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Sulla base della comparazione svolta tra i rendimenti del TFR e dei fondi pensione, la
scelta fra trattenere il TFR in azienda piuttosto che conferirlo ai fondi pensione appare
complessa in quanto, anche se i fondi restituiscono un rendimento superiore nel lungo
periodo, il TFR rappresenta uno strumento di maggior sicurezza per il lavoratore e
quindi uno strumento che al contrario dei fondi non risente della volatilità del mercato.
Ovviamente è necessario tener conto in tale scelta anche delle caratteristiche del
lavoratore che potrebbe essere avverso o propenso a investire in uno strumento
rischioso.
L’elaborato si conclude con il capitolo dedicato allo studio degli strumenti utilizzati per
la misurazione del rendimento e del rischio utili per valutare i diversi fondi ai quali il
lavoratore potrebbe aderire se decidesse di investire nei fondi. A tale scopo è stato
condotto un esercizio, attraverso la teoria dei portafogli efficienti, su quattro fondi
pensione al fine di stabilire quali tra questi fondi risulti essere quello più efficiente,
tenendo conto dei relativi rendimenti e rischi. Per determinare l’efficienza o meno di un
fondo è stato costruito un portafoglio efficiente che ha permesso di individuare una
frontiera efficiente, la quale rappresenta la curva sulla quale si trovano i fondi efficienti;
viceversa quelli non appartenenti a tale frontiera sono risultati inefficienti rispetto al
portafoglio costruito.
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CAPITOLO 1
IL TFR E I FONDI PENSIONE
Al fine di meglio comprendere il confronto dei rendimenti tra il TFR e i fondi pensione
è opportuno descrivere in termini generali il funzionamento del trattamento di fine
rapporto e dei fondi pensione.
1.1 IL TFR
TFR significa “Trattamento di fine rapporto” ed è una risorsa peculiare del sistema
italiano. E’ l’istituto che ha preso il posto dell’indennità di anzianità, a seguito
dell’approvazione della legge n. 27 del 29/05/1982.
Per il lavoratore ha una natura ambivalente: da un lato è un risparmio forzoso
indicizzato al costo della via, dall’altro è una retribuzione differita.
Il TFR è la somma che spetta al lavoratore dipendente al termine del lavoro in azienda.
Conosciuta, specie in passato, più popolarmente come “liquidazione”, è una prestazione
al cui pagamento è tenuto è tenuto il datore di lavoro nel momento i cui cessa il rapporto
stesso.
Sull’argomento è intervenuta recentemente la Corte di Cassazione, precisando che tale
erogazione è dovuta dal momento della cessazione del rapporto indipendentemente dal
fatto che siano conosciuti tutti i dati necessari per il calcolo. Pertanto anche la
maturazione degli interessi e la rivalutazione monetaria, in caso di ritardato pagamento,
maturano dal giorno in cui il credito potrà essere liquidato nel suo ammontare.
La sua disciplina è prevista nell’articolo 2120 del Codice Civile.
Il “Trattamento di fine rapporto”, regolato per i dipendenti privati nella forma attuale
agli inizi degli anni ottanta, è un accantonamento annuale nel passivo patrimoniale delle
aziende di una quota del salario (6,91%; un ulteriore 0.5% viene destinato al Fondo
pensioni lavoratori dipendenti e uno 0,2% ad un fondo di garanzia, entrambi tenuti
presso l’INPS) sul quale il lavoratore matura ogni anno un rendimento nominale.
Per i dipendenti pubblici l TFR secondo le regole del comparto privato è stato
introdotto, n sostituzione dell’indennità di fine servizio, nel 1995 in attuazione della
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legge, varata due anni prima, che sostituiva in modo organico i fondi pensione in Italia
(D.Lgs. 124/93); tuttavia, solo nel dicembre del 1999 (dopo due leggi finanziarie che
erano intervenute su questa materia) sono state dettate le regole specifiche per
l’eventuale opzione a favore del TFR da parte dei dipendenti pubblici.
In particolare, i lavoratori del pubblico impiego assunti dal 2001 hanno il TFR; tutti gli
altri mantengono il sistema precedente e devono optare per il TFR (rinunciando alle
varie forme di indennità di buonuscita altrimenti previste) unicamente qualora decidano
di aderire ad un fondo i categoria per il personale pubblico.
Il TFR gioca un ruolo fondamentale per il rilancio della previdenza integrativa, nella
nuova riforma previdenziale (legge n. 243 del 2004)
1.1.1 Il calcolo del TFR
A differenza di quanto era previsto per l’indennità di anzianità, le modalità di calcolo
del trattamento di fine rapporto sono basate non sulla moltiplicazione dell’ultima
retribuzione per gli anni di servizio trascorsi alle dipendenze del medesimo datore di
lavoro, bensì sulla somma di quote retributive, accantonate anno per anno secondo i
criteri indicati dalla legge.
Il Trattamento di fine rapporto si calcola sommando per ciascun anno di lavoro una
quota pari all’importo della retribuzione annua divisa per 13.5 (la retribuzione utile per
il calcolo del TFR comprende tutte le voci retributiva corrisposte in dipendenza del
rapporto di lavoro, salvo diversa previsione dei contratti collettivi).
Tenendo conto che di questa quota una parte, lo 0.5% va all’Inps come contributo per le
prestazioni pensionistiche, la quota accantonata annualmente in termini percentuali è
pari al 6,91% della retribuzione utile.
Gli importi accantonati sono indicizzati, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione
di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei
prezzi al consumo (inflazione).
