2
comportamento fiscalmente più oneroso tra quelli idonei a conseguire lo
stesso risultato economico.
2
In buona sostanza il comportamento perseguito dall’elusore non è quello
dell' uomo d'affari che ricerca la soluzione meno onerosa fra quelle che
gli sono offerte dall'ordinamento, ma quello del contribuente che pone in
essere operazioni artificiose -e spesso articolate- per realizzare un risultato
di per sé non vietato, ma incoerente rispetto a un sistema ispirato alla
capacità contributiva.
Da quanto sin’ora detto si può definire in negativo l’elusione affermando
che essa non è lecito risparmio di imposta, che il contribuente consegue
operando quelle scelte che l'ordinamento - espressamente o
implicitamente- gli offre per contenere gli oneri tributari; come non è
illecita evasione tributaria, che consiste nel sottrarsi all'obbligo di
corrispondere le imposte violando le norme - sostanziali o strumentali -
dell'ordinamento.
Chi elude non fa altro che portare ad estreme conseguenze una finalità di
riduzione del carico tributario che in sé è legittima e accettabile, ma che -
per le modalità di realizzazione e in rapporto al contesto in cui opera-
finisce per produrre effetti distorsivi sul "sistema" economico-sociale.
Chi evade, pone in essere un comportamento economicamente
censurabile e giuridicamente illecito, che va punito con le dovute sanzioni
sia amministrative che penali previste dall’ordinamento; chi risparmia le
imposte esercita un proprio diritto (costituzionalmente tutelato dall'art.
41, comma 1, della Costituzione) che va senz'altro riconosciuto nei limiti
consentiti dal sistema, ovvero sino al limite oltre il quale dovrà senz’altro
parlarsi di elusione.
2
Si veda al riguardo LUPI, Elusione e legittimo risparmio d’imposta nella nuova normativa, in Rass.Trib., 1997,
1099.
3
In sintesi: sia l' evasione, che l' elusione, consentono un "risparmio di
imposta", ma mentre la prima è contra legem, e come tale va repressa,
l'elusione è extra legem, e come tale va prevenuta. Va prevenuta e
combattuta però da un punto di vista legislativo cioè con norme specifiche
o generali, comunque dirette a scoraggiare abusi, eliminare scappatoie,
impedire stratagemmi poiché il problema dell’elusione nasce proprio in
quanto il comportamento del contribuente non può essere contrastato in via
interpretativa
3
.
La normativa antielusione si pone nel sistema tributario come
eccezione, in quanto tende a far prevalere gli effetti sostanziali sulla
forma giuridica dell'operazione: in un sistema -come quello tributario-
dominato dal principio della riserva di legge (art. 23 della Costituzione),
essa si propone di affermare l'altrettanto basilare principio di
capacità contributiva (art. 53 della Costituzione)
4
.
La normativa statuale non presenta una definizione precisa di elusione
fiscale. Ma fornisce un’indicazione degli elementi costitutivi di tale
fenomeno, il quale si configura come una mera categoria logico-dottrinale
5
Dal punto di vista storico i primi tentativi di disciplinare
legislativamente l'elusione tributaria risalgono al 1986; seguirono diverse
proposte, finché, nell'estate 1988, il disegno di legge n. 1301 (collegato
alla Finanziaria '89) individuò due disposizioni con finalità convergenti,
3
Secondo LUPI, Diritto Tributario, parte generale, 2005, 105, la tendenza ad evitare distorsioni rispetto allo
spirito del sistema è un argomento dell’interpretazione, ma l’interprete non può superare determinati
limiti talchè il disegno elusivo risulta a volte inattaccabile, almeno per un giudice che vuole mantenersi
nei limiti del diritto positivo vigente, senza trasformarsi in un legislatore. L’interpretazione antielusiva
può spesso impedire che l’elusione si verifichi, ma , una volta che si sia verificata, non serve ad
eliminarla.
4
In tal senso LUNELLI, Normativa antielusione, cit.
