In Argentina si è creato un mondo nuovo, zona di caccia grossa per i grandi appetiti
delle multinazionali e del capitale finanziario. Un mondo dove l’utile, l’opportuno, il
conveniente, ha trovato alloggio e il giusto si ha paura a pensarlo.
Scilingo, come Eichmann, non ha il minimo dubbio sul proprio operato e vuole
riconoscimenti effettivi, economici di questo loro “valore”, della loro “capacità
professionale”.
La mia tesi, che nasce dalle riflessioni di Hannah Arendt sul nazista Eichmann, sulla
possibilità che il male sia in stretto rapporto con la mancanza di idee, o viceversa, è
quella che il “mondo economico” deve razziare nuovi spazi annullando o riducendo il
“mondo politico” e il “mondo sociale” e che questo impoverimento umano provochi dei
“danni collaterali” quali gli orrori.
Il fenomeno che appare evidente in Argentina potrebbe servire da traccia per seguire il
medesimo fenomeno attuato con forme di “controllo” diverse ma con il medesimo
obiettivo: ridurre l’aspetto sociale-umano per consegnare al mondo uomini diversi, più
funzionali al potere perché isolati, “prigionieri di loro stessi”.
In Argentina è stato evidenziato che il vero ostacolo al completo controllo sociale era la
presenza della società civile. Gli uomini, che furono i prodromi degli effetti delle loro
azioni, erano già socialmente “spezzati” sia per mancanza di cultura sia perché
assoggettati a disciplina. Eppure la socialità del loro tempo si lasciò trasportare proprio
da loro. Anche dopo la fine della guerra, durante il processo, Eichmann era una persona
che sarebbe risultata ideale, perfettamente in linea con i dettami del suo mondo sociale
se non considerassimo a quale orrore portarono le sue azioni. Anche gli assassini
argentini li troviamo ben inseriti nel mondo sociale e il loro successo evidenzia la loro
“sintonia”.
C’è allora qualcosa che sta morendo, qualcosa che va ripreso e difeso proprio nelle
fondamenta del nostro essere uomini ed è la categoria della relazione con la quale noi,
non solo percepiamo l’Altro, ma ne avvertiamo il piacere e il bisogno; ed è la categoria
della relazione che ci fa diventare una pluralità oltre le prigioni dell’Io e ci fa gioire per
ogni nascita in quanto foriera di un nuovo mondo con il quale relazionarci.
La vita politica, quella sociale, si annullano, infatti, spezzando le relazioni.
5
Relazioni con i propri colleghi, concittadini, con i propri insegnanti, i propri coetanei, i
propri familiari, i propri figli……con se stessi.
Ed è questo relazionarsi con se stessi, alla fine, che può apparire come ultimo baluardo
di resistenza, in quanto portatore ancora della fasi di giudizio critico, il quale, a sua
volta, non può che portare ad agire, comunque autonomamente, in un mondo dominato
dal “pensiero unico”
6
Capitolo 1
STORIA DELL’ARGENTINA DAL 1900 AL 2001
1.1.AVVENIMENTI FINO AL 1976
Nel primo Novecento prevalse il partito radicale che tenne l’Argentina fuori dalla prima
guerra mondiale. L’amministrazione radicale, sviluppatasi dal 1916 al 1930 attraverso tre
presidenze (Yrigouyau 1916-1922 -Alvear 1922-1928 – ancora Yrigouyau 1928-1930)
intese rafforzare i diritti civili e la giustizia sociale e impostò una politica di lotta alle
ingerenze straniere. Essa non riuscì tuttavia a scalfire nella sostanza il potere
dell’oligarchia che, appoggiata dall’esercito e approfittando della depressione economica
mondiale, tornò al potere nel settembre 1930 con il colpo di stato del generale Josè
Evaristo Uruburu. I nuovi governanti, ammiratori del fascismo europeo, intendevano
frenare la pressione dei ceti popolari. I partiti democratici, riuniti in coalizione, riuscirono
a vincere le elezioni del 1943, ma la loro vittoria fu annullata da un colpo di stato di
estrema destra dei generali Pedro Ramirez e Arturo Rawson. Il Presidente Farrell e il
vicepresidente e ministro del lavoro Pèron, poi, divenuti nel 1944 gli arbitri del paese,
dichiararono guerra alla Germania e al Giappone nel marzo 1945. Per questo l’Argentina
poté partecipare alla conferenza di San Francisco e firmare la Carta delle Nazioni Unite.
