4
scolastici. Una corretta ristrutturazione del nostro modo di discutere
agevolerebbe indubbiamente il nostro approccio con gli altri in uno qualunque
dei contesti citati. Più nello specifico, la relazione che implica il confronto
positivo è assolutamente indispensabile nel mondo scolastico ed è l’elemento
essenziale che consente di vivere serenamente il proprio essere docenti, come il
proprio essere allievi, come anche l’essere genitori o il ricoprire altri ruoli nel
contesto scuola. La scelta di un approccio non belligerante nel rapportarsi
all’altro rende l’atmosfera in classe armoniosa, accogliente e motivante ed è un
chiaro segnale di accettazione, comprensione, ascolto ed esempio che gli allievi
percepiscono in modo empatico. Se si considera, inoltre, che i bambini, come
anche i ragazzi, sono immersi quotidianamente in una “lotta mediatica”, nella
quale gli stimoli e le informazioni giungono da più fonti e strumenti, in modo a
volte caotico e “urlato” (chi non ha assistito a un diverbio in tv?),
comprendiamo come risulti addirittura necessario fornire loro un’alternativa
valida agli scambi relazionali conflittuali e guidarli nella consapevolezza che si
può discutere rispettandosi reciprocamente e arricchendosi attraverso il dialogo.
Inoltre, <<far discutere pari tra di loro non serve solo a far affinare percorsi
di ragionamento rispetto agli argomenti discussi ma anche a far padroneggiare
abilità o competenze in cui è necessario saper esprimere efficacemente la
propria opinione o un certo punto di vista […]>>.
2
2
Ligorio M.B., Come si insegna, come si apprende, Carocci, Roma, seconda ristampa 2005,
pag.72.
5
Il presupposto che la discussione sia proprio un’opportunità di scambio
dialogico, di crescita individuale e comunitaria su vari livelli (cognitivo, sociale
e identitario) è stato il principio ispiratore di questo lavoro di tesi. Percorreremo,
in prima battuta, una ricerca teorica a vasto raggio riguardante sia i fondamenti
socio-costruttivisti che soggiacciono al termine discussione - intesa come
momento metacognitivo di riflessione -, sia le metodiche esemplificative che
agevolano tale processo. Nell’ambito dell’iter formativo scolastico, ci appare
pregnante e fondamentale favorire le dinamiche che allenano al ragionamento
metacognitivo, abilità trasversale e utile anche a tutti i campi dell’extrascuola.
<<Raggiungere un buon grado di riflessione metacognitiva significa far divenire
consapevole quanto spesso avviene a livello inconsapevole allo scopo di
migliorare costantemente le strategie di apprendimento>>
3
; queste strategie
divengono un bagaglio interiorizzato per leggere la realtà in modo critico e
apprendere attraverso situazioni nuove e problematiche anche senza il supporto
del docente.
Nella seconda parte dello scritto descriveremo in modo analitico il progetto
condotto presso il XVI Circolo Statale Bari-Ceglie, sulla scia della cornice
teorica delineata. I capitoli della prima parte saranno supportati da quelli della
seconda, con un passaggio quasi speculare dalla teoria alla pratica. In calce
sono presenti due appendici che costituiscono i materiali delle attività proposte.
Si è voluto dar voce, con un questionario, all’insegnante accogliente che ha
3
Ivi., pag.47.
6
partecipato al progetto. Questo feedback è stato utile per misurare il grado di
coinvolgimento e motivazione del gruppo classe, e della stessa insegnante, da
una angolazione privilegiata e vicina, quella della docente che vive
quotidianamente il rapporto con gli allievi che sono stati coinvolti.
7
Parte prima: analisi teorica.
Capitolo 1
Aspetti psicologici e approcci teorico-didattici
Il legame tra costruttivismo e processi di apprendimento è rintracciabile in
diversi approcci teorici che evidenziano il carattere sociale della costruzione di
conoscenza di un gruppo, che agisce come comunità ed elabora significati
condivisi.
4
Tali significati assumono senso attraverso gli artefatti. Cole
identifica l’artefatto con qualunque aspetto del mondo materiale legato alle
pratiche umane che siano rivolte ad uno scopo. Gli artefatti, nel loro insieme,
vengono rivestiti di un significato comune assegnato tramite le interazioni
sociali.