5
Secondo COCIANI, “ il legislatore non dà una definizione del fenomeno elusivo: non potrebbe essere
diversamente poiché l’elusione, allorquando acquistasse rilevanza nel mondo giuridico, cesserebbe di
esser tale assumendo i connotati e la fisionomia dell’evasione” in Alcune precisazioni (necessarie) in tema di
elusione tributaria.Considerazioni generali, in Riv. Dir. Trib., 2001, I, 751 ss..
4
ma molto diverse nei presupposti: una si proponeva di combattere la
“interposizione fittizia” di persona; l'altra intendeva introdurre
nell'ordinamento tributario una “norma (generale) antielusiva”.
La prima trovò attuazione con l'art. 30 del D.L. n. 69/1989
(convertito, con modificazioni, dalla L. n. 154/1989), che aggiunse il
comma 3 nell'art. 37 del D.P.R. n. 600/1973 (decreto sull'accertamento
delle imposte sui redditi): ”sono imputati al contribuente i redditi di cui
appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato ... che egli ne è
l'effettivo possessore per interposta persona”.
La seconda -e cioè la progettata “norma (generale) antielusiva”- fu
inizialmente accantonata, ma un anno dopo venne riconsiderata ed attuata,
limitandone la portata: nacque così la disposizione antielusiva “a
fattispecie” predeterminate di cui all'art. 10 della L. 29 dicembre 1990, n.
408.
L'art. 10 della L. n. 408/1990 consentiva, infatti, all'Amministrazione
finanziaria di ”disconoscere ai fini fiscali la parte di costo delle
partecipazioni sociali sostenuto e comunque i vantaggi tributari
conseguiti in operazioni di fusione, concentrazione, trasformazione,
scorporo e riduzione del capitale poste in essere senza valide ragioni
economiche ed allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un
risparmio di imposta”.
Tale norma destò non poche perplessità tant’è che le dispute interpretative
che seguirono portarono ad una applicazione episodica dell'art. 10
della L. n.408/1990. La norma finì per essere considerata - con poche
eccezioni -di “difficile” applicazione, e, in definitiva, inutile; né la
situazione migliorò con l'intervento legislativo di cui all'art. 28 della
L.n.724/1994, Le incertezze così come manifestatesi, determinarono
l’esigenza di un intervento chiarificatore da parte del legislatore il quale
5
con l’art. 3 comma 161, lettera g ) della L. n. 662/1996 (di
accompagnamento alla Finanziaria 1997) delegò il Governo a procedere
a una “revisione dei criteri di individuazione delle operazioni di natura
elusiva indicate nell’art. 10 della legge n. 408 del 29 dicembre 1990”
anche in funzione di un miglior coordinamento con le disposizioni
contenute nel testo unico delle imposte sui redditi e con la “normativa
comunitaria”. In definitiva, si intendeva mantenere la logica di una
“normativa antielusiva generale a fattispecie predeterminate”, ma al tempo
stesso si voleva assicurare maggiore sistematicità all'istituto, in modo da
renderlo più incisivo e meno distorsivo.
La delega in oggetto è stata attuata con D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358 che
ha riordinato le imposte sui redditi applicabili alle operazioni di
ristrutturazione fiscale. Il particolare l'art. 7 di tale decreto, ha previsto
l’inserimento della nuova norma antielusiva nel D.P.R. n. 600/1973 ossia
l'art. 37-bis in vigore dall'8 novembre 1997
6
.
Nel nostro ordinamento pertanto la principale norma antielusione è
contenuta nell’art. 37-bis del DPR 600/73. Questa prevede la
inopponibilità all’Amministrazione finanziaria degli atti diretti ad aggirare
obblighi e divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere
riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti. I primi due commi,
prevedono testualmente che “1.Sono inopponibili all'amministrazione
finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di
valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti
dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi,
altrimenti indebiti. 2.L'amministrazione finanziaria disconosce i
vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui
al comma 1,applicando le imposte determinate in base alle disposizioni
6
Per un breve excursus storico sulle disposizioni antielusive si veda, tra gli altri, LUNELLI, L'elusione
tributaria. Le disposizioni per contrastarla, le difficoltà applicative, le modalità per superare le incertezze, in “il
fisco”, 2003 allegato n.25.