La lotta fra il governo, favorevole a una politica corporativistica, e i gruppi industriali e
agrari culminò, dopo una breve parentesi nell’ottobre 1945, nella vittoria di Pèron
sostenuto dalla Confederazione generale del Lavoro e combattuto dal fronte democratico,
nelle elezioni alla presidenza del 1946. La politica di nazionalizzazioni e di miglioramenti
economico-sociali per le classi operaie , enunciata nel piano-Pèron, sembrò dapprima
rispondere alle esigenze d’un allargamento della partecipazione al potere anche delle
masse lavoratrici dei descamisados e alle loro richieste di progresso sociale. La moglie di
Pèron, Evita Duarte, simboleggiò teatralmente le speranze di queste masse.
7
La politica economica di Peròn dei primi tre anni ebbe come obiettivo la rapida
industrializzazione del paese condotta su basi tendenzialmente autarchiche. Adottò una
politica di intervento diretto dello Stato: costituzione di centrali idroelettriche, istituzione
compagnia area, flotta mercantile nazionale. Inoltre diventò produttore di armi gestendo
direttamente l’industria bellica. L’intervento comunque più grande fu la nazionalizzazione
del Banco Central con il quale furono resi indisponibili i depositi bancari per la
concessione di prestiti da parte degli istituti di credito commerciale, indisponibilità resa
possibile istituendo una quota di riserva obbligatoria pari al 100%. Con questa manovra lo
Stato diventò il referente primario della politica creditizia riuscendo a trasferire risorse dal
settore agricolo a quello industriale. Tale raggiungimento fu reso possibile istituendo lo
IAPI cui era assegnato il monopolio del commercio con l’estero; acquistava direttamente
dai produttori, a prezzo amministrato, i beni destinati all’esportazione, che poi rivendeva a
prezzi di mercato sulle piazze internazionali. I profitti venivano poi trasferiti al Banco
Industrial che li trasformava in prestiti iper-vantaggiosi per il settore industriale. Il settore
agricolo risultò penalizzato perché l’impossibilità di imporre prezzi più vantaggiosi allo
IAPI ridusse i profitti e la capacità di reinvestire. Inoltre Peron favorì l’industria
“leggera”, tessile e alimentare, produttrici di prodotti di consumo.
Nel triennio il PIL aumento del 29% ma anche il debito pubblico raggiunse nel 1948 il
13,4% del PIL.
Il disegno di sviluppo socio-economico peronista era basato su una formula di
conciliazione dei diversi interessi della società con lo Stato nel ruolo di mediatore di
contrasti.
Le forze armate furono tacitate con diverse concessioni che portarono le spese militari al
50% del totale degli investimenti non produttivi. Gli spazi di critica e opposizione si
ridussero tramite pressioni sulla stampa: il governo costituì un’importante catena di
giornali e radio sotto il controllo di una segreteria statale. Inoltre ogni membro della
maggioranza nel Congresso fu costretto a consegnare una lettera di dimissioni in bianco.
