Danze, Donne e Muse nella Spagna Moderna Alessandra Congedo
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approccio di tipo scientifico allo studio di un repertorio, analizzando e tenendo in considerazione gli
stilemi di un’epoca, di un autore di un brano, attraverso la documentazione, la ricerca, l’analisi.
La scelta di trattare una ricerca sul tema della musica spagnola nasce da circostanze casuali.
Non essendomi mai accostata allo studio di un repertorio spagnolo, ero quasi reticente a credere che
l’avrei trovata confacente alla mia personalità ed alle capacità esecutive per il programma di studio di
Prassi esecutiva. Devo l’input culturale ai consigli ed alle indicazioni didattiche del Docente di Prassi
pianistica, il M° Leonardo Cioffi.
Ho riscoperto, con sorpresa e piacevole coinvolgimento, un’empatia verso questa musica, per una
duplice motivazione: per il richiamo, in primo luogo, a motivi e a temi musicali evidentemente
nazionalistici di un Paese europeo caldo, d’identità culturale complessa, eterogenea, vasta,
artisticamente interessante; in secondo luogo, per le sonorità romantico- impressioniste (con i sistemi
ritmici della tradizione musicale e delle danze della Spagna) che fanno della musica spagnola una tela
su cui osservare i paesaggi più vari, dipinti talvolta con colori vivi, in altri contesti con acquerelli: una
musica descrittiva ed evocatrice.
Enrique Granados, raffinato e sublime rappresentante della musica catalana, e Joaquin Turina,
(scoperto grazie alla premurosa guida del Docente di musica da camera, il M° Giovanni Pellegrini) con
la sua marcata sensibilità ed identità andalusa, costituiscono l’appassionante materia di studio del mio
approfondimento e sono gli autori di un repertorio straordinariamente confacente alla mia sensibilità
musicale di ascoltare, suonando, la musica.
Danze, Donne e Muse nella Spagna Moderna Alessandra Congedo
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Danze, Donne e Muse nella Spagna Moderna Alessandra Congedo
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2 La musica spagnola
Nonostante l’unità politica, la diversità culturale delle entità geografiche della Spagna è percettibile
ne lla varietà dei fenomeni sociali (compresi quelli di natura folcloristica).
Già la Spagna dei romani, quella “provinciale”, era stata divisa in cinque zone geografiche
fondamentali:
- l’area meridionale, oggi l’Andalucia, possiede un vasto repertorio di creazioni artistiche, culminanti
nelle canzoni e nelle danze dello straordinario cante jondo o flamenco.
- la zona orientale o mediterranea, più o meno coincidente oggi con l’area linguistica Catalana, è
caratterizzata dalla presenza di danze, tra cui primeggia la classica sardana3 semplice e solenne come
una danza greca, e da un ricco canzoniere popolare, spesso di risonanze epiche.
- della zona settentrionale fanno parte i Paesi Baschi (a cui appartiene anche la Castiglianizzata
Navarra) e le Asturie. A parte il mistero sulle loro origini e della lingua, i Baschi, cristianizzati solo dal
sec. IX e vissuti a lungo isolati sulle montagne, conservano danze e mascherate di evidenti
reminescenze rituali agricole, un notevole repertorio di canti e racconti popolari. Quasi altrettanto ricca
è la cultura popolare Asturiana, pure d’origine pastorale e agricola, con un vasto patrimonio di
romances, danze quali la danza prima e il coricorri e strumenti come la gaita de pellejo.
- nella zona occidentale, nella Galizia, primeggiano musiche e danze (muiñeiras) accompagnate dalla
zampogna (gaita) e dal tamburo.
- la zona centrale, infine, comprende la due Castiglie e l’Aragona, i pilastri dell’unità politica
spagnola. Oggi, la Vecchia Castiglia (Soria, Ávila, Salamanca) è meno popolata e più povera delle
fertili regioni centrali (Nuova Castiglia, dove rimasero molti discendenti dei Mori vinti) e meridionali,
ma conserva zone di un affascinante arcaismo, come le Hurdes (Salamanca), l’alta Estremadura e la
Maragaterìa (nell’antico regno di León) e costumi agricoli e pastorali, tra cui la transumanza, molto
radicati, con danze, feste (famosa e di gran rilevanza quella di San Giovanni) e canzoni tipiche.