Il recente decreto legislativo sulla tassazione dei fondi pensione, ha modificato
l’imposizione fiscale sul TFR e, di fatto, anche il valore degli accantonamenti annuali. Il
provvedimento infatti introduce, a partire dal primo gennaio 2001, una tassazione
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dell’11% sulla rivalutazione annua delle somme accantonate, riducendo così il valore
della rivalutazione netta e quindi della rivalutazione finale.
Dal 2005 il valore del TFR maturato non è più presente come voce nel modello Cud. Il
lavoratore può comunque richiederlo in ogni momento al proprio datore di lavoro
oppure consultare l’ultima busta paga dell’anno e in sede di conguaglio fiscale.
1.1.2 L’anticipazione
Il lavoratore durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, ha il diritto di chiedere
un’anticipazione non superiore al 0%del TFR maturato alla data della richiesta (art.
2120, comma 6, Codice Civile), purché sussistano le seguenti condizioni ( i CCNL
possono prevedere condizioni di miglior favore e stabilire i criteri di priorità per
l’accoglimento della richiesta):
ξ che il lavoratore abbia un’anzianità di servizio presso lo stesso datore di
lavoro;
ξ che le richieste rientrino entro i limiti annui del 10% degli aventi diritto e
comunque del 4% del numero totale dei dipendenti;
ξ che sia giustificato dalla necessità di spese sanitarie e per l’acquisto della
prima casa di abitazione.
L’anticipazione può essere richiesta soltanto una volta nel coso dello stesso rapporto di
lavoro ed è detratta, a tutti gli effetti, dal TFR.
L’obbligo di anticipazione è sospeso per le aziende dichiarate in crisi (legge 675/77) per
tutto il periodo fissato dal decreto ministeriale. Sono finanziabili le spese sanitarie per
terapie ed interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche (art.
2120, comma 8, Codice Civile).
L’anticipazione del TFR spetta nel caso di acquisto della prima casa di abitazione per:
ξ il lavoratore;
ξ i figli del lavoratore, anche se il dipendente sia già titolare di una casa di
abitazione.
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Non sono finanziabili con l’anticipazione le spese di ristrutturazione della casa di
abitazione.
Calcolo dell’anticipazione
+ -
=
1.1.3 Il pagamento del TFR
Il TFR deve essere pagato all’atto della cessazione del rapporto di lavoro o entro il
termine stabilito da ciascun contratto collettivo. Il ritardo rispetto a quest’ultimo termine
può essere sanzionato con l’aggravio di interessi e rivalutazione monetaria.
L’importo dovuto a titolo di TFR si prescrive nel termine di 5 anni e decorre dalla data
di cessazione del rapporto.
In caso di trasferimento d’azienda e di prosecuzione del rapporto di lavoro, unico
debitore del TFR (Legge 297/82) deve considerarsi, il titolare dell’impresa al momento
della risoluzione del rapporto di lavoro.
Presso l’INPS è istituito un Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto allo
scopo di garantire al lavoratore (apprendisti compresi) o ai suoi eredi il pagamento del
TFR in caso di insolvenza del datore di lavoro.
Se l’azienda dovesse fallire e il TFR rimane depositato presso la stessa, esiste un
processo di fallimento durante il quale un curatore fallimentare aliena tutto il vendibile
per pagare i debiti dell’azienda (quelli che riesce a coprire). Il primo debito che si andrà
a coprire è proprio il TFR; quindi la possibilità di perdere il trattamento di fine rapporto
non esiste.
TFR maturato al 31/12
dell’anno precedente
più rivalutazione
annua
TFR (anno in corso)
maturato fino alla data
di richiesta per i mesi
precedenti la stessa
Trattenuta 0.50% su
retribuzione imponibile
contributiva anno in
corso
TFR su cui calcolare il 70% delle anticipazioni
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Qualora, invece, il TFR venda lasciato all’Inps, questo diventa di proprietà dello Stato,
ma è come se rimanesse in azienda.
1.2 I FONDI PENSIONE
I fondi pensione nascono in Inghilterra negli anni venti e si diffondono lentamente nel
resto dei paesi nel corso del novecento.
In Italia il dibattito su questa tipologia di strumenti, seppur oggetto di attenzione da
parte di numerosi studi anglosassoni, era limitato dall’assenza di una normativa
specifica che ne prospettasse l’utilizzo.
Istituiti dal decreto legislativo n. 124/93 poi modificato dalla legge n. 335/95, i fondi
pensione possono essere considerati una logica conseguenza della riforma pensionistica
avviata dal governo Amato nel 1992 e portata a termine dal governo Dini nel 1995, il
quale ha introdotto in sostituzione del metodo retributivo, quello contributivo per il
calcolo delle prestazioni pensionistiche.
Si determina così, la mutazione definitiva del nostro sistema previdenziale da sistema
unitario ed esclusivo in forma obbligatoria e a gestione pubblica, in sistema misto con
accanto alla previdenza obbligatoria pubblica la previdenza integrativa a gestione
privata e volontaria.
Si avvicina il sistema previdenziale italiano al modello europeo a più pilastri, i quali
costituiscono distinte fonti del reddito pensionistico:
ξ la pensione pubblica (1° pilastro), frutto dell’Assicurazione generale
obbligatoria per invalidità, vecchia e superstiti, erogata in generale dallo
Stato;
ξ la pensione complementare (2° pilastro), ricavata dalla gestione ei fondi
pensione, in regime i capitalizzazione effettiva., con investimento
dell’insieme dei contributi in attività del mercato finanziario;
ξ La pensione integrativa individuale (3° pilastro), frutto del risparmio
aggiuntivo individuale, che si realizza acquistando prodotti finanziari-
assicurativi, polizze vita, quote fondi comuni, ecc…