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nei confronti dell’arte come qualcosa di perfettamente definito. Essa non dovrà
circoscrivere l’indagine su se stessa nei meandri della propria tradizione, ma inserirsi al
contrario nella totalità della cultura, perché, “già sensibile e reagente di suo, via via si
ridefinisce dinanzi al mito, alla religione, alla scienza, alla politica e alla tecnologia”. Se
si può a prima vista prestare diffidenza al parlare del cinema come forma di pensiero,
bisogna tuttavia riconoscere, secondo il critico, il carattere onnicomprensivo della filosofia:
questa infatti, non solo, almeno sul sorgere, non è incompatibile ad una introduzione
attraverso immagini ai suoi problemi, ma anzi il pensare ad una inconciliabilità
costituirebbe persino un pregiudizio, poiché se c’è va argomentata, dal momento che non si
tratta affatto di una cosa ovvia. Forse addirittura,
per esprimere le intuizioni avute da filosofi (…) in merito ai limiti di una razionalità
esclusivamente logica e soprattutto alla rilevazione di certi aspetti del mondo che non
sembrano percepibili senza la partecipazione dell’elemento affettivo, il cinema ci
offre un linguaggio più appropriato rispetto al linguaggio scritto
2
.
Questo avviene perché il cinema utilizza una ragione logo-patica appunto, e non solamente
“logica”, poiché la componente emotiva non schiaccia la razionalità, bensì la ridefinisce,
veicolando, oltre alla consueta esperienza estetico-sociale che concerne la visione di un
film, anche una valenza di natura cognitiva, argomentativa. Pertanto non parrà eccessivo
vedere nel linguaggio del cinema un’alternativa forma di espressione utile per immaginarci
simboli e figure di concetti quali il principio d’indeterminazione di Werner Heisenberg, che
costituisce il leit motiv e il tema unificante del percorso proposto, che ci permetterà di
spaziare più in generale nell’ambito della meccanica quantistica, intesa come quel
complesso di teorie fisiche, formulate nella prima metà del ventesimo secolo, volte a
descrivere il comportamento della materia a livello microscopico. La fisica dei quanti ci
permette oggi di interpretare fenomeni che non possono essere giustificati dalla meccanica
classica.
2
J.Cabrera, Da Aristotele a Spielberg : capire la filosofia attraverso i film, a cura di M.Di Sario, Milano,
Mondadori, 2000, pag.7
7
0.2 SCALETTA
(Riportiamo di seguito in estrema sintesi l’articolazione dell’elaborato, capitolo per capitolo
3
)
1 PARTE PRIMA. INTRODUZIONE AL PRINCIPIO D’INDETERMINAZIONE
? The man who wasn’t there (J.& E.Coen, 2001) è l’unica pellicola esaminata che cita
esplicitamente Heisenberg. L’analisi è inframmezzata da una lunga parentesi, di carattere il più
possibile scientifico ma parimenti riassuntivo e divulgativo, sulla fisica dei quanti e sulle sue
ripercussioni sul pensiero occidentale contemporaneo, ovvero i nuovi orizzonti dettati dalla crisi del
determinismo. La prima sezione, di evidente significato introduttivo, ha il portante obiettivo di
orientare la successiva analisi dei film proposti nei capitoli successivi.
Per inciso definiamo la cosiddetta meccanica quantistica quella branca della scienza fisica atta a
descrivere i comportamenti, corpuscolare e ondulatorio insieme, delle particelle elementari dotate di
massa. A livello sub-nucleare la natura non sopporta più infatti le leggi della meccanica classica:
gli oggetti “quantistici” (atomi, elettroni, quanti di luce, ecc.) si trasformano ora piuttosto in
fenomeni probabilistici. Soltanto l’atto della misurazione da parte di un soggetto sperimentatore,
fornisce un valore reale; ma finché la misura non viene eseguita, l’oggetto quantistico resta in uno
stato astratto e indefinito, “nebuloso”, sebbene sia matematicamente definito: esso descrive cioè
solamente una “potenzialità” dell’oggetto o del sistema fisico in esame, ovvero contiene
l’informazione relativa ad una “rosa” di valori possibili (rappresentati dalle diverse soluzioni delle
equazioni), ciascuno con la sua probabilità di divenire reale ed oggettivo all’atto della misura.