Nel folclore aragonese spiccano la jota, vivacissima danza di probabile origine moresca, il dance,
colorito spettacolo coreografico, e i maggi. Appartengono, infine alla Spagna due gruppi insulari di alto
interesse folcloristico: le Baleari, dove l’arcaica Ibiza spicca sulle catalane Maiorca e Minorca, e le
atlantiche Canarie, dove prima della conquista castigliana (fine XV ecc.) fiorì la misteriosa cultura dei
Guanches e dove sopravvivono le danze tajaraste e sirinoque ed è fiorente l’artigianato dedito alla
fabbricazione di strumenti musicali, specie a corda e le nacchere.
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V. cap. Danze spagnole
Danze, Donne e Muse nella Spagna Moderna Alessandra Congedo
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La prima testimonianza di una tradizione musicale spagnola è il canto cristiano liturgico
impropriamente detto mozarabico (secc. V - XI). In seguito, si sviluppò una polifonia spagnola (secc. X
– XII), con le composizioni del Codex Calixtinus e, in ambito monodico, la fioritura delle cantigas, una
delle tradizioni più rilavanti del sec. XIII. Dopo le testimonianze polifoniche trasmesse dal Códice de
Las Huelgas, non si conoscono composizioni spagnole nella prima metà del sec. XV. Nella seconda
metà si pongono le premesse per la fioritura della musica rinascimentale, con pagine sacre, villancicos
e romances dovuta a Juan del Encina e a numerosi compositori del celebre Cancionero de Palacio.
Grande rilievo assume anche la musica per organo e la fioritura di opere per vihuela4 che avrebbero
largamente influito sui compositori dei XIX secolo. Essa decadde nel sec. XVII e si affermò la chitarra
con il compositore Gaspar Sanz; nacque, inoltre, la zarzuela; rimase esclusa l’opera italiana che fu
introdotta nel sec. XVIII per iniziativa della corte borbonica, pur incontrando resistenze.
In ambiente popolare fu preferita la tonadilla, semplice, di carattere satirico.
La figura emergente in questo secolo, che, come il precedente, è considerato di decadenza per la
musica spagnola è quella di Antonio Soler.
Si deve ricordare l’influenza di due musicisti italiani vissuti a lungo in Spagna: Domenico Scarlatti
(prima metà del 700) e Luigi Boccherini (seconda metà).
Felipe Pedrell, come compositore, didatta e studioso, in particolare del Rinascimento e della musica
popolare spagnola, ebbe una significativa influenza sulla musica di Isaac Albéniz, Enrique Granados,
Manuel de Falla e Joaquin Turina.
Notevole rilievo ha avuto nella vita musicale spagnola e nella stessa musica colta europea, dal sec.
XIX, la tradizione popolare, soprattutto quella andalusa del cante hondo e del flamenco.
La produzione musicale spagnola non si caratterizza in modo del tutto originale nell’ambito della
musica europea fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando cominciano a fiorire le scuole nazionali
dell’Europa orientale. Ciò non significa che la musica spagnola dei secoli precedenti offra scarso
interesse, come dimostrano, ad esempio, le Cantigas de Sancta Maria di Alfonso X il Savio, re di
Castiglia della seconda metà del secolo XIII, uno dei più affascinanti documenti della monodia
medievale.
Altri nomi interessanti sono Juan del Encina, polifonista di primo piano del teatro spagnolo tra il
Quattrocento e il Cinquecento e Luis de Victoria, ben degno di figurare accanto a Palestrina e a Lasso.
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Con questo termine si indica un numero abbastanza vasto di strumenti a corda che, se sono abbastanza vicini come forma (tutti derivati
dalla viella, a fondo piatto, da cui discende la famiglia delle viole), risultano assai diversi per la tecnica di esecuzione richiesta: sono
infatti a pizzico, a plettro,ad arco. Quello più diffuso nel XVI sec. in Spagna era una contaminazione tra la vihuela a plettro,la chitarra e il
liuto: uno strumento simile alla chitarra, a corde pizzicate con le dita, fondo piatto, manico corto e rovesciato all’indietro, sei corde di cui
cinque doppie.
