2
ed i limiti, ma soprattutto si è impegnata nel dare spiegazioni a problemi di
coordinamento con la normativa ordinaria di attuazione (come ad esempio
la legge n. 352/1970, attuativa del referendum).
Anche la giurisprudenza costituzionale ha iniziato ad essere investita dei
primi problemi riguardanti l’applicazione dell’art. 132 della Costituzione
ed ha finora prodotto alcune sentenze (sentenze n. 334/2004 e n. 66/2007
della Corte Costituzionale) che contribuiscono a renderne più agevole
l’applicazione.
Una tanto repentina corsa al “cambio di casacca”
1
, al passaggio da una
Regione ad un’altra (meglio se a Statuto speciale, visti i particolari benefici
finanziari connessi), non può che sollevare numerosi punti interrogativi. La
dottrina più recente ha tentato di dare delle spiegazioni, per molti versi
quasi univoche, che dovrebbero essere di spunto per il legislatore a
prendere provvedimenti. Ma i principi che regolano la politica, si sa, non
sono così lineari come sono quelli che governano il mondo del diritto, e
attualmente a queste istanze non è ancora stata data una risposta, né nel
senso di approvare o meno la singola richiesta di variazione territoriale, né
nel senso di procedere ad una più ampia riforma del fisco in senso federale,
a cui queste richieste sono in realtà un’alternativa.
Lo scopo di questa ricerca è quindi di approfondire una tematica
antica ed attuale allo stesso tempo: si cercherà, nel corso della trattazione,
di spiegare le origini della ripartizione regionalistica italiana (l’Italia, come
ha affermato giustamente autorevole dottrina, è uno Stato regionale
2
) e del
procedimento di variazione territoriale pensato dal Costituente per
correggere eventuali errori di questa ripartizione. Si dedicherà però la
maggior parte di questo studio all’analisi dei procedimenti di variazione
1
Questa definizione del procedimento di distacco-aggregazione è usata da: M.
BARBERO, Enti locali “in fuga”: questioni di “forma” e di “sostanza”,
www.federalismi.it, 2007, p. 5.
2
Si fa riferimento alla definizione dello Stato italiano data dall’illustre costituzionalista
L. Carlassare. Sul punto si veda: L. CARLASSARE, Conversazioni sulla Costituzione,
Padova, 1996, pp. 35-37.
3
territoriale previsti dall’art. 132 della Costituzione italiana ed alla
normativa ordinaria di attuazione con cui vanno coordinati, facendo
un’analisi “tecnica” delle varie fasi di questi procedimenti e degli istituti
che di volta in volta verranno messi in luce.
Si concluderà riportando i più recenti casi di procedimenti di variazioni
territoriali in corso, cercando di dare una spiegazione alle motivazioni che
hanno portato ad attivarli; si riferirà infine sulle “risposte” date dalle
istituzioni, sia nazionali che regionali, a queste richieste.
La tematica è poi localmente molto sentita perché, oltre all’indubbia
attualità, riguarda fortemente il Veneto, la Regione maggiormente
interessata da questa “secessione”
3
dei Comuni di confine verso realtà
regionali ad autonomia differenziata.
3
Questo termine, molto adeguato per descrivere i procedimenti di variazione territoriale
in corso, è stato usato da tutta la dottrina più recente in materia: A. FERRARA,
Questione settentrionale. Dalla grande alla piccola secessione: la migrazione
territoriale dei Comuni come istanza di specializzazione in deroga ai principi del
federalismo fiscale, www.federalismi.it, 2007; M. BARBERO, Come (non) si risolve la
questione delle “secessioni” dei Comuni di confine (e dei privilegi finanziari delle
autonomie speciali), www.federalismi.it, 2008; C. FRAENKEL-HAEBERLE, La
“secessione” dei Comuni: una chimera o una via percorribile? , www.federalismi.it,
2008.
