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Introduzione
Tutti noi, nel corso della nostra vita, abbiamo vissuto la condizione del
sentirci feriti, non amati, situazioni e sensazioni spiacevoli che sono divenute parti
di noi, non solo nel senso strettamente psicologico ma anche fisico.
Mente e corpo formano un’unità. Noi siamo i nostri pensieri, le nostre
emozioni, sensazioni, i nostri impulsi e le nostre azioni.
Come un taglialegna riesce a leggere la storia della vita di un albero da
una sezione del tronco, così e’ possibile leggere la storia della vita di una persona
dal suo corpo. Basta un respiro per dirci moltissimo di una persona e della sua
storia. Il modo di tenere le spalle, curve o diritte, l’intensità dello sguardo, il tono
della voce, la posizione del bacino, la forma delle mascelle, la spontaneità dei
gesti, non sono soltanto caratteri fisici, ma modi di essere che rivelano un
carattere e una storia psichica ben precisa.
Wilhelm Reich, il padre di tutte le terapie centrate sul corpo diceva:
“Ogni tensione muscolare contiene la storia e il significato della sua origine”. A
ogni frustrazione, a ogni pulsione repressa, dall’infanzia in poi, corrisponde nel
corpo un irrigidimento. La rigidità e’ una difesa dal dolore. Sono proprio queste
tensioni somatizzate, che Reich chiama blocchi energetici, quelle che con gli anni
formano la cosiddetta corazza caratteriale: una specie di armatura che limita i
nostri sentimenti, la nostra libera espressione.
Secondo Reich l’organismo vivente si esprime con un doppio
movimento: un movimento verso il mondo esterno - una espansione - la cui
emozione corrispondente è il piacere, ed un movimento in senso inverso, orientato
verso l’interno del corpo - una contrazione - che rappresenta una chiusura, la cui
emozione corrispondente è l’angoscia. Reich distingue due tipi di emozioni:
quelle primarie che sono le emozioni fondamentali della materia vivente, che
assolvono la funzione del piacere, e quelle secondarie derivanti dal trattamento
psicologico e culturale di quelle primarie, spesso volte alla difesa e alla protezione
da ambienti ed eventi traumatizzanti. Quando queste emozioni, in particolare nel
periodo infantile, non possono essere espresse liberamente o quando esse sono
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troppo dolorose da essere vissute ed elaborate, vengono soppresse e trattenute,
sviluppando una modalità di risposta, un atteggiamento verso l’esterno che
potremmo definire cronico: la corazza caratteriale. L’armatura del carattere si
manifesta come congelamento della personalità in una serie piuttosto limitata di
schemi rigidi che governano opinioni, atteggiamenti, comportamenti, che trova il
suo corrispondente corporeo in una corazza neuromuscolare, un’armatura del
corpo, costituita da blocchi, tensioni, rigidità nelle strutture muscolari, che
impediscono il libero flusso dell’energia e del movimento. Questa gabbia, che
inizialmente nasce come un meccanismo di difesa da situazioni pericolose e
dolorose, diviene il nostro schermo contro il mondo, uno stato permanente di
chiusura, che innesca e fa perpetuare un comportamento di evitamento del piacere
e di censura delle emozioni. Così il corpo, da tempio per l’espressione e la
manifestazione delle nostre emozioni, diviene un’autentica prigione. Quando
lasciamo via libera ad un pensiero o ad un’emozione ci ritroviamo a compiere un
movimento, un’azione conseguente. Se questo non avviene e’ perche’ in qualche
punto del nostro corpo questo fluire dell’energia mentale viene fermato. A questo
scopo ci serviamo di qualche muscolo che, anziche’ rendere in altra forma il
nostro pensiero, si contrae e resta contratto per impedire che il pensiero sia
espresso mediante un’azione. La fatica e’ enorme perche’ dobbiamo
continuamente contrastare e mascherare il fluire dell’energia mentale. Lì dove i
nostri muscoli sono impegnati in questo sforzo, il flusso dell’energia si interrompe
e ci rende impacciati e bloccati perche’ non possiamo piu’ utilizzare questi stessi
muscoli per compiere altro che questa resistenza. Se il corpo e’ tutto impegnato a
fungere da gabbia per la mente, non riuscirà nemmeno a percepire i segnali che
provengono dall’ambiente circostante.
