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ad ambiti a primo acchito molto distanti e differenti, ma che in realtà sono
accomunati al core brand da associazioni intangibili e astratte molto forti.
All’interno del primo capitolo viene descritta la concezione del termine “valori”, sia
in termini generali, sia ponendo l’accento sul percorso che tale termine ha affrontato;
particolare attenzione è posta ai valori di Rokeach, Schwartz e Kahle, e alle loro
scale di misurazione dei valori.
Nel secondo capitolo si è trattato la concezione del marchio, facendo prima
attenzione a definire e spiegare cos’è il marchio e l’identità di marca, e spiegando poi
il concetto di valore di marca e gli elementi che lo compongono.
Il terzo capitolo è invece dedicato agli studi e agli strumenti circa l’applicazione dei
valori allo studio del brand e dei consumatori, allo studio dei valori nel
comportamento del consumatore e allo studio dei valori nella marca.
Il quarto capitolo è dedicato al brand che è stato preso in considerazione all’interno
della tesi, Henry Cotton’s; dopo la presentazione del personaggio che da il proprio
nome al brand, si è passati a descrivere le tappe e l’evoluzione che il brand ha vissuto
negli anni.
Con il quinto capitolo inizia la parte sperimentale della tesi, e più precisamente in
questo capitolo vengono presentati gli assunti teorici che hanno fatto da sfondo alla
tesi, le ipotesi che sono state indagate, il campione utilizzato nell’indagine, gli
strumenti usati, ed infine la metodologia.
Nel sesto capitolo viene presentata l’analisi dell’indagine compiuta.
Infine, nel settimo, vengono presentate le discussioni finali e le considerazioni
conclusive.
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PARTE PRIMA
Il quadro teorico di riferimento
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CAPITOLO I
I VALORI
Introduzione
Molto si è detto e molto si dirà ancora sulla nozione di “valore”, in quanto i profondi
cambiamenti che la società occidentale sta vivendo hanno riportato in auge il tema
dei “valori”.
I valori costituiscono un costrutto concettuale di grande complessità che talvolta si
integra e si sovrappone ad altri concetti utilizzati nello studio del comportamento
dell’uomo, pur conservando una propria irriducibile autonomia.
Molti comportamenti, sia individuali che collettivi, restano infatti di difficile
comprensione qualora si escluda questa essenziale chiave di lettura. Per questo
motivo l’attenzione verso i valori sta diventando sempre più diffusa in diversi paesi,
soprattutto nell’ambito della ricerca sociale.
I sistemi di valori sono presenti nelle culture più diverse e distanti tra loro, e si può
affermare che nessuno vive in un mondo privo di valori: il sistema valoriale spiega e
giustifica i comportamenti dell’individuo e della collettività.
I valori sono alla base di tre tipologie di bisogni umani universali: bisogni
dell’individuo, richieste di interazione sociale per regolare i rapporti interpersonali e
bisogni sociali istituzionali per il benessere e la sopravvivenza dei gruppi.
“Valore” sembra essere dunque uno di quei termini denominati in semiotica
“termini-ombrello”, in quanto racchiudono al loro interno una vastità di punti di vista
e vari significati, a seconda dell’ambito di applicazione (Eco, 1975).
Il concetto di valore occupa un posto rilevante nella spiegazione psicosociale e
sociologica, nonché in quella storica, morale, antropologica, nella ricerca sui mass
media e sul comportamento di consumo; è un concetto pervasivo e multiforme,
secondo solo a quello di “atteggiamento”.
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Il concetto di valore ha un ruolo essenzialista, nella misura in cui di fatto con esso si
vuole rimandare a dimensioni sottese ai comportamenti osservati.
Il concetto di valore si pone come una variabile esplicativa e presiede alla
individuazione di costanti e regolarità laddove il flusso di coscienza e di
consapevolezza ingenua lasciano intravedere una disordinata e irriverente fluidità
(Musgrave, 1995).
