6
La Responsabilità Sociale di un’impresa deve essere parte della mission, “un
modo di essere e di agire” dell’azienda, che deve comportarsi in maniera coerente
con questo approccio in tutti i campi della propria attività. La coerenza richiede
quindi che le imprese abbiano un comportamento socialmente responsabile in
ogni aspetto o fase della loro attività.
Fino ad ora abbiamo parlato della necessità delle imprese di congiungere le
proprie finalità di massimizzazione del profitto a delle politiche ambientali e
sociali, sviluppando un’agire imprenditoriale che si dirige verso un’impostazione
orientata al bene comune. Adesso, però, è importante chiarire che non si parla di
Corporate Social Responsibility in riferimento solo alle aziende profit oriented,
perchè si parla di Responsabilità Sociale anche nell’ambito aziende non profit.
Questo lavoro ha inteso approfondire perchè la Responsabilità Sociale rappresenta
uno strumento utile alle organizzazioni non profit.
Il fatto che un’organizzazione non profit si proclama come ente mission oriented,
non significa che essa sia informazione sufficiente agli occhi della società civile,
sopratutto se la mission non viene comunicata in maniera efficace ai propri
stakeholder e soprattutto se non vengono rilevati costantemente i risultati
raggiunti.
In particolare questo lavoro è suddiviso in quattro capitoli. Nel primo capitolo
vengono delineati i tratti caratteristici delle aziende non profit, sottolineando la
differenza che intercorre con le aziende profit oriented, e definendo, inoltre, quali
sono queste organizzazioni senza scopo di lucro, anche da un punto di vista
legislativo (associazioni, fondazioni, cooperative sociali, organizzazioni di
volontariato, ecc.). Fatta questa premessa, si è cercato di capire quali dimensioni
abbia raggiunto oggi il terzo settore, sulla base dei dati ricavati dal censimento
realizzato dall’Istat nel 2001 (avvalendosi dei dati del 1999); inoltre, ad integrare
questi dati, sono stati utili le analisi di ricerche di settore, che fotografo una
situazione più definita. Questo capitolo, infine, si conclude chiarendo il modo in
cui le aziende non profit si finanziano, ossia quali sono le loro fonti di
finanziamento, e, in più, viene chiarito il concetto di marketing sociale e quello di
Cause Related Marketing, specificando di cosa trattano e che attinenza hanno con
le aziende non profit.
7
Il secondo capitolo è incentrato sulla Responsabilità Sociale dell’Impresa;
partendo da un breve richiamo su cos’è l’impresa etica, si è proseguiti sulla
definizione della RSI, illustrando l’intero processo che ha portato alla nascita di
questo concetto e specificando il suo contenuto. Viene inoltre illustrata una ricerca
empirica, svolta nel 2003 dall’Unione Italiana delle Camere di Commercio in
collaborazione con l’Istituto per i Valori d’Impresa sullo stato di responsabilità
sociale delle imprese in Italia. Questa ricerca si è posta l’obiettivo di fornire un
quadro di sintesi sulle dimensioni e sulle principali caratteristiche assunte dal
fenomeno RSI nelle regioni italiane.
Inoltre, nel capitolo secondo, vengono chiariti le strategie sociali che si
perseguono e attraverso quali strumenti (interni ed esterni) si gestisce la
Responsabilità Sociale d’Impresa.
Nel paragrafo che conclude il capitolo viene trattato il Libro Verde “Promuovere
un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”, un documento
importante che giunge, come già richiamato sopra, dalla Commissione Europea e
che dimostra quanto questo fenomeno stia diventando rilevante anche agli occhi
delle istituzioni.
Nel terzo capitolo, invece, viene approfondito come si sviluppa la Responsabilità
Sociale delle Aziende non profit, spiegando che ruolo hanno gli stakeholder in
questo fenomeno e in che modo essi influenzano il comportamento delle aziende
non profit.
Viene, in seguito, chiarito come le aziende non profit mostrano la propria
responsabilità sociale e cioè attraverso quali strumenti di accountability.
Fondamentalmente l’accountability si manifesta sia attraverso gli strumenti di
rendicontazione, sociale e non, sia attraverso forme di certificazione sociale come
ad esempio la norma SA 8000.