Pertanto più si analizza un fatto, come il delitto in questione, più questo si complica, si divide,
diventa un altro fatto, svanisce. E ciò spiega perché la giustizia manchi puntualmente di
individuare, determinare il giusto colpevole, afferrarne l’effettiva posizione di responsabilità
penale. Per quanto sommaria, imprecisa o perfino fuorviante possa risultare questa interpretazione,
rispetto alla valenza originaria di un principio, non vi è dubbio che la teoria di Heisenberg è letta
dall’avvocato come affermazione dell’impossibilità di spingere oltre un certo limite la conoscenza
della realtà "oggettiva".
2 PARTE SECONDA. BREVE FILMOLOGIA ANTI-DETERMINISTA
? Rashomon (A.Kurosawa, 1958). La pellicola nipponica rappresenta a meraviglia il concetto di
verità cangiante, tematizzando l’influenza dell’atto di osservazione sulla percezione: narra infatti di
3
?, con questo segno si intende evidenziare nella scaletta quei film sui quali è stato compiuto un vero e proprio
approfondimento. Note e citazioni bibliografiche sono omesse in queste pagine riassuntive.
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un omicidio in un bosco visto e filtrato dalla coscienza di quattro angolature separate che deflagrano
l’una contro l’altra contraddicendosi nel punto cruciale delle testimonianze.. E come la precisione
nella misurazione in un oggetto fisico di una coordinata canonica va necessariamente a discapito
della precisione nella misurazione dell'altra, così, più osiamo credere ad una testimonianza piuttosto
che un’altra, ci possiamo facilmente accorgere che stiamo spostando l’equilibrio etico tutto a favore
di un punto di vista, e a completo discapito degli altri, con la relativa alterazione dell’oggettività.
? Con L’année dernière à Marienbad (A.Resnais, 1961) ci si trova innanzi a questioni tecnico-
formali che impongono allo spettatore una nuova organizzazione della percezione del film,
anticlassicista. Occorre cioè adeguarsi ad un film in cui non esiste una linea diegetica definita, non
c’è una storia « raccontabile », ma esistono soltanto unità narrative coordinate in varie forme di
interrelazione. Resnais riflette su un tempo che passa e non può passare non è più in grado di
definire cosa è stato il passato, cosa è il presente e cosa sarà il futuro; passato, presente e futuro non
sono distinguibili. Quando l'uomo si sforza di convincere la donna a ricordare la promessa li
vediamo trasportati dentro spazi non conseguenti, e in sostanza gli improbabili raccordi spaziali
(attraverso l’omissione di segni d’interpunzione) minano la coerenza logica e figurativa.
Questa è probabilmente l’analisi più completa tra le proposte, mediante digressioni sul fenomeno
letterario del “nouveau roman” (il film è scritto a quattro mani col padre del corrente francese), e
sull’ interpretazione semiotica che ne fa il Gilles Deleuze de L’immagine-Tempo (si ragionerà sulle
proprietà quantistiche del cinema inorganico).
? In Before the rain (M.Manchevski, 1994) i tre episodi (che articolerebbero circolarmente la
diegesi) sovvertono la scansione temporale, spiazzando lo spettatore. Manchevski insinua nella
narrazione alcuni 'paradossi' temporali mascherati da 'errori' di sceneggiatura: quasi degli
slittamenti nella curvatura del tempo che impediscono alla vicenda di ripetersi esattamente identica
nel gorgo del divenire temporale. Before the rain è un film che fin dal titolo ci costringe a
collocarci in un prima, in un confronto col tempo, che diviene il primo canale semantico dell’opera.
L’analisi riflette sulla pertinenza della precedente metafora del moto perpetuo al cospetto di questa
beffa alla linearità causale.
3 PARTE TERZA. UNA PARALISI GNOSEOLOGICA
? Pi Greco (D.Aronovsky, 1997) descrive il suicidio mentale di un uomo di scienza che crede di
aver trovato in alcuni rapporti matematici la chiave per interpretare l’universo: solo che l’universo
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non si dimostra riconducibile esaustivamente a questi schemi, perché cause ed effetti compiono salti
improvvisi e imprevedibili spodestando la mathesis dal ruolo di esegeta del mondo. L’ingordigia
scientista di com-prendere (in entrambi i significati) la realtà subisce uno scacco e si deve arrestare.