Contro il regime di Peròn si vennero allineando, negli anni successivi, sia gli interessi
agricoli penalizzati dall’industrializzazione e, in generale, le forze conservatrici e
l’esercito strettamente legati per casta e interessi ai ceti agrari e conservatori, sia i partiti
8
politici tradizionali esautorati dal potere dittatoriale di Peron. Alle forze ostili si aggiunse
da ultimo la chiesa. Ne seguì una lotta serrata con una serie di drastiche iniziative del
governo (introduzione del divorzio, arresto di parroci, abolizione dell’insegnamento
religioso nelle scuole, ecc) culminate con l’espulsione dal paese del vescovo ausiliario di
Buenos Aires e la conseguente scomunica di Peròn da parte del Vaticano (16.6.1955). In
quegli anni, che vanno dal 1949 al 1955, anno in cui Peròn dovette fuggire all’estero, la
recessione contribuì al crollo del suo potere. Dal 1951 al 1952: la recessione raggiunse
livelli sconosciuti. L’inflazione nel ’52 fu del 30%. Il disegno autarchico sembrò fallito
soprattutto nel peggioramento delle esportazioni. Prima della seconda guerra mondiale
l’Argentina esportava una media di 6.500.000 tonnellate annue di granoturco. Nel
1950/1954 tale quota si ridusse a 2000.000 di tonnellate annue complice il semi-
boicottaggio americano ed europeo. Questa recessione favorita dall’atteggiamento
statunitense volto a minare il potere di Peròn portò quest’ultimo a decidere per un
riavvicinamento agli Stati Uniti abbandonando la “terza posizione”e, a livello economico,
alla riapertura del paese al capitale estero. Sono gli anni degli accordi con industrie di
autoveicoli stranieri (Fiat-Mercedes Benz) e della concessione dello sfruttamento di
giacimenti petroliferi in Patagonia.
Il colpo di Stato del ’55 e il seguente esilio di Peròn nacque principalmente
dall’abbandono di Peròn da parte della Chiesa Cattolica che creò un proprio partito
(partito Democrata Cristiano), abbandono dovuto principalmente alle attività assistenziali
della fondazione Eva Peròn che aveva sottratto il controllo delle stesse alla Chiesa.
Dopo la fuga di Peròn, la vita politica dell’Argentina fu bloccata dall’impossibilità di
trovare una formula per reintegrare le masse proletarie fedeli al mito “giustizialista”. Gli
stessi partiti tradizionali subirono i contraccolpi di questo problema. Così nel 1956 i
radicali si spaccarono in due tronconi: L’Union civica radical intransigente (UCRI) di A.
Frondizi favorevole a una intesa con peronisti e sindacati, e l’Union civica radical del
pueblo (UCRP) di R. Balbin, decisamente contraria. Resistendo alle varie opposizioni fra
cui anche quelle di destre desiderose di portare il paese indietro di un decennio, il governo
di Aramburu, succeduto a Lonardi, riuscì a mantenere il programma per il ritorno alla
legalità democratica: elezione dell’assemblea costituente, il 28/7/1957; elezioni
presidenziali e legislative il 23/2/1958; trasferimento dei poteri ai nuovi organi
9
costituzionali. Peròn, dall’esilio, aveva inviato, nel frattempo, le direttive per i peronisti e
le istruzioni di resistenza armata al governo e l’organizzazione della guerriglia.
Aramburu, mentre da una parte aveva sciolto il partito peronista, dall’altra non privatizzò
le società nazionalizzate da Peròn, né tagliò l’occupazione nel sovra-dimensionato settore
pubblico, né eliminò le restrizioni all’import, né operò riduzioni dei salari del settore
industriale. Questo perché dopo 10 anni di peronismo la classe lavoratrice aveva
raggiunto un livello di sindacalizzazione che, di fatto, la rendeva un avversario imbattibile
per il debole fronte della Revolucion Libertadora.
Secondo Portantiero
1
si produsse così, fino alla fine degli anni ’70, un empasse, una
situazione di pareggio in cui nessuno degli attori sociali riusciva a prevalere sugli altri.
Furono comunque eliminati gli strumenti di intervento del peronismo quali lo IAPI e il
rigido controllo sugli impieghi dei depositi, il commercio con l’estero tornò ad essere
liberalizzato, inoltre fu ridotta la riserva obbligatoria dei depositi delle banche
commerciali e svalutato il peso. Tuttavia queste misure furono adottate in una congiuntura
di bassi prezzi di mercato tali da vanificare l’aumento delle esportazioni cosicché tra il
1955 e il 1958 ci fu una sequenza di deficit della bilancia dei pagamenti e l’aumento
dell’indebitamento con l’estero. Grandi interventi furono invece adottati da Aramburu per
destrutturate l’apparato peronista attraverso la liquidazione del Partito Justicialista e molti
dirigenti sindacali furono incarcerati. Il processo di epurazione continuò anche
nell’esercito.
