10
permanente del capitale umano e nella creazione di strutture che
favoriscano lo scambio delle conoscenze.
Partendo da questa prospettiva, si analizza in particolare l’esperienza
dei parchi scientifici e tecnologici come luoghi, materiali e immateriali,
per la valorizzazione della ricerca, principale fonte del valore aggiunto
in termini di competitività di un intero territorio.
Dalla V appendice, edita nel 1994, dell’Enciclopedia Italiana di
Giovanni Treccani, definizione di Parco Scientifico e Tecnologico:
… viene così definito un comprensorio nel quale operano
imprese tecnologicamente avanzate a cui vengono offerti servizi
di alta tecnologia per ottimizzare la loro gestione, per
consentirne la sopravvivenza, per determinarne il corretto
sviluppo. I servizi somministrati nell'ambito del parco devono
provocare una specifica atmosfera di evoluzione
imprenditoriale e, quindi, economica e sociale, in grado di
stimolare attività economiche con la conseguente nascita di
nuove imprese produttive. In tal senso il parco può essere
considerato come una vera e propria impresa generatrice di
imprese... (a cura di Gianfranco Dioguardi).
Già allora vi era coscienza che i parchi scientifici e tecnologici
potevano essere strumenti utili per lo sviluppo e il sostegno industriale,
e quindi economico, di un paese.
I primi parchi nascono negli Stati Uniti a partire dagli anni cinquanta,
secondo processi aventi caratteri di elevata spontaneità, frutto
11
dell'iniziativa concreta di numerosi ricercatori e imprenditori locali
interessati a promuovere applicazioni commerciali dei risultati della
ricerca. Sorgono infatti spontaneamente le iniziative imprenditoriali
della Silicon Valley, che si sviluppano grazie al supporto innovativo di
ricerca della Stanford University e allo spirito imprenditoriale di
uomini quali William Hewlett, David Packard, Steve Jobs.
In Giappone, invece, dal 1980 si sviluppa un programma statale di
creazione di technopolis. La maggiore differenza con le esperienze
statunitensi è che tali strutture sono progettate attraverso una rigida
programmazione del ministero dell'industria.
In Europa il modello dei parchi approda nei primi anni settanta e negli
anni '80, infine in Italia, dove si generano iniziative diversificate per
obiettivi e soggetti costituenti.
Oggi l’esperienza dei Parchi Scientifici e Tecnologici ha necessità di
evolversi se vuole mantenere la sua essenza di motore al servizio dello
sviluppo territoriale e perciò si delineano nuovi ruoli possibili per tali
strutture e, più in generale, per tutte le organizzazioni vocate alla
ricerca e alla conoscenza in funzione dell’innovazione produttiva.
Nel prosieguo dell’analisi, si approfondisce il discorso prendendo in
esame tra i parchi scientifici e tecnologici un’esperienza in particolare:
Tecnopolis Novus Ortus, Parco Scientifico e Tecnologico in Puglia,
sorto con precisi scopi di stimolo produttivo in un territorio definito
ancora oggi a ritardo di sviluppo.
12
Approfondendo l’evoluzione di Tecnopolis, si sottolinea come il tema
dello sviluppo locale basato sul fattore umano sia stato centrale per la
nascita di quell'esperienza e ci si sofferma sul ruolo determinante che il
marketing ha avuto nella sua storia. Un programma originale di
Marketing e Comunicazione infatti è stato l’asse portante dello
sviluppo di Tecnopolis per tutti gli anni ’90 e il fattore determinante per
la sua affermazione in un territorio deprivato.
Mantenendo questo punto di vista si portano alcuni casi emblematici
che hanno segnato le stagioni della vita di Tecnopolis, fino al suo
approdo oggi verso la Società regionale per l’ICT e la Società
dell’informazione, al servizio dell’innovazione della Regione Puglia.
