Questo, sviluppatosi lungo la via Flaminia, era costituito inizialmente da un
agglomerato di case di cui si hanno testimonianze sin dal medioevo: era infatti la
stazione di posta intermedia tra Pesaro e Rimini.
Fig. 1 - Foglio XVII del Catasto Gregoriano (vedi nota 1).
Si noti la vicinanza della linea di costa (a destra) alla via Flaminia
(linea gialla a sinistra).
In meno di un secolo, il nucleo della città si spostò dal Paese alla “Marina”.
I fattori che determinarono questo cambiamento furono: l’impianto della ferrovia, che
spostò il traffico di merci agricole con le campagne circostanti dalla Flaminia alla
linea ferroviaria sulla costa; successivamente, lo sviluppo del turismo balneare che
comportò lo spostamento dei residenti che volevano sfruttare questa nuova risorsa e
favorì l’arrivo di villeggianti che si facevano costruire le case per vacanze.
Già nella mappa del 1884, la situazione urbanistica è cambiata notevolmente:
è comparsa ad esempio la linea ferroviaria che collega Bologna con Ancona,
installata a partire dal 1861.
I primi edifici che sorsero sugli arenili, deserti fino a pochi anni prima, furono due
ospizi marini, costruiti per accogliere gruppi di bambini emiliani che d’estate
venivano mandati qui per guarire dalla scrofola, una forma di tubercolosi molto
diffusa all’epoca, con la terapia dei bagni di mare. Notiamo anche poche, isolate
costruzioni private; tra queste la villa circondata da un immenso parco, appartenente
2
al Conte Martinelli, nobile riminese proprietario di alcuni terreni a Riccione, che in
quegli anni apparteneva ancora al territorio del Comune di Rimini.
Il Conte Martinelli, come vedremo, fu uno dei cosiddetti “pionieri” di Riccione: per
tradizione locale, vengono chiamati in tal modo coloro che, alla fine ‘800, investirono
le proprie risorse e la propria creatività nell’avvenire di questa cittadina.
Furono pionieri: Maria Ceccarini, ricca vedova che fece costruire a proprie spese la
scuola e l’ospedale; il Conte Martinelli, che disegnò un “piano regolatore” sui terreni
di sua proprietà, aiutato dal “paesaggista” Lodovico Cicchetti, dando una forma alla
nuova città; il parroco don Carlo Tonini, che si batté perché Riccione avesse una
fermata del treno.
Così viene presentata Riccione dal professor Emilio Rosetti, nella sua opera “La
Romagna, geografia e storia” del 1894:
“Riccione, frazione del Comune di Rimini con 2174 abitanti (...) luogo di bagni molto
frequentato durante la stagione estiva, e per questo vi sono state costruite in questi
ultimi tempi varie belle casine e villini, che gli dànno un aspetto gaio e signorile”
3
.
3
Emilio Rosetti, “La Romagna, geografia e storia”, Milano 1894.
3
Cap. 1
Prime strutture
La ferrovia
Fig. 2 – L’avviso pubblico della nuova fermata ferroviaria ottenuta per Riccione. Accanto il primo casello in una
cartolina d’epoca.
Nel 1861 la ferrovia congiunse Bologna e Ancona; la fermata al casello di Riccione,
in fondo a viale Viola (l’attuale Ceccarini), fu attivata nel 1862 e diventò regolare nel
’65.
L’avvento della ferrovia segnò una svolta nella storia di Riccione, favorendone
rapidamente lo sviluppo prima economico, poi turistico.
Il fulcro dell’economia cittadina si spostò dal Paese alla Marina: infatti i forestieri,
che prima percorrevano la via Flaminia a cavallo o in carrozza, da quel momento in
poi preferirono viaggiare in treno; la stessa cosa successe per il trasporto di merci
provenienti dall’entroterra, molto più rapido e sicuro sulla strada ferrata.
4
Riccione, già sbocco naturale dei paesi dell’entroterra, si affermò come centro di
smistamento dei prodotti agricoli della campagna circostante (Morciano, Coriano San
Clemente etc.).
