all’affermazione, negli anni Ottanta, della neotelevisione. Vengono, quindi,
analizzati tutti quegli aspetti storico-linguistici legati allo sviluppo
tecnologico del mezzo rispetto alle necessità di rappresentare sul piccolo
schermo le principali manifestazioni sportive (le Olimpiadi, i Campionati
del mondo di calcio, le grandi gare a tappe di ciclismo). Temi quali lo sport
come media-event, come intrattenimento televisivo, come “chiacchiera
discorsiva” o come veicolo promozionale e pubblicitario costituiscono - nel
loro insieme - i campi interrelati che articolano quel “matrimonio
d’interesse” - tra tv e sport - su cui si incentrerà la ricerca e la mia
riflessione.
La terza sezione si concentrerà sulle principali rivoluzioni che hanno
investito, nell’ultimo quadriennio, l’ambito calcistico : la sentenza Bosman,
il riconoscimento giuridico del fine di lucro per le società professionistiche,
la commercializzazione televisiva del calcio con l’istituzione della
Champions League e, soprattutto, le problematiche relative all’avvento
della pay tv e della pay per view. A quest'ultimo aspetto si lega la guerra
dell’etere per l’acquisizione dei diritti di trasmissione - in chiaro e “criptati”
- degli incontri di calcio del campionato di serie A e B, inquadrata in una
strategia dei grandi gruppi televisivi nella quale la materia calcistica si
configura come vera killer application delle nuove tecnologie satellitari e
digitali nell’era dell’opulenza televisiva. Un capitolo, dunque, attento, da
una parte, agli assetti strutturali delle aziende televisive (in primis le
piattaformi digitali) in relazione alla gestione della materia mediatica
sportiva ; dall’altra, alla riconfigurazione dei rapporti politico-istituzionali
ed economici tra i soggetti dell’universo sportivo (Coni, Figc, Lega Calcio,
società professionistiche) e gli stessi operatori televisivi.
Senza dimenticare tutte quelle tematiche relative al ruolo sociale del
servizio pubblico in un mercato televisivo posto in costante fibrillazione
dalle operazioni dei più importanti soggetti privati, e al valore culturale,
sancito anche in sede europea, delle grandi manifestazioni sportive
(considerate avvenimenti di estrema rilevanza da “proteggere” dalla rete dei
codici “crittanti”) che stride con gli interessi economici delle televisioni a
pagamento, che trovano nel calcio “oscurato”, insieme alle opere
cinematografiche, il principale contenuto strategico per attrarre a sé il
maggior numero di abbonati.
Nel quarto capitolo, quello conclusivo, tenterò di delineare una
fenomenologia del calcio nella televisione digitale. Analizzerò, quindi, la
logica comunicativa posta alla base della rappresentazione degli incontri di
calcio all’interno dei circuiti elettronici del mezzo. Cercherò di porre in luce
gli aspetti estetici del fenomeno e la natura profonda (da me definita
“pornografica”
1
) dello stile di rappresentazione del mezzo. La logica
comunicativa e le tendenze espressive verranno poi relazionate allo spirito
fortemente commerciale della pay tv e della pay per view, in un’analisi che
sappia inquadrare il nuovo rapporto tra lo spettatore e il mezzo televisivo
digitale, oltre ad evidenziare il carattere di merce - sfavillante, spettacolare
ed “oscena” - dei contenuti sportivi, acquistati direttamente alla fonte
dell’emittente.
1
Con il temine “pornografico” intendo indicare - nell’ambito della rappresentazione degli eventi
sportivi all’interno del piccolo schermo – l’atteggiamento analitico, tutto orientato al dettaglio
infinitesimale, del mezzo, oltre aspetti quali il “gigantismo” della visione, il virtuosismo tecnico-
estetico dello stile rappresentativo, la schizofrenia dei punti di vista e il carattere “osceno” della
merce-spettacolo.
I. SPORT E MASS MEDIA: LA COMUNE RADICE STORICA
NELLA SOCIETÀ INDUSTRIALE
Premessa
Lo sport rappresenta un prodotto caratteristico della società industriale
moderna di fine Ottocento, un aspetto fondamentale della cosiddetta cultura di
massa, un fenomeno complesso "capace di interessare e intersecare dimensioni
diverse dell'esistenza e delle più vaste relazioni sociali"
2
.
