4
Combattere il mobbing è imperativo di ogni organizzazione intelligente, dunque,
partendo da questo punto di vista efficientistico, possiamo considerare il mobbing come un
costo sociale, prima ancora che individuale. Studi condotti all’estero hanno dimostrato un
forte calo di produttività nei reparti colpiti da mobbing, nonché il costo sociale che
comportano forme di malattia psichica grave, in termini sia di indennità di malattia, sia di
eventuali pre-pensionamenti forzosi.
La situazione oggettiva creata dal mobbing si riflette in un danno che è soggettivo
per le vittime, in quanto “sentito” dal soggetto ed ammonta ad un vero danno
“esistenziale”, in quanto danno da peggioramento oggettivo, e quindi verificabile, delle
condizioni di esistenza.
Nelle società schiavistiche non vi poteva essere mobbing in senso giuridico perché
gli schiavi erano cose e non persone, oggetto di diritti e non soggetti di diritto. Agli inizi
della civiltà industriale, nel contratto di lavoro non vi poteva essere mobbing in senso
giuridico perché , secondo l’ideologia del tempo, il rapporto di lavoro era caratterizzato da
poteri e/o diritti potestativi assolutamente liberi e insindacabili.
Solo con il successivo movimento emancipatorio della condizione operaia ci si
munisce di mezzi di tutela per soddisfare diritti e bisogni primari del lavoratore (sicurezza
sul lavoro, tutela della salute, divieto di demansionamento e dequalificazione, divieto di
atti discriminatori, parità uomo-donna, repressione delle condotte antisindacali, ecc.) ed a
contrastare il potere datoriale: l’apice in Italia è rappresentato dallo Statuto dei diritti dei
lavoratori, l. n. 300/70.
Un sondaggio della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di
vita e di lavoro nel 2000-2001, citato nella risoluzione del Parlamento Europeo dal titolo
“Mobbing sul posto del lavoro“
3
, afferma che l’8% dei lavoratori dell’UE, pari a 12
milioni di persone, è rimasto vittima del fenomeno; in Italia si stima che il 4% della forza
lavoro occupata, pari a circa 1,5-2 milioni di lavoratori e lavoratrici, è soggetta a pratiche
di mobbing.
Inoltre, secondo il Centro di disadattamento della Clinica del lavoro «Luigi
Devoto» di Milano ogni dipendente ha il 25% di possibilità di trovarsi, nel corso della
propria esperienza professionale, nella condizione di mobbizzato, mentre il 10% dei casi di
suicidio presenta come concausa una situazione di terrorismo psicologico sul posto di
lavoro.
3
Cfr. il preambolo della Risoluzione del Parlamento Europeo A5-0283/2001,
http://www.pegacity.it/justice/impegno.
5
Le statistiche censiscono i casi più vari di terrore psicologico: l’illegittimo e
continuo esercizio del potere disciplinare
4
, le costanti critiche sull’operato, la diffusione di
maldicenze, l’assegnazione di compiti dequalificanti ed umilianti, le molestie sessuali,ecc..
Da studi medico-sociologici, la vittima di mobbing risulta affetta da diversi disturbi
psicofisici
5
che incidono in modo permanente sulla persona e che producono effetti
collaterali sulla serenità dell’ambiente familiare, con il rischio concreto che il soggetto
perda, oltre al posto di lavoro anche la famiglia. Quest’ultimo fenomeno è il c.d. doppio
mobbing.
Un elemento fondamentale nello studio del fenomeno è dato dall’incidenza della
disoccupazione. Nei paesi dove il tasso medio di disoccupazione è basso, il mobbing è
legato solo alle molestie sessuali e ha effetti meno devastanti. Se vi è un elevato tasso di
occupazione , di fronte a pressioni e conflitti, il mobbizzato preferisce cambiare lavoro.
Spesso le imprese, coinvolte in processi di riorganizzazione, fusioni, ricorrono a
comportamenti persecutori, al fine di liberarsi di soggetti scomodi o di ridurre le eccedenze
di personale. Tutto ciò favorisce il c.d. mobbing pianificato, quale vera e propria strategia
aziendale di riduzione, ringiovanimento del personale.
Inoltre, è necessario definire i contorni sociologici del fenomeno quale premessa
per una tipizzazione di strategie di persecuzione ed esclusione del lavoratore, sia ai fini del
varo di una disciplina ad hoc in sede legislativa, sia ai fini di un uso uniforme dei dati
normativi disponibili alla giurisprudenza.