La stazione vera e propria fu costruita nel 1891, nel punto in cui si trovava il casello.
La ferrovia segnò una linea di confine definitiva tra le due parti di Riccione: così
viale Viola, essendo l’unico raccordo, si affermò sempre più come arteria principale,
tanto da rappresentare “Il Viale” per antonomasia, come si può vedere dalle scritte di
alcune cartoline d’epoca.
Il pioniere che lottò maggiormente perché Riccione avesse una fermata è don Carlo
Tonini.
Fu parroco della chiesa di San Martino a Riccione, inizialmente dal 1832 al 1837,
poi, dal 1848 per i trent’anni successivi. Nel periodo in cui la fermata venne messa in
via sperimentale, secondo alcune fonti orali raccolte da Borghi
4
, prendeva molto
frequentemente il treno per Rimini, per tornare con quello successivo, senz’altro
scopo di dimostrare che il movimento viaggiatori da e per Riccione non era mai
nullo, problema che si poneva principalmente in inverno.
Nel 1868 scrisse un opuscolo divulgativo intitolato “Cenni sul paese di Riccione e i
suoi bagni marittimi”, che cercò di diffondere un po’ in tutta Italia.
4
Giuseppe Borghi “Riccione, origini e sviluppo di un centro balneare”1935
5
Le Colonie marine (ospizi)
Fig. 3 - Ospizio Mancini e Ospizio Marino Romagnolo, 1900ca (entrambi demoliti).
“[A Riccione] l'aria che si respira è pura, e balsamica, perché non v'incontri neppur
vestigio di paludi, o di acque stagnanti. Il continuo spirare di venticelli leggieri,
mossi il più dalla vicinanza del mare, ed il passar frequentissimo di legni, e carri e
vetture, che percorrono la strada corriera attraversante il nostri paese, è cagione che
qui si respiri aria sempre pura, e salubre; onde seguita che qui non trovi un bimbo
affetto da malattia scrofolosa, cutanea, o scorbutica, o molto meno intossicato dal
mal sottile, onde i casi di longevità non vi sono rari. (.........................)
Or se Viareggio pel primo ci ha dato l'esempio di un salutare stabilimento pei
giovani sofferenti, a voi mi rivolgo, illustri e filantropiche città di Bologna, Ferrara,
Milano, Modena, Parma, Piacenza, Mantova, Verona e quante altre avete gioventù
da mandare ai bagni marini, a procurarvi uno stabilimento salutare per la vostra
gioventù sofferente per vedere ritornare i vostri cari in miglior condizioni di salute ...
come tanti fanciulli Bolognesi... e specialmente Franceschelli Aldo che da anni tre
6
più non si muoveva da una sedia e poté nel ritorno coll'aiuto di due ferle, da solo, e
speditamente, percorrere tutta la stazione di Bologna ...”
5
Prima di diventare una stazione balneare alla moda, Riccione si affermò come centro
terapeutico dove venivano portati i bambini scrofolosi per curarsi con i bagni di mare.
La scoperta delle proprietà terapeutiche del mare era avvenuta nel ‘700: già verso la
metà del secolo, in Gran Bretagna, venivano sperimentati i bagni di mare curativi.
Gli ospizi marini (o colonie), tuttavia, furono un’invenzione italiana, pur trovando
corrispettivi con caratteri diversi in Inghilterra, Olanda e Belgio.
I soggiorni in colonia dei bambini erano generalmente organizzati da istituzioni
religiose: la colonia veniva ad assumere anche una funzione educativa, il tempo che
vi si trascorreva, infatti, era scandito da attività regolari e oltre a soddisfare il bisogno
di acqua, aria e sole, indispensabili per guarire da scrofola e rachitismo, gli educatori
cercavano di ristabilire gli equilibri di vita dei ragazzi, attraverso la regolarità del
sonno e gli orari precisi delle passeggiate e dei bagni.
