2
INTRODUZIONE
L’organizzazione dell’attività d’impresa è oggi soggetta a fortissime sollecitazioni. L’effetto più
evidente è la terziarizzazione delle funzioni aziendali e il conseguente impatto sugli individui.
La globalizzazione è lo scenario in cui queste tendenze si sono affermate in modo impetuoso e
ne rappresenta sicuramente uno dei presupposti di base in quanto la novità nella globalizzazione
moderna risiede nelle modalità operative che hanno facilitato ed accelerato le interrelazioni:
ξ La finanziarizzazione dell’economia
ξ La convergenza e la sinergia fra i sistemi di comunicazione e quelli di elaborazione
elettronica: la telematica
Si è così ridefinito il ruolo delle imprese, il cui fine è divenuto per lo più la creazione esasperata
di valore per i propri azionisti, fino ad arrivare all’affermazione del modello anglosassone: lo
Shareholder Model.
L’impresa è dunque un insieme ordinato di uomini e capitali per la creazione di avlore, ovvero
produzione di beni/servizi che abbiano un valore superiore a quello utilizzato per realizzarli. E’
questo il concetto chiave di valore totale cioè si crea valore solo producendo qualcosa che per il
cliente vale più di ciò che è stato consumato per realizzarlo. Di conseguenza il ruolo dell’azienda
non consiste solo nel creare valore ma anche nel definirne la distribuzione. In questa visione è
possibile classificare almeno cinque portatori di interesse nell’ambito di un’attività
dell’impresa: i clienti, il capitale, il lavoro (dipendenti), i fornitori, l’ambiente (Stato). E’ chiaro
che i benefici derivanti dalla creazione di valore devono essere compartecipati da tutti gli
operatori.
Una volta prodotto valore, l’azienda deve decidere come distribuirlo: quanto al capitale, tasse,
quanto al cliente e al fornitore (politiche dei prezzi), quanto ai dipendenti (politiche salariali).
Emerge in varie componenti il problema della cosiddetta corporate governance, occorre
chiedersi chi ha il diritto di fare scelte di allocazione del valore generato tra i diversi
stakeholder, ed in particolare tra il capitale e il lavoro. Ma chi crea il valore nell’azienda? Il
capitale oppure il lavoro?
Sicuramente il valore non può essere prodotto solo dal capitale, ma è il know-how, l’uomo,
l’intelligenza, a produrre capacità imprenditoriale ai fini del successo dell’impresa; in
particolare due caratteristiche particolarmente di rilievo si rendono indispensabili:
ξ La professionalità: capacità e competenza
ξ L’eticità: imprenditorialità e senso d’appartenenza
Al centro di un tema fondamentale di organizzazione del lavoro come quello
dell’esternalizzazione, sono proprio queste caratteristiche dell’uomo che assurge al ruolo di
interprete principale dei mutamenti in corso nelle relazioni fra aziende.
L’obiettivo primario di questa analisi è quello di focalizzare e rendere evidente il valore che la
specializzazione può fornire per il potenziamento delle capacità dell’uomo nell’impresa.
L’outsourcing in questo senso non appare come modalità per ridurre orza lavoro nelle imprese
quanto piuttosto un nuovo principale strumento per far nascere nuclei di imprenditorialità
innovativi e fortemente professionalizzati, creando al contempo dei poli di eccellenza che
sarebbe difficile gestire e valorizzare all’interno di grandi strutture industriali autarchiche.
Naturalmente il processo di esternalizzazione va gestito con cautela perché affronta anche
aspetti soft: ad esempio rende necessario da parte delle aziende che si impegnano nel processo,
di investire nella fase di transazione quando al lavoratore viene chiesto di impegnarsi realmente
in una nuova sfida professionale. Ma se risultano chiare ed evidenti le leve per la crescita della
professionalità delle persone nell’ambito di operazioni di terziarizzazione che valorizzano
capacità e competenze delle persone, elevandole a cuore del business dell’impresa, risulta più
difficile salvaguardare l’aspetto del senso di appartenenza, comunque centrale. Se non si crea e
si mantiene quel patto di interesse condiviso, l’azienda non può perpetuarsi nel tempo. Per far
sì che il lavoratore sviluppi la propria imprenditorialità dando un concreto contributo alla
creazione di valore aziendale, deve sentirsi parte dell’azienda stessa.
In particolare, nel concetto di impresa a rete, l’outsourcing della funzione del personale getta
nuova luce sul tema dell’appartenenza in azienda. Esternalizzare la funzione del personale
3
rischia di togliere dal controllo dell’impresa la funzione chiave per motivare e dare il senso
d’appartenenza alla sua componente umana.