6
eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento
inopponibile all'amministrazione”.
La disciplina legislativa in parola ha, in pratica, concepito con le norme
contenute nei primi due commi, quasi una fattispecie generalizzata salvo
essere limitata nell’operare alle fattispecie di cui al comma 3 e
nell’ambito della sola imposizione sui redditi
7
.
Il nostro legislatore tributario ha, infatti, sempre rifuggito da clausole
generali antielusive
8
come quella ad esempio esistente da tempo in
Germania e recata dall’art. 42 Abgaben Ordnung, ai sensi del quale "la
legge tributaria non può essere aggirata mediante abuso delle possibilità
di forme giuridiche. Se sussiste abuso, la pretesa tributaria sorge così
come sorgerebbe in presenza di una forma giuridica adeguata alla
situazione economica"
9
in nome di fondamentali principi costituzionali,
come il principio di riserva di legge ex art 23 della Costituzione ed il
connesso principio di certezza del diritto. In applicazione di tali principi, si
è altresì sempre affermato che l'attività dell'Amministrazione finanziaria
è vincolata all'applicazione della legge, che si è voluto fosse anche di tipo
7
TABELLINI, L’elusione della norma tributaria, Giuffrè, 2007, 199 e ss.. in tal senso anche LUNELLI,
Normativa antielusione, cit., il quale fa riferimento alla collocazione sistematica della norma all’interno del
D.P.R. 600/73 sull’accertamento .
8
Sul tema della norma antielusiva generale cfr. P. RUSSO, Brevi note in tema di disposizioni antielusive, in
Rass. trib., 1999, 68 ss..
9
La generalklausel è stata applicata dai giudici utilizzando molteplici indici di elusione ai fini
dell’identificazione dei casi di abuso: spesso le Corti hanno qualificato come elusiva un’operazione di
per sé "insolita" o "atipica"; nella maggioranza dei casi, comunque, hanno associato a tale fattore
"l’assenza di uno scopo commerciale". Nell’ordinamento fiscale tedesco, la disposizione antielusiva
generale coesiste con una pluralità di norme antielusione specifiche, che hanno fatto assumere alla
stessa il ruolo di norma di chiusura operante in via residuale. A tal riguardo si veda anche COCIANI,
Spunti ricostruttivi sulle tecniche giuridiche di contrasto all’elusione tributaria. Dal disconoscimento dei vantaggi tributari
all’inopponibilità al Fisco degli atti, fatti e negozi considerati elusivi, 701 ss.; CONTRINO, Elusione fiscale, evasione
e strumenti di contrasto, Bologna, 1996, 139
7
casistico, evitando definizioni che lasciassero ampi spazi di
interpretazione opinabile
10
.
Affinchè la norma operi c’è bisogno di un vantaggio fiscale sotto forma di
riduzione o di rimborso di imposte disapprovato dall’ordinamento poiché
privo di valide ragioni economiche e in quanto ottenuto attraverso
aggiramenti di obblighi e divieti per la realizzazione di un risultato che è
vietato dal sistema fiscale per le operazioni elencate al successivo comma 3
dell’art. 37-bis. In sintesi, i commi 1 e 2 individuano il comportamento
ritenuto elusivo e, pertanto, inopponibile all'Amministrazione finanziaria
mentre il comma 3 elenca le fattispecie potenzialmente elusive, in
presenza delle quali è possibile indagare.
