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contemporanea. Questi comportamenti, perciò, non rappresentano casi di
bulimia nervosa, ma piuttosto delle forme affini o varianti della stessa.
In epoche più recenti si ritrovano molti riferimenti alla bulimia nella
letteratura medica francese ed inglese tra il XVII ed il XVIII secolo;
anche in questi casi, però, non si tratta di bulimia vera e propria, ma solo
di casi di sovralimentazione o di appetito insaziabile (Gordon,
2000/2004).
La prima traccia “storica” della bulimia si può far risalire, invece, agli
scritti di James che, nel 1743, descrisse persone costantemente
preoccupate per la loro alimentazione, che alternavano periodi di digiuno
con periodi di consumo vorace di cibi, talvolta seguiti da vomito.
Qualche anno più tardi, Motherby (1785) ha distinto tre tipi di bulimia:
un tipo costituito dal puro eccesso alimentare, un altro in cui l’abbuffata
era seguita dal vomito ed un terzo in cui la crisi alimentare si presentava
associata a perdita di coscienza. Della bulimia, poi, si è fatta menzione
anche nell’Encyclopaedia Britannica, in cui veniva definita un disturbo
nel quale il paziente era affetto da un continuo ed insaziabile desiderio di
mangiare, che, se non appagato, poteva provocare svenimenti. Nel 1869
Blachéz ha distinto una forma di bulimia caratterizzata solo da un
consumo vorace di un’enorme quantità di cibo, da un’altra, da lui
definita “cynorexia”, in cui a questo consumo vorace di cibo seguiva il
vomito autoindotto.
Nel XX secolo si ritrovano chiare analogie con la bulimia nella
descrizione di due casi ben noti, quello di Nadja da parte di Janet (1903)
e quello di Ellen West da parte di Binswanger (1957/1973), entrambe
affette da una forma bulimica di anoressia nervosa.
La situazione è rimasta invariata fino a quando, nel 1940, negli Stati
Uniti sono apparse descrizioni abbastanza dettagliate del comportamento
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bulimico; in queste descrizioni, però, la bulimia era considerata solo una
complicanza dell’anoressia (Gordon, 2000/2004).
Solo nel 1976 è emerso un nuovo tipo di bulimia, completamente
indipendente dall’anoressia: Boskind-Lodhal, infatti, in quell’anno ha
descritto una serie di casi tipici di studentesse bulimiche, che
alternavano abbuffate a digiuni ed erano molto competitive, sebbene
presentassero un’autostima estremamente bassa e fossero
particolarmente sensibili ai rifiuti dell’altro sesso. Per questa nuova
concezione la Boskind-Lodhal coniò il neologismo “bulimaressia”, per
distinguerla dall’anoressia.
Il lavoro della Boskind-Lodhal, però, ha suscitato poco interesse presso
gli specialisti, in quanto il primo studio clinico ufficiale è divenuto
quello di Russell del 1979 intitolato “Bulimia nervosa: an ominous
variant of anorexia nervosa”, nel quale appare per la prima volta il
termine “Bulimia Nervosa” e viene fornita la prima descrizione del
disturbo. Le trenta pazienti prese in considerazione da Russell in questo
articolo erano di peso normale o, in certi casi, in sovrappeso e soffrivano
di crisi di sovralimentazione, seguite in genere da vomito auto-indotto;
erano simili alle anoressiche, perché temevano la grassezza e si
preoccupavano in modo eccessivo per la forma fisica, ma se ne
discostavano, perché tendevano all’estroversione e all’impulsività e
avevano una maggiore attività sessuale (Onnis, 2004).
La BN è divenuta nota solo negli anni ’80, dopo la pubblicazione di dati
che documentavano una diffusione in proporzioni endemiche di
fenomeni di iperalimentazione e svuotamento volontario dello stomaco
nei college universitari americani (Gordon, 2000/2004; Halmi, Falk &
Schwartz, 1981). Sempre negli anni ’80 è sorta una violenta
controversia, relativa al modo di definire e diagnosticare la sindrome
bulimica che è terminata quando nella III edizione del Manuale
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Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (1980), l’American
Psychiatric Association (APA) ha definito la bulimia un’entità
nosologica a sè stante e ha stabilito i criteri per diagnosticarla. La
formulazione del disturbo fornita dal DSM III presentava, però, una serie
di limiti, in quanto il disturbo veniva definito semplicemente “bulimia” e
i criteri diagnostici lo descrivevano solo come disturbo da alimentazione
incontrollata, senza che fossero sottolineate le preoccupazioni
caratteristiche delle bulimiche per il peso e l’immagine corporea, come
pure gli eccezionali sforzi messi in atto per compensare le abbuffate
(Onnis, 2004). Molto presto, perciò, ci furono delle reazioni critiche a
questa descrizione fornita dal DSM III; questa nuova controversia si è
risolta con la pubblicazione della revisione del DSM III (DSM III-
Revised) nel 1987, nella quale la sindrome è stata nuovamente
etichettata “bulimia nervosa”, per riportarla più in linea con il concetto
originale di Russell. Si è posto l’accento sulle componenti psichiche del
disturbo, ovvero il terrore di ingrassare e le preoccupazioni costanti
verso il corpo, ed è stato introdotto il parametro della perdita di controllo
durante le abbuffate, in sostituzione dell’atteggiamento indifferente
durante gli eccessi, presente nella terza edizione (Faccio, 1999; Gordon,
2000/2004; Onnis, 2004).
