Questa definizione ha permesso di introdurre il rapporto tra persona e atto. Analizzando in
che modo la prima possa fondare e precedere gli atti stessi, è stato mostrato come le
essenzialità degli atti, ottenute per riduzione fenomenologica, rimangano essenzialmente
astratte, nel senso di essere incomplete in se stesse e quindi bisognose di completamento in
vista del loro possibile poter esistere, se non vengono riferite all’essenza della persona
come loro “agente”, inteso come colui che compie questi atti. Dal momento che ad ogni
atto inerisce la persona nella sua totalità, la quale varia nell’ambito e per mezzo di esso,
senza esaurire nell’atto stesso il suo essere e senza essere soggetta a mutamento, si è
esposta successivamente la caratteristica del divenir-altro della persona, chiarendo come
essa possa configurarsi come un’identità nel cambiamento.
Nell’ultima sezione del capitolo, sono stati trattati i problemi dell’individuazione e della
conoscibilità della persona. La prima è stata illustrata ponendo l’attenzione sulle
argomentazioni metafisico-ontologiche e quelle fenomenologiche, che Scheler utilizza per
motivare la non-identificabilità della persona con il corpo e con la psiche, e la centralità
che riveste lo spirito, come elemento costitutivo della persona. Per la seconda, si è invece
ritenuto opportuno esporre semplicemente le modalità in cui essa avviene, il con-
compimento degli atti e il comprendere, e la condizione prerequisita affinché essa avvenga,
la libera rivelazione di sé.
Nel capitolo successivo, si sono prese in esame quattro relazioni costitutive della persona:
la relazione con il mondo, con la psiche, con il Leib e infine quella con l’altro. La prima
rappresenta quella più originale e costitutiva della persona. Questa si presenta, infatti, come
essenzialmente “aperta al mondo” [weltoffen]. Si è distinto così il mondo dal mondo-
ambiente [Umwelt]. Mentre quest’ultimo è costituito dall’insieme degli oggetti empirici
reali, che si presentano all’uomo nell’atteggiamento naturale come correlato della sfera
corporeo-vitale, il primo è, invece, quell’orizzonte più vasto costituito dall’insieme di dati
oggettivi. Poichè la persona è essenzialmente “aperta all’essere” ed ha come correllato
oggettivo il mondo, ne consegue che per Scheler, persona e mondo, nel loro reciproco
corrispondersi, costituiscono la struttura originaria, intrascendibile e suprema dell’essere
stesso. Se, infatti, la categoria dell’essere è astrattamente più vasta di quella di atto e di
oggetto, dato che ha sotto di sé sia l’essere-atto che l’essere-oggetto, l’essere concreto si dà
solo nel rapportarsi di persona e mondo. D’altra parte, il combaciare originario fra
orizzonte del mondo e quello della persona deve essere inteso come il combaciare
originario dell’essere e della presenza personale dell’essere. A questo punto afferma
Scheler che ad ogni persona individuale non può che corrispondere un mondo individuale:
come ogni atto appartiene ad una persona, così ogni oggetto appartiene ad un mondo.
Quindi, ogni mondo diviene concreto soltanto in quanto sia mondo di una persona e gli
oggetti acquistano concrezione solo se riferiti ad un mondo personale.
È stato dato ampio spazio anche al rapporto tra persona e psiche, ritenendo che esso
costituisca, da una parte, una delle tematiche che Scheler ha affrontato con maggiore
interesse anche in periodi diversi, e, dall’altra, uno dei tratti più innovativi del suo
pensiero. Per approfondire il tema, si è presa in considerazione l’opera Gli idoli della
conoscenza di sé. Attraverso la sua analisi, si è giunti a due concetti di grande rilevanza per
il nostro autore: la distinzione tra la persona e la psiche e l’indisgiungibilità della sfera
fisica e della sfera fisica. In seguito sono state esposte le caratteristiche distintive delle due
sfere.