L’operatività della norma antielusiva, secondo autorevole dottrina
11
,
incontra anche ulteriori limiti, oltre a quelli interni alla norma stessa. Infatti
essa deve confrontarsi con la collocazione nel sistema della normativa
utilizzata dal contribuente, nel senso che non si potrà parlare di elusione
ma di fisiologico risparmio d’imposta per quei risparmi ottenuti grazie
all’utilizzo di regimi collocati nell’ordinamento su un piano di pari dignità
rispetto ad altri regimi più onerosi. Tale principio però non dev’essere
inteso in senso assoluto poiché l’elusione può verificarsi a volte anche
adottando regole tributarie istituzionali e fisiologiche al sistema. E’ il caso
in cui il contribuente combina due o più regimi in modo da ottenere un
risultato distorsivo, disapprovato dal sistema attraverso il “c.d. disegno
elusivo”.
L’art. 37-bis individua i caratteri dell’elusione fiscale nell’esistenza di fatti,
di atti e negozi, anche collegati fra loro (presupposto oggettivo), nella
mancanza di valide ragioni economiche e nell’obiettivo di aggirare
10
Cfr. MOSCHETTI, Abusiva captazione di norme fiscali di favore ed anticorpi civilistici in uno stato sociale di diritto,
in “il fisco”, 2006, all.11.
11
LUPI, Elusione e legittimo risparmio d’imposta nella nuova normativa, cit.
8
obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario o di ottenere
riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti (presupposto
finalistico). Il concetto di “aggiramento” implica uno stratagemma del
contribuente rispetto alle varie soluzioni strutturalmente previste e tollerate
dal legislatore mentre il carattere “indebito” del risparmio di imposta rivela
la necessità di una disapprovazione del sistema verso il risultato conseguito
dal contribuente, cioè la violazione di un divieto latente o “implicito”; la
norma, infine, conferma che il risparmio di imposta patologico non può
essere colpito incondizionatamente, ma occorre che sia privo di “valide
ragioni economiche”
12
.
Dalla inopponibilità -di quegli atti, fatti e negozi- all'Amministrazione
finanziaria discende la valenza esclusivamente fiscale della disposizione;
per cui i comportamenti posti in essere dai contribuenti, anche se
fiscalmente irrilevanti, sono perfettamente validi e rilevanti sul piano
civilistico
13
. A tal riguardo, nel tempo si è assistito a una netta
contrapposizione tra una parte della dottrina
14
–secondo cui la
repressione dell’elusione fiscale deve essere affidata soltanto a specifici
strumenti confezionati nel diritto tributario (senza ricorrere a categorie
civilistiche)– e, dall’altro, la giurisprudenza di legittimità che ha assunto
indirizzi sempre più definiti, facendo proprie le recenti tendenze della
giurisprudenza comunitaria che vieta l’abuso del diritto, inteso come
ricorso abusivo a forme o strumenti giuridici
15
e prima ancora utilizzando
12
In tal senso LUNELLI, Normativa antielusione, cit.
13
Cfr. LUNELLI, L'elusione tributaria…, cit..
14
Cfr. LUNELLI-LUPI, Nullità civilistica ed elusione fiscale: un incidente di percorso?, in “Dialoghi di diritto
tributario”, 2006, pag. 1607; STEVANATO- LUPI, Elusione fiscale tra anomalia dei comportamenti civilistici e
frode allo spirito della legge tributaria, in “Dialoghi di diritto tributario”, 2006, pagg. 619 e seguenti; SACCO-
SALVATORE-COMUZZI-LUPI, Prime osservazioni sulla nullità del “dividend washing” per mancanza di
causa, in “Dialoghi di diritto tributario”, 2005, pag. 1682; SCHIAVOLIN, Elusione fiscale: la nullità
civilistica come strumento generale antielusivo. Riflessioni a margine dei recenti orientamenti della Cassazione civile,
in ”il fisco”, 2006, all.11.
15
CHINELLATO, Codificazione tributaria e abuso del diritto, Padova, 2007, pagg. 396 e seguenti.
9
lo strumento della nullità civilistica per frode alla legge o per mancanza di
causa.