Nel DSM IV (1994) è stata finalmente valorizzata la presenza di forte
attenzione e preoccupazione per la propria forma e il proprio peso, con
l’introduzione del criterio della stima di sè, e si è specificata l’esistenza
di due sottotipi, quello purgativo e quello non purgativo (Faccio, 1999;
Onnis, 2004). Tuttavia nemmeno il DSM IV è riuscito a chiarire la
definizione di abbuffate, poiché i criteri per definirne la quantità sono
ancora puramente orientativi (Faccio, 1999). Nel DSM IV-Text Revision
(2000/2002), che è l’ultima tappa del seguente excursus storico-
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nosografico, le cose sono rimaste invariate, in quanto per la BN sono
stati mantenuti gli stessi criteri diagnostici del DSM IV.
1.2.2 Criteri diagnostici della BN
Il DSM IV-Text Revision (2000/2002) stabilisce che, per poter effettuare
la diagnosi di Bulimia Nervosa, debbano essere rispettati cinque criteri.
Il primo di questi criteri sottolinea come il comportamento caratteristico
dei pazienti con BN sia rappresentato dalla presenza di ricorrenti
abbuffate, termine con il quale ci si riferisce ad una condizione definita
da due precise caratteristiche, entrambe necessarie: 1) l’ingestione, in un
periodo di tempo definito (ad esempio, un periodo di due ore), di una
quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior
parte delle persone assumerebbe nello stesso tempo ed in circostanze
simili (Criterio A1); 2) la sensazione di perdere il controllo durante
l’episodio, come, ad esempio, la sensazione di non riuscire a controllare
cosa e quanto si sta mangiando (Criterio A2). Un altro atteggiamento
indispensabile per fare diagnosi di BN è rappresentato dal frequente
ricorso a inappropriati comportamenti compensatori, per prevenire
l’incremento ponderale (Criterio B), tra i quali quello più utilizzato è il
vomito auto-indotto, sebbene siano di comune riscontro anche l’abuso di
lassativi, di diuretici e di enteroclismi o altri farmaci, nonché la pratica
del digiuno o di esercizio fisico eccessivo. Per giustificare la diagnosi,
però, il paziente deve presentare un minimo di due episodi di abbuffate e
comportamenti compensatori inappropriati alla settimana, per almeno tre
mesi (Criterio C). Il Criterio D stabilisce che nei pazienti con BN
l’autostima e la valutazione di loro stessi debbano essere indebitamente
influenzate dalla forma e dal peso corporei. In ogni caso, non è
giustificata la diagnosi di BN, se il disturbo si manifesta esclusivamente
nel corso di episodi di Anoressia Nervosa (Criterio E).
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Sulla base dell’uso regolare o meno del vomito auto-indotto, il DSM IV-
TR, inoltre, distingue tra due sottotipi di BN:
¾ Con condotte di eliminazione, in cui il paziente, nell’episodio attuale
di BN, presenta regolarmente vomito auto-indotto o fa uso
inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi;
¾ Senza condotte di eliminazione, in cui il paziente, nell’episodio
attuale di BN, utilizza regolarmente comportamenti compensatori
inappropriati, quali il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo, ma non si
dedica regolarmente al vomito autoindotto o all’uso inappropriato di
lassativi, diuretici o enteroclismi.
La BN si può definire come un disturbo egodistonico, in quanto i
sintomi vengono vissuti come estranei e fastidiosi, tanto che molto
spesso è il paziente stesso a richiedere spontaneamente un trattamento
(Dalla Grave & Di Flaviano, 2002).