4
CAPITOLO I
L’ ISTITUZIONE DELLE REGIONI E LE VARIAZIONI DEL
TERRITORIO REGIONALE
SOMMARIO: 1. La Regione. – 2. Dal regionalismo alla Regione. – 3. I lavori della seconda
Sottocommissione e la relazione dell’on. Ambrosini. – 4. L’individuazione del territorio delle
Regioni. – 5. L’art. 22 del progetto del Comitato per le autonomie locali. – 6. L’art. 23 del
progetto del Comitato per le autonomie locali. – 7. La discussione sulle autonomie locali della
Commissione dei 75 riunita in adunanza plenaria. – 8. Il progetto di Costituzione della
Repubblica italiana. – 9. La discussione dell’art. 123 del progetto di Costituzione della
Repubblica italiana. – 10. La discussione dell’art. 125 del progetto di Costituzione della
Repubblica italiana. – 11. L’art. 131 della Costituzione della Repubblica italiana. – 12. L’art.
132 della Costituzione della Repubblica italiana. – 13. La genesi della Regione
nell’ordinamento italiano.
1. La Regione
La Regione è un ente pubblico a rilevanza costituzionale,
rappresentativo di una collettività stanziata su un determinato
territorio, dotato di propri poteri e funzioni e di un ordinamento
autonomo nei limiti prefissati dalla Costituzione e dalle leggi
costituzionali
4
(art. 114 Cost.). Le Regioni furono istituite dalla
Costituzione della Repubblica italiana nel 1948.
La Regione si differenzia dallo Stato per il fatto che quest’ultimo è un
ente originario, dotato di un popolo, di un territorio e fornito di
4
Cfr. T. MARTINES, Diritto costituzionale , Milano, 2000, p. 632.
5
sovranità, mentre la prima è un ente derivato, con una propria
popolazione, un territorio ben definito, ma sfornita di sovranità. La
sovranità è la posizione di supremazia di uno Stato tanto all’interno,
quanto nei confronti di ogni ente esterno; la supremazia si concreta
nell’affermazione dell’originarietà dell’ordinamento giuridico statale e
della sua indipendenza. L’originarietà è una caratteristica giuridica
che indica che ogni ordinamento statale, in quanto sovrano, si
autolegittima, cioè trova in sé medesimo la giustificazione giuridica
della sua esistenza e del suo potere. L’indipendenza è una
caratteristica che indica che lo Stato non può essere subordinato ad
altri enti e che nel suo ambito è esclusivo (“ius excludendi omnes
alios”). La supremazia all’interno implica che il potere dello Stato
non subisce limitazioni o condizionamenti, che la sua volontà è
superiore a tutte le altre presenti nell’ordinamento e che è la fonte di
ogni competenza: in quanto tale lo Stato afferma la propria autorità su
tutti gli enti presenti nel suo territorio, che quindi hanno rispetto ad
esso una posizione derivata, come la Regione, appunto
5
.
La Regione è un ente territoriale perché il territorio ne costituisce un
elemento essenziale, inteso sia come ambito fisico-geografico, sia
come sfera spaziale entro cui essa può esercitare le sue funzioni, ma
soprattutto come centro di riferimento degli interessi della comunità
regionale che in esso trovano la sua localizzazione
6
.
La dimensione regionale degli interessi della comunità potrebbero non
coincidere del tutto con il territorio dell’ente, nel senso che alcune
aree geografiche potrebbero appartenere, per la loro vocazione
economica, per le loro reali o tendenziali linee di sviluppo, per le
5
Cfr. F. CUOCOLO, Istituzioni di diritto pubblico, Milano 1998, pp. 78 ss.
6
Cfr. T. MARTINES, Diritto costituzionale , Milano, 2000, p. 633.
6
caratteristiche e le tradizioni dei loro abitanti, ad una Regione diversa
da quella nella quale sono state inserite. È pertanto possibile, e per
alcuni aspetti auspicabile, che il territorio di alcune Regioni venga
convenientemente modificato per adeguarlo a quella che è la reale
consistenza e dimensione degli interessi regionali, al fine soprattutto
di consentire un’omogenea e razionale azione programmatrice delle
Regioni stesse: questo lo scopo per cui il Costituente ha inserito nella
Carta costituzionale una serie di procedimenti volti alla modificazione
del territorio regionale (art. 132 Cost.), che sarà l’oggetto di
approfondimento di questa ricerca.
