4
coppia, dinamiche relazionali relative al potere e al controllo)
e dai fattori socio- demografici (età, sesso, livello socio-
economico) (Bennett, Tolman, Rogalski, Srinivasaraghavan,
1994).
Il fenomeno della violenza delle donne contro i loro partner nel
contesto dell’abuso di alcol è meno conosciuto.
Per la maggior parte degli studiosi l’effetto dell’alcol sulla
violenza coniugale nelle donne sarebbe nel senso della
vittimizzazione, ovvero aumenterebbe il rischio di subire
comportamenti violenti (Miller, Wilsnack, Cunradi, 2000).
Secondo altri autori invece sarebbe la violenza coniugale ad
avere un’influenza causale sull’aumento del consumo di alcol, come
reazione alla vittimizzazione e non come causa (Testa & Leonard,
2001).
Alcune evidenze suggeriscono che sostanze come alcol e
cocaina aumentano il rischio di violenza agita in entrambi i sessi
(Coleman & Straus, 1983) ma i processi sottostanti non sono chiari.
La scarsa attenzione a questo aspetto è dovuta a vari motivi
(Hein & Hein, 1998):
1. maggiore pericolosità della violenza contro le donne;
2. paura di attribuire la colpa a quella che è socialmente
considerata “vittima”;
3. stereotipo della donna come vittima passiva piuttosto che
come perpetratore;
4. dilemma etico e metodologico nello studio delle donne
abusanti o violente in famiglia.
5
Nel primo capitolo viene presentato il problema della violenza
domestica (tipologie, soggetti coinvolti), con particolare attenzione
alla violenza coniugale ovvero ad ogni atto che minaccia l’integrità
fisica o psichica di un soggetto per mano del partner che, sfruttando
un rapporto di potere, viene a trovarsi in una posizione strutturalmente
più forte. Vengono quindi esposti i principali fattori di rischio e le
principali teorie esplicative proposte dagli autori che si sono occupati
dello studio di questo fenomeno.
Nel secondo capitolo viene analizzato il fenomeno
dell’alcolismo, la sua eziopatogenesi, i criteri diagnostici che sono
contemplati nel DSM IV-TR per abuso, dipendenza, intossicazione e
astinenza da alcol (e da sostanze in generale), con particolare
attenzione al legame che c’è tra questo e la presenza di comportamenti
violenti all’interno di una relazione intima in cui almeno uno dei due
partner faccia uso di alcol. Sono presentati i dati clinici e
epidemiologici derivanti dalle ricerche più rilevanti presenti nella
letteratura scientifica che si sono occupate dello studio di questa
associazione, sia negli uomini che nelle donne, e le principali teorie
esplicative che sono state proposte dagli autori.
Nel terzo capitolo viene presentata la ricerca effettuata, gli
obiettivi, il materiale ed il metodo utilizzati, i risultati che sono stati
ottenuti e la discussione critica di essi, con le relative conclusioni in
riferimento anche alla letteratura scientifica già esistente.
6
Capitolo primo
La violenza domestica
Il fenomeno della violenza domestica è un problema di forte
rilevanza sociale che riguarda la vita di numerose famiglie.
Il tema sulla violenza nell'ambito familiare sta beneficiando
negli ultimi anni di un’accresciuta attenzione da parte dei media e
delle autorità politiche e giudiziarie.
La famiglia è ancora, per naturale vocazione, uno spazio
privilegiato in cui si vivono legami forti e costanti ma che può anche
diventare un involucro opaco all'interno del quale si nascondono e
maturano frustrazioni e violenze. Uno spazio in cui le relazioni forti
possono divenire relazioni ambivalenti, un amore forte e ablativo può
diventare pericolosamente aggressivo, un affetto dolce e sincero può
sfociare in una violenza sottile o in un ricatto subdolo, un rapporto
pacifico e tranquillo può covare un conflitto profondo che logora
lentamente il corpo e la mente.
Il fenomeno della violenza domestica è stato specificatamente
studiato soltanto negli ultimi decenni, sotto l'impulso degli studi
condotti negli Stati Uniti d'America, che hanno accelerato lo studio
dello stesso anche in Europa. Tale analisi ha portato alla luce
cambiamenti culturali rilevanti, la cui diretta conseguenza sono stati i
vari interventi legislativi intervenuti sia a livello nazionale che
internazionale. Mentre agli inizi degli anni ‘70 erano quasi
esclusivamente i gruppi femministi e in particolare i Centri
Antiviolenza e le Case rifugio gestiti da donne a sostenere la necessità
di considerare il fenomeno come un grave problema sociale, oggi
molti organismi internazionali e molti governi hanno preso posizione
7
di fronte ad esso e cercano di affrontarlo attraverso la progettazione e
l’implementazione di politiche di intervento. Il Consiglio d’Europa, il
Parlamento Europeo e l’Organizzazione delle Nazioni Unite hanno
reso il fenomeno della violenza domestica oggetto di esplicite
raccomandazioni e risoluzioni (United Nations General Assembly,
1993).