La corazza può essere suddivisa in una contrazione muscolare
temporanea, oppure una contrazione permanente o cronica. La prima si verifica in
qualsiasi animale vivente quando e’ minacciato, ma viene abbandonata quando la
minaccia cessa di essere presente. E’ la corazza “morbida”. La sua funzione e’
proteggere. La seconda si origina nello stesso modo, ma a causa di minacce
continuate e’ mantenuta e diventa cronica, reagendo infine ai pericoli interni
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permanenti piu’ che a quelli ambientali. Alla lunga non e’ una vera protezione,
poiché tende ad isolare, a far perdere il contatto con sé.
La mancanza di consapevolezza, di contatto con sé, deriva dal non poter
far riferimento ai propri, reali, confini corporei. Se non si strutturano dei confini
non ci puo’ essere individuazione, per cui il nucleo profondo dell’individuo (“il
nucleo sano”) non puo’ avere il suo spazio legittimo di esistenza. Non venendogli
riconosciuto, resta un “confinato”. Se non c’e’ un confine protettivo e’ costretto a
nascondersi, a mascherarsi. “Ogni disturbo nella capacità di sentire pienamente il
proprio corpo mina la fiducia in se stessi come mina l’unità del sentimento
corporeo…” L’autoconsapevolezza e’ una funzione della sensazione. Nel corpo
di una persona non consapevole ci sono zone che mancano di sensazioni e che
sfuggono, quindi, alla sua coscienza. Sono diventate una sorta di “terra di
nessuno” proprio a causa della tensione muscolare cronica che e’ diventata parte
della struttura del corpo.
Le difese costituite nella prima infanzia sono adatte a difendere un Io
infantile e il loro permanere nell'età adulta impedisce lo sviluppo dell'organismo e
lo condanna a restare imprigionato in una dimensione inadeguata di esistenza. Le
corazze caratteriali, il nostro “recinto” interiore, sono state spesso considerate
come un modo di essere intrinseco all’individuo, Reich dimostrò l'irrilevanza di
questa ipotesi, o quantomeno la sua subordinazione al condizionamento del
processo di acculturazione e alla specificità dell'ambiente in cui questo si realizza.
Reich e’ stato tra i primi a riconoscere l’importanza dei fattori sociali nello
sviluppo psichico; anche Winnicott, pur partendo da una posizione teorica diversa,
riconosce le influenze sullo sviluppo da parte di un ambiente “ostacolante”
rispetto ad uno invece contenitivo, perciò “facilitante”.
L’uomo all’inizio della sua vita e’ completamente dipendente da chi si
prende cura di lui. Quando mancano sostegno e protezione la stimolazione
ambientale rischia di divenire traumatica per il bambino, ancora incapace di farvi
fronte. In questo contesto l’ambiente preme su di lui e, allora, si verifica una serie
di reazioni alla pressione, per cui la personalità dell’infante si struttura sulla base
delle reazioni agli urti dell’ambiente. Il falso Sé ha la funzione di proteggere il
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vero Sé dal rischio di sperimentare, nuovamente, il trauma di una assenza di
protezione dagli urti ambientali. Per Winnicott, e’ il fallimento nell’integrazione
psiche-soma dell’individuo a dare origine al “falso Sé”, che può facilmente
utilizzare un pensiero sradicato dal suo rapporto con il corpo e con le sue funzioni.
Nel processo di insediamento della psiche nel corpo la pelle e la percezione tattile
assumono una particolare importanza. I confini corporei rappresentano i confini
della psiche, la “pelle” è l’involucro della psiche, ne diviene la membrana
limitante. E’ il contenimento materno che, come una “seconda pelle”, facilita
l’integrazione psiche-soma del bambino, permettendogli di prendere contatto col
mondo in maniera creativa.
E. Bick ha avanzato l’ipotesi di una “seconda pelle muscolare”. Nella
loro forma primordiale ed iniziale, le parti della psiche sono percepite come prive
di una forza coesiva capace di assicurare loro un legame. Esse devono essere
tenute insieme grazie alla pelle che funziona come limite, come confine periferico.
L’oggetto contenitore, ancora indifferenziato dal sé, viene vissuto concretamente
come una pelle. Se la funzione di contenimento viene introiettata, il bambino puo’
far propria la nozione di interno ed esterno, differenziando quindi tra Sé e
l’Oggetto, ognuno con la sua propria pelle.