5
In tale definizione dell’artefatto rientrano sia il linguaggio che coloro
che lo producono interagendo socialmente. Dalla mescolanza e dall’utilizzo
mediato di tali artefatti deriva una strutturazione di conoscenza socialmente
situata, ovvero una conoscenza che rispecchia il contesto, gli individui e il
momento nel quale viene prodotta.
Nell’ambito di una comunità di apprendimento di tipo collaborativo, il
linguaggio è un artefatto che attribuisce senso a ciò che viene condiviso e
consente al bambino di acquisire nuove conoscenze tramite l’interiorizzazione
4
Cfr. Ligorio M.B., Come si insegna, come si apprende, op. cit., pag.16.
5
Cfr., Carugati F. e Selleri P., Psicologia dell’educazione, Il Mulino, Bologna, 2005, pp.22 e
24.
8
del dialogo. Il dialogo condiviso induce verso la Zona di sviluppo prossimale,
ma allo stesso tempo consente una rielaborazione del sé che passa attraverso il
confronto con altre voci. In linea col pensiero vygotskijano, Bachtin parla di
eteroglossia, ovvero del carattere sociale delle parole che <passano di bocca in
bocca> e che hanno la duplice funzione di tradurre i contenuti psichici in
linguaggio e di essere accessibili a chi le esprime e a chi le coglie, contribuendo
a strutturare il sé. <<E’ attraverso i discorsi e le “voci”, come le definisce
Bachtin, che gli individui partecipano alla “polifonia” della cultura. Quindi gli
aspetti individuali esistono solo in funzione della negoziazione e costruzione di
una conoscenza e di una cultura comuni>>.
6
Alla luce di questa teoria
potremmo aggiungere che <<[…] il Sé è oggetto di un processo di costruzione e
ricostruzione narrativa [Bruner, 1986] che si realizza in un contesto culturale e
relazionale attraverso scambi con gli altri significativi [Bachtin, 1988; Davies e
Harré, 1990; Hermans, 1996]; scambi in cui si viene riconosciuti, e si riconosce
l’altro, come portatori di un discorso e di un punto di vista>>.
7
Tale conoscenza, basata sullo scambio intersoggettivo e dialogico dei vari
sé, può essere considerata situata ed è presente anche in ambito scolastico, dove
sia gli alunni che i docenti fanno uso degli artefatti come mediatori di senso per
la comunità-classe, costruendo così una conoscenza condivisa. Il processo di
insegnamento-apprendimento tra insegnante-allievo, ma anche tra allievo-
allievo è parte indubbiamente di tale costruzione di conoscenza. La presenza di
6
Ligorio M.B., Come si insegna, come si apprende, op. cit., pag.21.
7
Mancini I. e Innocenti G., Giornali di bordo: “discreto e continuo” nell’uso dei diari a
scuola, (http://blogdidattici.splinder.com/tag/seminario_2006), pag.2.
9
determinati artefatti – la stimolazione da parte di adulti o di compagni più
grandi - con i quali i bambini entrano in contatto, influenza socialmente lo
sviluppo delle funzioni psicologiche in senso sociale. Pertanto, una comunità
scolastica può favorire quella che Vygotskij definisce Zona di Sviluppo
Prossimale ovvero: <<la distanza fra il livello di sviluppo attuale, definito dal
tipo di abilità mostrata da un soggetto che affronta individualmente un compito,
e il livello di sviluppo di cui un soggetto dà prova quando affronta un compito
del medesimo tipo, con l’assistenza di un adulto o di un coetaneo più abile>>.
8
L’interazione insegnante-allievo o allievo-allievo, per essere fruttuosa,
dovrebbe spingersi oltre il livello di sviluppo già raggiunto dal bambino e
favorire attività che lo portino verso la zona di sviluppo prossimale.
Più nello specifico, analizzando la collaborazione tra pari, possono essere
citati vari tipi di insegnamento mediato da pari e noti in letteratura, che ben si
conciliano con il raggiungimento della zona di sviluppo prossimale e
rispecchiano, allo stesso tempo, il concetto di comunità che costruisce un sapere
comune:
ξ Il cooperative learning, basato su un clima collaborativo anziché
competitivo, gioca sulla relazione di interdipendenza tra gli elementi del
gruppo di lavoro, volutamente eterogeneo, per offrire l’occasione a tutti
di contribuire col proprio apporto in funzione delle proprie capacità.