La norma chiave per comprendere il sistema degli enti locali
territoriali è l’art. 5 Cost., in cui si fissano due principi che si
integrano reciprocamente: il principio dell’unità e dell’indivisibilità
della Repubblica, ed il principio delle autonomie locali che la
Repubblica deve riconoscere e promuovere. Il primo principio indica
un limite invalicabile: la Repubblica italiana è uno Stato con una
struttura unitaria, non è una confederazione di Stati. Unitarietà non
significa però centralità, cioè che tutti i poteri e le funzioni siano di
competenza dello Stato. Ecco allora che all’interno di questa struttura
di Stato trovano spazio e ragion d’essere le autonomie locali, enti
locali territoriali autonomi con propri poteri e funzioni, che, come dice
il secondo principio contenuto nell’art. 5 Cost., lo Stato deve
riconoscere e promuovere
7
.
Si è detto che le Regioni hanno un ordinamento autonomo, cosa che
permette di definirle come autonomie locali. Ma cosa significa
autonomia? L’autonomia è una figura comprensiva di vari tipi di
poteri, normativi ed amministrativi. L’autonomia indica la condizione
7
Cfr. F. CUOCOLO, Istituzioni di diritto pubblico, Milano 1998, p. 529.
7
di relativa indipendenza in cui certi apparati ed enti si trovano rispetto
allo Stato-persona. All’indipendenza corrisponde una sfera di
autodeterminazione, non avocabile dallo Stato. La relativa
indipendenza dell’ente-regione deriva dal fatto che i suoi organi
fondamentali hanno carattere rappresentativo, sono cioè eletti dai
cittadini. Alla rappresentatività si ricollega anche un’autonomia
politica: le Regioni promuovono un proprio indirizzo, volto a
soddisfare gli interessi delle popolazioni locali. Tutto questo per dire
che le Regioni hanno autonomia legislativa, amministrativa,
finanziaria e statutaria.
2. Dal regionalismo alla Regione
La questione regionale sorse in Italia con l’inizio del
Risorgimento, quando si pose il problema del tipo di struttura da dare
allo Stato dopo la sua unificazione: federalista oppure unitaria
8
.
Mazzini fu certamente il più grande assertore del principio unitario,
ma sostenne allo stesso tempo la necessità del riconoscimento delle
Regioni. In un famoso articolo scritto nel 1831 intitolato “Dell’unità
d’Italia”, egli definì “la Regione, zona intermedia indispensabile tra la
Nazione ed i Comuni, additata dai caratteri territoriali secondari, dai
dialetti e dal predominio delle attitudini agricole, industriali o
marittime” indicando i vantaggi che sarebbero derivati dalla sua
8
Si veda: SEGRETERIA GENERALE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, Atti
dell’Assemblea Costituente, Roma, pp. 137 ss.
8
istituzione: “farebbe più semplice e spedito d’assai l’andamento, oggi
intricatissimo e lento, della cosa pubblica”
9
.
Anche Cavour avvertì l’esigenza di riconoscere la Regioni: nel 1860,
quand’egli era Presidente del Consigli dei Ministri, Farini, Ministro
dell’Interno, propose la formazione di una Commissione che avrebbe
dovuto redigere alcuni progetti di legge che avevano come scopo la
riforma dell’ordinamento amministrativo dello Stato. La Commissione
proseguì i suoi lavori anche con Minghetti, nuovo Ministro
dell’Interno, e nel 1861 questi presentò i progetti di legge alla Camera.
Il Regno avrebbe dovuto essere ripartito in Regioni, Province,
Circondari e Comuni. A capo della Regione avrebbe dovuto esserci un
Governatore che avrebbe espletato in loco i servizi politici, di
sicurezza e di amministrazione che erano di competenza del Ministro
dell’Interno, e tutti quegli atti di competenza di altri Ministri che gli
fossero delegati. Si trattava in buona sostanza di un decentramento
burocratico. Alla Regione poi, come ente autarchico, venivano
affidate alcune funzioni, quali: la cura degli istituti d’istruzione
superiore, degli archivi storici, dei lavori pubblici per fiumi e torrenti.
Accanto al Governatore si prevedeva fosse posta una Commissione,
composta di membri eletti dai Consigli provinciali, con poteri
deliberativi su alcune materie. Si trattava quindi di un decentramento
autarchico ed istituzionale. Il Minghetti si era dunque proposto di
realizzare, col riconoscimento delle Regioni, i due classici tipi di
decentramento amministrativo: quello burocratico e quello
istituzionale; egli voleva dimostrare che l’unità politica non importava
necessariamente l’unità amministrativa. Sosteneva inoltre che non era
9
Cfr. G. MAZZINI, Scritti politici editi ed inediti, vol. II, Imola, 1907, pp. 302 e
305.