Per concludere, infine, una volta che sono stati chiariti i concetti e che è stata
delineata l’ampiezza del fenomeno, si giunti, nel quarto capitolo, a rappresentare,
attraverso il confronto dei bilanci sociali di quattro organizzazioni di volontariato,
come si manifesta in pratica questo fenomeno.
Innanzitutto si è cercato di descrivere i singoli bilanci sociali dell’AVSI,
dell’UNICEF, di Amici dei Bambini e di Telefono Azzurro. É solo alla fine, dopo
8
aver studiato i singoli bilanci, che si confrontano le diverse motivazioni che hanno
spinto alla redazione di tale documento e si circoscrivono i modelli che hanno
adottato per il loro bilancio, portando a delle considerazioni positive o negative a
seconda di come si sono sviluppati.
9
Capitolo primo
LE AZIENDE NON PROFIT
1.1 L’azienda nel contesto sociale
L’azienda è lo strumento attraverso il quale l’uomo soddisfa i propri bisogni ed
assume i caratteri di un istituto. Essa è istituita per rispondere alle esigenze di
consumo degli individui, singoli od organizzati in gruppi o in aziende, in quanto
mette a loro disposizione ciò che essi nel tempo richiedono.
La caratteristica dell’azienda è quella di essere dotata di risorse e cioè di beni e
mezzi oltre che di uomini organizzati per uno scopo, generalmente consistente nel
soddisfacimento di una domanda che proviene dalla società e che possono
riguardare gli aspetti naturali, biologici, fisici, fisiologici, psicologici, culturali,
sociali, morali, religiosi, politici ed economici.
Nel nostro sistema economico e sociale l’azienda si presenta come un istituto
rilevante con caratteri propri e comuni, pur nella varietà delle tipologie di soggetti
presenti nella realtà. Infatti, l’istituto azienda si mostra in funzione della diversa e
variegata tipologia che assume in concreto, perciò distinguiamo le aziende di
produzione e le aziende di erogazione (o di consumo). Le prime raggruppano le
imprese caratterizzate dal fine di lucro e comprende tutte le aziende che
acquisiscono e producono beni e servizi; le seconde fanno parte di quella
categoria di aziende come la famiglia, le associazioni private, la Pubblica
Amministrazione e gli enti non profit, che erogano e consumano beni e servizi.
Questa distinzione delinea il quadro del sistema economico aziendale, all’interno
del quale si instaurano delle relazioni fondamentali per il sistema economico.
L’azienda sta al centro del sistema sociale e si configura come lo strumento più
importante per garantire il soddisfacimento dei bisogni umani, dove l’uomo
costituisce il centro e l’obiettivo finale del sistema sociale stesso.1
1
Propersi (2001), pag. 3.
10
Classificando le aziende in relazione al soggetto economico ritroviamo:
- Le aziende di erogazione familiari: sono le unità base della società civile; in esse
si attuano le forme principali di consumo in quanto il reddito prodotto dai membri
delle famiglie è utilizzato per la convivenza ed i risparmi sono ottimizzati per la
vita futura e per la sicurezza del gruppo familiare.
- Le aziende di erogazione pubbliche: sono tutti gli enti previsti dall’ordinamento
costituzionale per consentire il miglior sviluppo della vita sociale nell’interesse
dei cittadini.
- Le aziende di produzione o imprese private: sono quelle promosse da soggetti
che si prefiggono di perseguire fini di lucro, ottimizzando le gestioni della propria
attività. Svolgono una funzione strumentale in campo sociale poiché consentono
di mettere a disposizione del mercato ciò che esso richiede, traendo indirettamente
vantaggi economici a fronte del rischio e dell’impegno profuso per tale attività del
servizio.
- Le aziende di produzione o imprese pubbliche: svolgono la medesima funzione
di quelle private, ma essendo promosse da enti pubblici, danno prevalenza alla
funzione pubblica svolta rispetto allo scopo lucrativo caratteristico di quelle
private.
- Le aziende di erogazione istituzionali private, pure o miste (enti non profit):
sono caratterizzate dallo svolgimento di un fine istituzionale non lucrativo ma
consistente in compiti assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi o comunque di
natura ideale. Tali fini sono perseguiti da soggetti che non mirano al profitto, ma
che devono comunque perseguire l’ottima allocazione delle risorse disponibili.