Il significato di “valore” investe sia la sfera oggettiva sia il mondo del soggetto.
Valore è infatti, inscindibilmente, sia ciò cui si riconosce che vale in sé e si impone
da sé, sia ciò che io come soggettività sono in grado di far valere.
Per questa duplicità di costruzione ciò che è valore si conserva come tale a una
doppia condizione: che permanga la sua evidenza intrinseca o il suo imporsi da sé e
che venga confermata l’adesione soggettiva ad esso. Fino a quando le due
componenti del valore non cessano di essere congiunte, il valore gode di credito e di
legittimità. Quando anche solo una di queste deperisce, la sua validità si oscura e la
sua pratica effettiva viene messa a repentaglio.
Per valori si intende un’organizzazione durevole di credenze e atteggiamenti su cosa
bisognerebbe perseguire, da ciò ne consegue che orientano il comportamento e la
presa di decisione (Bellotto, 1997). Ulteriore elemento importante è il fatto che i
valori variano, in quanto sono interconnessi con la realtà, con la cultura e con gli stili
di vita di ognuno di noi.
Vediamo quindi di precisare e procedere ad una classificazione di contribuiti dati dai
diversi scienziati e studiosi delle diverse discipline che si occupano di valori; ci
soffermeremo poi sui contributi dati dagli psicologi nella creazione della teoria dei
valori.
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1.1 Il campo dei valori
Il termine “valore” si incontra in numerosi ambiti della vita quotidiana, si può anzi
affermare che nessun ambito della nostra vita appare privo di riferimenti valoriali. Di
valori e di teorie valoriali si sono occupate diverse discipline, dalla filosofia alla
pedagogia, dalla religione all’estetica, dalla sociologia all’economia.
Il campo semantico di valore risulta confinante e a volte anche condiviso e
contrapposto a concetti quali: volere, valere, interesse, desiderio, motivazione,
importanza, preferenza, senso, ideale, principio, finalità, aspirazione, credenza, etc.
È opportuno distinguere però un fronte “interno” del valore, costituito dai criteri, dai
costumi, dai referenti personali che consentono la valutazione degli oggetti, che si
potrebbe anche chiamare “valore-riferimento” , ed uno “esterno”, costituito dagli
oggetti-valore esistenti nella realtà; una distinzione classica degli oggetti-valore è
quella che individua i valori finali da una parte, quali ad esempio libertà, felicità,
sicurezza, e i valori strumentali dall’altra, ad esempio essere pulito, essere educato,
essere ambizioso (Rokeach, 1973).
Per ciò che concerne la socializzazione dei valori si potrebbe distinguere un doppio
livello, gruppale, valori che rientrano nell’ambito etico della persona (che si associa
alla gruppalità, come la famiglia), e individuale, e quindi i valori che rientrano
nell’ambito morale della persona (dell’individuo, della sua coscienza,..).
I due ambiti di valore, etico e morale, seguono i livelli di socializzazione messi in
luce da Spaltro (1980): nel primo caso, dei valori dell’ordine etico, ci si muoverebbe
dal livello sociale a quello individuale, livello di socializzazione top down
(collettivo-gruppo-coppia-individuo), nel secondo caso, dei valori dell’ordine
morale, ci si muoverebbe dal livello sociale a quello individuale, livello di
socializzazione bottom up (individuo-coppia-gruppo-collettivo).
Dal punto di vista del marketing, i valori sono definiti come aggregati di senso
coerenti, duraturi, moralmente vincolanti, capaci di individuare le scelte individuali
per un periodo di tempo sufficientemente prolungato (Fabris 2004). Sono elementi
che fondano l’identità sociale e la specificità individuale e di gruppo ma, allo stesso
tempo, sono i nuclei attraverso cui si passano e si consolidano processi di
differenziazione sociale.