Il cattivo funzionamento di questa “prima pelle” puo’ portare quindi il bambino
alla formazione di una “seconda pelle” , “un autocontenimento di tipo muscolare”,
ossia un sostituto della funzione di contenitore della pelle, che sostituisce la
normale dipendenza dall’oggetto contenitore con una “pseudoindipendenza”. Il
fenomeno della “seconda pelle”, che sostituisce l’integrazione primaria della
pelle, si manifesta come una forma parziale o totale di corazza muscolare.
Secondo Didier Anzieu il primo legame affettivo si costituisce proprio
grazie alla soddisfazione del bisogno di contatto e di calore che il bambino
sperimenta all’inizio della sua vita. E’ grazie a queste prime appaganti e
rassicuranti esperienze di contatto tra il corpo del bambino e quello della madre
che viene acquisita la percezione della pelle, necessaria a garantire l’integrità
dell’involucro corporeo contro angosce di involucro perforato e quindi di
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svuotamento. Anzieu ha introdotto il concetto di Io-Pelle che ha il pregio di
mettere in evidenza la funzione di contenimento e di differenziazione della pelle.
Proprio a partire dalle funzioni biologiche della pelle, quella di contenere e
trattenere, quella di separare e quella di comunicare, l’Io eredita la doppia
possibilità di stabilire delle barriere e di filtrare gli scambi.
L' Io - Pelle ha principalmente tre funzioni: è il sacco che contiene il buono
che le cure materne vi hanno depositato; e’ la barriera che delimita gli spazi e che
quindi impedisce l’entrata di materiale esterno non gradito, come per esempio l’
aggressività altrui; è il luogo privilegiato della comunicazione con gli altri.
Anzieu paragona l’Io-pelle ad una parte della madre che e’ stata
interiorizzata, nello specifico alle sue mani. Alla pelle, che ricopre l’intera
superficie del corpo e nella quale sono inseriti tutti gli organi di senso esterni,
corrisponde la funzione di contenitore dell’Io-pelle. Questa funzione, nelle prime
fasi di vita del bambino, viene esercitata principalmente dall’handling materno,
attraverso cui il bambino impara a sentire il suo corpo e a riconoscerlo come
proprio, come parte del suo Sé.
Così come la membrana delle cellule organiche protegge la loro
individualità distinguendo i corpi estranei, allo stesso modo l’Io-pelle assicura una
individuazione del Sé che gli dà il sentimento di essere unico.
Quando il bisogno di contatto - quell’“avvicinamento libidico al mondo”-
viene continuamente frustrato, anziche’ uno sviluppo di sani confini, prende
forma la corazza, che e’ un processo di “confinamento”. Il confine (tra Sé e Altro
da Sé) diventa corazza quando c’e’ il rischio che il contatto rappresenti una
minaccia. Questo non consente l’individuazione.
Se invece vi e’ un adulto in grado di “farsi cavo” per accogliere, per
contenere, limitare, allora si puo’ imparare a proteggersi. Il limite e’ una
protezione, un prendersi cura. Legittima uno spazio vitale, riconosce un confine.
Rispettare il limite vuol dire non forzare i confini. Vuol dire non confondersi.
Consente la differenziazione, dunque e’ la possibilita’ di un punto di incontro, di
contatto, di dialogo. Uno spazio amorevole, percio’ creativo. Un “essere con” che
e’ alla base di cio’ che Reich chiama “ l’unita’ del sentimento corporeo, la
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capacita’ di sentire pienamente il proprio corpo”. La protezione consente
l’individuazione. Paradossalmente, il contatto reale può verificarsi soltanto in
presenza di un confine reale ed una reale separazione. La separazione non e’
l’isolamento, che e’ invece un aspetto della corazza.
“Porre un limite” non ha niente a che vedere con la repressione, anzi e’
proprio la condizione necessaria all’espressione del Se’. Far fare l’esperienza del
limite non e’ un reprimere. Avere un adulto che pone il limite e’ strutturante.
Aver interiorizzato la funzione di contenimento, l’esperienza dell’
“essere tenuti”, significa aver imparato a prendersi cura di sé, a proteggersi,
perche’ si e’ diventati responsabili e autonomi. Ciò presuppone la capacità di
ascoltarsi, di essere in contatto con se stessi, di sentire le proprie emozioni, di
accogliere cioe’ i messaggi che provengono dall’interno, avendo imparato a non
ignorarli, ma al contrario a dare loro l’importanza e lo spazio che meritano.