- Le aziende cooperative: sono un soggetto intermedio fra i precedenti in quanto
pur nelle diverse attività svolte, sono caratterizzate dallo svolgimento di
un’attività produttiva, come le imprese, ma rivolte non al mercato bensì ai soci
che si avvantaggiano di una riduzione dei costi di acquisizione dei beni e servizi.
Sono caratterizzate perciò dallo scopo mutualistico delle loro attività.
Una volta fatta questa distinzione, ritroviamo quattro grandi categorie di soggetti:
1. Aziende pubbliche;
2. Imprese;
3. Famiglie;
11
4. Aziende di erogazione.
Questi quattro soggetti instaurano relazioni reciproche e varie, costruendo delle
relazioni tra le proprie strategie, la propria organizzazione e la propria dimensione
innovativa, derivanti dal conseguente bisogno di essere sempre pronti a cogliere le
opportunità presenti nel mercato2.
Le caratteristiche dell’oggetto della relazione sono tra le determinanti principali
delle scelte della dimensione contrattuale e della dimensione organizzativa; in
questo modo si identificano gli elementi che devono essere presi in
considerazione per la scelta delle alternative del contesto, realizzando quindi una
corrispondenza tra caratteristiche osservate e tipologie disponibili, che variano a
seconda dei soggetti coinvolti3.
Il carattere saliente dell’azienda è quello di essere un istituto economico, in quanto
nella sua organizzazione si pone sempre il problema di dover perseguire un fine
con risorse limitate e quindi con l’obbligo di perseguire, con efficacia ed
efficienza, lo scopo finalistico. Tale affermazione vale sia per le aziende di
produzione con fine di lucro che per le aziende senza fine di lucro, in quanto si
deve perseguire il fine etico, morale, culturale, sportivo, assistenziale, attraverso
l’utilizzo delle risorse a disposizione.
Un’azienda, svolgendo la propria attività economica, svolge anche una funzione
sociale per il fatto stesso di esistere, di essere composta da uomini e di porsi in
relazione con l’esterno, apportando, perciò, un contributo allo sviluppo del
sistema economico e del sistema sociale. L’amministrazione dell’impresa in
quanto è volontaria attività dell’uomo che si svolge nella sfera dei beni economici
e rivolta a fini umani, presenta gli aspetti dell’economicità, della socialità e
dell’efficienza in ogni suo atteggiamento ed in tutto il suo operare. Perciò esiste
un legame tra economicità e socialità4.
L’economicità5 delle aziende dipende dalla scelta nell’acquisto di beni e servizi,
nell’uso delle risorse umane di qualità adeguata al più basso costo, di apporto
2
Propersi (2001), pag. 4 - 5.
3
Sobrero (1996), pag. 8.
4
Chirieleison (2002), pag. 5 - 9.
5
L’Economicità è la capacità dell'azienda di perdurare massimizzando l'utilità delle risorse
impiegate e dipende congiuntamente dalle performance aziendali e dal rispetto delle condizioni di
12
tecnologico, di aumento della forza competitiva e perciò strettamente legata al
modo in cui si utilizzano le risorse produttive stesse. Inoltre il significato di
economicità deve anche essere considerato in termini di soddisfazione delle attese
di tutti i partecipanti alla vita dell’azienda. Nelle aziende non profit e in quelle
pubbliche in genere, si può ritenere di aver conseguito una situazione di
economicità quando si presenta un bilancio in pareggio, ottimizzando così le
risorse a disposizione.
La socialità delle aziende deriva da un’esigenza della società e dell’ambiente con
cui le imprese hanno un rapporto continuo e dinamico che non può più
soffermarsi solo sull’aspetto economico. Ciò comporta una allargamento delle
istanze dell’azienda e quindi una maggiore richiesta di socialità della gestione,
generando un nuovo modo di governare. La socialità della gestione si realizza in
tutte quelle forme d’incentivazione che fanno convergere la volontà dei vari
stakeholder con gli interessi dell’impresa di mantenere la capacità di reddito, e,
allo stesso tempo, aumentare il livello di legittimazione sociale.