La violenza domestica ha effetti devastanti sulla salute fisica e
mentale delle vittime (Campbell, 2002), tanto che l’OMS la considera
un enorme problema di salute pubblica (W.H.O., 2005).
Violenza domestica, violenza nello spazio sociale di prossimità,
violenza nella famiglia, violenza nella coppia: tutti questi concetti
riconducono alla stessa problematica, pur non essendo sempre
utilizzati secondo criteri uniformi. Il denominatore comune è però
dato dal fatto che la violenza viene commessa nello spazio privato e
che fra le persone interessate sussiste un legame affettivo e una
dipendenza che può assumere varie connotazioni.
La violenza domestica è stata definita come “ogni forma di
aggressione fisica, di violenza psicologica, morale, economica,
sessuale, o di persecuzione (stalking), attuata o tentata e che ha
comportato o meno danno fisico, agita all’interno di una relazione
intima presente o passata” (Baldry, 2006, p. 15). In questa definizione
vengono incluse anche quelle azioni lesive che non comportano
necessariamente danni fisici, bensì psicologici e che possono
riguardare anche casi di coppie di fatto o di fidanzati o di ex, nonché
eventuali casi di violenza esercitata sugli uomini o all’interno di
coppie omosessuali. Il termine violenza domestica perciò non è più
sufficiente e appropriato per spiegare il fenomeno in tutta la sua
complessità. Nella letteratura anglosassone viene attualmente preferito
alla terminologia domestic violence quella di Intimate Partner
8
Violence abbreviato e identificato con l’acronimo IPV che bene rende
il concetto della violenza agita nei confronti del partner “intimo”
(Baldry, 2006). Per tale motivo, mutuando la parola dal mondo
scientifico anglosassone, verrà utilizzata la terminologia “violenza fra
partner intimi” in maniera interscambiabile con quella di “violenza
domestica”.
1.1. La violenza fra partner intimi (IPV)
La violenza fra partner intimi è un fenomeno che si riscontra più
spesso dove esiste un certo livello di tolleranza sociale (supportato
dalla cultura, dalla legislazione, dalle ideologie…). Essa comprende
tutte le forme di uso della violenza fra i vari membri di una comunità
di vita.
In pubblico e nell’ambito delle campagne di sensibilizzazione si
parla principalmente della violenza perpetrata dagli uomini nei
confronti delle donne, nonché di quella agita dagli adulti nei confronti
dei minori.
La maggior parte delle vittime sono donne: la violenza coniugale
è correlata al genere e all’età dei soggetti coinvolti, anche se può
verificarsi in qualsiasi tipo di relazione, lesbo, gay o etero.
Approssimativamente il 90% delle vittime sono donne.
Le Nazioni Unite, in un’importante risoluzione adottata nel 1993
(United Nations General Assembly, 1993), hanno dichiarato l’urgenza
di eliminare la violenza contro le donne al fine di garantire la
possibilità di godere del diritto alla libertà, alla sicurezza,
all’uguaglianza, all’integrità e alla dignità; hanno inoltre riconosciuto
il legame fra disparità di potere ed esercizio di violenza, identificando
9
la violenza come uno strumento che, di fatto, mantiene e rafforza
questa disparità.
Secondo un gruppo di esperti che hanno lavorato per il Consiglio
d’Europa (ibidem), quando si parla di violenza contro le donne è
importante avere sempre presente che:
ξ la violenza contro le donne è una violenza di genere
riconosciuta oggi dalla comunità internazionale come una
violazione fondamentale dei diritti umani;
ξ alcune forme di violenza si trovano in molte culture (stupro,
violenza domestica, incesto), altre sono specifiche solo di alcuni
contesti socio-culturali (mutilazioni sessuali, omicidi a causa
della dote, ecc.);
ξ spesso la violenza agita contro le donne è una combinazione di
diversi tipi di violenze; un esempio è rappresentato dalla
violenza domestica dove intervengono generalmente violenza
fisica, psicologica, sessuale, economica e, a volte, spirituale.
Dal rapporto dell’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS)
del 2002 (OMS, 2005) si evince che il 70% delle donne vittime di
omicidio sono uccise dal partner.