9
opportuno distruggere le abitudini e gli interessi delle popolazioni
delle Regioni, ritenendo invece che queste fossero delle entità naturali,
destinate a conservarsi nella loro varietà ed a cooperare
contemporaneamente in armonia con l’unità nazionale. Nonostante tali
progetti si fondassero su un’idea già affermata dal Mazzini e condivisa
anche da Cavour, il Parlamento li respinse.
Da quel momento si affermò in tutta Italia la struttura di Stato unitario
ed accentrato che vigeva in Piemonte.
Il regionalismo sembrava una questione ormai superata, e per
quanto voci autorevoli
10
si fossero levate per risollevare il problema,
rimasero inascoltate. Si deve tuttavia segnalare l’adozione di una
misura, seppur limitata temporalmente e circoscritta ad una parte di
territorio, che costituisce certamente un precedente notevole per
quanto riguarda il successivo riconoscimento dei poteri attribuiti
all’ente locale Regione. Un Regio decreto del 1896 istituì per la durata
di un anno un Commissario Civile per la Sicilia; questi era fornito di
poteri considerevoli in materia di: pubblica sicurezza, istruzione
primaria, amministrazione di Province e Comuni, opere pubbliche
comunali e provinciali, tasse e tributi locali, lavoro delle donne e dei
fanciulli, pesi e misure, miniere e cave, foreste. Ciò che conta è poi lo
scopo che indusse il Parlamento ad adottare siffatto provvedimento
legislativo, e cioè col fine di “avvicinare agli amministrati diverse
attribuzioni che spetterebbero al Governo centrale, affidandole ad un
Commissario che possa vedere da vicino i bisogni e provvedervi con
maggior sollecitudine che non possa farlo un Governo lontano e che
10
Gli Autori che si occuparono della questione regionale alla fine dell’Ottocento
furono BERTOLINI, CALENDA, TAVANI e SAREDO.
10
viene distratto da molteplici cure di tutto il Regno”
11
. In questo
passaggio sono ben descritti i motivi a favore del regionalismo;
purtroppo però, come si è detto questo provvedimento rimase
circoscritto sia nel tempo che nello spazio.
La questione regionalistica venne ripresa al termine della Prima
Guerra Mondiale da movimenti di carattere locale in Sicilia ed in
Sardegna, ed a livello nazionale dal Partito Popolare Italiano di don
Sturzo. Il partito mostrò particolare interesse affinché nelle Terre
Redente si mantenesse l’autonomia regionale esistente. Le Terre
Redente erano quei territori appartenenti all’ex Impero austriaco,
passati all’Italia al termine della Grande Guerra. In queste Regioni
esisteva l’autonomia, come negli altri Regni e Paesi che costituivano
l’Impero austriaco. Nelle Terre Redente furono costituiti due
Commissariati generali Civili, uno a Trento, l’altro a Trieste. Il
legislatore era orientato al riconoscimento regionale di queste terre,
attribuendo loro anche un potere legislativo. Tale indirizzo fu
abbandonato a causa della sempre maggiore influenza esercitata dal
movimento fascista, assolutamente contrario ad ogni idea di
regionalismo, tanto che i due Commissariati generali Civili furono
soppressi nel 1922.
Il movimento regionalista riprese e si rafforzò con la Resistenza
e la questione regionale tornò prepotentemente di scena al termine
della seconda Guerra Mondiale. Il legislatore assecondò le esigenze di
alcune Regioni (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta) per le quali la
riforma della struttura dello Stato appariva urgente: nel 1944 furono
creati gli Alti Commissari per la Sicilia e la Sardegna, affiancati da
una Consulta regionale; nel 1945 si provvide a dare alla Valle d’Aosta
11
Sul punto si veda: SENATO, Leg. XIX, Sess. 1895-1896, Doc. n. 216A, p. 1.
11
un ordinamento speciale. Si trattava a quel punto di vedere se e come
adottare il principio regionalistico anche con riferimento alle altre
Regioni.