L’assemblea costituente, disertata dai radicali di Frondizi ed espressione perciò di una
minoranza nel paese, non poté fare altro che sancire la decadenza della costituzione del
1949 e il ripristino di quella del 1853. Nelle elezioni politiche del 1958, Frondizi, ottenne
i voti peronisti grazie ad un accordo con Peròn e alla promessa di ridare legalità al
movimento peronista e anche i voti dei comunisti, presentandosi come rappresentante di
una vasta coalizione popolare di piccoli borghesi e operai e conquistando una schiacciante
maggioranza in entrambe le camere. Il programma di Frondizi era di stampo
1
Portantiero J.C. 1989
10
desarrollista
2
. Il nucleo della sua politica economica furono le leggi per il radicamento del
capitale straniero individuato come strumento privilegiato per promuovere lo sviluppo
industriale interno. Le concessioni agli investitori stranieri furono: libero rimpatrio dei
capitali e rimesse in patria dei profitti ottenuti.
Nel dicembre 1958 il governo decise di introdurre un piano di stabilizzazione sotto la
supervisione del F.M.I. Le misure rivolte al mercato interno furono: congelamento dei
salari ai tetti fissati dai contratti collettivi di due anni prima, libera fluttuazione dei prezzi
e innalzamento delle tariffe pubbliche (con l’intento di ridurre il deficit statale). Nel breve
tali misure ebbero effetti recessivi: nel 1959 il PIL segnò –6,4% e il costo della vita
aumentò del 124%.
Il 1960 è l’anno della ripresa. Il piano di stabilizzazione tolse completamente al governo
l’appoggio del movimento peronista. Si scatenarono scioperi e atti di sabotaggio
industriale al quale il governo rispose con il commissariamento di sindacati e con
l’appoggio al padronato nell’offensiva che portò alla sconfitta della protesta.
Il Presidente Frondizi, durante i 46 mesi di mandato, subì ben 32 atti di insubordinazione
da parte dei militari, in alcuni casi con dispiegamento di carri armati per le strade della
capitale. Contemporaneamente crebbe l’intensità della resistenza peronista; furono fatti
saltare oleodotti e si diffuse il sabotaggio nelle fabbriche. La posizione di Frondizi fu
ancora indebolita dalle elezioni del 1960 per il rinnovo parziale del congresso che, con il
ritorno di 2 milioni di peronisti alla scheda bianca, segnò un successo per i radicali di
Balbin ed un indebolimento della maggioranza legislativa frondizista. Mentre, dal canto
loro, i peronisti tentavano ripetutamente ma invano la via insurrezionale (aprile e
novembre 1960), i militari si scontrarono duramente con Frondizi, accusandolo di
mollezze verso i primi e di scarso nazionalismo nella politica economica.
Alle elezioni del marzo 1962 il Presidente Frondizi consentì ai peronisti di partecipare alle
elezioni dei governatori di provincia. Uno dei loro candidati ottenne la maggioranza dei
voti nella decisiva provincia d Buenos Aires, scatenando così un nuovo colpo di stato.
2
il desorrollismo può essere definito come un progetto di accrescimento del benessere tramite lo sviluppo e la
modernizzazione del settore industriale, individuando nell’apertura al capitale estero e non nell’intervento diretto dello
Stato, il motore dello sviluppo. I programmi desarrollisti furono presto abbandonati per l’atteggiamento speculativo del
capitale estero che sfruttava le esenzioni fiscali più per i profitti a breve che non per investire nel lungo periodo.