Infine, si analizza il nuovo ruolo già delineato per Tecnopolis,
mettendolo in relazione con i programmi innovativi di Marketing e
Comunicazione che l’amministrazione regionale pugliese ha messo in
campo, per disegnare il percorso evolutivo di una struttura che, da
quarant’anni a questa parte, ha sempre messo al centro dello sviluppo
la ricerca, l’innovazione e la conoscenza.
13
1 Il marketing delle strutture di ricerca
Il ruolo della conoscenza, quale fattore fondamentale di generazione e mantenimento
della capacità competitiva delle imprese, è stato da tempo ampiamente riconosciuto
sia dalla letteratura accademica di management che dalla pratica manageriale.
La conoscenza del mercato, quella relativa ai clienti, ai loro bisogni e comportamenti,
tutte finalizzate a produrre le risposte dell’impresa in termini di innovazione di
prodotto e di processi, sono ormai indispensabili e assumono un rilievo centrale nella
capacità delle imprese di affrontare attivamente, ma in modo complesso e integrato le
sfide del terzo millennio.
Da questo punto di vista. la ricerca e i luoghi dove essa viene tradotta in termini
applicativi, dove vengono processate le relazioni e costruite le reti per il trasferimento
tecnologico e di know how, diventano snodi strategici per costruire le premesse dello
sviluppo del tessuto produttivo e dei territori in cui le imprese operano.
Elaborare nuove strategie di marketing per promuovere le strutture di ricerca,
sviluppo e trasferimento, i parchi scientifici e tecnologici, le organizzazioni che
promuovono e accompagnano la nascita di nuove imprese innovative significa al
giorno d’oggi lavorare per lo sviluppo del territorio e per la sua innovazione.
1.1 La conoscenza strumento strategico per l'innovazione del territorio
Il concetto di conoscenza porta con sé un cambiamento notevole nell’approccio alle
politiche dell’innovazione. Infatti, nella recente letteratura sullo sviluppo economico
l’enfasi sulle determinanti della crescita si è progressivamente spostata dall’analisi
dell’accumulazione dei fattori produttivi tradizionali, come il capitale e il lavoro,
verso quella delle conoscenze tecnologiche e del capitale umano.
La tecnologia non viene più considerata come un fattore di produzione aggiuntivo
rispetto al lavoro e al capitale, bensì come un elemento essenziale di competitività.
Non a caso, i meccanismi di creazione e trasmissione delle conoscenze hanno assunto
14
un ruolo cruciale nella spiegazione del successo di alcune aree e del declino o la
stagnazione di altre.
Il meccanismo di creazione della conoscenza costituisce dunque la condizione ed il
“motore” dell’innovazione, sia nella dimensione dell’innovazione del business, sia in
quella dell’innovazione sociale (nuove relazioni sociali, nuove modalità di
formazione, qualità della vita di lavoro, riprogettazione dei processi di business).
Ne consegue che il concetto di “economia della conoscenza”, indica una nuova fase di
sviluppo in cui la conoscenza scientifica e le risorse umane rappresentano fattori di
crescita strategici, in cui esiste un legame stretto tra i processi d’apprendimento,
l’innovazione e la competitività economica.
In questo contesto lo sviluppo a progressione geometrica che ha avuto la rete internet
nell’ultimo decennio ha certamente facilitato il trasferimento delle informazioni e le
possibilità di apprendere, favorendo quindi lo sviluppo della “economia della
conoscenza”.
1.1.1 Il concetto di conoscenza
Per conoscenza si intende un processo umano dinamico e complesso che comprende
intuizioni, esperienze, competenze, procedure che guidano i pensieri, i concetti e i
comportamenti delle persone.
La principale classificazione presente in letteratura distingue tra due fondamentali tipi
o caratteri di conoscenza. Da un lato la conoscenza esplicita, facilmente codificabile
e, quindi, acquisibile, trasferibile, anche digitalmente, e infine immagazzinabile, nella
sua integrità, una volta che le regole sintattiche richieste per la sua decifrazione siano
conosciute (Kogut e Zander, 1992)
2
. Dall’altro lato la conoscenza tacita relativa a
idee, percezioni, esperienze, al “come” si fa qualcosa o si agisce. Si tratta di una
conoscenza vischiosa, difficile da codificare e trasferire (Nelson e Winter, 1982;
2
Kogut, B. e U., Zander, 1992, “Knowledge of the firm, combinative capabilities, and the
replication of technology”, Organization Science..
