4
l’action painting americano Pollock, Vedova, ecc…) e un’arte della materia (Burri,
Tapis,…), senza comunque poter del tutto eludere inevitabili compromissioni e
sfaldamenti d’una categoria nei confronti dell’altra. Al di là delle differenti modalità
esecutive e dei differenti supporti usati, ciò che accomuna tutte queste esperienze è il
prevalere dell’elemento soggettivo ed emozionale rispetto a quello razionale.
In Europa le poetiche informali, sorte in antitesi rispetto agli interessi formali dei post
cubisti e dei geometrico-costruttivisti di ascendenza russo-olandese, rispecchiano il
clima di profonda incertezza della situazione postbellica; la forte delusione data nel
fronte degli intellettuali progressisti dall’allontanarsi definitivo delle prospettive
rivoluzionarie, con il ritorno al potere della borghesia conservatrice, contribuisce ad
alimentare la sfiducia nella capacità di mediazione dell’arte nei confronti del reale; il
diffondersi dell’esistenzialismo di Sartre accentua ancor più questo ripiegamento
interiore a scapito della progettuale apertura verso l’esterno tipica delle avanguardie
positive tra le due guerre.
“Le poetiche dette dell’informale, che tra il 1950 e il ’60 prevalgono in tutta l’area
europea e in Giappone sono indubbiamente poetiche dell’incomunicabilità. Non è una
libera scelta; è la condizione di necessità in cui l’arte, che tutta una tradizione culturale
aveva posto come forma, viene a trovarsi in una società che svaluta la forma e non
riconosce più nel linguaggio il modo essenziale della comunicazione tra gli uomini”.
2
In realtà poi il contesto è chiaramente più articolato e meno lineare di quanto possa
sembrare: così in Italia la necessità di un intervento diretto dell’artista nella situazione
in atto è sottolineato con forza dalla potente pittura gestuale di Emilio Vedova,
protagonista nell’immediato dopoguerra assieme a Turcato, Dorazio, Accardi e agli
altri esponenti di Forma 1 (gruppo sorto a Roma nel 1947 e che fin dalla sua prima
apparizione ribadiva programmaticamente la matrice marxista del proprio impegno
politico), anche dello storico dibattito, teorico ed ideologico, tra fautori dell’astrazione e
figurativi. Nelle poetiche del segno e del gesto inoltre, il delinearsi dell’elemento
segnico come entità autonoma e significante all’interno di un contesto dato, in parallelo
con le analoghe ricerche semiotiche e strutturalistiche sul linguaggio, anticipa e contiene
in germe tutti i successivi e fondamentali sviluppi che caratterizzeranno l’arte analitica
degli anni Sessanta e Settanta. Anche per quanto riguarda il corrispettivo americano
2
GIULIO CARLO ARGAN, L’arte moderna, Edizioni Sansoni, Firenze 2000, pag. 495.
5
dell’informale europeo, l’action panting, si può notare come questo movimento si
sviluppi in rapporto dialettico con le contemporanee esperienze dei logic painters, al di
là “della monocorde enfatizzazione da parte degli storici dell’arte moderna”
3
sui
protagonisti dell’espressionismo astratto.
In ogni modo, la fine degli anni Cinquanta rappresenta in Italia un periodo di trapasso
che prelude alla radicale svolta artistica del decennio successivo; al rapido inaridirsi di
gran parte delle esperienze informali
4
si contrappone l’esigenza d’azzeramento degli
artisti milanesi memori della lezione di Lucio Fontana. Quest’ultimo, pur nell’evidenza
vitalistico-energetica del gesto che fende la tela,
violando con i suoi buchi e suoi tagli le colonne
d’Ercole della rappresentazione bidimensionale,
aveva comunque aperto la via verso una
ridefinizione del concetto stesso di superficie
(“distruggere una finzione”, scrive Argan,
“significa recuperare una verità”)
5
: da qui si
moveranno tutte le successive indagini volte da
un lato all’analisi strumentale degli elementi
base del fare pittorico, dall’altro volte al
superamento dei limiti di soglia, sia in senso
oggettuale che in senso concettuale, della
superficie stessa. L’integrità violata della
superficie, l’azione che diventa misura dello spazio reale, libera la tela dalle
convenzioni tradizionali: il concetto spaziale, l’attesa è dunque (anche) per una
rinnovata ricerca che trova nella tautologia linguistica il presupposto primo della sua
logica analitica.