Ecco dunque spiegato perché abbiamo scelto “?” per completare la presente sezione che concerne i
limiti della ragione. L’uomo non conosce se non attraverso modelli, significa quindi che nella fase
di ricerca della soluzione l’oggetto della percezione umana non è la realtà, bensì resta il modello.
Come dice Heisenberg, la fisica non è una rappresentazione della realtà, ma del nostro modo di
pensare ad essa.
? Il plot di Agnes of God (N.Jewison, 1985) divarica la soluzione della diegesi in due opzioni,
l’una in relazione all’altra, distinte e contraddittorie, entrambe destinate a rimanere sospese nella
placenta del “ragionevole dubbio”, non è cioè verificabile scientificamente la falsità della metafisica
ipotesi in base alla quale la donna sostiene di aver provato un incontro di natura sessuale con una
sorta di messo divino, mettendo in gioco una qualche forma di nuova “immacolata concezione”. La
presunzione di un miracolo, certo, ma l’assurdità di una cosa non è ragione contro la sua esistenza,
ne è piuttosto una condizione. Riguardo il carattere di imperscrutabilità dei fatti si propone un
parallelo col concetto di fede che emerge dall’Antico Testamento, un vero e proprio “salto nel
buio”, ce lo descrive Kierkegaard: Abramo infatti “crede” tantopiù ritiene assurda la richiesta
divina, poiché la fede è abbandonarsi a un disegno più grande, che l’hard disk del nostro cervello
non può contenere.
4 PARTE QUARTA. LA NARRAZIONE AL CONDIZIONALE
Negli anni ’50 una coraggiosa osservazione del fisico Hugh Everett III sosteneva che l’universo
andava pensato in costante ed eterna divisione, e che ogni possibile risultato di una misurazione
sperimentale dunque accade in un diverso universo parallelo. La “Many Worlds Interpretation”
supponeva che l’universo si divide in dimensioni plurime durante ogni evento a livello quantistico,
come il decadimento di un atomo radioattivo. Proposta come soluzione possibile al paradosso di
Schrodinger, questa interpretazione della meccanica quantistica affermerebbe che quando si
considera una funzione d’onda, assumono esistenza anche tutte le misure che non sono state
trovate, generando ognuna un altro vero e proprio mondo, un’infinità di universi possibili non
comunicanti tra loro.
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? Destino cieco (K.Kieslowski, 1982) è la storia delle differenti strade che lo stesso individuo può
intraprendere a partire da un preciso attimo, in sostanza tre diverse versioni della vita di un giovane
ragazzo polacco, a partire dall’incidente con un barbone. Possiamo parlare di antinomico “trionfo
deterministico” del caso, secondo il quale ogni cosa ha la stessa possibilità di accadere e tuttavia
non siamo noi a sceglierla ma si verifica esattamente il contrario.
? In La double vie de Veronique (K.Kieslowski, 1991) Kieslowski ci offre una variazione ulteriore
sul tema quantistico: la visione della stessa persona che si trova a vivere due vite differenti.
Differenze anche minime, come già si è detto, ma che bastano a far imboccare al proprio destino
strade anche diametralmente opposte. Rispetto a Il Caso – Destino cieco l’ingrediente ulteriore è la
“consapevolezza” della scissione. Il cortocircuito derivante dall’asincronismo dei due “raggi”,
ovvero dei due stati in cui collassa la funzione d’onda, ci permette di considerare l’eventualità che i
mondi prodotti non siano incomunicabili tra loro. Weronika e Veronique vengono a contatto a
Cracovia durante la sommossa e da quel momento s’intensifica una compenetrazione tra le due
unità che deriva loro fin dall’infanzia.
Insomma non è difficile sovrapporre la deduzione del “Gatto” di Schrödinger alle due esistenze
parallele interpretate dalla stessa splendida Irène Jacob: l’esperimento del fisico dimostrava in
effetti che se due oggetti, uniti, venissero successivamente portati a grande distanza tra loro senza
possibilità di interagire con l'esterno, una trasformazione prodotta su uno di questi oggetti (come
all’atto di una misurazione o di una scansione) si riprodurrebbe contemporaneamente sull'altro,
quale che sia la sua distanza.
