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Caso introduttivo: Disney Tokyo e Euro Disney
Per avere garanzie di successo nell’approcciare una
società così diversa dalla propria, lo studio della mentalità
sociale diventa uno standard necessario. A volte, come
nell’esempio che vedremo, la logica “mentalità simile = suc-
cesso probabile” non funziona. L’incredibile successo di Di-
sneyland Tokyo è dovuto in gran parte alla gestione del parco
giochi, che è totalmente separata dalla Disney America, che
ha concesso le licenze e riceve una percentuale sui profitti e
sul merchandising senza alzare un dito. Il modello rimane
però molto simile a quello americano: uno dei fattori del
grande successo del parco giapponese è la percezione della
pop culture americana a cui inevitabilmente il marchio Di-
sney rimanda. É sorprendente vedere come il parco Disne-
yland Tokyo sia visitato da persone di mezz’età, senza figli o
nipoti al seguito. Diventa una esperienza americanizzante,
non più indirizzata solo ad un target di pre-adolescenti
1
. Il
grande successo dell’esperienza giapponese ha spinto la Di-
sney ad investire nel parco Parigino di Eurodisney. Il falli-
mento dell’operazione, fondamentalmente per problemi di i-
dentità locale
2
, ci spiega la sempre maggiore necessità di stu-
1
Cfr. Blog Japan marketing news.
2
Al contrario dei giapponesi, che intendevano vivere una esperienza tipicamen-
te americana, cosa che portò a pochi cambiamenti del modello di base di Di-
6
di sulla mentalità del luogo, di Glocalizzazione. Se per due
società così radicalmente differenti il modello poteva essere lo
stesso, si è pensato la cosa avrebbe funzionato con molti me-
no rischi in un ambito più “sicuro” come quello europeo.
Spesso, però, il fatto di studiare l’ambiente sociale del paese
in cui si introduce un prodotto, un brand, diventa una neces-
sità: non sempre si può essere fortunati come nel caso di Di-
sneyland Tokyo.
sneyland Orlando, la clientela Europea chiedeva una esperienza che si adattasse
ai propri gusti, che tenesse conto dei fattori culturali in gioco.
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1. La Pubblicità giapponese in relazione alla società.
1.1 La percezione soggettiva
Prima di passare ad elencare le svariate forme di pub-
blicità giapponese, è necessario cercare di delineare quale sia
la percezione del pubblico medio; quale, insomma, sia la men-
talità predominante del target di riferimento della pubblicità.
Secondo De Mooij
3
, si può partire con una “macro-divisione”
della popolazione mondiale, selezionata per persone la cui
mentalità si appoggia a fattori logici, dogmatici, religiosi,
simbolici, tradizionali ed emozionali. Ai due estremi troviamo
gli Americani, logici e catalogatori all’estremo, ed i Giappone-
si, che rifuggono dal fatto e che si aggrappano al sentimento.
Nel mezzo, i Francesi, più filosofici ed estetici, i Tedeschi, de-
duttori, e gli Arabi, che tendono più ad influenze religiose.
Proprio questa distanza estrema tra gli Americani, perenne-
mente impegnati nella catalogazione, nel dualismo tra nuovo-
vecchio, concreto-astratto, passato-presente, ed i Giapponesi
rende ancora più assurda la concezione del Giappone “ameri-
canizzato” che si riflette nell’occidente.
La strategia informativa è più comunemente utilizza-
ta nelle culture individualiste, policroniche e più aperte ai
cambiamenti, mentre nelle culture in cui la percezione del
3
Cfr. Johansson, Nonaka, Senza Tregua, l’arte giapponese del marketing.
8
tempo non è lineare, le informazioni tendono ad essere offerte
alla rinfusa, senza trarre conclusioni esplicite
4
. Anche le pub-
blicità diventano quindi simboliche, attraverso la rappresen-
tazione scenica.
Case study: Toyota e General Motors
Un esempio che potremmo definire “introduttivo” è la
pubblicità della Toyota, “Human Touch”
5
, creativa ed evoca-
tiva come ci ha abituato l’industria giapponese. In questo ca-
so, il “valore aggiunto” è relativo al rapporto tra cliente ed a-
zienda: vediamo infatti come l’auto, che il protagonista si li-
mita a guidare per le strade di Tokyo (la pubblicità, quindi,
non si fonda su un’idea di trama, intreccio, contenuto, carat-
teristiche del prodotto) sia composta da persone; una persona
comanda ogni faretto, una persona aziona l’airbag, una si oc-
cupa del bagagliaio. I sedili stessi sono persone, le cui braccia
sono cinture di sicurezza che abbracciano il cliente.
Praticamente tutti i prodotti giapponesi soddisfano pienamen-
te i requisiti fondamentali del prodotto o del servizio, ma nel
contempo l’idea che l’affidabilità, la durata, la flessibilità e
4
Cfr. Johansson, Nonaka, Senza Tregua, l’arte giapponese del marketing.
5
Si veda Storyboard #1.
9
altre caratteristiche di questo genere bastino a garantire la
soddisfazione del cliente, è inaccettabile per i giapponesi. Per
il cliente non è difficile valutare un prodotto o un servizio: si
tratta, in fondo, di creare un certo tipo di situazione psicologi-
ca. In conclusione, dicono i giapponesi, i prodotti ed i servizi
sono mezzi per creare lo stato psicologico ideale.
