2
perché, rinomata per il suo impegno sociale e le campagne pubblicitarie
egualitarie, ha dovuto comunque confrontarsi con una serie di questioni
controverse relative alla responsabilità sociale. La seconda invece è stata
presa in considerazione perché, oggetto di un tenace movimento di protesta
durante gli anni Novanta, ha modificato la propria condotta, orientandosi
verso una maggiore responsabilizzazione.
Considerata la diversità dei casi, nel capitolo dedicato a Benetton si è
preferito anticipare l‟illustrazione delle iniziative che ne testimoniano
l‟impegno sociale rispetto alla trattazione delle problematiche. Per quanto
riguarda Nike invece, sono state anteposte le denunce e le accuse di
comportamento socialmente poco responsabile per poi analizzare le
iniziative di responsabilità sociale. Si tratta di una scelta che si deve anche
all‟esigenza di orientamento cronologico degli eventi. Mentre infatti
l‟impegno sociale di Benetton si manifesta già prima dell‟emergere delle
situazioni conflittuali, possiamo affermare che in Nike le accuse precedono
e successivamente accompagnano le principali iniziative di responsabilità
sociale.
Per quanto riguarda il materiale consultato per l‟illustrazione del caso
Nike e parte di quello relativo a Benetton, la lingua di riferimento è stata
l‟inglese, poi tradotto in italiano nell‟elaborato. Si è scelto di fare
riferimento principalmente a materiale prodotto dalle aziende per la
ricostruzione delle iniziative di responsabilità sociale, considerando la
trasparenza un aspetto imprescindibile della responsabilità sociale. Inoltre,
se non si comunica, l‟impegno sociale speso dalle aziende viene vanificato e
appare inutile per innalzare il livello di reputazione del marchio. Per quanto
riguarda invece la ricostruzione delle controversie ci si è avvalsi in gran
parte di materiale proveniente dalla stampa e, soprattutto in relazione al caso
Nike, da pubblicazioni che si sono occupate dell‟argomento. Infine, un ruolo
importante è da attribuire alla sitografia, come fonte ricchissima di
commenti, riflessioni e spunti di approfondimento sulle varie vicende.
La tesi si compone di cinque capitoli, illustrati brevemente in questa
introduzione, il primo dei quali è dedicato alla descrizione del problema
3
della responsabilità sociale d‟impresa. Il paragrafo 1 chiarisce il significato
di questa espressione, proponendone una definizione critica e illustrando il
concetto chiave di stakeholder e il processo dello stakeholder dialogue. Nel
paragrafo 2 vengono descritti brevemente i fattori che hanno maggiormente
sollecitato l‟attuale dibattito sulla responsabilità sociale d‟impresa. In
particolare, si considerano i giudizi critici sugli effetti sociali e ambientali
della globalizzazione e si riflette sul problema della sostenibilità dello
sviluppo. Particolare attenzione viene quindi dedicata al ruolo assunto dalle
multinazionali nell‟economia globale e alle crescenti pressioni in direzione
di una loro responsabilizzazione sociale, soprattutto in fase di
delocalizzazione. Infine si considera la diffusione di imprese che,
concentrate esclusivamente sulla massimizzazione del valore per gli
azionisti, adottano pratiche irresponsabili nei confronti degli altri portatori
di interesse. Una volta delineato il contesto in cui sorge la domanda di
responsabilità sociale d‟impresa, il paragrafo 3 analizza più in dettaglio tale
bisogno di accountability e descrive i tentativi di risposta, forniti
volontariamente dalle imprese stesse, mediante la rendicontazione sociale, e
rappresentati dalle iniziative degli organismi internazionali, sia a livello
globale che regionale.