Un’altra relazione costituva della persona è quella che essa intrattiene col Leib. Una volta
distinto il Körper dal Leib, si è arrivato, attraverso la critica della tesi del Leib come corpo
animato, alla caratterizzazione di quest’ultimo come fenomeno originario della persona,
dato ad essa nell’incrocio di due tipi di percezione, quella interna e quella esterna, essendo
in sé psicofisicamente indifferente. Esso non è quindi la somma delle sensazioni organiche,
ma solo la forma che le collega e le caratterizza.
Sono state esposte successivamente le critiche che Filippone, Ferretti e Lorscheid
rivolgono alla concezione del Leib scheleriano e alla problematica della relazione tra
persona, Ich e Leib. In questo modo è stata posta in evidenza la concezione unitaria che
Scheler aveva della persona.
Una volta esaminato come Scheler concepisce il mondo psichico e quello corporeo e i
rapporti intercorrenti tra persona psiche e Leib, ho affrontato l’argomento dell’io altrui.
Anche in questo caso si è preferito rimanere fedeli al percorso scheleriano, esponendo, in
una prima fase, la critica dell’autore alle teorie dominanti (la teoria della conclusione per
analogia ed quella dell’entropatia) e dei loro presupposti, per poi esporre, successivamente,
la tesi dell’autore e le sue argomentazioni. Difatti secondo Scheler, l’esperienza, che mette
in evidenza il nostro immediato percepire la vita psichica altrui, è il Mit-fühlen. Scheler
afferma che «ogni simpatia (Mit-gefühl) comprende l’intenzione di provare il dolore e la
gioia che si ha nell’esperienza dell’altro»
2
. In altre parole: noi partecipiamo al sentimento
dell’altro, percependolo come sentimento dell’altro e lo facciamo in modo da “viverlo in
noi”. In ragione di ciò, l’autore pensa di poter concludere che ciò che anzitutto percepiamo
negli altri uomini non sono né i corpi fisici estranei [fremde Körper], né l’io o le anime
altrui, bensì le totalità unitarie.
È fondamentale, per Scheler, cogliere la persona non solo nella sua individualità, ma anche
negli atti che compie come membro di una comunità di persone. In virtù di ciò, ho
analizzato nel terzo capitolo il rapporto tra la persona singola e la collettività. Nel
compimento d’ogni atto, la persona singola ha infatti di se stessa un vissuto tale da sapersi
membro di una comunità personale comune [Personengemeinschaft] d’un determinato
tipo. Tale sapere originario è sempre indipendente dalle singole esperienze che l’uomo può
fare delle altre persone, essendo collegato alla natura stessa di una classe di atti
eideticamente propri della persona: gli “atti sociali” [soziale Akte]. Questi sono oggettivi in
virtù della loro stessa essenza intenzionale, non quindi solo in ragione dei loro oggetti, e
perciò si verificano solamente nell’ambito di una comunità. Dal momento che per Scheler
ciascun uomo è situato in una totalità di vissuti correlati a un punto centrale di cui è
“membro”, è stata definita questa totalità «“storia” nella sua estensione temporale e “unità
sociale” nella sua simultaneità»
3
. L’uomo, come soggetto etico, è situato in quest’insieme
come corresponsabile di tutto ciò che si ponga come eticamente rilevante in esso. Ora, i
centri dell’esperienza vissuta in modo originario in questa totalità aperta del vissuto
condiviso sono ciò che l’autore connota come “persona comune” [Gesamtperson]. Ogni
unità sociale ha senso solo se si pone come espressione parziale di questo tipo di persona.
Di riflesso, la persona finita è sempre una componente di un’unità sociale e quella comune
di una persona comune più ampia.
Successivamente è stato mostrato come ogni persona finita “implichi” sempre la possibilità
d’una persona singola e di una persona comune. Da ciò si è dedotto che per Scheler la
persona singola e la persona comune devono essere reciprocamente correlate all’interno
2
M. Scheler, Essenza e forme della simpatia, a cura di G. Morra, Roma 1980, p. 59.
3
M. Scheler, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, op. cit., p. 635.
d’ogni eventuale persona finita concreta. Nonostante questo rapporto di correlazione,
nessuna delle due rappresenta il fondamento dell’altro.