La possibilità effettiva di conciliare economicità e socialità presume
un’imprenditorialità particolarmente sensibile alle istanze sociali, ma comunque
attenta agli aspetti dell’equilibrio economico che cerchi soluzioni creative e
innovative6.
1.2 Le aziende for profit
L’azienda è, come abbiamo detto, un sistema di forze economiche che sviluppa,
nell’ambiente in cui è parte, un processo di produzione, o di erogazione, o di
erogazione e produzione insieme, a favore del soggetto economico e degli
individui che vi cooperano.
Le aziende di produzione, dette anche imprese, assolvono un compito produttivo
di beni o servizi per il mercato. Per le imprese si attua nel tempo una concatenata
equilibrio che consentono il funzionamento delle aziende. Le determinanti dell'economicità sono la
performance aziendale e le condizioni di equilibrio.
6
Chirieleison (2002), pag. 11-14.
13
catena di input (acquisizione di fattori produttivi) e di output (produzione di beni
e/o servizi, mercati di sbocco), consentiti dalla produzione svolta, che costituisce
la loro attività tipica. Tale funzione permette di conseguire reddito dal confronto
fra i costi relativi alla fase di input e i ricavi ottenuti con la fase di output.
La funzione di produzione, se è vitale per le imprese, lo è anche per il contesto
economico e sociale in quanto garantisce la disponibilità di beni e di servizi
necessari e richiesti dai cittadini e da altre aziende7.
In passato il fine ultimo dell’impresa era la massimizzazione del profitto, posto al
vertice dell’ipotetica piramide degli obiettivi aziendali. Tale mentalità portava a
valutare l’impresa come un’organizzazione in grado di perseguire un’unica
finalità, non prendendo in considerazione altri elementi importanti come una
maggiore sensibilità verso gli aspetti dell’ambiente interno ed esterno: compito
dell’imprenditore o del manager era conseguire il massimo profitto possibile
senza curarsi delle implicazioni etiche e sociali che inevitabilmente la gestione
d’impresa porta con se.
Il crescente benessere provoca però la nascita di nuove esigenze, alcuni materiali,
altri che, invece, non possono essere soddisfatti attraverso l’acquisto di beni di
consumo; infatti l’impresa va oggi collocata in un contesto organizzativo e sociale
in grado di soddisfare, in vari modi, i bisogni di sicurezza, di stima e socialità
degli interlocutori tra cui i dipendenti.
L’azienda non può essere considerata unicamente come un insieme di fattori
finalizzati all’ottenimento di risultati di natura economica, ma va anche vista alla
luce del ruolo e del compito che svolge nella società; perciò deve essere ricercata
una giusta misura tra interessi particolari delle singole unità produttive e interessi
generali dell’intera collettività8.
La spinta alla “considerazione” della funzione sociale trova spiegazione nello
stimolo dell’impresa di conseguire profitto dall’attività produttiva svolta.
Il profitto, comunque, resta la molla fondamentale che spinge i soggetti economici
interessati all’impresa, a gestirne le attività, orientandoli alla produzione
economica di beni e servizi per il mercato.
7
Propersi (2001), pag. 13-14.
8
Andreaus (1996), pag. 46-47-52.
14
Per le imprese, il fine lucrativo della gestione orienta tutta la politica aziendale e il
perseguimento del reddito costituisce oltre che il fine dell’impresa anche il
miglior strumento per misurare sempre se stessa, ossia se sta conseguendo i suoi
fini ed in che misura. Se infatti non alimenta la sua gestione con il reddito e il
consumo di ricchezza viene estromessa dal mercato9.
In definitiva possiamo dire che oggi è difficile fare una distinzione netta tra
aziende di produzione e aziende di erogazione in quanto esse, comunque,
perseguono la finalità della soddisfazione dei bisogni umani. Le aziende di
produzione devono produrre ricchezza e non devono sostituire l’obiettivo
economico con altre finalità di ordine sociale ed etico, ma questi obiettivi devono
congiungersi armonicamente.
1.3 Le aziende non profit: definizione
Le espressioni “non profit” o “terzo settore” sono tra le più comuni nel nostro
paese per definire le organizzazioni senza fini di lucro che operano con obiettivi di
utilità sociale10.