La violenza contro le donne da parte di un partner, o violenza
coniugale, è rimasta invisibile fino agli anni ’70 e considerata come un
fatto privato, in cui non bisognava interferire. Oggi sappiamo che nei
paesi industrializzati tra il 20 e il 30% delle donne ha subito violenze
fisiche o sessuali da un partner o ex partner nel corso della vita, e che
tra il 5 e il 15% sta subendo violenze al momento dell’inchiesta. Gli
abusi psicologici – insulti, denigrazioni, minacce, controlli ossessivi –
sono molto più frequenti. La violenza è trasversale alle classi sociali
ed è compiuta da uomini di qualsiasi tipo, religione e professione, che
nella maggior parte dei casi si comportano normalmente sul lavoro e
10
nella vita sociale; può continuare o diventare più grave quando la
donna decide di lasciare il partner o dopo la separazione o il divorzio
(Romito, 2000; Creazzo, 2003).
La rassegna della letteratura suggerisce che a livello socio-
demografico le donne maggiormente a rischio di vittimizzazione sono
giovani e di livello socio-economico basso, mentre, per quanto
riguarda il momento di comparsa del comportamento violento, le
ricerche suggeriscono che esso si aggira attorno ai primi cinque anni
di matrimonio. Soggetti disabili, con orientamento sessuale gay,
immigrati o comunque qualsiasi minoranza sociale è maggiormente a
rischio di subire comportamenti maltrattanti (Almeida, 1998; Krane,
1996).
Da un recente studio condotto in Canada da Ranking e Vickers
(2001) è emerso che la maggior parte delle donne ritengono che la
violenza sia un tratto comune e naturale del sesso maschile mentre una
percentuale minore identifica nella povertà, nel razzismo e nel potere i
fattori principali che contribuiscono alla manifestazione maschile del
comportamento violento.
Per quanto riguarda i fattori socioculturali una ricerca condotta
da Levinson (1989) ha evidenziato che la violenza coniugale nei
confronti delle donne ricorre più frequentemente nelle società
patriarcali dove gli uomini hanno il controllo economico della
famiglia, dove le decisioni più importanti spettano di diritto a loro,
dove il divorzio è più difficile per le donne perchè socialmente
inaccettabile, dove le donne non possono uscire con altre donne se non
per andare a lavorare e dove agli uomini è concessa la poligamia e il
diritto di risposarsi.
Sorenson (1996) suggerisce che le istituzioni presenti nel
territorio, l’immigrazione, la definizione dei ruoli maschile e
11
femminile, cosi come le reti di parentele e di amicizie, influenzano la
percezione di quali siano i comportamenti accettabili e quali no
all’interno di una relazione intima.
Per quanto riguarda la controversia sul tema dell’uomo vittima
di violenza coniugale, non ci sono dubbi che esistono donne che
esibiscono comportamenti violenti all’interno di una relazione di
coppia. Tuttavia, come dimostrato da Gelles (1997), la maggior parte
delle volte le donne non agiscono comportamenti violenti ma
reagiscono a quelli mostrati dal partner.
Recenti ricerche, che hanno documentato la presenza di
comportamenti violenti in relazioni lesbo, di violenza perpetrata da
madri adottive sui figli, di madri che istigano i loro figli a mettere in
atto comportamenti violenti nei confronti delle proprie mogli, hanno
permesso di abbandonare la credenza, fortemente radicata
nell’opinione pubblica ma anche nel mondo scientifico, della violenza
coniugale unicamente perpetrata dall’uomo (Miller, 1992; Sood,
1990).
È proprio per questi motivi che documentare l’incidenza e la
prevalenza di comportamenti abusanti rimane un compito difficile,
soprattutto per quanto riguarda le minoranze culturali; identificare le
vittime di abuso all’interno delle relazioni coniugali impone dunque la
valutazione della percezione soggettiva che esse hanno della
situazione (Agnew, 1998).
1.2. Dati epidemiologici e clinici
I dati che sono stati rilevati sull’incidenza della violenza
coniugale sono solo limitatamente significativi. Infatti, questo tema
rimane ancora un tabù e le persone colpite non amano esprimersi in
12
merito. Dalle cifre conosciute si intuisce che il problema, nelle sue
varie connotazioni, è comunque grave.
Quando si tratta di azioni che la società non permette o non
tollera, come nel caso della violenza coniugale, le cifre riflettono solo
in modo molto limitato l’entità effettiva del fenomeno. Le indicazioni
che una persona fornisce a una ricercatrice o a un agente di polizia
riguardo alle esperienze fatte in materia di violenza domestica sono
influenzate dai più svariati fattori. A titolo di esempio basti pensare
che una donna può voler serbare il silenzio perché teme ulteriori
ritorsioni; forse desidera anche dimenticare tutta la storia, cercare di
tenerla per sé. Una madre non sporge denuncia contro il marito che
abusa dei figli perché ritiene che ciò sia affare di famiglia. Un uomo si
vergogna di deporre perché ritiene poco maschile l’essere maltrattato
dalla propria moglie. Simili esempi – ma esistono molti altri fattori di
distorsione – contribuiscono a far sì che, accanto alla cosiddetta zona
chiara, ossia ai fatti noti, vi sia sempre anche una zona oscura.