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L’ambito della produzione delle merci ha ospitato in sé il valore di scambio e il
valore d’uso, mentre il valore di verità riguardavo l’ambito del sapere, il valore del
bene, l’etica.
1.1.2 Valore come simbolo sociale
Una prima questione ci viene posta dalla sociologa Heller che rimprovera ai
pensatori occidentali di
porre il valore come categoria dell'essere e non come categoria primaria della prassi
sociale.
A suo dire l'origine del valore sarebbe insita nella storia e non nell'uomo. Per La
Heller quella del valore è una categoria socio-ontologica universale, non preesistente
né posteriore all'interazione umana, ma in essa connaturata. La corrispettiva
categoria dell’individuo sarebbe invece il bisogno.
Sebbene il carattere sociale del valore, o quanto meno la presenza al suo interno di
attributi culturali, sia un elemento acquisito in psicologia, non penso che quest’ultima
possa esimersi dal considerare il ruolo che il bisogno ha nella formazione dei valori.
La formazione dei valori è probabilmente la risultante di diverse forze che agiscono a
vari livelli: la psicologia ha il compito di considerare quali possono essere le
motivazioni più profonde che giustificano la formazione di tali costrutti, così come di
considerare quelle dinamiche più specificatamente relazionali e culturali che danno a
essi forme e funzioni ben precise in contesti diversi. Come psicologi non possiamo
quindi concordare pienamente con la Heller quando afferma che “Quale categoria
socio-ontologica, i valori non possono essere derivati dai bisogni (categorie
dell'individuo), né possono essere misurati su di essi."
In psicologia sembra essere abbastanza condiviso il ruolo dei valori quali mediatori
tra le esigenze di sopravvivenza dell'individuo e il suo incontro con un ambiente che
gli si rivela in modo del tutto
particolare, se confrontato con quello degli altri animali. Per questi ultimi il
soddisfacimento dei bisogni primari avviene in modo automatico grazie alla presenza
di set comportamentali innati che li rende presto idonei alla lotta per la
sopravvivenza propria e della specie. Per l'uomo la situazione è diversa. Come
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afferma il padre della Teoria dei Sistemi Von Bertalanffy, la scarsezza di meccanismi
di comportamento innati, la posticipazione della pubertà che allunga il periodo di
apprendimento, e la mancanza di difese comportamentali che lo rende dipendente
dalle cure materne per lunghi anni, fanno sì che "l'uomo non possa sentirsi al sicuro,
come gli animali, in un ambito ridotto al suo apparato sensoriale ed alle sue reazioni
innate. Egli deve costruirsi la propria cultura specifica e, per svilupparla, l'uomo deve
essere un animale sociale. La comunicazione diviene pertanto una necessità biologica
per l'uomo." Ecco perché ciò che differenzia il genere umano è l'evoluzione del
simbolismo.
L’uomo, in quanto “animale sociale”, affianca alla propria evoluzione filogenetica
un’evoluzione "filo-simbolica", all’interno della quale gioca un ruolo determinante
l’evoluzione dei valori.
Il simbolo, dal greco sim-bállo, è mettere insieme, unire. Il valore, in quanto simbolo,
ha la funzione
di permettere il collegamento, la comunicazione tra possessori di questa semantica
comune: cioè tra
uomini. O tra alcuni uomini. Gruppi diversi di uomini possono “parlare” linguaggi
valoriali diversi e fare della diversità valoriale uno strumento di coesione interna, di
identificazione. La comunicazione può così diventare estremamente facile, e forse
anche estremamente povera, con i membri del proprio gruppo, e
contemporaneamente difficile o impossibile con i membri di altri gruppi.