Dare attenzione, accogliere quello che c’e’, senza volerlo correggere,
consente a questo qualcosa di modificarsi, trasformarsi. Entrare in contatto,
respirare nella “chiusura”, accettare di sentirla, e’ la via che consente l’apertura,
l’espansione. Gli impulsi e le emozioni represse, trattenute nei muscoli, nel
momento in cui possono avere uno spazio dentro, la corazza puo’ ammorbidirsi,
l’energia vitale prima utilizzata per mantenere il blocco puo’ ricominciare a
circolare. Si prova un senso di libertà. Incomincia un dialogo, con se stessi, con i
luoghi di sé dimenticati. E’ come un risveglio, da un’anestesia. Emergono i
bisogni piu’ primitivi, piu’ veri. E’ la presa di coscienza. La coscienza di sé e’
un’apertura verso nuove scelte, nuove azioni spontanee, originali, autonome.
Come un territorio fino ad allora sconosciuto, nascosto, di nessuno, le parti del
corpo risvegliate prendono il loro posto nell’unità dello psiche-soma. Si
stabiliscono nuovi contatti tra la mente e il corpo. Si creano vie nervose nuove o
si illuminano vie interrotte. I neurofisiologi chiamano questo evento “fioritura
sinaptica”. Le informazioni ricominciano a circolare piene di energia e di nuove
scoperte, nuove possibilità. Questa “circolazione”, questo dialogo con se stessi e’
reso possibile dal riconoscimento dei confini, e quindi dal riconoscimento della
differenza tra se’ e il mondo esterno (sé-altro) e, nello stesso tempo, tra le
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differenti parti di sé (dello psiche-soma) che si sono attivate e che ora possono
stare insieme. Ognuna con la sua funzione, possono formare un’unità, non
essendo piu’ “attaccate”. La differenziazione consente il dialogo.
L’Antiginnastica
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e’ un’esperienza profonda di contatto, di risanamento
dei confini, un poter ritrovare le proprie dimensioni. Tende a far acquisire
consapevolezza di sé attraverso la coscienza del corpo, rimettendo in
comunicazione i canali del corpo con quelli della mente. Permette di svegliare le
“zone morte”, di riportarle in vita, di ritrovare la mobilità e la vitalità dei muscoli
che gli eventi della vita hanno portato a contrarre, ad accorciare, ad atrofizzare.
La forma del corpo puo’ modificarsi perche’ allentare la tensione consente un
riequilibrio nell’organizzazione neuromuscolare. Si puo’ assumere una posizione
diversa. I movimenti proposti tendono a far prendere contatto con le sensazioni
corporee e le tensioni muscolari. E’ un prendere contatto con il proprio corpo,
andarlo a toccare, sentire….scoprirne i confini. Si puo’ provare a respirare nel
“confine fortificato” e così risvegliare un movimento, una pulsazione. Ci si scopre
in due. Respirare come per accogliere dentro di sé qualcosa dell’Altro,
consentendo all’Altro di esserci, restituendo al contempo qualcosa di sé. E’ una
pacificazione. Prendere le distanze permette di recuperare la propria dimensione,
il proprio spazio vitale. I movimenti dell’Antiginnastica
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consentono al corpo di
prendere il suo spazio, le sue reali dimensioni. Prendere possesso del proprio
spazio dà un senso di gioia, di benessere. Così la memoria del dolore si trasforma
nella memoria del benessere. Solo così il trauma si scioglie. Il corpo può dare
piacere e gioia.
L’Antiginnastica
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insegna a proteggersi. La protezione può essere
“mobile”, non un blocco permanente. Si sviluppano spontaneamente dei sani
confini che vanno a sostituire i confini rigidi che erano stati sviluppati dalla
corazza. Se si diventa piu’ “morbidi”, se la durezza puo’ diminuire, la pressione
esterna provoca meno dolore. Forse puo’ anche non essere piu’ una
pressione…Visto che i confini sono elastici si puo’ anche consentire all’altro di
avanzare, perche’ si ha poi la possibilità di “spingerlo indietro” quando tocca un
limite.