pubblicazione e di creazione delle novelle. Basta pensare
che tra la sezione dedicata agli Ebrei, scritta nei primi
anni del secolo e i Tre ricordi del mondo meraviglioso, c’è
un distacco temporale di più di trent’anni.
La «cronistoria» più attendibile e più precisa è,
indubbiamente, quela fornita da Arrigo Stara (nel
volume Tutte le Prose, Mondadori nel 2001) ed è a questa
ricostruzione che ci riferiamo per ripercorrere le tappe di
una genesi tanto complessa.
Secondo il progetto che Saba propose a Mondadori
nell’estate del 1954, la raccolta era costituita da tre
sezioni di testi di periodi diversi: i racconti degli Ebrei
(1910/1913); le sette Novelle del periodo bolognese
(1912/1913) e infine i tre Ricordi del mondo
meraviglioso, scritti più di trent’anni dopo, tra il
1946/1947.
In aggiunta a queste parti principali c’erano dei materiali
prefatori che Saba aveva già inserito, nella pubblicazione
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antecedente del 1953 su «Botteghe Oscure», prima del
gruppo degli Ebrei.
Tra questi “prologhi” la Dedica a mia zia Regina, la
Prefazione, una premessa scritta da Carlo Levi nel marzo
1953 ed intitolata Su un vecchio manoscritto di Umberto
Saba e due brevi testi indipendenti dagli altri, ossia Iddio
e Maternità (Un episodio del mercato nero), il primo del
’37 ed il secondo del ’47 posto a chiusura della raccolta;
per finire una Avvertenza, nella quale si esplicavano le
motivazioni e la composizione dell’opera.
Quest’opera nasce in un momento affatto semplice per
Saba: gli anni tra il ’51 e il ’53 sono particolarmente
difficili ed angosciosi.
C’è solo una cosa che lo tranquillizza: la clinica, unico
luogo in cui rifiutato e respinto dal mondo si sente
protetto.
Vorrebbe uccidersi avvelenandosi. Ed è proprio in quel
luogo e in quel momento così cupo che Saba riscopre
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vecchie amicizie con cui intrattiene una corrispondenza
epistolare.
È con gli amici Levi, Sereni e Stock che si apre e si
confessa usando parole piene di smarrimento e sfiducia,
ma anche di una violenza disarmante.
È in particolare l’amicizia con Nello Stock a ritornare
improvvisamente di grande attualità e a risultare
fondamentale nella riscoperta delle sue vecchie «novelle
ebraiche».
Stock era uno dei suoi più cari amici a Trieste e si era
trasferito, poiché ebreo, negli Stati Uniti d’America.
I due amici avevano molto in comune e proprio per
questo la loro corrispondenza divenne molto intima:
erano entrambi ebrei ed erano stati psicoanalizzati da
Weiss, allievo di Freud. (Stock, a New York aveva
continuato la sua terapia presso Flescher).
Sono queste caratteristiche comuni ad aver reso
particolarmente intensa la loro corrispondenza.
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Alcune lettere furono distrutte direttamente da Saba e da
Stock o non vennero mai consegnate in seguito dagli
eredi per essere pubblicate nell’Epistolario di Saba.
Tuttavia, tra quele conservate ve ne sono alcune
particolarmente rilevanti, degli ultimi mesi del ’52 nelle
quali Saba torna ad affrontare un tema alquanto
scottante della storia propria e del mondo, quello
dell’ebraismo e dell’antisemitismo.
In particolar modo la lettera inviata da Saba a Stock il 3
ottobre del 1952 è carica di affermazioni sul popolo
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ebreo e sulla religione ebraica.
Saba infatti, a partire da quel momento riprende a
scavare in una parte della propria anima rimasta legata
indissolubilmente al ricordo della madre e con estrema
durezza dichiara che «sarebbe stato meglio che (gli ebrei)
o avessero preso 1500 anni fa la religione della
maggioranza (in pratica, che si fossero battezzati) o che
fossero morti. Molto inutile dolore si sarebbe così
risparmiato!».
Proprio in detta lettera si può rintracciare il primo
impulso a recuperare i ricordi ed i racconti ebraici. Saba
coinvolge, nel recupero dei vecchi racconti, anche la
figlia Linuccia e Carlo Levi.
A quest’ultimo Saba invierà, pochi giorni dopo, ovvero
l’11 dicembre sia la «copia buona», sia il «dattiloscritto
Gli originale» di Ebrei e altri ricordi (1910/1947).
Nella lettera all’amico Saba scrive che, tanti anni prima,
quel progetto era rimasto incompleto e che avrebbe
dovuto essere molto più lungo, ma era stato bloccato
dalla moglie che lo «obbligò
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» a scrivere i versi di Trieste
e una donna.
Erano i primi passi verso la composizione di quell’opera
che prenderà il nome, nel 1956, di Ricordi – Racconti che,
come vedremo, sarà «contenitore» dei fantasmi del
passato, di ricordi, appunto, riemersi da un incubo, in cui
2
Quell’«obbligo», quella costrizione, è, ovviamente da intendersi
metaforicamente: il blocco e il bisogno di scrivere quei versi e, di
conseguenza, l’aver distolto l’attenzione da quel progetto in prosa, furono
dettati dalla crisi matrimoniale e dal tradimento da parte di Lina.