1.1.3 Valore come "valenza" dell'oggetto
Non tutti però concordano con questo punto di vista. Per alcuni teorici il valore
assumerebbe esclusivamente la funzione di "valenza", sarebbe cioè un semplice
attributo delle cose che può essere intrinseco alla cosa stessa o derivare da un suo
utilizzo in un dato contesto. Nel primo caso rientrano quegli studi di problem-solving
nei quali si cerca di evidenziare quali debbano essere le dinamiche che permettono di
attribuire il giusto valore a ogni oggetto della situazione, il valore, cioè, che permette
di risolvere il problema. In questi casi la situazione è ben strutturata, il problema
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ben definito e la soluzione è preesistente e solo da scoprire. Come afferma A.
Blanchet (1986), descrivendo le modalità in cui i bambini risolvevano il problema
del lupo, la capra e il cavolo, "L'attribuzione dei valori corretti agli elementi e al loro
spostamento facilita il lavoro di pianificazione e di gestione. (...) In questa esperienza
il suggerimento dei valori buoni facilita l'organizzazione teleologica della soluzione
(organizzazione mezzo-fine)."
Il secondo caso è invece difeso soprattutto dai comportamentisti (Skinner, 1971) che
vedono nelle semplici dinamiche di rinforzo il processo che porta ad attribuire un
valore maggiore a un oggetto,
piuttosto che a un altro, perché rivelatosi in più occasioni utile ai bisogni
dell'individuo. Per il cane di Pavlov lo sperimentatore era un valore, così come lo è
diventato, in seguito a processi di generalizzazione, l'uomo in quanto categoria di
oggetti che soddisfano il bisogno di cibo.
A questo proposito, e alla luce di quanto detto precedentemente, mi preme
sottolineare che questo discorso può essere valido per il cane di Pavlov, e solo nella
misura in cui parliamo di “valenza contingente” e non di valore. Per Pavlov il
discorso è diverso: in quanto uomo può pensare al genere umano in modo simbolico,
e quindi andare al di là della sua valenza specifica legata alla soddisfazione di
bisogni contingenti.
1.1.4 Valore e bisogno
Riprendiamo quindi la questione del rapporto tra valori e bisogni ricordando quanto
detto precedentemente, e cioè che la formazione dei valori è stata il frutto di un
processo simbolico che si è reso necessario dalla incapacità dell'uomo di soddisfare i
bisogni biologici all'esterno di un sistema sociale.
Un approccio teorico che vede nelle esigenze di sopravvivenza la formazione dei
valori è la psicoanalisi. Greenbaum Henry (1980) definisce la loro origine come
segue: "I valori hanno le loro radici nell'impulso dell'uomo di sopravvivenza e di
miglioramento della vita. Oggetti e situazioni che generano piacere, soddisfazione e
sicurezza diventano di valore. I valori sono cristallizzazioni o
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precipitati cognitivi ed affettivi derivati dall'interazione dell'individuo con il suo
ambiente."
La genesi dei valori sembra quindi da ricondursi nella valorizzazione attribuita a
quegli oggetti in grado di soddisfare le richieste di piacere dell'Es, così come per la
E. Jacobson (1964) che afferma che "La prima nozione infantile di ciò che è di valore
o senza valore nasce con la distinzione fatta tra esperienze orali piacevoli e
spiacevoli." La genesi dei valori è quindi simile a quella proposta da Skinner.
Ma ciò che differenzia la concezione psicodinamica da quella comportamentista è il
fatto che, con la crescita dell'individuo, non solo oggetti, ma anche attributi psichici
possono diventare dei valori: nel processo di sviluppo psichico, le nuove strutture che
affiancano l'Es (Io e Super-Io) diventano sedi di nuovi valori più astratti, più
confacenti alla nuova capacità acquisita di posticipare la gratificazione del piacere.
I valori, fino ad allora attribuiti solo a oggetti, divengono più "assoluti" (nel senso di
absoluti, cioè sciolti dal legame con l'oggetto) ma, paradossalmente, più condivisi. Si
"slegano" dagli oggetti per legarsi, e legare, gli individui. Come afferma Erikson
(1959) "Sebbene vi sia una predisposizione innata a sviluppare valori, non vi sono
valori innati. I valori sono acquisiti attraverso un lungo processo di conoscenza
attraverso identificazioni con i genitori, gli insegnanti, i capi religiosi e gli eroi
ideologici. Il processo di acquisizione dei valori è un processo di incorporazione.