Nel secondo capitolo viene presentato il caso Benetton, una società che
dichiara di avere una lunga storia di attenzione ai valori etici e di essere
consapevole del ruolo sociale proprio della cultura d‟impresa. Valori come
approccio etico, spirito multietnico e multirazziale, rispetto delle minoranze
e dell‟ambiente, sostegno dei diritti umani sono definiti da sempre molto
vicini al mondo Benetton. Dopo aver illustrato le origini e l‟evoluzione
storica dell‟azienda (paragrafo 2.1) e averne delineato il profilo attuale
(paragrafo 2.2) saranno presentate le iniziative che testimoniano l‟impegno
sociale di Benetton Group. In particolare, i paragrafi successivi saranno
dedicati alle controverse campagne istituzionali (paragrafo 2.3.1), alle
collaborazioni con associazioni ed organizzazioni riconosciute (paragrafo
2.3.2), alle iniziative culturali, sociali, artistiche e sportive (paragrafo 2.3.3),
alle relazioni industriali, al codice etico e alla corporate governance
4
(paragrafo 2.3.4). Successivamente, vengono presentate alcune questioni
intorno alle quali l‟impresa ha dovuto prendere posizione e attuare azioni
difensive e/o attenuative rispetto alle proteste che hanno visto protagonisti
diversi gruppi di portatori di interesse. Tali questioni riguardano le
organizzazioni animaliste (paragrafo 2.4.1), il lavoro minorile in Turchia
(paragrafo 2.4.2), la popolazione Mapuche in Patagonia (paragrafo 2.4.3) e
la tecnologia RFID (paragrafo 2.4.4).
Il caso Nike è illustrato nel terzo capitolo. Le origini e l‟evoluzione
storica dell‟azienda sono trattate nel paragrafo 3.1, a cui segue la
descrizione dell‟attuale profilo aziendale (paragrafo 3.2). Viene poi
presentata una sintesi delle principali accuse e critiche che hanno coinvolto
Nike negli anni Novanta, in particolare riguardanti le condizioni di lavoro
nelle fabbriche subappaltate (paragrafo 3.3). Infine, il paragrafo 3.4 illustra
le iniziative di responsabilità sociale intraprese dall‟azienda: Il codice di
condotta adottato nel 1992 e periodicamente aggiornato (paragrafo 3.4.1);
le iniziative della fine degli anni Novanta, tra cui un piano di miglioramento
delle condizioni di lavoro in Asia e la creazione di un dipartimento
aziendale specificamente dedicato alla responsabilità sociale (paragrafo
3.4.2); la pubblicazione del primo Rapporto di responsabilità sociale nel
2001 (paragrafo 3.4.3); il secondo Rapporto di responsabilità sociale del
2004, con l‟elenco delle fabbriche a cui è subappaltata la produzione
(paragrafo 3.4.3); il terzo Rapporto di responsabilità sociale, relativo al
2005-2006 (paragrafo 3.4.4).
Nel quarto capitolo viene presentata la comparazione dei due casi
descritti nei capitoli precedenti. Si considerano nove criteri in base ai quali
confrontare l‟approccio alla responsabilità sociale e le controversie che
hanno coinvolto Benetton e Nike nel corso del tempo (paragrafo 4.1). I
criteri identificati si ispirano in parte a quelli generalmente adottati per la
valutazione delle aziende da parte dei fondi di investimento socialmente
responsabili e dagli indici azionari etici. Essi comprendono: il ruolo di
marchio globale e riconoscibilità, per valutare l‟importanza della
reputazione e dell‟immagine aziendale (paragrafo 4.2); i settori di attività
5
(paragrafo 4.3); la corporate governance, ovvero l'insieme di regole per il
governo dell'impresa (paragrafo 4.4); la tutela dell‟ambiente e degli animali
(paragrafo 4.5); la territorialità e l‟investimento in comunità locali
(paragrafo 4.6); il rapporto con i dipendenti (paragrafo 4.7); i fornitori e il
rispetto dei diritti dei lavoratori nelle fabbriche subappaltate (paragrafo 4.8)
i consumatori (paragrafo 4.9); l‟esistenza o meno del bilancio sociale come
forma di rendicontazione sociale che si rivolga a tutti gli stakeholder
(paragrafo 4.10).
L‟ultimo capitolo, il quinto, presenta la sintesi e le conclusioni dell‟intero
lavoro. In particolare si riassumono brevemente i due casi analizzati
(paragrafo 5.1 e 5.2) e si illustrano i risultati della comparazione (paragrafo
5.3). Infine, le considerazioni conclusive si occupano di mettere in luce
alcuni aspetti significativi emersi dalla descrizione dei due casi, esporre una
serie di riflessioni generali, sottolineare le modalità di gestione delle
situazioni conflittuali e l‟approccio alla responsabilità sociale che Benetton
e Nike hanno dimostrato nel corso del tempo.