Il termine sport
3
- che ancora fino alla metà del XIX secolo indicava
attività ricreative aristocratiche come la caccia, il gioco del biliardo o la
scherma - assume il significato attuale, prima nel Regno Unito poi nel resto
del continente europeo, solo alla fine dell'Ottocento e nei primi anni del
Novecento. Con la parola sport, quindi, definiamo tutte quelle attività ludiche
di tipo agonistico e competitivo, altamente strutturate e organizzate, che
richiedono un livello specialistico di abilità sia fisica che intellettuale. Il
carattere individuale o di squadra, dilettantistico o professionistico, delle varie
discipline rende l'universo sportivo variegato e multiforme, sebbene la
struttura agonale sia persistente in ogni ambito settoriale.
Lo sport - e il calcio in particolare, oggetto privilegiato di questo lavoro - si
configura come fatto sociale totale sviluppatosi attorno all'originaria radice
2
Cfr. N. Porro, L'imperfetta epopea, Milano, Clup, 1989, p. 15.
3
Il vocabolo sport deriva, secondo quanto riportato dal Grand dictionnaire universal du XIX siècle
del grammatico Pierre Larousse, dall'antico francese desport che significa divertimento. Verrebbe,
quindi, a cadere la primogenitura etimologica britannica, sebbene già nel Cinquecento il termine
fosse presente, in Inghilterra, ad indicare il passatempo nobiliare della caccia. Di certo dal mondo
anglosassone si è venuto a diffondere dovunque allargando i limiti della sua accezione, fino a
diventare sinonimo di alternativa all'attività lavorativa e, in genere, di quelle occupazioni che sono
caratterizzate da un elemento di necessità. Anche in Italia esiste il termine "diporto" (e il verbo
"diportarsi") col significato di spasso, svago e ricreazione (cfr. Il Dizionario della Lingua Italiana di
Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli).
ludica, con un suo carattere di spettacolarità esaltata dalle potenzialità tecniche
del medium televisivo. In quanto fenomeno complesso si struttura, infatti,
all'interno di molteplici campi e relazioni: "lo sport come loisir e lo sport come
professione; i rapporti tra sport e industria; la commercializzazione dello sport;
il ruolo dello Stato nello sport; sport e politica; modelli organizzativi,
amministrativi e di controllo delle organizzazioni sportive a livello
internazionale, nazionale e locale; le organizzazioni sportive nelle società
capitalistiche e nelle società ex socialiste; lo sport nei paesi del terzo mondo;
sport e mass media; sport e sistemi educativi; sport e classi sociali; sport e
razze; sport e gender; sport e doping; l'etica sportiva; sport e violenza; il
pubblico sportivo"
4
.
Inoltre lo sport, con la sua originaria matrice ludica, si inserisce in quel
vasto complesso di attività umane non direttamente produttive e dedicate alla
strutturazione euforica del tempo, presenti - fin dai primordi - nello sviluppo
di tutte le civiltà: i giochi. Quest'ultimi si possono definire, infatti, come
attività fisiche o intellettuali scelte liberamente, non utilitaristiche, prive di
scopo estraneo ad esse stesse - autoteliche - e regolate da norme il cui carattere
convenzionale è riconosciuto dai partecipanti al gioco. Il "fare" ludico è
caratterizzato, quindi, da una mancanza di obiettivi che fuoriescono dal gioco
stesso e dalla convenzionalità, che rende il divertimento, paradossalmente, una
pratica seria.
In realtà, in molte culture europee si contrappongono due aree semantiche
espresse dalla nota distinzione inglese tra game (unità ludica regolata e
organizzata) e play (il "giocare" come attività più libera). Ci troviamo di
fronte, dunque, ad una oscillazione tra serietà e disimpegno, tra strutture
ludiche formalizzate e gioco aperto alla creatività pragmatica. Il gioco
spontaneo, in un certo senso, può avvicinarsi - senza che lo possiamo mai
4
Cfr. A. Roversi, G. Triani, Sociologia dello sport, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p.
5.
raggiungere totalmente - al regno della pura libertà, ma la maggior parte delle
pratiche ludiche è comunque regolata e vincolata a norme
5
.