11
Frondizi fu deposto dai militari il 28/03/1962. Il gabinetto del Presidente Guido,
assemblato sotto rigido controllo militare e prestando attenzione al manifesto anti-
peronismo dei suoi componenti, dovette subito affrontare, in un contesto di scarsa
autorevolezza politica, le conseguenze di una delle crisi economiche che ciclicamente
colpivano l’Argentina. La situazione economica ereditata dall’amministrazione Frondizi
non lasciava presagire in alcun modo le difficoltà successive: il livello d’attività era in
crescita, il tasso di cambio stabilizzato, il tasso d’inflazione in calo; uniche note negative
erano l’espansione del circolante immesso nel sistema nel corso dell’ultimo anno e la
difficile situazione della bilancia dei pagamenti. Il nuovo governo, nell’intento di favorire
i settori esportatori, decise un’eccezionale svalutazione della moneta (da 83 a 131 pesos
per dollaro) seguita dalla libera fluttuazione del tasso di cambio. Con il ritorno di
Alsogaray al ministero dell’Economia, fu ripetuta la ricetta ortodossa di stabilizzazione di
tre anni prima, basata sull’accordo con il F.M.I. per apportare tagli alla spesa pubblica e
restrizioni alla liquidità. Obiettivi della manovra erano: eliminare l’eccesso di domanda
che connotava il sistema fin dal 1961 e ricostruire le riserve di valuta estera, andate ormai
esaurite dopo una serie di deficit consecutivi di bilancia dei pagamenti. Gli esiti della
manovra furono, immancabilmente, durissimi: tra il 1962 e il 1963 il PIL calò del 4%, i
consumi scesero al livello fatto registrare nel 1953, mentre si susseguirono i fallimenti
d’imprese e la disoccupazione aumentò; tutti i pagamenti del settore pubblico furono
posticipati. Il sistema operò in questo periodo in condizioni di liberismo puro, una
situazione sconosciuta al Paese almeno dal 1930. Nonostante le rigide misure introdotte e
la conseguente recessione, l’inflazione non accennò a placarsi, raggiungendo un tasso di
crescita annuo che rasentò il 30%. Con 10 anni d’anticipo e per cause diverse rispetto a
quanto sarebbe avvenuto nel resto del mondo, l’Argentina si trovava a dover fronteggiare
il fenomeno della “stagflazione”.
3
Dopo c.a. 15 mesi il periodo di transizione volgeva così al termine e si profilavano nuove
incerte elezioni per il 07/07/1963. Peròn e Frondizi si schierarono per il voto in bianco.
Concorrevano Oscar Alende, il generale Aramburu e un medico cordobense Illia
candidato dell’U.C.R.P.
3
Francesco Silvestri - L’Argentina da Peron a Cavallo – 2002
12
Nell’intento di contrastare Aramburu i voti si divisero tra i due candidati radicali e, alla
fine, fu eletto Illia.
Ma la presidenza Illia aveva lo stesso difetto d’origine degli altri tentativi post-peronisti:
quello di non aver trovato la strada per reinserire le masse lavoratrici nel gioco politico
del paese e realizzare un accordo con le organizzazioni sindacali. Durante la presidenza
Illia, principalmente dopo il fallito tentativo di Peròn di rientrare in Argentina, si verificò
anche una crisi all’interno del movimento peronista. Le prime misure introdotte per
combattere la recessione furono d’ispirazione keynesiana: espansione monetaria, aumento
della spesa pubblica e crescita del livello di redditi da lavoro così da promuovere i
consumi privati. In questo sta la maggior differenza fra la politica di Frondizi e quella di
Illia: per superare la recessione il primo puntava sul ruolo attivo del capitale estero,
mentre Illia puntava sull’espansione della domanda interna.