Al termine della trattazione ho riportato la descrizione dei vari tipi di unità sociali, le loro
caratteristiche, le relazioni tra loro sussistenti e i principi a priori della vita collettiva,
secondo l’ordine elaborato da Scheler: in primo luogo, la massa; in secondo luogo, la
comunità di vita; in terzo luogo, la società; e infine, la persona comune.
Nell’ultimo capitolo, si è tracciato un percorso all’interno dell’etica scheleriana, al fine di
introdurre il concetto di persona-amore e rendere comprensibile il suo primato all’interno
della scala dei valori. Difatti, per Scheler, il grado supremo della vita emozionale della
persona è ricoperto dagli atti d’amore e d’odio, che non sono delle semplici reazioni
emotive, ma vengono concepiti come «il moto intenzionale [intentionale Bewegung], in cui
a partire da un valore dato A di un oggetto, si realizza il fenomeno del suo valore
superiore»
4
per l’amore; e quello del valore inferiore per l’odio. L’amore è diretto, quindi,
originariamente agli oggetti dotati di valore, ed anche agli uomini, solo in quanto siano
portatori di valori e capaci di un innalzamento dei valori. Ricordando, inoltre, che Scheler
sostiene il primato assiologico della persona e considera i valori personali [Personwerte]
superiori ai valori cosali, si sono definiti i primi come i valori morali veri e propri, proprio
perché sono gli unici che si riferiscono alla persona come ad un loro soggetto. Fatte queste
considerazioni, ho mostrato in che senso per l’autore il primato all’interno della scala dei
valori spetta alla persona-amore. Sinteticamente si può affermare che per Scheler asserire
che l’essere reale della persona è il soggetto portatore originario dei valori morali, e che i
valori della persona sono superiori ad ogni altro valore, si riconduce a dire, tenendo
presente ciò che si è affermato sull’amore, che la persona è essenzialmente amore e che la
persona-amore è il valore supremo. Quindi non ogni tipo d’amore è di per sé oggetto di
valore morale positivo, ma soltanto l’amore della persona verso la persona medesima e,
inoltre, non l’amore verso una persona per le sue qualità, doti, o per i valori di cui è
portatrice, bensì soltanto per la persona nel suo valore di persona, per la persona-valore
[Wertperson] appunto. Per comprendere il senso della tesi scheleriana, ci si deve riferire al
concetto di persona come centro individuale di atti di ogni tipo, in cui soltanto i vari atti
4
M. Scheler, Essenza e forme della simpatia, op. cit., p. 233,
divengono concreti, mentre essa in quanto tale non può essere riportata a nessuna somma
di qualità astratte. La persona individuale è difatti per l’autore qualcosa di ultimo. Ora,
l’unico atto che può cogliere tale individualità personale e manifestarne il valore è l’atto
d’amore della persona in quanto persona. Quest’ultima non può inoltre in alcun modo
essere ridotta ad oggetto: ciò che piuttosto può essere oggettivato è solamente il suo corpo
o la sua psiche. L’unico modo che consente di amare la persona in quanto tale, rivelandola
nel suo valore morale più profondo è quindi per Scheler il compiere con lei, cioè co-
eseguire, il suo stesso atto d’amore. In conclusione: ponendo in evidenza il fatto che i
valori della persona sono superiori ai valori della cosa, che i valori morali sono
essenzialmente valori della persona e infine che il valore morale superiore è l’amore per la
persona, attuabile solo amando la persona stessa, ho cercato di spiegare sia perché Scheler
ponga conseguentemente la persona-amore al vertice della scala dei valori, sia perché il
manifestarsi di tale amore nel reciproco amore sia al culmine dei valori. Nell’ultima parte
dell’elaborato, mi sono perciò soffermato ampiamente sulla tesi della persona amore.
ritenendola il tratto più innovativo e interessante della filosofia scheleriana.