Subito dopo la caduta del fascismo, la Corona tentò di
riprendere in mano le redini del potere, considerando il ventennio
fascista come una parentesi, un’esperienza oramai conclusa. Tale
tentativo si scontrò ben presto con l’opposizione dei partiti antifascisti,
nel frattempo riorganizzatisi, che non intendevano collaborare col re
Vittorio Emanuele III, gravemente compromesso col fascismo. Nella
primavera del 1944 fu stipulato il ‘patto di Salerno’, un accordo tra il
re e la cosiddetta esarchia, composta dai sei partiti antifascisti (Partito
liberale, Democrazia del lavoro, Democrazia cristiana, Partito
d’azione, Partito socialista e Partito comunista): con esso si stabilì che
l’esarchia entrasse a far parte del nuovo Governo, che il re Vittorio
Emanuele III si ritirasse a vita privata nominando Luogotenente
generale del Regno suo figlio Umberto. Subito dopo, con il decreto-
legge 25 giugno 1944, n. 151, fu stabilito che dopo la liberazione di
tutto il territorio nazionale, la forma istituzionale dello Stato,
monarchia o repubblica, sarebbe stata scelta dal popolo italiano
mediante l’elezione a suffragio universale di un’apposita Assemblea
Costituente che avrebbe deliberato la nuova Costituzione dello Stato.
La decisione sulla forma istituzionale dello Stato venne poi demandata
direttamente al popolo, a causa della difficoltà delle forze politiche di
impegnarsi su una questione che vedeva gli elettori divisi. Il 2 giugno
1946 si tenne l’elezione dei membri che avrebbero composto
l’Assemblea Costituente e contemporaneamente il referendum sulla
nuova forma istituzionale; fu scelta la repubblica.
12
Per quanto riguarda la redazione della nuova Carta
Costituzionale, l’Assemblea Costituente formò nel suo seno
un’apposita Commissione (la cosiddetta Commissione dei 75); il
progetto di Costituzione avrebbe poi dovuto essere sottoposto
all’esame ed all’approvazione dell’intera Assemblea Costituente. La
Commissione dei 75 si divise in tre Sottocommissioni, ognuna delle
quali avrebbe affrontato determinati temi: la prima Sottocommissione
si sarebbe occupata dei diritti e dei doveri dei cittadini; la seconda
Sottocommissione dell’ordinamento costituzionale della Repubblica;
la terza Sottocommissione, infine, si sarebbe dovuta occupare dei
diritti e doveri economici e sociali. Le Sottocommissioni si
frazionarono a loro volta in particolari gruppi di lavoro. Apparve
chiaro fin dall’inizio che la questione dell’ordinamento regionale
avrebbe assunto notevole importanza all’interno della nuova
Costituzione: il Ruini, presidente della Commissione dei 75, la definì
come “l’innovazione più profonda introdotta dalla Costituzione”. Essa
fu affrontata da un gruppo di lavoro della seconda Sottocommissione,
in quanto la questione delle autonomie venne identificata
immediatamente come la questione stessa della struttura dello Stato.
La Costituzione della Repubblica Italiana fu approvata
dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata il 27
dicembre 1947, ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. La Regione fu
prevista all’interno della nuova Carta Costituzionale al Titolo V della
Parte II (artt. 114-133), avente ad oggetto gli enti locali territoriali.
Nello specifico al tema delle variazioni territoriali delle Regioni fu
dedicato un apposito articolo, il 132, in cui al primo comma si
prevedevano due ipotesi di variazione territoriale: la fusione di
Regioni esistenti e la creazione di nuove Regioni. Al comma secondo
13
si prevedeva invece la terza ed ultima ipotesi di variazione del
territorio regionale: il distacco di una Provincia e/o di un Comune da
una Regione ed la sua aggregazione ad un’altra Regione.
Il nuovo ordinamento costituzionale rimase però di fatto
largamente incompiuto in quanto le disposizioni organizzative della
Costituzione repubblicana non furono attuate per molto tempo: basti
ricordare, per quanto riguarda il solo ambito di questa ricerca, che la
riforma regionale su tutto il territorio del paese e la legge ordinaria in
materia di referendum videro la luce solamente nel 1970.
3- I lavori della seconda Sottocommissione e la relazione
dell’on. Ambrosini
Saranno esaminati ora i lavori preparatori della Costituzione al
fine di comprendere meglio la genesi storica e le motivazioni politiche
che hanno portato ai testi degli attuali articoli 131 e 132 della
Costituzione.