Heinz Leymann, il pioniere della materia negli anni ottanta, afferma che «il terrore
psicologico o mobbing lavorativo consiste in una comunicazione ostile e non etica diretta
in maniera sistematica, e non occasionale o episodica, da parte di uno o più individui
generalmente contro un singolo che, a causa del mobbing, viene a trovarsi in una
condizione indifesa e fatto oggetto di una serie di iniziative vessatorie e persecutorie
6
».
Harald Ege, il principale studioso del fenomeno a livello italiano, ha definito il
mobbing sul posto di lavoro come “ un’azione (o una serie di azioni) che si ripete per un
lungo periodo di tempo, compiuta da uno o più mobber (datore di lavoro o colleghi) per
danneggiare qualcuno in modo sistematico e con uno scopo preciso. Il mobbizzato viene
4
Pret. Milano, 14-12-1995, Riv. crit. dir. lav., 1996, p. 463, ha ritenuto illegittima, per violazione dei diritti
della persona tutelati dal Titolo I dello Statuto dei Lavoratori e dall’art. 2087 c.c., la condotta datoriale
consistente nel c.d. accanimento disciplinare, ossia nella ripetuta ed immotivata irrogazione di sanzioni e
licenziamenti disciplinari e nell’adozione di misure eccezionali di controllo individuale, qualora tale
condotta abbia causato al lavoratore un temporaneo stato di disagio nevrotico, clinicamente apprezzabile
anche se non sfociato in specifica malattia psichica.
5
Gli effetti negativi del mobbing non cessano col venire meno della condotta, ma permangono per un periodo
che varia da 12 a 18 mesi.
6
H. Leymann, The definition of mobbing at work, The mobbing Encyclopaedia, http://www.leymann.se.
6
accerchiato e aggredito intenzionalmente dai mobber che mettono in atto strategie
comportamentali volte alla sua distruzione psicologica, sociale, e professionale
7
”.
Ciò che fa diventare mobbing questi comportamenti è la loro ripetizione per un
periodo di tempo sufficientemente lungo; secondo le tabelle formulate dagli psicologi del
lavoro, per potersi parlare di mobbing, l’attività persecutoria deve durare più di 6 mesi e
deve essere funzionale all’espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni
psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento
lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico.
In letteratura possiamo distinguere diverse tipologie di mobbing: il mobbing
verticale o bossing
8
, in cui le molestie provengono dal datore di lavoro o da un lavoratore
sovraordinato al mobbizzato; il mobbing orizzontale, in cui i comportamenti persecutori
provengono da colleghi; il mobbing ascendente, in cui le molestie provengono dal basso.
Il mobbing, che inizialmente è stato esclusivo campo di indagine della psicologia,
medicina e della sociologia, è stato recentemente affrontato anche dal punto di vista
giuridico. Dottrina e giurisprudenza hanno maturato la consapevolezza teorica che
«l’ambiente di lavoro non è fonte di rischio e pericolosità solo per l’integrità fisica del
lavoratore ma anche del diritto alla salute nella sua accezione più ampia, comprendente
tutti gli aspetti esistenziali della dimensione uomo
9
» e si sono impegnate ad escogitare le
più adeguate strategie di tutela.
Nel nostro ordinamento manca una disciplina civilistica o penalistica che contrasti
le persecuzioni, le vessazioni sui luoghi di lavoro, fatta eccezione per il d.lgs. 215/2003,
che recepisce la direttiva 2000/43/CE (sulla parità di trattamento a prescindere dalle origini
razziali o etniche) e il d.lgs. 216/2003, che recepisce la direttiva 2000/78/CE (sulla lotta
alle discriminazioni basate sulla religione, sulle convinzioni personali, sull’età, sulle
preferenze sessuali o sugli handicap).
Tali provvedimenti attuativi identificano le molestie in «quei comportamenti
indesiderati […] aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare
un clima intimidatorio, ostile, degradante ed offensivo».
Vi sono almeno due profili di tutela: da un lato, quello dei rimedi in forma specifica
o di tipo inibitorio (l’esecuzione diretta degli obblighi di fare e non fare ex art. 612 e ss.
7
H. Ege, I numeri del mobbing. La prima ricerca italiana, Bologna, 1998.
8
Nei sistemi dove vi è maggiore libertà di licenziare, minori sono le strategie di bossing, mentre, in una
realtà, come quella italiana, dove il licenziamento è ammesso solo per giusta causa o giustificato motivo,
l’interesse a provocare le dimissioni può essere molto forte.