15
Szulansky, 1996)
3
, in quanto si esplicita in forma di intuizione ed è acquisita, spesso
inconsciamente, attraverso le esperienze che un soggetto vive quando è immerso in un
ambiente. Tutta l’informazione a cui l’impresa accede si può tradurre in conoscenza,
in input utile, cioè, per la decisione, ma sfugge alla codificazione e al trasferimento
quell’l’informazione che, nella pratica quotidiana, resta incagliata nelle pieghe dei
processi organizzativi o ancorata agli individui che la detengono.
Già Schumpeter, riteneva che il fattore conoscenza nell’attività economica fosse
qualità soggettiva e non quantità fissa, riferendosi alla conoscenza particolare
posseduta da ciascun soggetto economico, rispetto alla conoscenza comune condivisa
dai diversi soggetti. Oggi, si può arrivare a sostenere che la conoscenza è un bene che
si accresce tramite i processi d’apprendimento individuali e organizzativi ed è un bene
che favorisce la cooperazione tra gli individui e le organizzazioni.
Per ciò che attiene prodotti e servizi poi, è ormai acclarato che i fattori competitivi
fondamentali siano i “beni intangibili fondati sulla conoscenza” che producono
innovazione, come il know-how tecnologico, il disegno di prodotto, l’immagine di
mercato, la comprensione dei bisogni del cliente, la creatività personale. E le
innovazioni richiedono grandi quantità di informazioni, nuove conoscenze,
competenze tecniche e organizzative, che sono prodotte dallo sviluppo di processi
d’apprendimento, collettivi e individuali, nella forza lavoro, tra i lavoratori e gli
imprenditori.
Tutti elementi già presenti nelle imprese economiche, organizzazioni depositarie di
una gamma specifica di conoscenze produttive tacite che le differenziano tra di loro in
maniera significativa anche nello stesso settore produttivo. Perciò insieme alla
conoscenza codificata, quella delle regole generali, ha enorme importanza la
conoscenza tacita, specifica del contesto, non riproducibile.
3
Nelson R.R. Winter S.G., An Evolutionary Theory of Economic Change, Harvard University
Press, 1982 - Szulanski, G. 1996.Exploring internal stickiness: impediments to the transer of
best-practice within the firm. Strategic Management Journal, 17(Winter Special), 27-43
16
Se ne deduce che nell’economia della conoscenza, il fattore strategico della
competitività delle imprese e delle economie non è solo l’adozione di innovazioni
tecnologiche, ma anche la promozione di nuove forme organizzative e la crescita di
relazioni all’interno e, in particolare, con l’ambiente.
Quindi il problema dello sviluppo richiede sì l’aumento investimenti in ricerca e
innovazioni tecnologiche, ma anche e soprattutto la cura e l’investimento nelle risorse
umane, nella formazione permanente dei lavoratori nonchè la creazione di strutture
che favoriscano lo scambio delle conoscenze e la loro integrazione originale per
generare processi di innovazione.
Viene sempre meno, quindi, l’idea di impresa isolata e autosufficiente, la cui
conoscenza non potrà che essere limitata e relativamente statica. È l’impresa che ha
contatti diretti con l’ambiente esterno, quella che scambia, modifica e aggiorna
continuamente la propria conoscenza, destinata a prevalere nella competizione
globale. Ma questo che è un processo intuitivamente facile da comprendere, è
difficoltoso da mettere in pratica, in particolar modo in ambienti complessi e in
contesti a ritardo di sviluppo; è questo il motivo della necessità di agenti facilitatori
per la sua attuazione, strutture che dovrebbero essere promosse sia dagli enti statali
che dalle organizzazioni collettive e di categoria.