3
GERMANO CELANT, Arte dall’Italia, Feltrinelli, Milano 1988, pag. 87.
4
La consacrazione ufficiale delle poetiche del gesto e della materia avviene in occasione della XXX
Biennale veneziana, svoltasi nel giugno del 1960: i premi internazionali vengono assegnati a Hans
Hartung e a Jean Fautrier, quelli italiani a Emilio Vedova e Piero Consagra, vari altri premi vanno a Franz
Kline, Albero Burri, Piero Dorazio, Eduardo Paolozzi, Henri Michaux. La parabola in qualche modo si
chiude nel giugno dell’anno dopo con il numero monografico della rivista “Il Verri” – fondata a Milano
nel 1957 da Luciano Anceschi – interamente dedicato al complesso e diramato fenomeno informale.
5
GIULIO CARLO ARGAN, L’arte moderna, op. cit., pag. 583.
1. Lucio Fontana, Concetto spaziale:
attese (1960).
6
Il processo d’azzeramento in quegli anni non caratterizza solo le indagini sulla
superficie degli artisti milanesi (Manzoni, Castellani, Bonalumi, Scheggi, Dadamaino):
tendono ad una riduzione minimale, concettuale e compositiva, anche gli schermi
bianchi di Mauri, i quadri con lettere e numeri di Kounellis, i cementi di Uncini, i Senza
titolo di Giulio Paolini, gli esordi pittorici dei pop-artisti romani, Schifano, Festa,
Angeli… Proprio nel contesto della giovane pittura romana debutta Francesco Lo Savio,
la cui produzione artistica, basata sulla dialettica costruttiva dello spazio e della luce,
svoltasi nell’arco di pochi anni, dal gennaio del 1959 al settembre 1963, è l’oggetto
principale di questa tesi. La rigorosa analisi di Lo Savio sulle dinamiche di
strutturazione visiva della forma, sorretta da una coscienza teorica impostata sulle
componenti razionali del fare artistico, precorre in maniera notevole gli esiti formali del
minimalismo americano, pur nell’evidente differenza dei presupposti poetici (così come
la capacità di concretizzare e rendere tangibili i procedimenti logico-costruttivi sembra
anticipare certe conquiste dell’arte concettuale degli anni settanta); lo sviluppo della sua
ricerca corre lungo il filo di una graduale apertura dell’opera verso lo spazio
tridimensionale, che dalle proposizioni teorico-concettuali dei dipinti monocromi,
diventa conquista definitiva nelle Articolazioni totali (per poi proseguire ancora oltre,
almeno a livello di spinta ideale, nella progettazione di un piano urbanistico a matrice
modulare). Lo Savio svolge gran parte delle sue ricerche in ambito romano, ma la sua
figura presenta di certo una maggiore affinità con l’ambiente milanese, dove il contatto
con l’industria (e la presenza di astrattisti e designer di lungo corso) ha determinato un
retroterra più adatto allo sviluppo di istanze generalmente conosciute come
neoconcretiste.
1.2 Introduzione al neoconcretismo. Arte cinetico-visuale.
Con il termine neoconcretismo si è soliti indicare tutta quella serie di esperienze che, a
partire dalla fine degli anni Cinquanta, si sono in un modo o nell’altro riallacciate alle
avanguardie progettuali d’inizio secolo (De Stijl, Bauhaus, costruttivismo russo,
l’astrattismo geometrico degli anni trenta), condividendone l’impostazione razionale e
7
la tensione utopica. In Italia la ripresa del concretismo storico
6
risale innanzitutto alla
fondazione del MAC (Movimento Arte Concreta), avvenuta nel 1948 a Milano (l’anno
prima nel capoluogo lombardo si era svolta la fondamentale Rassegna d’Arte Concreta),
per opera di Atanasio Soldati, Gillo Dorfles, Bruno Munari, Gianni Monnet, con un
obbiettivo analogo a quello del già citato gruppo Forma 1, e cioè far fronte comune
contro le varie correnti surrealiste, postcubiste,
neorealiste (quest’ultime in particolare godevano di
un forte appoggio politico anche a sinistra: le direttive
di Togliatti in tal senso erano piuttosto esplicite), in
nome di un internazionalismo estetico in grado di
ampliare i ristretti confini regionalisti del dibattito
artistico nazionale. Seguendo gli scritti di Dorfles, il
teorico del gruppo, l’arte concreta doveva fondarsi
sulla ricerca di forme pure, primordiali, estranee a
qualsiasi riferimento naturalistico
7
. Aderirono al
MAC personalità come Mauro Reggiani, Mario Nigro, Luigi Veronesi, Lucio Fontana,
Di Salvatore, Galliano Mazzon e poi ancora i romani Accardi, Dorazio, Perilli,…Il
movimento si sciolse nel 1958.