La difficoltà a definire, con un'unica formula esaustiva, la multiforme
varietà dei giochi e di quelle attività serie, eppure chiaramente ludiche, come il
teatro, il gioco degli scacchi o una gara sportiva, aveva interessato lo stesso
filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein. In un suo celebre frammento, che pur
si inquadra nella problematica più ampia dei "giochi linguistici", mette in
evidenza la contiguità delle attività ludiche, il loro essere definibili attraverso
una giustapposizione ("somiglianze di famiglia") e non una caratteristica
generale o una regola costitutiva universale: "Considera […] i processi che
chiamiamo «giochi». Intendo dire giochi di scacchiera, giochi di carte, giochi
di palla, gare sportive e via discorrendo. Che cosa è comune a tutti questi
giochi? […] Infatti, se li osservi non vedrai certamente qualche cosa che sia
comune a tutti, ma vedrai somiglianze, parentele, e anzi ne vedrai tutta una
serie. […] vediamo una rete complicata di somiglianze che si sovrappongono
e si incrociano a vicenda. Somiglianze in grande e in piccolo.
67. Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con
l'espressione «somiglianze di famiglia»"
6
.
In un'altra opera classica relativa al nostro argomento - I giochi e gli uomini
di Roger Caillois - i giochi, relazionati alla struttura della società, vengono
declinati secondo sei aspetti caratteristici, che li contraddistinguono come
attività libere, separate, improduttive, incerte, regolate e fittizie. Al di là di
queste qualità puramente formali, il suo è uno schema classificatorio
complesso in cui i poli di paidia e ludus rappresentano una scala dove si passa
dal gioco spontaneo (paidia) ai giochi regolamentati e vincolati a regole
(ludus). Le altre componenti del sistema ingegnoso di Caillois forniscono una
quadruplice categorizzazione entro la quale opera la dicotomia paidia-ludus.
5
Cfr. A. Dal Lago & P. Rovatti, Per gioco, Milano, Cortina Editore, 1993; U. Volli, Il libro della
comunicazione, Milano, Il Saggiatore, 1994; A. Guttmann, Dal rituale al record. La natura degli
sport moderni, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994.
6
Cfr. L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1999, par. 66-67, pp. 46-47.
Le quattro categorie sono: i giochi in cui predomina il caso (alea); le
competizioni (agon); le rappresentazioni o messe in scene fittizie (mimicry); e
quelle attività che stimolano l'insorgenza della vertigine o uno "stato organico
di perdita della coscienza e di smarrimento" (ilinx)
7
.
La dimensione agonistica e competitiva, associata ad una struttura
rigidamente formale, d'altro canto, pone quella particolare sottocategoria del
gioco - individuata dallo sport - su un piano differente e autonomo, in cui si
intrecciano l'originaria natura ludica e quelle componenti sociali, economiche
e culturali che fanno dell'universo sportivo una realtà polidimensionale.
L'aspetto competitivo, incentrato sulle prestazioni fisiche, è predominante
negli sport moderni ed è rilevato dalla stessa etimologia del termine "atleta",
che deriva dalle parole greche âthlos (lotta) e athlon (premio).
Senza voler negare, quindi, la natura unitaria dell'ambito sportivo e le forti
relazioni che lo istituiscono come sistema, in questo capitolo mi propongo di
evidenziare soprattutto la dimensione spettacolare dello sport, specie il calcio,
il suo lento ma progressivo e inesorabile passaggio da un modello di pratica
elitaria, mutuata dagli originari folk games, a spettacolo prodotto da
professionisti e destinato ai consumi di massa attraverso il supporto imponente
dei primi mezzi di comunicazione. In quest'ottica - nella quale società
industriale, nascita e affermazione dei mass media costituiscono le coordinate
storiche in cui inserire il processo di sportivizzazione della dimensione
pubblica - cercherò di mostrare i tratti caratteristici dello sport moderno, il suo
stretto legame con l'industria culturale e del divertimento di cui stampa, radio e
televisione rappresentano i principali sostegni.
Lo sport e la società "informata" crescono in modo parallelo,
appoggiandosi reciprocamente. Gli eventi competitivi, sempre più regolati e
uniformati da una razionalità capitalistica che non ammette un uso
7
Cfr. R. Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Milano, Bompiani, 1981.