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Meno interessante fu la produzione strumentale che ebbe personalità di rilievo come protagonisti nel
campo dell’organo e soprattutto del liuto. Nel primo Settecento la presenza in Spagna di Domenico
Scarlatti dà un nuovo slancio alla letteratura clavicembalistica, che assume un’impronta scarlattiana:
campo in cui si distinguerà Antonio Soler, ad esempio. Interessanti anche i chitarristi, tra cui Santiago
de Murcia e J. Manuel Garcia, soprattutto per l’importanza che questo strumento assumerà nell’arte
pianistica per Albéniz e Granados.
Nessuno di questi musicisti, però, ebbe caratteri tipicamente spagnoli e la loro produzione può essere
incanalata nella tradizione della musica europea. I caratteri “spagnoli” stanno nei ritmi di danza, nei
temi suggestivi e sensuali carichi di umori orientaleggianti, nel timbro della chitarra, nel colorito
orchestrale e costituiscono i motivi più appariscenti di una Spagna “turistica”, autentica ma
superficiale, che rivive in certe pagine di autori non spagnoli: España di Chabrier, Ibéria e La Soirée
dans Grenade di Debussy, Jota aragonesca di Glinka, Capriccio espagnol di Rimski- Korsakov,
Bolero e Rhapsodie espagnole di Ravel…
Pagine vivaci, ricche di colore, ma che dipingono una Spagna convenzionale o, nel migliore dei casi,
del tutto personale; pagine che in generale gli Spagnoli detestano! I più profondi caratteri nazionali non
sono nelle etichette tematiche troppo caratterizzate in senso popolare, ma nel teatro realista e
vagamente populista di Mussorgski, nel fiabesco sogno di evasione di Rimski, nell’ottimistico impegno
politico di Smetana, nella dolorosa introspezione di Janácek, che usano temi popolari, ma – a parte
Rimski – più raramente di quanto si pensa, e che pure creano un’arte nazionale.
L’estrema caratterizzazione della musica spagnola, che s’impone al primo ascolto, rende più difficile
coglierne l’intima realtà, che resta sempre enigmatica e sfuggente. Per questo è molto difficile cogliere
l’hispanidad, questa realtà spirituale tanto profondamente radicata nell’Europa da esserne intima parte,
e, allo stesso tempo, lontana, diversa, incomprensibile. “I criteri abituali – scrive Americo Castro5 –
perdono la loro efficacia se li applichiamo alla storia della Spagna, sempre chiusa in un antagonistico
vivere – morire, che non è per forza un valore negativo. Ecco, quindi, gli Spagnoli, davanti ad una
storia che nello stesso tempo si afferma e si distrugge in una serie continuata di canti del cigno”.
Alla fine del XVIII secolo, in un Impero già scheletro e ombra di se stesso, Goya superava tutte le
rovine nell’arte unica della sua pittura.
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Américo Castro è nato a Rio-de-Janeiro nel 1885 (morì a Lloret-de-Mar nel 1972), ha insegnato all'Università di Madrid: nel 1939 scelse
la via dell'esilio. Ha insegnato nelle università di Buenos-Aires e di Princeton. Allievo di Menéndez Pidal e di Giner de los Ríos, ha
compiuto importanti studi sulla lingua, la letteratura, la religiosità e la cultura spagnola. Le sue opere, sorrette da una profonda
preparazione filologica e storica, racchiudono una visione complessa e ricca della civiltà ispanica, dove gli apporti del mondo arabo e di
quello ebraico sono opportunamente rivalutati. Di lui si ricordano soprattutto: "Lingua, insegnamento e letteratura" (Lengua, enseñanza y
literatura, 1924), "Il pensiero di Cervantes" (El pensamiento de Cervantes, 1925), "Aspetti del vivere ispanico" (Aspectos del vivir
hispánico, 1949), "La Spagna nella sua realtà storica" (La realidad histórica de España, 1954).