8
Carugati F. e Selleri P., Psicologia dell’educazione, op. cit., pag.51.
10
ξ Il tutoring, basato su un’assunzione di responsabilità da parte di
un alunno (tutor) nei confronti di un altro (tutee), prevede lo scambio o
l’alternanza dei ruoli per consentire ad ogni alunno di poter offrire la
propria competenza.
ξ Il peer teaching, basato su lavori di gruppo con componenti alla
pari cognitivamente. Ogni gruppo lavora sulla formulazione di
un’ipotesi che viene poi confrontata con quella degli altri gruppi e poi
riconfermata dopo una discussione generale.
9
Operando con i coetanei in qualità di membro di una comunità di pratiche
10
,
ogni allievo sfrutta le esperienze vissute dagli altri per raffinare le proprie e
partecipare alla crescita e all’evoluzione della comunità stessa. Tale
apprendimento, basato su una pratica socio-culturale, è detto appropriazione
partecipata.
11
Nell’ambito di una comunità-classe volta alla costruzione di conoscenza
l’insegnante svolge, invece, un duplice ruolo che fuoriesce dai tradizionali
binari delle dinamiche dell’insegnamento-apprendimento: da un lato diviene
9
Cfr., Miele M., Didattica integrata e strategie di intervento in classe in Quaderni del
Dipartimento di Scienze Pedagogiche e Didattiche, n° 6, 2007.
10
Riguardo la teoria della comunità di pratiche di Wenger (1998) segnalo tre testi in lingua
italiana ai quali ho fatto riferimento, benché la letteratura in merito sia vasta:
ξ Ligorio M.B., Come si insegna, come si apprende, op. cit., pag.103.
ξ Ligorio M.B., Cacciamani S. e Cesareni D., Blended learning. Dalla scuola
dell’obbligo alla formazione adulta, Carocci, Roma, 2006, pag.80.
ξ Ligorio M.B. e Hermans H. (a cura di), Identità dialogiche nell’era digitale, Erickson,
Trento, 2005, pag. 92.
11
Cfr., Carugati F. e Selleri P., Psicologia dell’educazione, op. cit., pag.77.
11
parte coinvolta e attiva del gruppo, offrendosi sia come apportatore
esperienziale di pratiche sperimentate sia come elemento periferico che
acquisisce - come ogni altro membro - nuova conoscenza sociale, identitaria e
cognitiva, ristrutturando il proprio vissuto personale e professionale, dall’altro
lato ricopre le vesti del <facilitatore> e <sostenitore> del processo di
apprendimento comunitario. Il docente abbandona i panni del trasmettitore di
informazioni e conoscenze precostituite, rielaborando il suo agire in chiave
costruttiva e di guida. Tale metodologia, nota in letteratura col termine
scaffolding (il termine indica l’impalcatura che viene allestita in fase di
costruzione di un edificio e che viene progressivamente smontata), contempla la
presenza dell’insegnante come quella di una figura che man mano sfuma
attraversando quattro stadi. In una prima fase di modelling (modellamento)
l’insegnante mostra con chiarezza tutti i passaggi necessari per portare a
compimento un lavoro, nella seconda fase di scaffolding offre un sostegno nello
svolgimento del compito dal semplice al complesso, fino a che l’allievo non
realizza per intero il lavoro, nella terza fase di fading il suo contributo si
dissolve gradualmente favorendo l’autonomia dell’allievo e, infine, nella quarta
fase di coaching mantiene il suo ruolo di orientamento, proponendo attività
nuove.
12
<<L’insegnante è quindi un modello di riferimento costante, un
12
Per quanto riguarda la metodologia dello <scaffolding> di Wood, vi sono sintetiche ma
esaustive trattazioni nei seguenti testi:
ξ Ligorio M.B., Come si insegna, come si apprende, op. cit., pp.54-55.
ξ Carugati F. e Selleri P., Psicologia dell’educazione, op. cit., pp.66-67.
ξ Cacciamani S. e Giannandrea L., La classe come comunità di apprendimento, Carocci,
Roma, seconda ristampa 2007, pag.14.