Un altro obiettivo era trovare una soluzione per il problema del debito estero. In seguito
alla politica di richiamo del capitale straniero voluta da Frondizi nel 1963 il debito estero
era di 3 miliardi di $ con interesse annuale pari a 800 milioni di $ ( per avere una
dimensione del problema basti pensare che le esportazioni argentine dal 1954 al 1961
furono di c.a. 1.000 milioni di $). Grazie all’aumento delle esportazioni di carni e di merci
agricole in un contesto di prezzi crescenti (il famoso boom d’inizio anni ’60) nel triennio
1964-1966 le partite correnti fecero registrare un surplus per 490 milioni di $. Questo,
insieme con un più rigido controllo dei flussi finanziari, consentì di superare la crisi di
bilancia dei pagamenti. Dal 1964 al 1965 il PIL aumentò dell’8%, mentre la
disoccupazione passò dal 9% al 5% della forza lavoro. Solo che l’inefficienza del sistema
fiscale, l’alto livello d’evasione, fecero discendere le entrate che nel 1964 raggiunsero il
livello minimo del 15% del PIL, riportate poi, nel 1965, al 19%. Il deficit fiscale fu del
3,8%.
I rapporti con i sindacati furono una delle principali fonti di crisi per Illia. Il governo
attaccò il monopolio peronista all’interno del sindacato ottenendo una risposta furiosa: più
di 11000 fabbriche occupate. Già nell’anno successivo gli interventi dei militari
mostrarono, nella loro rinnovata attenzione sia per l’avanzata della sinistra che per
l’efficienza economica a scapito della democrazia, che erano ormai pronti a riprendere il
13
controllo del paese. Quando il timore per una nuova vittoria peronista alle elezioni
provinciali fissate per marzo 1967 si unì al malcontento per una crisi economica che si
protraeva da quasi sei mesi, l’intervento militare diventò scontato. L’occasione fu data
dalla decisione di Illia di destituire il comandante in capo delle forze Armate colpevole di
aver incarcerato con motivazioni pretestuose alcuni ufficiali lealisti. Il 26/6/1966 i militari
occuparono Radio e Televisione nazionale; due giorni dopo furono sciolti il Congresso ed
i governi provinciali e sospese tutte le formazioni politiche. Fu insediato Ongania alla
presidenza.
All’organizzazione clericale Opus Dei fu riservato un importante ruolo governativo e il
cardinale Antonio Caggiano, che era anche vescovo militare, ratificò con la sua firma
l’incarico a Ongania e presenzia a tutte le cerimonie ufficiali. Ongania e un gruppo di
militari d’alto rango parteciparono a ritiri spirituali dove subirono l’influenza dei gruppi
fondamentalisti cattolici di origine francese, Verbe e La Citè Catholique.”
Il gruppo che aveva portato al potere Ongania nutriva l’ambizione di ripetere sulle rive
del Plata il modello di sviluppo attuato con successo, in quegli anni, dal Brasile.
4
Ma il
tentativo dei militari di Buenos Aires non poteva emulare quello in atto a Brasilia. A
differenza del Brasile l’Argentina possedeva sindacati altamente organizzati, con il potere
di bloccare il paese in qualsiasi momento, in assenza di un patto sociale tra le due parti; le
misure di austerità necessarie per risanare un’economia in sfacelo furono perciò respinte
in blocco. Il malcontento popolare si espresse in violente manifestazioni di protesta,
soprattutto nelle città di Cordoba e Rosario (giugno 1969), cui il governo rispose con una
dura repressione e con la proclamazione della stato d’assedio. Dopo vari tentativi fu
stipulato un parziale accordo, ma a patto di un compromesso che provocò la spaccatura
del movimento sindacale: da un lato i “collaborazionisti” e dall’altro le correnti di estrema
sinistra ed alcuni sindacati cattolici. Nei primi sei mesi Ongania mise le Università sotto
controllo diretto del Ministero degli Interni con la motivazione di eliminare gli influssi
marxisti e cercò di riorganizzare le imprese statali, apparentemente per eliminare gli
aspetti assistenziali e incrementare l’efficienza, ma con la volontà di colpire a fondo il
sindacato. Fu evidente che non avesse nessun piano di intervento socio-economico. La
4
Vedi Appendice 1
14
crisi si aggravò. Il PIL registrò un tasso nullo di crescita, il tasso di inflazione non scese.