9
M. Pedrazzoli, Lesioni di beni della persona e risarcibilità del danno nei rapporti di lavoro, Gior. dir. lav.
rel. ind., 1995.
7
c.p.c.) e le singole figure di ordine inibitorio a contenuto positivo o negativo (reintegra nel
posto di lavoro, condotta antisindacale, parità uomo/donna, discriminazioni); dall’altro
lato, la riparazione del danno inflitto al mobbizzato.
Su quest’ultimo punto, dottrina e giurisprudenza propongono letture estensive del
danno risarcibile in sede di responsabilità extracontrattuale ed esaltano i margini di
applicabilità della responsabilità contrattuale, accentuando il ruolo dell’art. 2087 c.c. :
«L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e le tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
La norma dell’art. 2087 è in grado di tutelare il lavoratore da tutti i possibili
comportamenti lesivi della sua integrità psico-fisica ben al di là del rispetto della normativa
antinfortunistica
10
.
La giurisprudenza rincara la dose dando rilievo ad un’ampia gamma di
comportamenti datoriali «tali da intaccare gravemente l’equilibrio psichico del prestatore,
menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe
emotiva, depressione e talora persino il suicidio
11
»
Nel sistema italiano, il fenomeno mobbing trova cittadinanza soprattutto sul terreno
della tutela civile, dove non opera la rigida tipicità del diritto penale
12
. Ma da più parti si
invoca l’introduzione di una fattispecie di reato ad hoc capace si sottoporre a sanzione
penale quelle condotte che, prese singolarmente, non integrano alcuno dei reati
tradizionali, ovvero realizzano fattispecie meno gravi quali la violenza privata, la minaccia,
l’ingiuria, ma che, qualora poste in essere nel contesto di un più ampio disegno vessatorio
caratterizzato da una specifica finalità persecutoria, manifestano un’offensività tale da
giustificare una diversa reazione penale.
10
Cass. Civ., sez. lav., 17-07-1995, n. 7768, Mass. giur. lav., 1995, p. 561; Cass. Civ., sez. lav., 02-05-2000,
n. 5491, Lav. giur., 2000, p. 830; Cass. Civ., sez. lav., 17-03-1999, n. 2432, Riv. it. dir. lav., 1999, II, p. 766,
secondo cui l’osservanza dell’art.2087 c.c. non si esaurisce nel rispetto degli obblighi tassativamente previsti
per legge in materia di sicurezza, ma impone al datore di lavoro anche l’adozione di tutte le misure d’ordine
generale che risultino di volta in volta idonee a garantire, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la
tecnica, l’integrità psico-fisica del lavoratore.
11
Trib. Torino, sez. lav., 16-11-1999, Riv. it. dir. lav., 2000, II, p. 102.
12
Cass. Pen., V sez., 29-08-2007, n.33624, Resp. civ. e prev., 2008, p. 1132, secondo cui non esiste nel
codice penale una espressa norma incriminatrice che sanzioni il c.d. mobbing. La figura di reato
maggiormente prossima ai connotati caratterizzanti il mobbing è quella dei maltrattamenti commessi da
persona dotata di autorità per l'esercizio di una professione. Comunque, il mobbing è una condotta che si
protrae nel tempo con le caratteristiche della persecuzione, finalizzata all'emarginazione del lavoratore, onde
configurare una vera e propria condotta persecutoria posta in essere dal preposto sul luogo di lavoro.
8
La figura di reato maggiormente prossima ai connotati del mobbing è quella di
maltrattamento descritta dall’art. 572 c.p., nella parte in cui punisce il soggetto attivo che
sia dotato di autorità per l’esercizio di una professione
13
.
Altre volte, le diverse condotte mobbizzanti sono state considerate penalmente
rilevanti in termini di «atti idonei e diretti in modo non equivoco» a commettere il delitto
di violenza privata
14
.
Tuttavia, l’applicazione delle norme penali trovano serie difficoltà, dovute alla
valutazione dell’elemento soggettivo della fattispecie e all’accertamento del nesso causale
ed al concorso di cause.
13
Cass. Pen., VI sez., 22-1-2001, n. 10090, Orient. giur.lav., 2002, I, p. 195.
14
Cass. Pen., VI sez., 8-3-2006, n. 31413, Riv. crit. dir. lav., 2006, p. 1293 la Suprema Corte ha ritenuto
punibili ex art. 610 c.p. quei datori di lavoro i quali costringano o cerchino di costringere taluni lavoratori
dipendenti ad accettare una novazione del rapporto di lavoro comportante un loro demansionamento.