Il terzo settore sta diventando sempre più un soggetto privilegiato con cui le altre
istituzioni devono e vogliono confrontarsi11.
La rilevanza del non profit come fenomeno di sviluppo e spinta per la crescita dei
sistemi economici è indirettamente correlata al proliferare di studi e ricerche che,
nel corso degli ultimi anni, hanno avuto come oggetto il terzo settore. In
particolare è possibile distinguere due filoni di indagine:
uno teso a delineare le aziende non profit per il ruolo sociale che svolgono
e per le peculiarità del circuito economico che avviano;
9
Propersi (2001), pag. 14-15.
10
Esistono comunque altre definizioni coniate da diversi soggetti con differenti obiettivi, che
vengono utilizzate ed interscambiate per descrivere lo stesso fenomeno: terzo sistema, terza
dimensione, privato sociale, economia sociale, economia civile, economia associativa, economia
solidale. A volte la scelta di una definizione è dettata dall’intenzione di sottolineare una specificità,
o di mettere in risalto un aspetto che si ritiene importante.
11
Propersi (2001), pag. 20-21.
15
l’altro che si propone di individuare gli elementi caratterizzanti delle
aziende non profit.
Il settore del non profit gode di una discreta visibilità soltanto negli ultimi anni,
sebbene sia rappresentativo di un fenomeno che, nel nostro paese, ha radici
profonde ed antiche12.
A partire dagli anni ’50 in Italia, come in gran parte del mondo occidentale, il
dibattito attorno al concetto di Welfare State13, ossia al ruolo dello Stato come
garante delle condizioni di benessere, è stato molto intenso. Tale dibattito è nato
dalle crescenti difficoltà incontrate dallo Stato nel sociale e nelle politiche volte a
ridurre le situazioni di rischio e di incertezza del cittadino. Il fallimento dello
Stato Sociale è dovuto principalmente ad una degenerazione del sistema del
Welfare; nel caso italiano inoltre, il politico è stato portato a vedere lo Stato
Sociale come strumento di gestione del consenso, mentre dal lato del cittadino la
gratuità delle prestazioni ha determinato un eccessivo ricorso alle stesse, con
ovvie ripercussioni sui costi.
Lo spazio che viene lasciato libero dallo Stato Sociale viene occupato dalle forme
di Azienda non profit (Anp), con riferimento ad aziende nate e governate con
motivazioni differenti dall’aumento ricchezza: il volontariato e l’associazionismo
divengono così essenziali per garantire quei sevizi che lo Stato non può o non
vuole più garantire e che il privato difficilmente prende in considerazione, in
quanto non remunerativi14.
Le aziende che non perseguono fini di lucro ma finalità socialmente rilevanti,
attraverso l’erogazione organizzata di servizi di utilità collettiva orientata a
soddisfare bisogni di gruppi sociali o della società nel suo insieme, costituiscono
il settore delle aziende non profit, denominato appunto terzo settore15.
12
D’Angelo (2005), pag. 29.
13
Il termine "Welfare State" ("Stato sociale"), viene utilizzato a partire dalla seconda guerra
mondiale per designare un sistema socio-politico-economico in cui la promozione della sicurezza e
del benessere sociale ed economico dei cittadini è assunta dallo Stato, nelle sue articolazioni
istituzionali e territoriali, come propria prerogativa e responsabilità. Dalla metà degli anni 1960 si
è cominciato a parlare di "Stato assistenziale", come degenerazione dello "Stato sociale", per
indicare la crisi profonda di tale modello nella generalità dei paesi in cui è stato adottato.
14
Andreaus (1996), pag. 71-74.
15
I soggetti che operano nel terzo settore si distinguono dalle famiglie in quanto non sono istituti
naturali; dagli enti della pubblica amministrazione in quanto non basano la loro attività sui mezzi
16
La denominazione di terzo settore ha una valenza storica e serve ad esprimere un
fenomeno nuovo e difficilmente inquadrabile sotto un’unica denominazione.