La mostra del 1947 era stata organizzata da Max Bill, pittore, architetto, designer,
scultore, saggista svizzero, allievo dal 1929 al 1932 della Bauhaus, principale
divulgatore e sostenitore a livello internazionale delle ricerche strutturaliste astratto
concrete. L’artista elvetico tra le altre cose aveva pubblicato una rivista “Abstrakt /
Konkret” e soprattutto fondato la Hoschschule fur Gestaltung di Ulm, scuola che
nell’intenzioni programmatiche si basava sui principi della Bauhaus. La sua azione
6
Com’è noto il termine arte concreta rinvia alla definizione di van Doesburg che, nell’articolo
introduttivo del primo numero di Art Concret, uscito nell’aprile del 1930, scriveva: “pittura concreta e
non astratta, perché non c’è nulla di più concreto, di più reale, di una linea, di un colore, di un piano
[…] Una donna, un albero, una mucca sono concreti allo stato naturale, ma sulla tela, sono astratti,
illusori, vaghi,speculativi, laddove un piano è un piano, una linea è una linea; niente di meno, niente di
più.” Van Doesburg voleva evidentemente sgombrare il campo da ogni ambiguità, piantando dei paletti
ben precisi attorno ad un’arte che doveva essere dunque oggettiva, razionale, staccata da ogni riferimento
con la realtà del mondo esterno, e in questo senso totalmente autonoma e autosufficiente; l’opera era il
risultato di un sistema chiuso in se stesso, dominato da precise regole matematiche, e basato su una
sintassi logica di natura combinatoria (o almeno queste erano le intenzioni).
7
Dorfles in particolare, richiamandosi alla definizione di van Doesburg del 1930, intendeva circoscrivere
in maniera più netta e meno evanescente gli ambiti specifici della pittura astratto-concreta, soprattutto
dopo che Lionello Venturi aveva parlato di astratto concretismo in riferimento alla pittura del Gruppo
degli otto (Afro, Birilli, Corpora, Borlotti, Moreni, Santomaso, Turcato, Vedova).
2. Max Bill: Raggi sfumati dal
rosso al blu (1957-58).
8
promotrice culminò nell’organizzazione nel 1960 della
storica mostra zurighese “Konkret Kunst”. Le intenzioni
di Bill erano quelle di ridare nuovo slancio alle tendenze
neocostruttiviste procurando loro una solida base teorica
e critica (in questo senso s’avvalse degli scritti di Margit
Staber e soprattutto dell’appoggio teoretico di Max
Bense, che nel 1965 pubblica la sua Aesthetica); il
percorso espositivo partiva dalle prime testimonianze
astratte di Kandinsky e Kupka, prendeva in rassegna
l’operato di artisti come Delaunay, Arp, il futurista Balla
(fondamentali le sue compenetrazioni iridescenti del
1912)
8
, proseguiva con gli esponenti del neoplasticismo
olandese e, attraverso la mediazione degli artisti formatisi
alla Bauhaus (Albers, Moholy Nagy, Vantongerloo), arrivava a considerare le ultime
ricerche artistiche basate essenzialmente sullo studio della percezione visiva.