Per l'antropologo francese i giochi strutturati rispecchiano la società strutturata. Il suo paradigma
si propone di costruire non una sociologia dei giochi, ma una sociologia a partire dai giochi.
destabilizzante del tempo libero sorto dalla nuova organizzazione lavorativa
settimanale, alimentano sin dalle origini una sovrabbondanza di annunci e di
notizie. Di contro la ricerca sociale di nuove attività ricreative, per l'individuo
liberato dal giogo lavorativo e dai vincoli religiosi del tempo della festa
preindustriale, porta opportunità uniche per l'industria della comunicazione.
Lo sport, nel suo passaggio da dramma ad esibizione, da pratica corporea per
gli atleti a messa in scena per un pubblico reso planetario dallo sviluppo delle
tecnologie comunicative, si costituisce in genere massmediologico, in prodotto
confezionato secondo le regole della società dello spettacolo.
L'obiettivo del capitolo, quindi, è quello di delineare, senza eccessive
forzature, un quadro storico - di cui la Gran Bretagna costituisce il laboratorio
socioeconomico più avanzato - in cui sport e media partecipano, in una
sovrapposizione cronologica sorprendente, a quel medesimo processo di
industrializzazione di tutte le sfere sociali che segna, con forza dirompente e
rivoluzionaria, l'irrompere della modernità nella cultura occidentale.
I.1. LO SPORT MODERNO: NASCITA E CARATTERISTICHE
INDUSTRIALI
I.1.1. Le origini storiche e sociali
Si è affermato che lo sport può considerarsi un fenomeno peculiare della
società industriale moderna, con una forma in netto e chiaro contrasto con
quelle assunte dagli sport primitivi, antichi e medioevali
8
. Gli sport di squadra
attualmente più diffusi, quali il football nelle sue due varianti di calcio e di
rugby, o quelli individuali come la boxe e il tennis, si sono costituiti, nella loro
struttura moderna, in Inghilterra nei decenni successivi alla rivoluzione
industriale. Il processo di sviluppo dello sport, innescatosi nella seconda metà
del XVIII secolo, parallelamente all'irrompere nel tessuto socioeconomico
delle nuove forze produttive della borghesia, ha subito, quindi,
un'accelerazione nell'Ottocento e ha vissuto la sua definitiva affermazione con
la seconda rivoluzione industriale.
Le pratiche elitarie dell'aristocrazia britannica (la caccia, la scherma,
l'equitazione) e i giochi popolari, prevalentemente con la palla, vengono
rideclinati in formule moderne che rispondono ai nuovi bisogni sociali e
all'idea di "tempo libero".
8
Alcuni storici o sociologi come Norbert Elias o Eric Dunning hanno posto in secondo piano il ruolo
della rivoluzione industriale come agente propulsivo del fenomeno sportivo, preferendo rendere
evidente il legame con le forme di libertà costituzionali proprie del sistema britannico. Secondo
quest'ipotesi non soltanto lo sport divenne espressione di un modo di vita che aveva il suo principio
dinamico nella libertà di partecipazione, ma prese piede proprio in coincidenza con la fine di un ciclo
di violenze e con l'istituzione di un regime parlamentare in cui le fazioni iniziavano a contrapporsi
politicamente nella fiducia delle regole e nel riconoscimento formale del ruolo dell'opposizione.
L'azione civilizzatrice nella politica e in generale nella società si rifletterebbe, in quest'ottica, negli
stessi costumi sportivi della popolazione.
Ritengo le teorie del sociologo tedesco Elias molto interessanti - e le utilizzerò in alcuni passaggi
successivi della mia analisi - ma hanno il limite, secondo il mio parere, di non cogliere tutte le
specificità del fenomeno sportivo moderno; soprattutto quella sua natura, storicamente determinata,
che rimanda ad alcuni chiari aspetti del processo di industrializzazione.
Cfr. N. Elias, E. Dunning, Sport e aggressività, Bologna, Il Mulino, 1986.
È innegabile che in un primo tempo lo sport, essendo il prodotto di una
condizione di privilegio, designi uno svago puramente ricreativo, uno "spreco
vistoso", secondo l'espressione di Thorstein Veblen, una prerogativa di status
da classe dominante. La leisure class si diletta in attività fini a se stesse a cui
partecipare con fair play per il piacere dell'esercizio in sé, in cui l'elemento
esibizionistico e utilitaristico è ancora secondario. Prevale un'ostentazione
reiterata del proprio prestigio di classe, la futilità esclusiva di pratiche
ricreative che testimoniano l'esistenza improduttiva e sterile del ceto
dominante.