È in particolare nello sviluppo locale, e soprattutto di quelle aree deprivate e lasciate
indietro dai trend di crescita internazionali, che l’interazione fra agenti economici e
ambiente circostante riveste un’importanza cruciale nell’accrescimento di quel know
how, frutto delle conoscenze diffuse nel territorio che sono capaci di influenzare in
modo decisivo la competitività dell’impresa produttiva locale, grazie alla loro
specificità, anche su mercati molto ampi.
Il territorio, dunque non è più concepito come uno spazio fisico rilevante soprattutto
dal punto di vista dei costi di trasporto, ma piuttosto come il luogo di una complessa
rete di relazioni socio economiche favorite dalla comunanza di cultura, storia e
competenze degli attori su di esso presenti. Questo ricco e articolato insieme di
processi di apprendimento collettivo rappresentano il principale motore
17
dell’innovazione tecnologica e della crescita delle imprese locali e, in particolare,
delle piccole imprese altrimenti destinate a soccombere in un panorama di imprese
singole e non relazionate.
In questo circolo virtuoso, l’apporto di nuovi elementi conoscitivi fa emergere
potenzialità inesplorate del sapere locale, lo arricchisce e lo trasforma in un percorso
evolutivo più dinamico. Le conoscenze acquistano, attraverso questo processo, un
carattere specifico e difficilmente imitabile che diventa un importante fattore di
competitività. Viceversa la scarsità di conoscenze e informazioni ridurrebbe le
alternative disponibili, accrescerebbe l’incertezza e spingerebbe l’impresa ad adottare
comportamenti ispirati a criteri di razionalità limitata, muovendosi lungo itinerari già
percorsi nel passato e quindi meno innovativi e competitivi.
Dunque, il maggior vantaggio competitivo di un’organizzazione che opera sul
mercato globale è indubbiamente la creazione di conoscenza, ma affinché ciò avvenga
è fondamentale, se non indispensabile, l’esistenza di una cultura d’innovazione
continua, diffusa all’interno dell’impresa e nel contesto, capace di osservare
l’ambiente esterno, comprendere gli scenari futuri e anticipare i cambiamenti nei
mercati, nelle tecnologie, nella competizione e nei prodotti, insieme a un ambiente
esterno favorevole e stimolante per il miglior sfruttamento della risorsa conoscenza.
1.1.2 Innovazione, competitività economica e sviluppo regionale
A metà del XX secolo Schumpeter affermava che l’innovazione è la principale arma
che un’impresa può usare per costruire un margine di profitto e per difenderlo e che
dunque la competitività e la crescita dipendono dall’innovazione, sottolineando, che
questo tipo di sviluppo può portare ad aumentare le differenze tra industrie e paesi,
perché industrie e paesi diversi possono sperimentare velocità di innovazione diverse.
In regime di concorrenza, l’elemento innovativo diventa importante soprattutto
quando sul mercato sono presenti produttori che hanno costi diversi per lo stesso
fattore di produzione: il lavoro. L’unico mezzo a disposizione dei paesi sviluppati per
sopravvivere alla concorrenza con i paesi che hanno un costo del lavoro più basso e
18
continuare ad aumentare/mantenere la propria ricchezza è dunque quello di evitare il
confronto tra i prezzi, offrendo prodotti e servizi qualitativamente migliori e con
prestazioni migliori, frutto di innovazioni rese possibili dal progresso tecnologico. Si
può dire perciò che ogni aumento del tasso di progresso tecnico significa un aumento
del tasso di crescita della ricchezza complessiva, a livello mondiale. Anche i
contributi più recenti alla teoria del commercio internazionale hanno dimostrato che le
differenze nello sviluppo tecnologico sono ragioni fondamentali per lo scambio di
prodotti e servizi, ulteriore contributo per l’aumento della ricchezza prodotta.