6
In questa pubblicità, quindi, troviamo come le caratte-
ristiche fondamentali del prodotto, la sua sicurezza, affidabi-
lità, qualità, siano garantite dal fatto che sono state generate
dai prodi meccanici Toyota, che diventano essi stessi, con il
proprio lavoro, parte del prodotto. Si vuole dire che, ogni vol-
ta che un dipendente Toyota lavora su un’auto, ne diventa
parte, ne diventa il garante della qualità. Questo è il valore
aggiunto, legato non solo alla pubblicità, ma ad ogni aspetto
della vita del produttore e del cliente che utilizza il prodotto.
Un qualcosa, insomma, che va oltre alla mera esposizione
della merce. La pubblicità riflette in questo caso una delle
basi della filosofia organizzativa delle aziende giapponesi: il
lavoro di ogni singolo, dal più umile al più qualificato, è fon-
damento per il successo dell’azienda. Allo stesso tempo viene
riconosciuta questa importanza al lavoratore stesso, il che
produce autostima e motivazione. Il dilettante diventa pro-
fessionista, nel senso che chiunque tende a sviluppare al
6
Cfr. Johansson, Nonaka, Senza Tregua, l’arte giapponese del marketing.
10
massimo le proprie capacità
7
. In senso più generale, avviene
un mutamento di prospettiva: in Occidente il direttore (di un
negozio, di un reparto) è prima di tutto controllore, gestore e
responsabile del posto di lavoro; in Giappone è prima di tutto
lavoratore, quindi responsabile per i lavori più modesti, così
come delle mansioni più responsabilizzate della gestione e del
controllo. Questa mentalità tende a migliorare il morale dei
lavoratori dipendenti, oltre che ottimizzare il rapporto con il
cliente, visto che il rapporto di rispetto diviene reciproco: il
venditore rispetta incondizionatamente il cliente, e
l’acquirente riconosce implicitamente l’importanza del lavoro
del venditore. Questa pubblicità può essere quindi considera-
ta come pubblicità interna, non solamente rivolta ai possibili
acquirenti (che comunque, nel caso di un colosso come Toyo-
ta, sono le stesse migliaia di dipendenti), ma a tutti coloro
che Toyota l’hanno costruita con il proprio lavoro,
dall’approvvigionamento alla distribuzione. La grande atten-
zione che viene posta sulle risorse umane è conseguenza delle
caratteristiche economico-geografiche del paese: la mancanza
di risorse naturali rende le risorse umane il vero fattore con-
correnziale tra imprese. Questa situazione mette le aziende
su un piano d’assoluta parità concorrenziale, e trasforma la
concorrenza stessa in Giappone in una sorta di match tra
squadre rivali, tutte vincolate dalle medesime regole
8
.
7
Cfr. Johansson, Nonaka, Senza Tregua, l’arte giapponese del marketing.
8
Ibid.
11
Pur non essendone questa un esempio così calzante, e
pur essendo un punto sul quale tornerò nel corso della tesi,
una delle critiche che si potrebbero muovere alla gran parte
delle pubblicità giapponesi è l’assenza del prodotto specifico,
che rimane aleatorio ed indefinito
9
. Resta però una grande
importanza nel brand, nella corporate identity, qui ripreso
come logo e tag-line finale, e comunque presente, come già
detto, nel prodotto stesso (i dipendenti sono il prodotto). Un
esempio è la Sony, che in Giappone conclude le proprie sva-
riate pubblicità televisive con il tag “It’s a Sony”.
Riguardo alla General Motors, la pubblicità
10
è di li-
vello certamente più elevato rispetto alla media delle pubbli-
cità americane (soprattutto riguardo ad un prodotto così all-
american come l’automobile). Si basa su un dualismo sempre
di grande importanza, il concetto di prima e dopo. General
Motors ha accompagnato la società americana per tutto il do-
poguerra, trasformandola e trasformandosi con essa. Anche
qui il valore aggiunto è presente, anche se certamente meno
sottile rispetto alla concorrente giapponese: General Motors
raccoglie l’esperienza del passato per proiettarsi verso il fu-
turo, verso l’auto ad idrogeno e verso le nuove tecnologie di
guida. Pur se edulcorata e “non parlata”, la pubblicità è co-
munque una elencazione per immagini degli accessori e del
9
Cfr. Mooney, 5,110 Days in Tokyo and Everything's Hunky-dory: The Markete-
r's Guide to Advertising in Japan.
10
Si veda Storyboard #2.
12
design del parco macchine General Motors. La logica è ele-
mentare, con le classiche strizzatine d’occhio e la necessità di
spiegare ogni dettaglio (l’industria americana, così come le
grandi produzioni Hollywoodiane, ritiene troppo costoso pro-
durre una pubblicità che rischi di lasciare qualcosa di non
detto, d‘insoluto).
Questa contrapposizione tra i due colossi automobili-
stici mondiali, qui impegnati in campagne pubblicitarie diret-
te al mercato interno, è un buon esempio per cercare di defi-
nire come la pubblicità giapponese (e, per metro di paragone,
quella americana) utilizza un mix di strategie tradizionali
(quindi culturali e più strettamente legate alla società) e mo-
derne, che potremmo definire più “occidentalizzate”.
Per poter descrivere al meglio il rapporto pubblicità-
società del modello giapponese è però necessario partire da
un presupposto fondamentale: la tradizione linguistica.
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Storyboard #1: Toyota Human Touch.