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si incontrano «amori che crollano», «famiglie che si
sfanno», personaggi segnati da un destino doloroso,
disgraziato, infelice.
In un’altra lettera a Stock, il 22 dicembre, scrive di aver
ricevuto da Carlo Levi la proposta di pubblicare in
episodi, su un giornale, la sezione del dattiloscritto
dedicato agli Ebrei, ma di non essere convinto di
accettare perché, per quanto la proposta fosse allettante
economicamente, aveva quasi timore, di rendere
pubbliche quelle novelle.
Quando aveva spedito il manoscritto dei racconti a Carlo
Levi, infatti, aveva espresso la sua preoccupazione
rispetto al fatto che quelle novelle potessero risultare
cariche di un valore antisemita molto acceso.
E solo ora se ne rendeva conto, perché quando le aveva
scritte, tanti anni prima, «l’antisemitismo era un gioco, o
tale gli
3
appariva ».
10
3
Corsivo mio.
Nel 1952, invece, parlare di ebraismo significava ben
altro e se oggi quelle esitazioni potrebbero sembrare
eccessive, considerando il clima in cui erano vissuti per
anni gli ebrei durante e dopo la guerra, si capisce che le
remore di Saba non erano affatto esagerate.
Basti pensare che, in quella che sarà la Prefazione di
Ricordi – Racconti, Saba dichiara di ricordare «come un
incubo, di aver scritto questi racconti più di quarant’anni
fa».
4
Saba aveva scritto che, in quei racconti, «– alcune frasi
sebbene venate di tenerezza ‐ potrebbero essere di
…..Hitler»
5
. Il 15 gennaio ritorna a richiamare
quell’orribile paragone con il dittatore del Reich: «dopo
quello che è accaduto, mi sembra ingeneroso verso i
superstiti… Non so davvero se ho torto o ragione: ma
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4
U. Saba, Ricordi Racconti, in Tutte le prose, p. 363.
5
A proposito di Hitler e Mussolini è utile leggere le Quinte scorciatoie in cui
entrambi gli statisti sono presentati come prototipi funesti di un’ aggressività
non intesa come pulsione istintiva, ma come mera violenza. La diagnosi di
Saba è una: delinquenza e ciò che connota la delinquenza dei due è
l’incapacità di amare. Di conseguenza Hitler e Mussolini rappresentano solo
Thanatos disconoscendo Eros. Oltretutto sono disfacitori di quello che invece
dovrebbe costituire uno strumento utile alla società: il potere. Entrambi sono
patologicamente deliranti nel desiderio di onnipotenza e per questo generano
solo lo spettro dell’odio che è distruttivo.
pensa che ‐ tranne dal punto di vista pratico:
persecuzioni, ecc. – do quasi ragione a … Hitler ».
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I puntini di sospensione, le lineette, l’uso di «ecc.»
assumono una pregnanza non indifferente: Saba esita, sì,
ha pudore, ma per quella sua sete di verità, ancora una
volta, disarma, con la sua estrema sincerità e non si limita
nel sottolineare ed evidenziare il suo profondo
sentimento disfattista e la sua intolleranza di uomo
portatore dei geni di quella condanna. Non era semplice
imboccare certi sentieri, ma Saba non si ferma.
Fra i molteplici sentieri il più angusto e il più tortuoso è
quello che conduceva all’attraversamento di uno degli
orrori più disumani della storia contemporanea:
Maidanek.
La studiosa Elvira Fravetti punta la sua attenzione
sull’importanza del fatto che è proprio il carattere brutale
del tempo storico in cui Saba era vissuto e a cui si era
riferito, a spingerlo ad «estrarre le sue verità non
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6
U. Saba, Tutte le prose, cit., p. 1390.
dall’idea di fatti umani remoti che sfidano l’eterno, bensì
dal ripensamento di ben concrete e per lo più dolorose
esperienze di tutta la sua vita, ma specialmente dagli anni
del fascismo e del nazismo, e dall’osservazione della
realtà nuova che l’immediato dopoguerra offriva».
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Dopo Maidenek, ogni uomo era un po’ meno, solo per il
fatto stesso che Maidenek fosse esistito
8
. Ricordare quei
momenti, allora, non significava, per Saba, solo far
riemergere dolori e sofferenze rimosse, ma rivivere
momenti storici drammatici.
Questa tragica deduzione trova conferma nelle parole che
Saba scrisse nel 1952, nella Prefazione di Ricordi –
acconti: R
ed io rimasi tanti anni ancora in
questo mondo da poter assistere
(ed anche sopravvivere ) ai nostri
orrori, dopo i quali tutti – vittime e
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7
E. Fravetti, La prosa di Umberto Saba, cit. , pp. 62‐ 63
8
Come ha osservato F. Portinari non è una questione solo sentimentale. Ciò
che inquieta e di cui si ragiona è già tutto racchiuso nella frase «Dopo
Maidenek…» dove i puntini sono assolutamente significativi. F.Portinari,
Umberto Saba, Milano, Mursia, 1963, p. 204.