Le correnti cinetiche, programmate, optical rappresentano infatti la parte più rilevante
delle esperienze neoconcrete, sia in termini numerici di artisti che a tali ricerche si sono
indirizzati, sia in termini di risonanza internazionale presso il pubblico (per non parlare
dell’esplicito sostegno critico di personalità come Giulio Carlo Argan e Umbro
Apollonio, solo per fare due nomi). L’arte cinetico-visuale si pone indubbiamente sulla
scia dell’indirizzo razionalistico costruttivista e astratto-geometrico, da cui mutua la
volontà di utilizzare forme semplici ed elementari, totalmente slegate dal mondo
fenomenico, ma ne accentua ancor più, attraverso l’utilizzo di una metodologia rigorosa
e della moderna tecnologia, l’aspetto di sperimentazione scientifica (le basi filosofico
teoriche stanno nella psicologia della forma, nella fenomenologia della visione e
naturalmente nel pensiero purovisibilista). I diretti precedenti storici si situano nei
controrilevi di Tatlin del 1914 e nel suo progetto del Monumento alla terza
internazionale (1919-1920), nel plastico mobile e nelle già citate compenetrazioni
iridescenti di Balla, nelle semisfere rotanti di Marcel Duchamp (1925), nelle sculture
8
Nelle “compenetrazioni iridescenti” (1912-13) Giacomo Balla scinde la luce nelle sue componenti di
base: i colori dell’iride sono qui disposti uno accanto all’altro in forme triangolari, in modo da rendere
percepibile la struttura del raggio. Per Balla – come per Lo Savio – la luce rappresenta l’elemento
essenziale del linguaggio visivo.
3. Giacomo Balla,
Compenetrazione iridescente
n.1 (1912).
9
cinetiche di Naum Gabo del 1921, nel modulatore di spazio e di luce di Moholy-Nagy
del 1930, nei mobiles di Calder del 1932, nelle macchine inutili di Munari del 1933, e
poi ancora nelle opere di Pevsner, Vantongerloo, Man Ray. L’espressione cinetica
individua i termini generali di un’arte basata sul movimento, movimento che può essere:
a) reale, l’opera si muove veramente ; b) virtuale, il movimento viene cioè determinato
dallo spettatore attraverso un suo spostamento fisico oppure reso tramite fenomeni
ottici. A sua volta l’esperienza cinetica reale, può essere imprevedibile – poiché indotta
da agenti esterni non controllabili, come il vento –, o prevedibile, poiché, anche
meccanicamente, programmabile: le variazioni dell’immagini avvengono dunque
all’interno di un sistema prestabilito (e i sottolivelli classificatori potrebbero continuare
ancora, visto che l’arte programmata si avvale “dì una singolare dialettica tra caso e
programma, tra matematica e azzardo, tra concezione pianificata e libera accettazione
di quel che avverrà…”)
9
. L’esperienza cinetica virtuale (op-art) utilizza invece i dati
forniti dalla Gestalttheorie, in particolare le ricerche riguardanti le immagini ambigue, i
pattern visuali passibili di una doppia lettura ottenuti attraverso effetti luminosi e diversi
gradienti di trama, per creare dei modelli bidimensionali, assolutamente integrati al
piano; notevole l’esempio dell’artista ungherese Victor Vasarely, il massimo
rappresentante, nonché iniziatore e teorico, dell’optical art. La sua ricerca, fondata sul
principio dell’unità plastica di forma e colore, s’avvale della dialettica dei rapporti tra
figura e sfondo, positivo e negativo, e della legge ottica dei contrasti simultanei, per
articolare trame strutturali sempre diverse e cangianti.
Simile attività costitutiva, in cui ogni cosa è in rapporto con il tutto, sviluppa
allora una struttura in ordine temporale, in quanto procede per correlazioni, e di
9
Può essere utile riportare le definizioni presenti nel catalogo della storica mostra di Arte programmata:
“arte cinetica. Forma d’arte plastica nella quale il movimento delle forme, dei colori, dei piani, è il
mezzo per ottenere un insieme mutevole. Lo scopo dell’arte cinetica non è quindi quello di ottenere una
composizione fissa e definitiva. Opera aperta. Forma costituita da una “costellazione” di elementi in
modo che l’osservatore possa individuarvi, con una “scelta” interpretativa, vari collegamenti possibili, e
quindi varie possibilità di configurazioni diverse; al limite, intervenendo di fatto per modificare la
posizione reciproca degli elementi. Opere moltiplicate. Opere progettate dall’autore per essere prodotte
in varie copie, usufruendo delle tecniche industriali. Non quindi riproduzione approssimativa di un
“pezzo unico” originale, come normalmente avviene nelle stampe d’arte. Arte programmata. L’arte può
essere programmata: da una programmazione esatta nasce una moltitudine di forme simili.”
UMBERTO ECO, Arte programmata, arte cinetica, opere moltiplicate, opere aperte. Testo tratto dal
catalogo della mostra organizzata da Bruno Munari e allestita nel negozio Olivetti a Milano. Maggio
1962.