? Strade Perdute (D.Lynch, 1996). Leggendo il film ancora con Everett, notiamo immediatamente
la permeabilità che sussiste tra le due dimensioni proposte e intrecciate dal film. Il nodo non si può
sciogliere, sembra che nessuna delle due dimensioni possa avere uno sviluppo autonomo rispetto
all’altr, non è attuabile una scansione lineare dei fatti poiché la struttura è chiaramente ciclica. In
altre parole riscontriamo una radicalizzazione di ciò che era già avvenuto per la doppia vita di
Veronica.
? Inland Empire (D.Lynch, 2006), il film piuttosto “funzioni” come sperimentazione visiva. Non
siamo così all’esperienza stessa del poetico (dal greco, creare), ovvero la realtà “in potenza”?
Grande trasposizione della nascita dell’Idea e del momento del parto narrativo, come un Nouveau
Roman si sbarazza del concetto di intreccio perchè sovrappone i piani onirici e quelli della realtà e
confonde definitivamente i nessi delle relazioni tra cause ed effetti. Il risultato è una narrazione che
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prende a delinearsi come esplorazione aperta col conseguente rifiuto di mettere in scena un intrigo,
perché ciò che conta è il lavoro della scrittura. Non si da più trama, e come per il Resnais di
Marienbad, l’autore, non più sovrano del testo, scende al ruolo di collaborazione col lettore, gli
propone una situazione e esige da questi uno sforzo di partecipazione.
L’impero della mente non racconta allora una storia ma uno spazio narrativo in grado di partorire
una rosa di probabilità che ricorda da vicino il ventaglio di possibilità quantistico, concernente solo
una “potenzialità” dell’oggetto. La valenza polisemica di questo genere di narrazione fu per la
prima volta analizzata in maniera sistematica dal già citato Gilles Deleuze, e a tal proposito
ripercorreremo la sua interpretazione della moderna temporalità del cinema anticlassicista
ontologicamente votato alla 'descrizione' piuttosto che alla 'narrazione'. Contrapposto al montaggio
“organico” del cinema classico infatti, questo processo di selezione ed accostamento delle immagini
non mira a costituire una totalità, le parti non convengono nell’unità superiore di un’Opera,
lasciandosi invece vivere come molteplicità irriducibile, ovvero come una serie di elementi non
suturati.
? Dust (M.Manchevski, 2001) porta a compimento la linea di esplorazione di questo capitolo
inerente la scrittura in potenza, la narrazione al condizionale, materializzando il nuovo compito
demiurgico affidato allo spettatore dalle poetiche contemporanee. Raccontando di una vecchia che
muore prima di finire di narrare una storia a un banditello, Manchevski mette letteralmente in scena
uno spettatore che (col libero arbitrio della fisica subatomica) rielabora ed interpreta una storia che
conclude egli stesso a suo piacimento. Il film si configura da testo aperto e, come le sinfonie seriali
postdodecafoniche, viene portato a termine dall’interprete nello stesso momento in cui questo ne
fruisce esteticamente.
5 PARTE QUINTA. SCHIZOFRENIA DELLA SCRITTURA
? The Sixth Sense (N.Shyamalan, 1999) apre il capitolo dedicato a quel filtro della coscienza che
retroagisce ad ogni atto di osservazione. Il soggetto che compie un’analisi si comporta di fatto
come un neonato che, attaccato al seno materno e senza una propria identità, volesse studiare il
corpo della madre che egli però non percepisce staccato dal proprio. La conquista di Heisenberg
palesava la labilità della spartizione netta tra soggetto e oggetto, e la loro inevitabile
sovrapposizione. Nei fatti nella dinamica del film con la posizione “quantistica” del dottor Crowe
non siamo lontani da quel “paradosso di un osservatore che al contempo è dentro a ciò che
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osserva”. Non è precisamente ciò che accade a Malcolm-Willis? Colui che credeva di esercitare la
sua professione su un caso di schizofrenia si trova in realtà a scoprire la propria identità scissa tra
un cadavere (perché è già morto) e il suo spirito che si trova a latitare.
? Spider (D.Cronenberg, 2002) basa la propria struttura su un principio di assoluta manipolazione
del dato reale esterno. L’espediente del falso flash-back si piega alla dimensione soggettiva del
racconto, tematizzata nella presenza del protagonista che ritorna come vero e proprio sintomo sulla
scena del passato di cui egli è referente. Dennis Clegg presente nei suoi flash-back incarna cioè il
risultato di un processo di rimozione, ovvero, segno e sostituzione di un soddisfacimento pulsionale
che è mancato.