Teoricamente, poi, nello scenario di graduale integrazione di diversi mercati nazionali
in un unico mercato globale, il tasso di innovazione dovrebbe aumentare: più il
sistema mondiale si avvicina a una situazione di totale integrazione, maggiore sarà il
numero di innovazioni che diventeranno economicamente realizzabili. Una
condizione di totale integrazione darà vantaggi ai paesi già sviluppati, se confrontata
con una situazione caratterizzata da protezionismo tecnologico. D’altra parte, i paesi
meno sviluppati avranno la possibilità iniziale di vendere i loro prodotti tradizionali ai
paesi sviluppati, sostituendosi ai loro produttori locali e questa libertà competitiva
dovrebbe accelerare la loro crescita. In parte tale processo si sta già verificando.
In questo scenario, infatti, dovrebbe essere scontato che la distribuzione della
ricchezza cambi a favore dei paesi in via di sviluppo. Ne sono testimoni alcune
economie di recente industrializzazione che hanno superato addirittura gli Stati Uniti
nella specializzazione nell’industria ad alto contenuto tecnologico. Ma il processo non
è affatto lineare e i fatti hanno dimostrato che le differenze non diminuiscono e in
alcuni casi tendono addirittura ad aumentare. Infatti grande è la superiorità dei paesi
già sviluppati che hanno la possibilità di patrimonializzare il vantaggio competitivo
offerto loro dalla innovazione tecnologica, appunto perchè questo vantaggio è
connesso con la conoscenza, proviene dagli individui e dalle organizzazioni, ed è
dunque molto difficile e lento da trasferire.
Nell'attuale processo di globalizzazione, comunque, l’innovazione tecnologica è il
motore della crescita economica e consente alla strutture produttive regionali di
19
adottare tecniche nuove o in ogni caso migliori, di rendere più flessibile la
produzione, di migliorare la qualità dei suoi prodotti, di rispondere alle esigenze di
mercato in modo più rapido. Ma, potenzialmente, rappresenta anche la chiave per
risolvere pacificamente il problema internazionale della distribuzione della ricchezza
e della riduzione delle disparità esistenti tra le varie regioni. In campo tecnologico,
infatti, tali disparità sono davvero notevoli. Le analisi statistiche confermano che i
divari esistenti in termini di ricerca e sviluppo tecnologico sono pari al triplo di quelli
espressi in termini di reddito.
La situazione qui analizzata nel macrocosmo, si riproduce anche all’interno
dell’Europa e interessa soprattutto i paesi del Sud. I laboratori e le aziende che si
occupano di ricerca e sviluppo tecnologico sono infatti altamente concentrati in poche
zone geografiche, spesso intorno alle capitali o comunque ai grandi centri. Così come
sono localizzate quasi sempre nel nord e centro Europa reti molto fitte costituite da
aziende, infrastrutture e personale qualificato, all'interno delle quali vi è una forte
interazione, premessa fondamentale di sviluppo economico.
Per la competitività e la solidarietà in Europa, e per una distribuzione più equilibrata
delle attività economiche sul territorio, le regioni, soprattutto quelle il cui sviluppo è
caratterizzato da forti ritardi, hanno dunque bisogno di aiuto nelle loro strategie di
modernizzazione e diversificazione. Tale sostegno potrà giungere solo attraverso aiuti
a politiche che promuovono l'innovazione e che pertanto consentiranno a tali regioni
di puntare ai segmenti di mercato a maggiore valore aggiunto.
In questa direzione una via da perseguire per aumentare l'efficacia in termini di
sviluppo regionale, è quella di passare da un’impostazione basata sulla ricerca a una
basata sull'innovazione. Essa si basa sul concetto che, nelle regioni meno sviluppate,
per quanto concerne ricerca applicata e sviluppo tecnologico, contino anche le
esigenze delle imprese, non solo il know-how degli enti di ricerca e di trasferimento
tecnologico. L’azione fondamentale dovrà essere perciò aiutare coloro che operano
nella vita economica ad accedere alle reti di eccellenza di Ricerca e Sviluppo
20
tecnologico, alle fonti di tecnologie e a partner qualificati per la ricerca scientifica e
tecnologica sul piano internazionale.