In realtà, come si può evincere, l’outsourcing di questa funzione ne può migliorare in modo
significativo la professionalità, facendola divenire core business di una imprenditorialità
autonoma. Resta in ogni caso il problema di conservare e sviluppare all’interno di ogni impresa
la capacità di motivare le proprie risorse, farne crescere le competenze e renderle partecipi del
successo dell’impresa stessa.
2
In questo contesto si inserisce l’esperienza di stage in AHRS che ho vissuto, che attraverso
alcune importanti fasi rappresenta una testimonianza reale dell’evoluzione
dell’esternalizzazione. Accenture Human Resources Services (AHRS) è la linea di business di
Accenture dedicata ai servizi al personale. Questo caso pratico è un esempio significativo di
come attraverso l’outsourcing si possa far leva sulle competenze e volontà delle persone
coinvolte per sviluppare società di servizi di successo, capaci di operare in autonomia,
focalizzate alla qualità e all’innovazione.
2
L.Fumagalli-P.Di Ciocco, “L’outsourcing e i nuovi scenari della terziarizzazione” Franco Angeli, Milano 2002
4
CAPITOLO I “Il network dell’outsourcing nei servizi in Italia e in Europa”
La dimensione strategica di outsourcing: definizione,storia,tipologie.
La realtà delle imprese in Italia è percorsa da crescenti spinte innovative. La contrazione dei
consumi in generale, l’incertezza che domina nei mercati finanziari non sembrano rallentare la
volontà di crescere e spingono semmai le aziende a ricercare assetti organizzativi più moderni,
efficienti ed efficaci, idonei a sostenere lo sviluppo.
Il management ripensa dunque schemi che sembrano cristallizzati nel tempo, rimette in
discussione paradigmi organizzativi che permeavano di immobilismo le strutture aziendali.
In questo concetto l’outsourcing si afferma come uno degli strumenti per la gestione di interi
processi aziendali oltre che come strumento per accelerare importanti processi di cambiamento.
Dopo oltre un decennio, nel corso del quale l’outsourcing si è andato affermando e
modellizzando, si assiste ora ad una significativa intensificazione di questa nuova modalità
organizzativa e di relazione tra le aziende.
Progressivamente i confini dell’impresa che sembravano scolpiti in modo inequivocabile sono
diventati via via più labili e ormai tutte le funzioni aziendali diventano oggetto di una
valutazione make or buy che confronta l’utilità di coltivare al proprio interno funzioni e processi
organizzativi con i vantaggi conseguiti attraverso l’affidamento ad un soggetto esterno, ad un
service provider che, esperto nella materia, si affianca in partnership all’impresa per erogare un
servizio di lungo periodo secondo predefiniti livelli di costo e qualità.
Il fenomeno dell’outsourcing (l’affidamento ad una organizzazione esterna di un’attività
aziendale o parte di essa) ha in realtà ormai assunto una valenza macroeconomica: appare
riduttiva la prospettiva dal punto di vista della singola impresa che sceglie se cedere o meno
all’esterno certi processi. E’più realistica invece la visione dall’alto di grandi famiglie
professionali in movimento, di una spinta alla riaggregazione dei mestieri che nasce dalla
necessità di specializzare le professioni, progressivamente svuotate di contenuto, trascurate da
investimenti destinati a parti dell’impresa ritenute più strategiche.
Le funzioni che sempre più spesso sono affidate all’esterno: l’amministrazione,
l’amministrazione e lo sviluppo del personale, la logistica, la gestione dei sistemi informativi.
Restano invece nel settore degli outsourcer i soggetti capaci di generare un cambiamento
profondo nelle funzioni prima interne all’impresa, in grado di rigenerare le competenze delle
aree esternalizzate assicurando la valorizzazione del capitale umano interessato e produrre un
reale beneficio al cliente finale affinchè riceva un servizio di qualità a costi tendenzialmente
declinati nel tempo.
In Italia in particolare i processi di decentramento produttivo sono diventati molto importanti
tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta in relazione al tentativo della grande
impresa di risolvere i rilevanti problemi legati alla caduta delle barriere doganali, al crescere dei
tassi di inflazione, etc. Una nuova ondata di decentramento è invece in atto negli ultimi anni in
relazione al mutamento nelle caratteristiche del mercato e della concorrenza e alle forme
peculiari che ha assunto il nostro modello di sviluppo.
Alcuni studiosi distinguono tra “outsourcing strategico” e “outsourcing tradizionale”. Le
differenze tra queste due forme sono numerose, ma spiccano:
ξ Nell’outsourcing strategico ai fornitori non verrebbero chieste solo semplici attività ma
anche insiemi di attività concatenati in interi processi aziendali
ξ Nell’outsourcing strategico, il rapporto col fornitore sarebbe di lungo periodo,
verificandosi inoltre una condivisione degli obiettivi ed un atteggiamento cooperativo, di
frequente con una relazione estesa di partnership, anche con un’eventuale
partecipazione ai risultati economici dell’attività condivisa, mentre in quello tradizionale
si tratterebbe di una relazione strettamente di “mercato”.
