacopino Cagnoli
(m. 1345) dove il defunto viene accompagnato da allievi e da due figure femminili con
abiti identici, nel taglio caratteristico (si vedano i bottoncini sulle maniche), alle vesti
delle dame tomasesche
5
.
3
La tomba è simile al sepolcro del Cagnoli tanto da essere ritenuta compiuta dallo stesso scultore (C.
Malmusi Museo Lapidario Estense, Modena, 1830, p. 99; E. Negro Per un affresco ritrovato di Tomaso
a Modena, Modena, 1991, p. 23). Sul basamento del sepolcro l'epigrafe celebra i rapporti privilegiati di
questo personaggio con i re boemi. L'opera in origine era posta sopra la porta laterale della chiesa di
Sant'Agostino a Modena. Per la figura di Pietro della Rocca cfr.: La commissione imperiale, cap. II, p.
70.
4
L'epigrafe sul basamento, in caratteri gotici, riporta il seguente testo: Sepolcrum Domini Petri De
Suzara Legum Doctoris MCCCXXVII de mense jumi magister Amadeus de Bergamo fecit hoc opus.
5
Per i sepolcri citati cfr.: C. Malmusi, op. cit., 1830, p. 99; R. Gibbs Tomaso da Modena. Painting in
Emilia and the March of Treviso, 1340-1380, Cambridge, 1989, p. 50; E. Negro, op. cit., 1991, p. 22.
La maturità di Tomaso da Modena Capitolo primo
3
La Modena del XIV secolo fu sempre considerata nell'ottica di Bologna, ma parlare di
mancanza di una tradizione artistica sul genere sviluppatosi nei più importanti centri
vicini agli Estensi
6
, sembra riduttivo: certo molti artisti locali preferirono allontanarsi
dalla città per trasferirsi nel capoluogo emiliano non lasciando memoria di sé, ma non
bisogna dimenticare le numerose testimonianze esistenti nelle chiese modenesi e
principalmente nel duomo.
Nella definizione dello scenario pittorico cittadino è rilevante ricordare una
Madonna in trono con Bambino e San Geminiano che presenta l'oblata benedettina
Zacaria Testagrossa (Modena, Museo Civico)
7
, la quale recava la data 1334. L'opera,
che poté destare un certo interesse nel nostro Tomaso, presenta elementi di cultura
lombarda
8
; si è proposto di identificarne l'autore nel Maestro delle Storie di Santa
Faustina e Liberata del Museo Civico di Como
9
- i capelli così acconciati, i profili dai
nasi taglienti, gli essenziali panneggi degli abiti sono tutti elementi a favore di tale
confronto - anche se l'affresco modenese mostra un impasto pittorico più carico e un
marcato espressionismo
10
.
6
R. Gibbs L'occhio di Tomaso. Sulla formazione di Tomaso da Modena, Treviso, 1981, pp. 22-25; R.
Gibbs, op. cit., 1989, pp. 24-25
7
L'affresco, originariamente, si trovava sulla parete settentrionale del Duomo; fu strappato nel 1891 e
trasportato nel Museo Civico. Per approfondimenti cfr.: R. Van Marle Italian Schools of Painting, L'Aja,
1924, vol. I, pp. 392-393; L. Coletti Tomaso da Modena, 1963, p. 12; A. Ghidiglia Quintavalle Arte in
Emilia III, Modena, 1967, p. 34; C. Acidini Luchinat-L. Serchia-S. Piconi I restauri del Duomo di
Modena, Modena, 1984, p. 67; G. Guadalini (a cura di) Il Palazzo Comunale di Modena. Le sedi, la
città, il contado, Modena, 1985, pp. 56-57; R. Gibbs, op. cit., 1989, pp. 22-23
8
G. Guadalini , op. cit., 1985, pp. 56-57
9
E. Negro (cfr., op. cit., 1991, nota 61, p. 55) riportò l'opinione di Renato Rolo il quale rimarcò le
analogie stilistiche tra l'affresco modenese e quelli del Museo Civico di Como.
10
E' nota la presenza di caratteri lombardi nelle opere modenesi; è possibile che si sia verificato uno
scambio di maestranze artistiche tra il centro emiliano e le città lombarde anche in occasione dei lavori di
completamento della Ghirlandina, agli inizi del secolo, che videro impegnati artisti campionesi. Fra
Como e Modena, ad esempio, il contatto potrebbe essere stato stabilito da Bonifacio Boccabadati di
Modena, il quale fu Vescovo di Como dal 1340 al 1351, anno di morte (E. Negro, op. cit., 1991, p. 27).