Dunque, come sostiene Niessler
4
, l'innovazione a livello regionale non è solo
questione di politiche scientifiche, di ricerca o tecnologiche, ma è anche e soprattutto
questione di politiche di sviluppo economico, che si ottengono anche attraverso la
partecipazione attiva di imprese, organizzazioni e di altre figure attive a livello
regionale.
L’aspetto della diffusione dell’innovazione è quindi centrale nella prospettiva della
crescita economica, dello sviluppo e della competitività. In questa prospettiva Parchi
scientifici, incubatori tecnologici e partnership pubblico-privato diventano i principali
"attori dell’innovazione", i canali attraverso cui i processi e le tecnologie innovative si
propagano nella realtà economico-imprenditoriale.
1.2 Il marketing della conoscenza leva per lo sviluppo del territorio
La società dell’informazione e della conoscenza è anche alla base delle scelte
economiche su cui punta l’Unione Europea per uno sviluppo basato sull’inclusione, la
formazione permanente, la crescita culturale del sistema. Questa si caratterizza come
una risposta europea, un po’ differente da quella americana determinata dalla politica
economica di Clinton che prevedeva la costruzione delle “autostrade informatiche”
come leva principale dello sviluppo, ma, che in fondo, arriva alle stesse conclusioni e
cioè che l’investimento maggiore di ogni governo interessato allo sviluppo
economico è nell’istruzione.
Istruzione, conoscenza, accesso per tutti sono elementi che aprono una prospettiva
progressiva e democratica all’economia contemporanea, chiudono con il fordismo e
con le sue linee di produzione a catena di montaggio, per aprire la strada ai lavoratori
della conoscenza.
4
1997 XIV IASP World Conference - Rudolph Niessler, a capo della Direzione Generale per le
Politiche Regionali e la Coesione della Commissione Europea.
21
Ovviamente la prospettiva non è sola rosea e alcune delle critiche della Klein
5
sono
condivisibili: è sicuramente reale il rischio che nel mondo contemporaneo il rapporto
tra sistema dei valori e mercificazione porti al fenomeno in cui le “imprese del
marchio” dettino esse il proprio sistema dei valori ai clienti, che così diventano
sudditi fedeli e soddisfatti.
Così come sul piano del lavoro e della sua organizzazione, l’entrata della cultura
direttamente tra i fattori produttivi porta con sé il rischio di marxiana memoria che
essa possa essere definitivamente interiorizzata dal lavoratore, chiuso dunque in un
processo di totale alienazione. Ma tra le due opzioni ora disponibili, il rapporto stretto
tra economia e cultura offre probabilmente più opportunità che minacce.
Si potrebbe perciò assumere che l’ipotesi che l’economia della conoscenza abbia al
suo interno maggiori possibilità di essere una premessa per una società più giusta e
maggiori potenzialità democratiche sia condivisibile, soprattutto se essa viene intesa
come un programma da realizzare con spirito critico.
È indubbiamente vero che il progetto culturale delle multinazionali è altamente
intrusivo e mira a creare un mondo di consumatori soddisfatti e forse imbecilli, ma è
altrettanto vero che la possibilità di rendere il consumo meno legato al bisogno
materiale, e più invece a valori culturali, apre lo spazio a nuove forme di consumo
culturalmente intelligenti. E ciò è reso possibile dalla ricchezza informativa offerta
soprattutto dalla tecnologia e in particolar modo dallo sviluppo della rete internet.
Così come è indubbiamente vero che la diminuzione della distanza tra le esigenze dei
lavoratori e quelle dell’azienda produce cambiamenti epocali, nei quali i lavoratori
perdono i loro connotati di classe, ma il lavoro, nel quale entra prepotentemente la
tecnologia, è comunque potenzialmente più intelligente, creativo, partecipativo,
autonomo, in una parola migliore.
5
Naomi Klein (Montreal, 5 maggio 1970) giornalista, scrittrice e attivista canadese autrice del
famoso libro No Logo, 2002, Baldini Castoldi Dalai