Questa storia parla di una società che si auto-organizza, diventando azione sociale
e collettiva che da risposte concrete ai bisogni (sociali, economici, politici) che
emergono al suo interno. Dal mutualismo alla cooperazione, dal lavoro di
comunità al volontariato, dall’economia sociale alla solidarietà popolare,
dall’attivismo civico al terzo settore, la società italiana nel corso degli ultimi due
secoli di storia ha dimostrato capacità di innovazione e di auto-organizzazione,
tenendo insieme alcuni valori di fondo: la promozione dei diritti e
l’emancipazione sociale, la partecipazione democratica e la solidarietà16.
La definizione stessa di terzo settore connota qualcosa come terzo rispetto ai primi
due settori, il mercato e lo Stato, dei quali mutua rispettivamente la natura privata
e la produzione di servizi di utilità collettiva. Nel terzo settore si esprime una
critica agli equilibri tra Stato e mercato che la politica ha fin qui favorito e
sostenuto. Entrambi questi universi e le rispettive culture sono respinti, ad
entrambi si contrappone uno spirito non profit che ricerca e produce beni
comuni17.
Le caratteristiche operativo-funzionali utili a identificare le organizzazioni di terzo
settore sono:
il configurarsi di un agire collettivo, dotato al contempo di caratteristiche
della comunità e della società;
il costituire un complesso di formazioni sociali all’interno delle quali
vengono attivati meccanismi stabili di solidarietà allargata che prendono
corpo nell’ambito del terzo settore, ma che si estendono all’esterno di esso
nel più vasto tessuto sociale;
l’essere organismi caratterizzati dalla produzione di bene comune nella
specifica accezione di bene relazionale, inteso come output di una azione
svolta insieme ad altri, secondo finalità solidaristiche.
raccolti attraverso imposte, tasse e contributi obbligatori; dalle imprese perché non hanno come
finalità prevalente la remunerazione dei fattori produttivi secondo le dinamiche del mercato
16
Cimini, Lombardi, Marcon, Neletto (2005), pag. 41.
17
Iovene, Viezzoli (1999), pag. 82.
17
Il terzo settore interviene in tutti quei campi in cui a scambiarsi non sono merci
ma “beni relazionali” i quali per produrre occorre una grandissima componente di
lavoro umano, non sostituibile dall’innovazione tecnologica, e un forte
radicamento territoriale. Questi campi sono decisivi in una concezione rinnovata
di Welfare, perché rispondono a bisogni insoddisfatti o diritti emergenti, sui quali
né lo Stato né il mercato si impegnano o sono in grado di farlo, e per i quali il
terzo settore può operare contenendo i costi e garantendo un’efficacia ed
un’efficienza maggiori, grazie ad una flessibilità operativa, alla sensibilità sociale,
nonché alla forte motivazione ideale dei suoi protagonisti, alla capacità di
mobilitare gratuitamente risorse umane e materiali (tramite le donazioni) assai
significative. Questa capacità di leggere i bisogni, di organizzare ed esprimere la
cittadinanza attiva nelle sue diverse forme ed esperienze, di promuovere una
dimensione sociale e collettiva, rende decisive le realtà del terzo settore come
soggetti attivi della democrazia e della tenuta del tessuto sociale18.
Tra le definizioni che inquadrano le aziende non profit, elencando i
parametri/vincoli che devono essere rispettati, se ne segnalano due:
La prima, fornita da Bassanini e Ranci (1990)19, considera “appartenenti al terzo
settore le organizzazioni che rispondono: al carattere privatistico, all’assenza di
scopo di lucro e all’erogazione di servizi a favore dell’intera collettività, e non dei
soli associati”. Questa definizione esclude dal settore non profit tutte le aziende
che operano principalmente in favore dei propri associati. Tale esclusione appare
non condivisa da numerosi autori i quali distinguono le aziende non profit in due
categorie: aziende non profit public benefit, che producono ed erogano
beni/servizi al fine di favorire il soddisfacimento di bisogni di soggetti esterni
all’organizzazione e volte ad equilibrare il contesto economico-sociale; aziende
non profit mutual benefit, che si caratterizzano in quanto l’attività svolta viene
18
Iovene, Viezzoli (1999), pag. 13
19
Maria Chiara Bassanini (Milano, 1 giugno 1940) Svolge attività di ricerca e consulenza per la
programmazione e lo sviluppo organizzativo dei servizi socio-sanitari per Regioni enti locali,
istituzioni culturali. Si occupa in particolare di sviluppo della qualità dei servizi, di valutazione e di
formazione dei quadri dirigenti e degli operatori. Emanuele Ranci Ortigosa (Milano, 8 gennaio
1938) Svolge dal 1971 attività di ricerca, consulenza, formazione. La sua attività di ricerca si è
svolta sulle politiche sociali; la spesa sociale; la programmazione, l'organizzazione e la valutazione
dei servizi sociali e sanitari; la formazione della dirigenza e degli operatori professionali.