Si pensava, nella mentalità del tempo, che il ritorno alla natura dovesse avvenire in
modo disciplinato, perché altrimenti esso avrebbe potuto favorire pericolose
avventure e giochi selvaggi.
Anche a Riccione i piccoli malati erano accompagnati in spiaggia da un religioso: il
“pioniere” don Carlo Tonini, che, come abbiamo visto, era stato all’avanguardia
anche nell’arte della promozione turistica, scrivendo e mandando in tutta Italia
l’opuscolo che pubblicizzava la stazione balneare di Riccione.
I primi 50 bambini scrofolosi furono inviati a Riccione nell’estate del 1867.
Quell’anno a Riccione era stato creato un Comitato riccionese per gli ospizi marini,
che aveva proposto al corrispondente Comitato bolognese di portare i bambini
scrofolosi a Riccione: facendo prezzi vantaggiosi (L. 2,30 al giorno per individuo)
aveva ottenuto la preferenza sulle altre località costiere.
I Comitati per gli ospizi marini erano associazioni filantropiche, organizzate
localmente nelle principali città d’Italia settentrionale e centrale, con lo scopo di
inviare al mare i bambini malati delle classi meno abbienti. In relazione alle proprie
capacità finanziarie, i comitati, spesso associati tra loro, o promuovevano
direttamente la costruzione del proprio ospizio marino, o inviavano i bambini negli
ospizi degli altri comitati o in quelli a gestione autonoma, come infatti successe a
Riccione, dove alcuni privati investirono risorse personali nella costruzione degli
ospizi, stabilendo poi con i vari comitati locali, accordi sul numero di bambini da
accogliere e sulle relative provvidenze.
Inizialmente i bambini erano stati invece ospitati in famiglie del paese, che si erano
preoccupate di nutrirli e rendere piacevole il loro soggiorno; venivano portati al mare
su carri trainati da buoi, lungo la via Viola, scortati da don Carlo Tonini.
La prima colonia, denominata Amati-Martinelli dal nome dei suoi finanziatori, fu
costruita nel 1877, sull’area dove sorgerà il Grand Hotel, e crollò con il terremoto del
1916; la seconda colonia, detta “Ospizio Romagnolo”, perché accoglieva i bambini
inviati dalle città della Romagna, fu invece edificata nel 1878-79 da Luigi Casati di
5
Don Carlo Tonini, Cenni sul paese di Riccione e suoi bagni marittimi, Cesena,1868
7
Forlì, insieme agli onnipresenti coniugi Ceccarini, a Del Bianco, a Papini e a
Salviotti, tutti di Riccione.
La struttura architettonica delle colonie era semplice e spaziosa, dovendo far fronte
all’esigenza di ospitare numerosi fanciulli. C’erano anche eccezioni originali, come
l’ospizio Mancini, dalla particolare architettura simile a quella di un castello, che
seguiva lo stile eclettico.
A Riccione, così come in altre città costiere, gli ospizi marini (e anche gli stabilimenti
balneari) costituirono episodi edilizi in grado di influenzare e orientare, in rapporto
alla loro posizione, le caratteristiche insediative delle successive espansioni urbane. I
primi due ospizi costruiti infatti, il Martinelli-Amati e il Romagnolo, si trovavano ai
lati di viale Ceccarini, situandosi in luoghi che più tardi diventeranno centrali e
strategici. Le colonie che vennero costruite dopo lo sviluppo dei villini, invece,
trovarono spazio solo ai margini del nucleo della Marina. Perché accadde questo?
Ospitare i piccoli malati si era rivelato un ottimo modo di pubblicizzare Riccione:
infatti i membri del Comitato per gli ospizi marini di Bologna e le altre persone che li
accompagnavano o si recavano in visita, avevano avuto l’occasione di apprezzare la
bellezza e la salubrità del lido riccionese.
D’altro canto però, quando cominciarono ad arrivare i villeggianti, questi non
volevano affacciarsi dalle loro villette sul mare e vedere bambini deturpati dalla
scrofola. Inoltre si temeva che la presenza di colonie potesse costituire un freno alla
costruzione di ville e pensioni e svalutare i fabbricati limitrofi esistenti, perciò gli
ospizi marini cominciarono ad essere costruiti in aree periferiche: in particolare, per
quanto riguarda Riccione, ai confini con Miramare e con Misano.