Ripensando poi all’esperimento di Schrodinger (il “gatto vivo” e il “gatto morto”), il protagonista
si “reinventa” una madre bifronte, per la quale una funzione d’onda sarebbe in grado di contenere in
un rapporto di coesistenza la reale genitrice e la fittizia matrigna interpretate dalla medesima
Miranda Richardson. Il “collasso” finale, cioè il momento della definitiva inclinazione a favore di
una delle due possibilità, è dato dall’attimo di agnizione che investe Dennis nel tentato omicidio
della direttrice del manicomio in cui rivede il fantasma della matrigna. Mentre viene arrestato
finalmente comprende la propria responsabilità nell’omicidio della madre, scoprendosi nella
posizione di carnefice: radicalizzazione di quell’assunto riguardante personaggi che compiendo
un’indagine finiscono per scoprire nient’altro che loro stessi al centro del problema studiato.
? In Memento (C.Nolan, 2000) ciò che ci interessa per il nostro discorso sui quanti riguarda quel
parallelismo tra la malattia psichica del personaggio di Pearce e la malattia di montaggio atipico che
rincorre il piglio sincopato e alogico della fabula. Shelby, vittima e punitore di sé stesso, martire e
assassino, inquirente e inquisito, accumula prove che gli consentono di sostituire alla realtà dei fatti
vissuti la loro immaginazione, e in questo modo riesce a giustificare i suoi delitti. La somma degli
indizi conduce lo spettatore a scoprire, aldilà della verità dell’intreccio e della patologia del
protagonista, la falsità del suo metodo d’indagine. E forse di ogni metodo. Questo problema
gnoseologico è il filo che lega Memento alla teoria della conoscenza della fisica quantistica.
Il fenomeno dell’indeterminazione descriverebbe appunto l’errore di correre il rischio di vedere ciò
che si vuole vedere. Non si saprà pertanto se Shelby ha trovato il colpevole, quante volte l’ha
trovato e se lo ha ucciso, ma sarà piuttosto evidente come tuttavia egli non cerchi il reale colpevole,
ma il “suo” colpevole, che si adatti ogni volta alle sue esigenze vitali: la necessità di soddisfare i
bisogni legati alla sfera dell’affettività altera la percezione delle cose.
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6 PARTE SESTA. CONCLUSIONI
L’ultima sezione riguarda gli orizzonti della scienza computazionale, ovvero i tentativi di far fronte
ai problemi che poneva l’interpretazione classica della meccanica quantistica: si affronterà la nuova
frontiera della virtualizzazione nel contesto della sperimentazione simulata e dei metaversi, sempre
con uno sguardo alla capacità del cinema di parlarci a riguardo di questa materia.
Queste sono le tappe di questo viaggio che servono a rappresentare vari aspetti
complementari della meccanica quantistica e delle sue applicazioni. Le varie analisi dei film
(possibili letture fra molte) seguono la strategia di isolare quei punti riconducibili al problema
filosofico, che siano caratteristiche su un livello. La linea metodologica precedentemente riportata
da Julio Cabrera ricalca appieno il nostro modo di procedere; l’invito dunque è quello di non
considerare le esposizioni che seguiranno come definitive e indiscutibili, ma al contrario come una
sorta di avviamento a un dialogo, aperto. Anche la forma del nostro testo aspirerebbe a riflettere il
carattere work in progress del tema in discussione.
Chiudendo il presente avvertimento sull’arbitrarietà e la forzatura del percorso suggerito e
sull’eventuale carenza di rigore riguardo ad assunti strappati a fisica e mondo umanistico, possiamo
ancora sottolineare il prospettivismo dell’intento, che significa accedere dal punto di vista
dell’indeterminismo a questi mondi eterogenei, dalla fisica alla celluloide, nella convinzione che
questa avviante (ed emotivamente “impattante”) esperienza che è il cinema dica qualcosa sul
mondo, sebbene dica qualcosa che appartiene più all’ordine della “Possibilità” piuttosto che a
quello della “Necessità”. Tuttavia quest’aspetto è fondamentale, perché se non conserviamo questo
valore difficilmente potremmo parlare, secondo un senso profondo e non solo figurato, di Filosofia
nel Cinema, o attraverso il Cinema
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J.Cabrera, Da Aristotele a Spielberg : capire la filosofia attraverso i film, a cura di M.Di Sario, Milano,
Mondadori, 2000, pag.11