I valori appartengono alla famiglia o alla più ampia cultura, e precedono l'individuo
che li incorpora." È nel momento in cui entra in crisi il meccanismo innato di
soddisfazione materna dei bisogni biologici che il bambino viene spinto a nuovi
modelli di adattamento più consoni a quello della comunità di cui fa parte. Questo
processo di acquisizione, anche per il contenuto dei valori, fa appello ai ben noti
processi di identificazione ed introiezione.
La diversità tra i valori dell'individuo e quelli parentali e culturali, come sostiene H.
Greenbaum, dipende dal fatto che "Non c'è sempre una linea retta tra i valori dei
genitori e quelli dei figli.
Le vicissitudini dell'identificazione sono complesse e tortuose. Un bambino può
spesso acquisire la controparte inconscia dei valori apertamente professati dai
genitori" (H. Greenbaum, 1980). Allo stesso modo è ragionevole sostenere che i
valori e i sistemi di valori non sono accettati ciecamente, ma sono giudicati
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dall'individuo in relazione al miglioramento della propria vita. Per poter funzionare,
ogni individuo deve evolvere il proprio sistema gerarchico di valori , e sviluppare un
proprio standard di giudizio di valore, così come, per rispondere a cambiamenti del
proprio ambiente, individui e società devono evolvere nuovi valori. Senza nuovi
valori, l'evoluzione e l'adattamento non avviene. Possiamo così definire i valori come
un luogo di incontro tra le richieste dell'Es, del Super -Io e della Realtà: il luogo
psichico dei valori pare essere quindi l'Io.
Un altro contributo sul rapporto tra bisogni, valori, ed interessi ci giunge da D. Super
(1995): "I bisogni sono mancanze, manifestazioni di condizioni fisiologiche come la
fame, e hanno a che fare con la sopravvivenza. Sono il risultato dell'interazione tra la
persona e l'ambiente, e si manifesta così nella ricerca di aiuto dagli al tri e, in una
forma più raffinata, nel bisogno di aiutare gli altri.
I valori sono il risultato di un ulteriore raffinamento attraverso l'interazione con
l'ambiente sia naturale che umano. Il risultato della socializzazione è lo stabilire tipi
di oggetti che le persone cercano al fine di soddisfare i loro bisogni. Il bisogno di
aiuto così diventa amore, e il bisogno di aiutare diventa altruismo. Gli interessi sono
le attività con le quali le persone si aspettano di ottenere i loro valori e così
soddisfare i loro bisogni. (...) Secondo questa formulazione teorica, gli interessi sono
più vicini al comportamento attuale dei bisogni e valori. Il bisogno, la mancanza di
qualcosa porta a dare valore a qualcosa che sembra adatto a soddisfare quel bisogno."
Sebbene quest'ultima frase sembra ricondurre la concezione di valore all'interno di
quella di "valenza", il pensiero di Super vi differisce in modo netto perché, secondo
l'autore, il valore nasce nel momento in cui l'uomo interagisce con un altro ambiente,
diverso da quello naturale, che è l'ambiente umano.
Ed è questo tipo di interazione che, non potendo prescindere dalla comunicazione,
richiede la capacità di utilizzare un linguaggio simbolico, quello che Super chiama
"un'ulteriore raffinamento".
Per la psicologia sociale, la principale mediazione che viene svolta dai valori è
quindi quella tra i bisogni individuali e la realtà sociale: ecco perché è alta la
componente culturale nel contenuto dei valori. Sistemi di valori costruiti
individualmente, a partire dai soli bisogni individuali, non sarebbero più sistemi di
valori ma eventualmente sistemi di bisogni.