Se per gran parte del XIX secolo le attività sportive furono appannaggio
soltanto dei ceti aristocratici, in seguito si diffusero negli strati alti della
borghesia, arricchendosi degli elementi dell'utilità e della finalizzazione.
L'ascesa alle leve del potere politico e l'assunzione del ruolo di classe
dirigente determinò, nella borghesia, il bisogno di rielaborare le antiche
pratiche ludiche aristocratiche in funzione del nuovo stile di vita emergente.
Progressivamente il fenomeno invase, per interesse e partecipazione, alla fine
dell'Ottocento, i livelli più bassi del proletariato, costituito da masse
urbanizzate desiderose di svaghi e di divertimenti pubblici e oggetto di
pressioni politiche.
Dalla seconda metà degli anni Venti anche in Paesi come l'Italia, in ritardo
sotto il profilo dello sviluppo industriale, si assiste ad un innalzamento del
tenore di vita delle classi medie e al progressivo passaggio dalla leisure class
alla leisure mass.
Lo sport, nella sua fase iniziale, divenne uno dei pilastri fondamentali del
sistema educativo britannico nelle Public Schools, sotto l'impulso della
borghesia vittoriana
9
. Gli aspetti agonali e competitivi delle manifestazioni
sportive dovevano formare, secondo l'ideologia industriale in ascesa, il
9
A Thomas Arnold, preside a Rugby tra il 1828 e il 1842, si attribuisce il maggior merito della
nascita della pedagogia sportiva in Inghilterra. Il suo metodo si basava sulla fiducia nel libero
sforzo degli allievi, nell'agonismo, nell'autodisciplina e nell'autorganizzazione che si esercitavano,
soprattutto, sul terreno sportivo.
carattere morale dei giovani membri delle classi dirigenti. Lo sport, in
quest'opera di controllo sociale, stimola il confronto leale tra pari, favorisce
quel benessere fisico e quella disciplina corporea che fanno da supporto ad un
ethos civile intriso di moralità, efficienza professionale e lealtà politica.
I giochi di squadra, un tempo occasioni di risse violente, proprio nei
college inglesi vennero disciplinati e concepiti per plasmare lo spirito di
gruppo, il senso di solidarietà e di cooperazione. Sport come il calcio, il rugby
e il polo furono oggetto di attenzioni regolamentative estremamente precise,
che ancora oggi dimostrano tutta la loro validità ed efficacia.
Il riconoscimento del ruolo e dell'importanza dell'educazione del corpo nel
modello formativo britannico si tradusse, perciò, in forme differenti rispetto al
modello ginnico franco-prussiano, tutto orientato all'addestramento fisico,
pedagogico e militare in chiave nazionalistica.
"In Inghilterra, quindi, nella seconda metà dell'Ottocento lo sport presenta
già tutte le caratteristiche che lo mettono in relazione con l'avvento della
società industriale e che lo definiscono nel contempo come attività educativa,
associativa, spettacolare e commerciale"
10
.
La divisione rigida tra tempo di lavoro e tempo libero, con la progressiva
riduzione della giornata lavorativa, diviene - nella seconda meta dell'Ottocento
- più marcata, più sistematica, più definita. Il tempo dello sforzo lavorativo si
industrializza, assume una natura ordinata, prevedibile, calcolabile, improntata
alla disciplina dell'orario, all'efficienza e alla produttività. La razionalità
strumentale capitalistica, il principio di prestazione si riflettono in
quell'organizzazione scientifica del lavoro a cui l'operaio deve sottostare. Con
il trasferimento delle capacità produttive dall'uomo alla macchina e con la
conquista sindacale - in un'ottica complessiva di riduzione delle ore lavorative
- della festività di fine settimana, emerge il bisogno di un tempo per sé, libero
nelle sue possibilità di occupazione e sfruttamento soggettive, svincolato dai
legami religiosi e ritualistici delle società rurali preindustriali. La conquista
progressiva del tempo libero, perciò, è andata di pari passo con lo sviluppo
dell'attività sportiva.