ξ Il fornitore non sarebbe più completamente subordinato al cliente e le sue dimensioni
non sarebbero necessariamente piccole o comunque meno importanti di quelle del
cliente; nel rapporto cliente-fornitore la competizione sul prezzo avrebbe ceduto del
terreno a favore di altre variabili
5
ξ L’outsourcing strategico investirebbe poi attività non solo periferiche,come quello
tradizionale,ma anche cruciali per l’impresa e sarebbe inoltre molto importante un alto
livello di qualità
Articolando di più l’analisi si possono individuare non solo due, ma quattro forme di outsourcing.
La distinzione è basata su due variabili:la vicinanza al core business dell’attività esternalizzata e
il livello della sua complessità. Così si avrà outsourcing strategico quando l’attività
esternalizzata sia molto vicina al core business e si presenti come molto complessa; outsourcing
tradizionale nel caso in cui l’attività si trovi molto distante dal core business e non appaia
complessa. Nel caso in cui l’attività si collochi in maniera molto prossima al core ma non sia
molto complessa si avrà il cosiddetto outsourcing tattico e nel caso, infine, di rilevante
complessità ma di rilevanza dal core, si parlerà di outsourcing di soluzioni.
Rispetto a queste classificazioni basate su due o quattro tipologie, si potrebbe affermare che
l’espressione outsourcing ricopra oggi molti tipi di contratti, aventi tutti in comune il fatto che
alcune attività aziendali vengono decentrate all’esterno; ma differiscono l’uno dall’altro per
l’intensità e la durata del rapporto azienda (outsourcee), fornitore (provider),per la qualità
dello sforzo richiesto, per la strategicità delle attività decentrate, per la loro complessità.
Se da un lato appare evidente la mancanza di una soluzione di continuità reale su di una linea
che colleghi idealmente l’outsourcing strategico a quello tradizionale e inserisca all’interno le
varie forme in concreto praticate dalle imprese, dall’altro lato si può affermare che nell’ultimo
periodo le forme richiamate sotto l’espressione di “outsourcing strategico” tendono ad essere
sempre più importanti rispetto a quelle cosiddette più tradizionali.
Ad ogni modo, diversi studiosi distinguono anche tra vari tipi di outsourcing tradizionale e
strategico, in particolare per quanto riguarda la prima tipologia vengono individuate quattro
sottospecie diverse:
ξ Fornitura standard
ξ Subfornitura tradizionale
ξ Conto lavorazione
ξ OEM (original equipment manufacturing)
Nella fornitura standard il cliente acquisisce sul mercato pezzi standard a catalogo; nella
subfornitura tradizionale egli acquista invece all’esterno pezzi su precise specifiche , per
l’inserimento nel proprio processo produttivo; nel conto lavorazione il fornitore trasforma del
materiale fornito dal cliente mentre nell’OEM si compra da un fornitore un prodotto completo,
pronto per la commercializzazione, con il proprio marchio già applicato. Nei vari rapporti
appena delineati saranno ovviamente diversi la motivazione dell’impresa, la durata ed intensità
del rapporto, il rapporto tecnologico tra i due soggetti.
Anche per quanto riguarda l’outsourcing strategico le distinzioni possono essere molteplici:
- In base alla struttura del fornitore, si distinguono in Outsourcing Puro nel quale un
servizio viene fornito da un fornitore già operante sul mercato; Spin-off quando il servizio
viene erogato da un fornitore nato da una costola dell’azienda cliente; Joint-venture nel
caso in cui l’azienda è creata congiuntamente dal cliente e da un fornitore che opera già
in outsourcing
- In base al grado di complessità sistemica del rapporto, si distingue un outsourcing globale
nel quale si esterna lizza un’intera attività aziendale attribuendo al al fornitore la piena
responsabilità dei risultati, da un outsourcing selettivo che riguarda invece solo alcune
parti di un’attività, mentre le altre rimangono all’interno
- Per quanto riguarda i settori interessati, oggi si assiste ad un ingresso del fenomeno in
tutte le funzioni e i processi aziendali; ad ogni modo si tende ad individuare un’area di
attività di produzione ed un’altra di attività di servizio, con quest’ultima che diventa più
importante nell’ultimo periodo. In questa seconda categoria si possono poi ricordare le
attività relative ai sistemi informativi e alle reti informatiche, di telecomunicazioni, la
logistica, l’attività amministrativa e finanziaria, il marketing e i servizi post-vendita, la
ricerca e sviluppo, l’area del personale, i servizi generali, compreso il cosiddetto facilicy
management e così via.
Ci sarebbero da chiedersi a questo punto quali attività non andrebbero decentrate ma la più
tradizionale risposta fa riferimento alle core competencies dell’azienda.