18
orientata a esclusivo vantaggio dei membri o degli associati all’organizzazione. La
definizione di Bassanini e Ranci esclude perciò le aziende mutual benefit dal
comparto non profit.
La seconda, che pone l’accento sulle caratteristiche che le aziende devono
possedere per essere considerate non profit è quella di Salamon e Anheier (1997).
Per gli autori, gli elementi che permettono di individuare un’azienda non profit
sono cinque:
1. Costituzione formale: l’organizzazione deve essere dotata di alcuni elementi
che ne confermino l’esistenza e le principali regole organizzative che
determinano la vita sociale. Si richiede, pertanto, la presenza di un atto
costitutivo, di uno statuto o di altri documenti che sanciscono la costituzione
della non profit.
2. Natura giuridica privata: escludendo così tutti gli enti che hanno natura
giuridica pubblica.
3. Autogoverno: tale criterio riguarda la possibilità che l’amministrazione
delle organizzazioni non profit sia condizionata da soggetti esterni
all’organizzazione stessa. In base al principio dell’autogoverno vengono
fatte rientrare nel settore non profit solamente le organizzazioni che non
sono controllate da aziende pubbliche o private for profit.
4. Assenza di distribuzione di profitto: l’organizzazione non profit è sottoposta
al vincolo di non redistribuzione degli utili, che non possono in alcun modo
essere ripartiti fra i soci, membri o dipendenti.
5. Lavoro volontariato: il settore si avvale della presenza di lavoratori non
retribuiti20.
Alcuni autori individuano le aziende non profit attraverso elementi che, da un lato
colgono i vincoli cui tali organizzazioni sono sottoposte e, dall’altro, individuano
peculiari modalità di funzionamento ed effetti prodotti sul circuito economico. Gli
elementi che consentono di individuare un’azienda non profit sono i seguenti:
20
D’Angelo (2005), pag. 21-23-24-26.
19
non distribuzione degli utili eventualmente conseguiti dall’azienda;
natura privatistica dell’ente;
elementi valoriali, ideali e sociali che influenzano lo svolgimento di
attività che pongono in essere, tra l’azienda e l’ambiente esterno, uno
scambio che riguarda non solo fattori economici;
possibilità per l’azienda di avvalersi del lavoro dei dipendenti e
collaboratori retribuiti e di volontari non remunerati;
prezzo di vendita, cessione dei beni, servizi prodotti dall’azienda che
possano essere o meno pagati dal cliente, beneficiario finale della
prestazione;
beni/servizi prodotti dall’azienda possono essere consumati
individualmente o collettivamente21.
L’assenza di finalità lucrativa non implica l’impossibilità nella produzione di utili,
ma impone che gli utili eventualmente conseguiti alla fine di ogni esercizio, siano
interamente reinvestiti all’interno dell’azienda. In altre parole, non esiste un
divieto alla realizzazione di un utile, ma esiste un obbligo che vincola il profitto,
eventualmente ottenuto, all’autofinanziamento.
Spesso si pensa che quanti lavorano nel non profit lo facciano per motivi di
carattere etico-morale e che, essendo impiegati in una giusta causa, non ottengano
in cambio alcuna remunerazione. Secondo tale concezione il non profit coincide
con il volontariato.
In realtà, pur essendo l’utilizzo dei volontari una delle componenti che qualificano
il terzo settore, buona parte dell’attività delle aziende non profit viene svolta da
personale dipendente che ottiene in cambio una retribuzione monetaria. È quindi
errato ritenere che quanti lavorano nel non profit lo facciano necessariamente
come “volontari”. Il personale ha un ruolo centrale nel processo di creazione del
valore sociale.
21
D’Angelo (2005), pag. 27-28.