La Commissione dei 75 non fu solamente un organo deputato a
stendere un progetto di Costituzione dal punto di vista tecnico-
giuridico, ma fu un organo essenzialmente politico, che riproduceva in
nuce e proporzionalmente la composizione partitica dell’Assemblea
Costituente. Questa premessa per comprendere che molte scelte fatte
dai Costituenti furono il frutto di una mediazione tra contrapposte idee
politiche, a volte anche all’interno degli stessi partiti. Inoltre i partiti
inserirono all’interno della seconda Sottocommissione i più
autonomisti fra i propri commissari ritenendo che fossero i più
preparati in materia di autonomie locali, ma ciò fece venir meno quel
proposito di ripartire all’interno delle Sottocommissioni i membri in
14
modo che essi riproducessero gli orientamenti dell’Assemblea con
assoluta fedeltà: questa è la motivazione per cui si vedrà che dal primo
progetto in materia regionale all’approvazione finale della Carta
Costituzionale si perderà qualcosa in termini di autonomia regionale.
Si tenga inoltre presente che nessuna voce si levò in favore
dell’accentramento amministrativo e questo contribuì a creare
un’ampia convergenza sin dai primi dibattiti intorno alla soluzione che
prevedeva l’istituzione delle Regioni
12
.
La discussione sull’autonomia regionale prese avvio il 26 luglio
1946 e fu introdotta il giorno successivo dalla relazione dell’on.
Ambrosini alla seconda Sottocommissione.
La relazione inquadrava fin da subito tutte le questioni che sarebbero
poi sorte nel corso del dibattito sulle autonomie locali.
Il relatore esordiva dicendo che le autonomie locali avrebbero dovuto
essere istituite per riparare agli inconvenienti dell’accentramento, che
erano:
- la sottrazione degli affari amministrativi a coloro che erano
direttamente interessati e la loro attribuzione ad organi centrali,
lontani e male informati sulle situazioni locali;
- l’accumulazione di pratiche al centro con conseguente ritardo nel
loro svolgimento;
- l’appesantimento del lavoro dei parlamentari, gravati da molte
sollecitazioni e richieste da parte degli elettori.
Per eliminare questi inconvenienti Ambrosini propose di istituire la
Regione, ente locale territoriale, autarchico e fornito di potere
legislativo. Tutte le sue prerogative avrebbero dovute essere garantite
12
Cfr. E. ROTELLI, L’avvento della Regione in Italia, Milano, 1967, pp. 295 ss.
15
in una Carta Costituzionale rigida, perciò non modificabili o
diminuibili con legge ordinaria.
La Regione avrebbe dovuto avere una competenza legislativa così
suddivisa:
- competenza legislativa esclusiva su determinate materie
costituzionalmente previste (ad esempio: agricoltura, pesca, strade,
acquedotti, miniere, turismo);
- facoltà di dettare norme di esecuzione su temi in cui gli organi
legislativi dello Stato avevano stabilito i principi fondamentali;
- potestà legislativa concorrente per materie sulle quali il diritto di
legiferare spettava allo Stato, ma che concedeva alle Regioni fintanto
che egli non decidesse di legiferare.
Alla Regione sarebbe spettato anche il diritto di farsi iniziatrice di
proposte di legge da sottoporre al potere legislativo dello Stato, ove
avesse avvertito determinati bisogni della propria popolazione.
Per quanto riguarda il potere esecutivo, la Regione avrebbe dovuto
esercitare la funzione esecutiva amministrativa su tutte le materie di
sua competenza esclusiva ed anche su quelle proprie dello Stato, che
questi le avesse delegato. Venne prevista una finanza esclusiva
regionale, coordinata con quella statale, in modo da dare all’ente la
possibilità di esercitare le funzioni che gli furono attribuite.
In merito al potere giurisdizionale, Ambrosini disse che non era
possibile attribuire all’ente regionale una funzione giurisdizionale
senza infrangere il sistema generale dell’unità della giurisdizione dello
Stato, ma la Regione avrebbe potuto istituire organi giurisdizionali per
la decisione di ricorsi avverso atti o deliberazioni degli enti locali ed
anche sezioni decentrate dei supremi tribunali dello Stato.