1.2.3 Quadro clinico della BN
1.2.3.1 Abbuffate e restrizione alimentare
La caratteristica principale della BN è rappresentata dal verificarsi di
episodi di ingestione compulsiva di grandi quantità di cibo, che sono
accompagnati da una sensazione di perdita di controllo e a cui, poi,
seguono una serie di comportamenti miranti a neutralizzare l’aumento
del peso. Secondo quanto riporta Faccio (1999), questi episodi di
abbuffata avvengono in solitudine, quanto più segretamente possibile e a
qualunque ora del giorno, anche se sono più frequenti dopo la scuola o il
lavoro, di sera o di notte. Generalmente hanno una durata inferiore alle
due ore. La frequenza con cui si verificano varia molto, ma l’autrice
presume che la metà dei pazienti presenti almeno un episodio al giorno.
Sempre Faccio (1999) riferisce che gli alimenti preferibilmente
consumati durante questi episodi comprendono cibi ipercalorici,
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incompatibili con la dieta che il paziente vorrebbe seguire, come gelati o
torte, alimenti che necessitano di poca preparazione e, in alcuni casi,
alimenti abituali, in quantità esagerate; l’apporto calorico medio va dalle
3500 alle 5000 calorie.
Sebbene le abbuffate possano essere programmate in anticipo, quando
avvengono hanno comunque un carattere improvviso e i pazienti
sembrano esserne consapevoli solo in parte, tanto che riferiscono di
mangiare per lo più senza gusto e senza raggiungere un senso di sazietà,
ma solo di malessere addominale (Dalla Grave & Di Flaviano, 2002).
Infatti, durante l’abbuffata, alcuni, soprattutto nelle fasi precoci del
disturbo, esperiscono un senso di estraneamento, come se fossero
posseduti da un’altra personalità o qualcosa di bestiale avesse preso il
sopravvento; altri, invece, vivono l’abbuffata come una sorta di
esperienza di derealizzazione (Gordon, 2000/2004). Nelle fasi più
tardive del disturbo, alla sensazione di perdita di controllo si sostituisce
l’incapacità di resistere all’impulso della crisi o di interromperla una
volta iniziata (Onnis, 2004). La perdita di controllo associata
all’abbuffata, però, non è assoluta poichè, sebbene il paziente possa
continuare l’abbuffata a dispetto del telefono che squilla, può invece
interromperla bruscamente, se qualcuno entra nella stanza (Nardone,
Verbitz & Milanese, 1999).
Chi soffre di BN descrive una forte tensione che aumenta prima
dell’abbuffata; questa tensione può essere determinata o dalla sensazione
di fame, a seguito di una restrizione dietetica, o dal desiderio di
mangiare un alimento proibito, o da condizioni di stress o, molto spesso,
da stati emotivi negativi come ansia, tristezza, rabbia, disappunto, noia e
solitudine e da sentimenti di insoddisfazione relativi al peso, alla forma
del corpo o al cibo. Durante l’abbuffata vi può essere una transitoria
riduzione della tensione, che si esprime con un senso di rilassamento ed
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un abbassamento dell’ansia; ma, al termine della crisi bulimica, le
pazienti si sentono gonfie e a disagio e provano sentimenti di vergogna,
colpa, angoscia, depressione e disprezzo verso se stesse, in quanto,
nonostante le intenzioni, non sono riuscite a mantenere il controllo
(Gordon, 2000/2004). Alla fine sono i comportamenti riparatori i soli
che riescono, e non sempre, ad attenuare una simile tempesta emotiva,
ma la calma a cui conducono è momentanea, in quanto lascia presto il
posto al senso di disagio, con cui la bulimica convive, ed il ciclo si ripete
(Faccio, 1999; Gordon, 2000/2004). Oltre alle condotte compensatorie,
ad interrompere le abbuffate possono intervenire anche cause esterne,
quali l’interruzione da parte dei familiari o l’impellente bisogno di
dormire, dal quale le pazienti si svegliano ritemprate (Faccio, 1999;
Dalla Grave & Di Flaviano, 2002).
Il pensiero delle abbuffate non solo condiziona l’intero programma della
giornata, ma, nei casi più estremi, può interferire pesantemente nelle
attività quotidiane del paziente, sia dal punto di vista del rendimento
scolastico e/o lavorativo, sia da quello delle relazioni interpersonali.
Infatti, questi pazienti, a volte, rinunciano a partecipare a pranzi o party
con gli amici, pur di non andare incontro a possibili tentazioni, che in
quelle situazioni non riuscirebbero a controllare. Inoltre, i forti sensi di
colpa che seguono l’abbuffata possono determinare l’insorgenza di atti
autolesionistici (come, per esempio, mordersi, tagliarsi, bruciarsi e
picchiarsi) e, raramente, persino tentativi di suicidio (Dalla Grave & Di
Flaviano, 2002; Onnis, 2004).