La CGT, che pur aveva contestato il governo Illia e salutato con sollievo la sua caduta,
iniziò un’agitazione (Plan de accion) in preparazione di uno sciopero generale. A sei mesi
dal suo insediamento Ongania si trovava in una posizione difensiva insostenibile
essendosi screditato anche presso il mondo industriale nazionale e straniero. Nominò così
Julio Alsogaray, apprezzato dalle elite liberali del paese, comandante in capo dell’esercito
e Krieger Vasena, membro di numerosi consigli d’amministrazione di numerose grandi
imprese, ministro dell’economia. L’idea di Ongania, insofferente nei confronti del
capitalismo colpevole di fomentare l’individualismo a scapito del nazionalismo, era quella
di generare un surplus attraverso la svolta liberista di Vasena per poi ritornare a un
sistema corporativo incentrato sul ruolo dispensatore dello Stato. Nonostante i successi
economici alcuni settori non tardarono a manifestare il proprio malcontento: - i produttori
agricoli, penalizzati dalle tasse sull’export e dalla ragione di scambio, si videro
penalizzati da un’altra tassa sulla rendita – la piccola e media impresa ostacolata
nell’ottenimento di credito a basso costo (conseguenza della riduzione della quota di
riserva obbligatoria degli istituti bancari) – i sindacati, che con i c/c congelati e la
sospensione del riconoscimento statale, avevano perso l’antica influenza. Nel 1968,
durante il congresso della CGT, si ruppe il fronte sindacale tra collaborazionisti e correnti
di estrema sinistra e la lotta si spostò a livello di ogni singola impresa dove nacquero i
comitati di fabbrica ispirati alla ideologia social-cristiana e rivoluzionaria di sinistra.
L’ondata di agitazioni del 1969 sconcertò l’opinione pubblica non abituata a
manifestazioni spontanee di violenza. Essa nasceva dalla chiusura di ogni spazio di
rappresentanza. La perdita di autorità dei leader politici e sindacali comportò l’incapacità
di instradare il malcontento su forme di protesta controllabili. Il 29/30 maggio 1969, una
folla di studenti e lavoratori occupò il centro della città e tentò di saccheggiare gli uffici
del governo e delle imprese straniere. La rivolta, divenuta nota con il nome di Cordobazo
fu stroncata dall’intervento dell’esercito con un bilancio di una trentina di morti, 500 feriti
e 300 incarcerati. La situazione imboccò la strada della violenza con il rafforzamento
delle associazioni armate esistenti e con la nascita di nuove formazioni terroristiche.
Ongania, forte dei suoi appoggi, sostituì Vasena con l’intento di chiudere la stagione
liberista. Ma questo allontanamento fece impaurire gli investitori stranieri che ritirarono i
propri capitali; da qui derivò una brusca riduzione delle riserve valutarie con conseguente
15
difficoltà nella difesa del cambio. Nel 1970 la convivenza di Ongania con le Forze
Armate non fu più sostenibile e i vertici militari decisero, alla fine di giugno, di deporre il
Presidente.
Contemporaneamente emersero le due formazioni che connotarono la lotta armata
argentina: i Montoneros, nati dall’integralismo cattolico-nazionalista convertiti poi al
peronismo e l’ERP – l’esercito revolucionario del Pueblo – braccio armato del partido
revolucionario de los trabajadores di ispirazione trotzkista.
All’indomani dell’allontanamento di Ongania le Forze Armate, per cautelarsi,
introdussero l’obbligo, per il presidente, di consultare la Giunta formata dai comandanti in
capo delle Tre armi prima di prendere qualsiasi decisione. Il nuovo governo presieduto
dal generale Levingston nominò ministro dell’economia Llerema ex collega e seguace di
Vasena. Questi rispose con misure simili di quelle adottate da Vasena, ma l’esito del
revival fu deludente: - la svalutazione (15% c.a.) non fu avvertita come garanzia contro le
speculazioni ma come anticipazione di svalutazioni successive cosa che scatenò
l’inflazione al 14,7% - il potere sindacale era stato eroso quasi del tutto quindi non poté
agire sul suo restringimento. Il governo si vide costretto a concedere aumenti salariali pari
al 13%. Levigston intendeva estendere il controllo gerarchico.