Sulla scorta dell’esempio fornito da uno studio svizzero (Gillioz
et al., 1997) è possibile mostrare perché anche un’accurata ricerca
empirica non può fornire cifre affidabili. E’ stato intervistato
telefonicamente mediante un questionario strutturato un gruppo
rappresentativo di donne sulle loro esperienze in fatto di violenza. E’
stato ipotizzato che le cifre effettive siano superiori a quelle rilevate.
Le ragioni che vengono addotte a questo proposito sono:
a) soprattutto le persone colpite rifiutano di lasciarsi intervistare;
b) la violenza domestica è tuttora un tabù del quale non si è
disposti a parlare.
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Inoltre, appare poco chiaro quale sia il grado di affidabilità delle
informazioni fornite, se le esperienze vengano mascherate o
drammatizzate. Simili fattori possono dunque falsare i dati.
Un ulteriore problema è identificabile nel metodo adottato per
realizzare un progetto di ricerca. Un esempio: da qualche tempo,
riferendosi ai lavori effettuati in base al metodo Conflict Tactics Scale
(metodo CTS), si afferma che, nell’ambito matrimonio e delle
relazioni coniugali, gli uomini sperimentano altrettanta violenza delle
donne. Questi risultati hanno suscitato un intenso dibatto perché
contraddicono tutti i dati raccolti a livello istituzionale da polizia,
giustizia e aiuto alle vittime. Le cause di queste notevoli differenze
vanno ravvisate nel fatto che il metodo CTS considera ogni atto
aggressivo come un atto di violenza, mentre non considera l’istoriato e
il contesto di un simile atto (Gloor & Meier, 2003).
Ciò non significa che lo studio dell’incidenza e della prevalenza
della violenza coniugale sia stato ignorato ma solo che a seconda della
definizione usata le cifre variano fortemente (Krane, 1996).
In Canada si stima che una donna su 10 è vittima di qualche
forma di violenza fisica (Thorn-Finch, 1992).
Uno studio sulla violenza coniugale a livello nazionale condotto
sempre in Canada nel 1993 rivela che il 50% dello donne ha subito,
dall’età di 16 anni, almeno un abuso fisico o sessuale e che il 25% è
stata vittima di violenza fisica o sessuale da parte del marito (Rinfret-
Raynor, Ouellet, Cantin, Clément, 1996). Dalle statistiche canadesi
(1998) è emerso che su 221,600 soggetti vittime di abuso, il 66%
hanno riportato danni lievi e il 34% gravi conseguenze.
Un’inchiesta rappresentativa sulla violenza domestica effettuata
in Svizzera con un campione di 1500 donne che, al momento
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dell’indagine o fino a poco tempo prima, vivevano nell’ambito di una
relazione di coppia mostra che (Gillioz et al.,1997):
ξ nel corso della loro vita il 20.7% delle donne intervistate
avevano sperimentato violenza fisica e/o sessuale a opera del
partner;
ξ oltre la metà aveva subito solamente o anche violenza sessuale;
ξ le forme più frequenti di violenza fisica erano state: spingere,
afferrare, scrollare, picchiare;
ξ se si considera anche la violenza psicologica, circa il 40% delle
donne intervistate aveva subito violenze;
ξ nell’87% dei casi di violenza fisica era coinvolta anche la
violenza psicologica. Per contro, dalla violenza psicologica era
scaturita solo nel 17% dei casi anche violenza fisica;
ξ le forme più frequenti di violenza psicologica erano state le offe
e gli insulti.
Studi analoghi condotti in altri paesi (Paesi Bassi, Canada, USA)
hanno prodotto cifre due volte maggiori rispetto allo studio svizzero.
Gli autori presumono che anche in Svizzera le cifre effettive siano più
elevate (ibidem).
Una crescente serie di studi conferma la prevalenza della
violenza coniugale in tutte le parti del mondo. Si stima che le donne
che hanno avuto esperienze di violenza all’interno di una relazione
intima siano, a seconda del paese, tra il 20% ed il 50% (OMS, 1996).
Le statistiche sono preoccupanti in qualunque angolo della terra
si volga lo sguardo. I dati dei paesi industrializzati, di quelli in via di
sviluppo, ed anche dei paesi in transizione, forniscono una panoramica
della dimensione globale del problema, come mostrato nella Tabella
1.