Nella maggior parte dei casi, le abbuffate in cui incorrono i pazienti con
BN sembrano essere la diretta conseguenza di una dieta dimagrante, che,
sebbene all’inizio venga messa in atto solo per contrastare un modesto
sovrappeso, generalmente diviene sempre più restrittiva fino a condurre
ad un regime di semidigiuno. Infatti questi pazienti, in seguito alla loro
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tendenza a voler essere perfetti, che li porta a porsi degli standard molto
elevati, finiscono per imporsi delle regole sempre più rigide ed assolute
riguardo quando e cosa mangiare, ma soprattutto la quantità di cibo da
assumere (Fairburn, 1997; Garner & Dalla Grave, 1999; Lorenzini &
Sassaroli, 2000). Ma la restrizione alimentare condotta in maniera ferrea
ed ossessiva porta, prima o poi, inevitabilmente, questi pazienti a
concedersi una piccola trasgressione, che innesca in loro una modalità di
pensiero “tutto o nulla”, la quale fa sì che essi esperiscano il loro
cedimento come un fallimento inevitabile e, vivendo la perdita di
controllo come assoluta e definitiva, finiscano per abbuffarsi (Garner &
Dalla Grave, 1999; Lorenzini & Sassaroli, 2000). In altri casi le
abbuffate, coesistendo da subito con un regime dietetico ipocalorico,
gradualmente conducono ad un’ulteriore restrizione e ad un incremento
dell’attività fisica, che, nelle fasi più avanzate del disturbo, assumono i
connotati di una pratica compulsiva (Lorenzini & Sassaroli, 2000).
La crisi bulimica, quindi, si manifesta come un fenomeno di rebound nei
confronti della rinuncia al cibo, in quanto è come se il paziente, una
volta compromesso l’equilibrio di un adeguato rapporto con il cibo, non
riuscisse più a recuperare una posizione intermedia rispetto ai due
estremi tutto/nulla. Lo schema alimentare di queste pazienti, perciò,
diviene ben presto una continua peregrinazione tra l’eccesso ed il difetto,
in cui l’unica possibilità di mantenere l’equilibrio tra i due estremi è
quella di bilanciare l’eccesso attraverso la messa in atto di adeguate
condotte eliminatorie (Faccio, 1999).
La dieta ferrea ed i comportamenti di compenso si possono
comprendere, però, solo alla luce di un altro aspetto, che rappresenta la
psicopatologia specifica della BN. In tutti i pazienti con BN, infatti, è
presente una caratteristica forma di eccessive preoccupazioni per il peso
e le forme corporee, l’essenza delle quali consiste nella tendenza a
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giudicare il proprio valore in gran parte o, addirittura, esclusivamente in
funzione del peso e delle forme corporee. A queste preoccupazioni, poi,
si accompagna spesso un atteggiamento di grande insoddisfazione per il
peso e le forme del proprio corpo (Lorenzini & Sassaroli, 2000). L’unico
comportamento non strettamente legato alla polarizzazione ideativa
sull’immagine corporea è l’abbuffata che, come è stato detto, sembra
essere piuttosto la diretta conseguenza della dieta ferrea ed ossessiva
(Garner & Dalla Grave, 1999).
1.2.3.2 Comportamenti compensatori
Per quanto riguarda le condotte compensatorie, Nardone, Verbitz e
Milanese (1999) riferiscono che il metodo più frequentemente adottato,
per neutralizzare gli effetti dell’abbuffata, è l’autoinduzione del vomito
dopo la crisi: è presente, infatti, nell’80-90% dei pazienti con BN in cura
presso centri specializzati per i disturbi dell’alimentazione. I pazienti
bulimici adottano diversi stratagemmi per indursi il vomito, come l’uso
delle dita delle mani o di cucchiai e l’assunzione di litri di acqua o di
ipecacuana; nelle fasi tardive del disturbo riescono, addirittura a
vomitare a comando. In alcuni casi, poi, è il vomito l’effetto ricercato,
tanto che il paziente si abbuffa, per poter vomitare oppure vomita anche
per piccole quantità di cibo. Il vomito serve a ridurre la sensazione di
malessere fisico, ma è utilizzato soprattutto come metodo di controllo
del peso, essendo centrale in questo disturbo la paura morbosa di
ingrassare. Alla lunga, però, determina l’effetto contrario, ovvero
l’aumento di peso, in quanto aumenta la frequenza e la quantità di cibo
assunta e porta ad una completa perdita di controllo (Dalla Grave & Di
Flaviano, 2002). Il vomito, poi, oltre ad accentuare la fame, dal
momento che elimina parte del cibo ingerito, legittima la persona che lo
attua ad abbuffarsi (Garner & Dalla Grave, 1999).