I fondamenti dell'arte di Tomaso L'apporto emiliano: Modena
4
Altro affresco di sapore lombardo è la Madonna con Bambino tra i SS. Bartolomeo e
Geminiano
11
eseguito entro la prima metà del Trecento e dal quale Tomaso riprese – è il
caso della Madonna Giacomelli (Treviso, San Francesco) - l’impaginazione scenica e
compositiva; la Vergine dal volto sottile e dal lungo collo è seduta su un trono
architettonico, vicino, per tipologia, a quelli dipinti dal Barisini (e collaboratori) nelle
opere emiliane e trevigiane.
Nel duomo (parete sinistra), inoltre, si trova un affresco mutilo con San Giorgio,
Santa Caterina, Sant'Antonio Abate e il frammento di una mandorla: in passato venne
creduto di mano di Tomaso
12
per i tipi e per le espressioni caratteristiche, ma è ormai
opinione comune che si tratti di un'opera di bottega, forse di un maestro modenese
prossimo a Barnaba
13
.
11
L'opera, proveniente dalla cattedrale, fu staccata nel 1901 ed ora si trova nel Museo Civico di Modena.
Un analogo soggetto si trova nella basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, mentre San Bartolomeo
rammenta il santo dipinto in un intradosso all'interno della chiesa di San Fedele a Como (E. Negro, op.
cit., 1991, p. 27). Cfr.: A. Ghidiglia Quintavalle, op. cit., 1967, p. 45; R. Gibbs, op. cit., 1981, p. 28.
12
L. Coletti L’arte di Tomaso da Modena, Bologna, 1933, p. 22; l'attribuzione fu confermata da P.
Toesca Il Trecento, Torino, 1951, p. 755 e da A. Ghidiglia Quintavalle, op. cit., 1967, p. 35.
13
R. Gibbs, op. cit., 1989, p. 220; E. Negro, op. cit., 1991, p. 48. Alla stessa bottega apparterrebbero
anche la Vergine e il fanciullo (sul muro meridionale del Duomo) e la decorazione a più scomparti con
l'Arcangelo Michele, Cristo Crocifisso tra Maria e Giovanni e, sul basamento, due busti di santi. Va
ricordato che in precedenza Robert Gibbs (op. cit., 1981, p. 29) propose come possibile autore del dipinto
Serafino de' Serafini per una serie di particolari vicini al Polittico della cattedrale modenese.
La maturità di Tomaso da Modena Capitolo primo
5
E' molto probabile che a Modena esistesse da tempo uno scriptorium
14
legato allo
Studio, alle corporazioni e alla cattedrale
15
, ma la produzione miniatoria della città
emiliana fu, comunque, dipendente da Bologna; le testimonianze rimaste sono talmente
limitate da non consentire l'identificazione di una scuola locale
16
.
E' interessante, tuttavia, segnalare la Matricola del Collegio Notarile di Modena redatta
nel 1336: la carta 27r. presenta una miniatura raffigurante i più accreditati membri del
notariato modenese che rendono omaggio ai quattro santi protettori della professione.
Nella carta 105, tra gli iscritti alla matricola, compare il nome del padre di Tomaso, il
notaio pittore Barixinus de Barixanis. Nelle città attive nella produzione libraria era
frequente trovare la figura del notaio/copista/miniatore, personaggio che Barisino
avrebbe potuto perfettamente rappresentare; Emilio Negro gli assegnò questa funzione
all'interno del Collegio Notarile, attribuendogli la pagina della Matricola
17
; purtroppo
tale congettura, anche se suggestiva, non è verificabile data la completa mancanza di
fonti pittoriche comprovanti l'attività del genitore di Tomaso.
14
A. Conti Miniature romaniche per il Duomo di Modena, in Lanfranco e Wiligelmo. Il Duomo di
Modena, Modena, 1984, pp. 521ss.
15
Per il XIV secolo si hanno notizie di raccolte librarie come quelle dei canonici del duomo, dei monaci
benedettini di San Pietro, dei frati domenicani e dei padri agostiniani (E. Negro, op. cit., 1991, p. 31).
16
Esempi di manoscritti di carattere giuridico come gli Statuta Civitatis Mutine o gli Statuta iudicium et
advocatorum collegi civitatis Mutine MCCCXX-MCCCXXXVII sono conservati nell'Archivio Storico
Comunale di Modena.
17
E. Negro, op. cit., 1991, pp. 33-34.