Tuttavia la secolarizzazione del tempo libero ha prodotto paradossalmente
un tempo di tregua e di distrazione a sua volta previsto, organizzato con
standard industriali, riempito dai prodotti dell'industria culturale di cui lo
sport-spettacolo costituisce uno degli svaghi collettivi più imponenti. Si
afferma progressivamente una moralità del consumo e del piacere (fun
morality), una cultura del tempo libero come terreno fertile per la nuova
"fabbrica" dei sogni e del divertimento di massa
11
.
Il legame tra mondo industriale e sport può anche vedersi nel contributo
che la tecnica (senza voler cadere in facili determinismi) ha offerto alla
trasformazione e al potenziamento degli sport preesistenti e alla creazione di
nuovi. Basti pensare all'evoluzione della bicicletta che alla fine del XX secolo
materializzò uno dei valori portanti della moderna società industriale: la
velocità
12
.
10
Cfr. R. Ronchini, G. Triani, "Le basi storico-sociali dello sport in Italia", in Le strutture e le
classi nell'Italia unita, vol. 17 di Aa.Vv., Storia della società italiana, Milano, Teti, 1987, p. 418.
11
Cfr. A. Corbin, L'invenzione del tempo libero, Bari, Editori Laterza, 1996. Ma soprattutto E.
Morin, L'industria culturale, Bologna, Il Mulino, 1963, in cui lo studioso francese più che
all'"amusement" indicato da Horkheimer e Adorno come gioco, leggerezza e banalizzazione, si
riferisce alla cultura del loisir: "La cultura di massa può essere considerata così come una
gigantesca etica del loisir. In altri termini, l'etica del loisir […] prende forma e si struttura nella
cultura di massa. La quale non fa che riempire il loisir (con gli spettacoli, gli incontri sportivi, la
televisione, la radio, la lettura dei giornali e dei settimanali), orientare la ricerca della salvezza
individuale nel loisir, e inoltre "acculturare" il loisir che diviene stile di vita" (p. 71).
12
È innegabile che il diciannovesimo secolo ubbidisce a un'accelerazione dei ritmi simboleggiata
dall'aumento della velocità dei veicoli. Muta la percezione delle distanze con il riferimento ripetuto
alla bicicletta e, successivamente, alle macchine (locomotive, velocipedi e in seguito automobili).
Emerge un modo più sistematico di calcolare il rapporto tra il tempo e la distanza: la velocità espressa
in chilometri all'ora, misura standard della rapidità di un veicolo. Su un piano più generale, inoltre,
bisogna ricordare l'influenza (in un rapporto dialettico tra tecnica e costumi culturali) della diffusione
universale di orologi da taschino nel contribuire ad accelerare la vita moderna e nell'instillare un
senso di puntualità, calcolabilità e precisione tanto nelle transazioni d'affari, quanto nelle relazioni
umane. Lo stesso lavoro industriale fu accelerato dall'applicazione della «organizzazione scientifica»
di Frederick W. Taylor, che l'ideò per la prima volta nel 1883.
Cfr. S. Kerne, "La velocità", in Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento,
Bologna, Il Mulino, 1988, pp.141-166.
È del 1855 l'invenzione del pedale, quindi il freno, la catena di trasmissione
e soprattutto l'invenzione delle gomme pneumatiche nel 1890, che sostituirono
le ruote in legno. Il ciclismo divenne un'attività che ben presto si coniugò con
l'industria pubblicitaria ed ottenne ingenti investimenti da parte dei fabbricanti
di biciclette, promotori delle prime corse ciclistiche.
Appare chiaro che sport più recenti, come quelli motoristici, sorgono in
seguito all'invenzione della macchina e simboleggiano ancora una volta il mito
industriale della velocità.
La rigida divisione tra tempo di svago e lavoro, la razionalità strumentale e
tecnologica che pervade i processi produttivi, lo sviluppo dei mezzi di
trasporto e di comunicazione, la diffusione dell'economia di mercato, la
conquista di un più elevato tenore di vita delle masse e la generale
commercializzazione dei rapporti sociali vengono a costituire, dunque, le
condizioni industriali che hanno trasformato la pratica sportiva in un'attività
complessa, effettuata in tempi e luoghi prestabiliti, in grado di coinvolgere
settori sempre più ampi di popolazione e di richiamare attenzioni politiche e
investimenti pubblicitari.