Nel periodo fascista le colonie diventarono uno dei tanti strumenti del regime per
indottrinare gli italiani sin dall’infanzia, promuovendo uno stile di vita basato sulla
disciplina e sull’attività fisica. Ad esempio, a Bologna, nel 1921, le donne fasciste
organizzarono una colonia marina a Riccione, utilizzando i compensi corrisposti ai
fascisti che avevano sostituito i tramvieri durante uno sciopero
6
; da allora avevano
continuato ad organizzarle tutti gli anni.
Durante la seconda guerra mondiale, le imponenti strutture delle colonie furono
utilizzate per gli scopi più diversi: ospedali, case d’appuntamento, caserme e
purtroppo anche campi d’internamento (vedi parte III).
6
A. Berselli “Storia dell’Emilia Romagna” 1960
8
Cap. 2
Il piano regolatore Martinelli
Fig. 4 - Resti di Villa Martinelli. (Appendice – Tavola I, n.1)
Nella seconda metà dell’‘800 il Conte Giacinto Martinelli di Rimini decise di
redigere un piano regolatore per i terreni di sua proprietà a Riccione, che andavano
dall’odierno viale Ceccarini verso sud-est, fino alla cosiddetta fossa Martinelli,
corrispondente all’attuale zona denominata Abissinia (fig. 5). Il piano
prevedeva una
9
maglia regolare che separava lotti nei quali sarebbero stati costruiti villini con
giardino. Perché Martinelli decise di insediarsi a Riccione, investire in terreni e
costruirvi la sua stessa sfarzosa dimora?
Secondo Borghi, acquistò un ampio tratto degli arenili, dove costruì la villa, l’ospizio
e progettò il piano regolatore, avendo una “chiara visione dell’avvenire di Riccione”.
Martinelli credeva infatti nello sviluppo futuro della città come colonia marina per le
cure dei bambini e aveva fatto costruire la colonia che portava il suo nome. Ma c’era
di più: immaginava molto chiaramente, e sappiamo oggi che non sbagliava, anche
una località di vacanza per l’alta società.
Si può presupporre che queste idee fossero nate in lui viaggiando, che avesse visto le
città balneari che in quel momento stavano sorgendo in Europa. Sicuramente il Conte
era un imprenditore colto e lungimirante, conosceva la realtà Europea ed aveva
l’ambizione di sperimentare sui propri terreni le tendenze urbanistiche più in voga del
momento.
Sappiamo che era stato a Parigi, dove era rimasto colpito dai grandi boulevards
progettati da Haussmann, e che, con l’aiuto dell’amico Cicchetti, che oggi verrebbe
definito “architetto del paesaggio”, aveva creato per Riccione grandi viali alberati.
La lottizzazione Martinelli si differenziava da quella Ceccarini (dal nome del
proprietario dei terreni), sviluppatasi nella zona tra l’attuale viale Ceccarini e il Rio
Melo, proprio perché in essa era evidente un progetto che non lasciava nulla al caso e
presentava analogie con le nuove città balneari che stavano sorgendo sulle rive di
tutta Europa.
Il piano Martinelli diventò un modello per tutti coloro che volevano costruire a
Riccione; generalmente i proprietari di terreni vi si adeguavano. Era importante che la
città balneare fosse strutturata in modo armonioso per invogliare nobili e alto-
borghesi ad acquistare un villino per le vacanze.
Seguendo l’esempio del conte, gli altri possidenti tracciarono sui propri terreni una
maglia di strade ortogonali e vendettero i lotti ai nuovi villeggianti, sempre più
numerosi. Ogni nuova lottizzazione ripeteva il modulo delle precedenti: si venne così
a creare una struttura urbana piuttosto regolare, anche in assenza di un piano
regolatore unitario (il primo sarà redatto nel 1912).
10