In ottobre 1970 il ministro dell’economia divenne Ferrer che aveva un approccio
diametralmente opposto ai suoi predecessori. Convinto fautore del protezionismo
incrementò le barriere con obbligo di preferenza per i fornitori nazionali, assieme alla
politica monetaria espansiva ciò non produsse altro che accelerazione dell’inflazione.
L’occasione per la rimozione di Levingston fu offerta da una violenta sollevazione a
Cordoba nel febbraio 1971. Al suo posto fu nominato Lanusse. All’indomani della
nomina legalizzò i partiti politici e si appellò a loro affinché si trovasse un accordo per
arrivare a un nuovo sistema democratico. La novità assoluta era la caduta della
proscrizione nei confronti del peronismo. Il suo disegno prevedeva la partecipazione
peronista al sistema politico sotto alcune condizioni:
1) possibilità di concorrere a tutte le cariche elettive esclusa quella presidenziale
16
2) cancellazione dell’esilio per Peròn e di ogni pendenza in cambio del
disconoscimento dei movimenti clandestini armati e a partecipare ad un accordo
volto a far confluire tutte le forze politiche su un unico candidato presidenziale
gradito alle Forze Armate. Peròn trattò, ma riuscì a non fornire alcun impegno.
Intanto l’inflazione galoppava. Ad agosto 1971 era pari al 41% (complessivamente nel
1971 fu del 36,8%) mentre nel settembre 1972 fu del 60% (nel 1972 fu del 67,2%).
Lanusse, deciso a lasciare al nuovo governo eventuali svolte economiche, fissò le elezioni
per marzo 1973.
A novembre del 1972 Peròn tornò in Argentina, acclamato da migliaia di persone. Poiché
il suo arrivo era avvenuto dopo il termine stabilito da Lanusse, non poté presentarsi alle
elezioni. Al suo posto candidò il suo portavoce Hector J. Campora e quindi tornò a
Madrid. La parola d’ordine diventò: “Campora al Governo, Peròn al potere”. Il 22 agosto,
inscenando un tentativo di fuga, La Marina militare fucilò una dozzina di guerriglieri
detenuti nella base navale di Treleu. La veglia si tenne nella sede centrale del Partito
peronista, ma la Polizia abbatté le porte del palazzo e sequestrò le salme degli uccisi, per
impedirne l’autopsia. Durante la campagna elettorale in tutti i comizi risuonò un identico
slogan: “FAR e montoneros sono nostri compagni”, cosa che suscitò l’ira dei militari”
Alla fine del 1972 il settore produttivo stava funzionando a pieno ritmo, forse per l’ultima
volta (C. de Riz – La politica en suspenso). Questo perché il controllo dittatoriale,
avvenuto dal 1966 al 1972, si era liberato dai vincoli corporativi e aveva impresso un
orientamento ben definito all’economia favorendo le grandi imprese multinazionali.
Queste, a loro volta, crearono un aumento di lavoro per un significativo segmento di
imprese argentine. Tuttavia quella crescita esacerbò i tradizionali conflitti settoriali che
riaffiorarono non appena la dittatura perse lo slancio iniziale. L’apparizione della
disoccupazione tecnologica, che testimoniava una contrazione del mercato del lavoro,
rese evidente l’incapacità statale di garantire la mobilità sociale intesa come il cammino
dell’ascesa sociale e anche che si stava trasformando nel suo opposto, ovvero il declino
sociale. Le mobilitazioni iniziate nel 1969 con il Cordobazo crebbero diffuse fino al 1973,
quando il governo passò al peronismo. Tuttavia l’espressione politica che tutto ciò
assunse fu mediocre e ambigua: soprattutto fu lo scarso valore che fu attribuito alla
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