6
1. IL PROBLEMA DELLA RESPONSABILITÁ SOCIALE
D’IMPRESA
1.1 La responsabilità sociale d’impresa
Prima di illustrare l‟attuale dibattito sul tema della responsabilità sociale
d‟impresa (RSI o Corporate Social Responsibility, in breve CSR) è
opportuno specificare che cosa si intende con questa espressione. Stando
alle fonti ufficiali, la Commissione Europea definisce la RSI come
“l‟integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle
imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti
interessate” (Libro verde “Promuovere un quadro europeo per la
responsabilità sociale delle imprese”, 2001).
In questo paragrafo introduttivo, si propone un‟interpretazione e una
definizione critica di CSR insieme all‟analisi dei concetti fondamentali utili
per una migliore comprensione. In particolare si approfondirà soprattutto
l‟idea chiave di stakeholder e il processo di dialogo e partecipazione degli
stessi.
1.1.1 Una definizione critica
La CSR identifica un modello di governance allargata dell‟impresa in
base al quale chi governa ha responsabilità che si estendono dall‟osservanza
dei doveri fiduciari nei confronti della proprietà ad analoghi doveri fiduciari
nei riguardi in generale di tutti i cosiddetti stakeholder (Sacconi, 2005b). Si
tratta di una definizione dalla natura fortemente interdisciplinare in quanto
implica aspetti di carattere economico, giuridico, etico-filosofico e infine
manageriale.
La CSR estende il concetto di dovere fiduciario da una prospettiva mono-
stakeholder (in cui l‟unico stakeholder rilevante ai fini dell‟identificazione
dei doveri fiduciari è il proprietario) a una prospettiva multi-stakeholder, in
cui sussistono doveri fiduciari nei confronti di tutti gli stakeholder
7
dell‟impresa, proprietà inclusa. Per meglio comprendere tale definizione
occorre chiarirne i termini costitutivi: governance, doveri fiduciari e
concetto di stakeholder.
La governance non è vista qui come insieme delle regole e dei controlli
degli azionisti sui manager, ma più in generale come insieme dei doveri dei
gestori riguardo al perseguimento dell‟ “interesse sociale”, ovvero degli
interessi in nome e per conto dei quali l‟impresa è condotta, e che orientano
la loro discrezionalità.
I doveri fiduciari si generano quando un soggetto, il fiduciante, che abbia
un interesse legittimo in una qualche attività ma non sia in grado di prendere
le decisioni rilevanti, delega tali decisioni a un fiduciario il quale verrà
quindi a disporre di autorità sulla scelta delle azioni e degli obiettivi. I
diritti-pretese del fiduciante generano doveri fiduciari in capo al fiduciario,
in merito ai quali egli deve rispondere.
Con il termine stakeholder si intendono individui o categorie che hanno
un interesse rilevante in gioco nella conduzione dell‟impresa, sia a causa di
investimenti specifici (stakeholder in senso stretto) sia a causa del fatto che
essi subiscono gli effetti esterni, positivi o negativi delle transazione
effettuate dall‟impresa (stakeholder in senso ampio). (Sacconi, 2005a)
1.1.2 Il concetto di stakeholder e lo stakeholder dialogue
Il concetto di stakeholder è stato utilizzato per la prima volta dallo
Stanford Research Institute nel 1963, per indicare i gruppi senza il sostegno
dei quali l‟impresa cesserebbe di esistere tra cui i dipendenti, i fornitori e i
clienti. Precedentemente, il lavoro di Berle e Means (1932) aveva
sottolineato la separazione tra controllo e proprietà esistente nella
corporation. Da tale osservazione si è sviluppata la teoria dello shareholder
in base alla quale il dirigente è visto come mandatario o delegato
dell‟azionista che deve agire allo scopo di massimizzare il valore azionario
dell‟impresa. Gli sviluppi recenti della teoria dello stakeholder sono molto
8
influenzati dal desiderio di reagire alla teoria dello shareholder, anche se
l‟idea dello stakeholder è nata indipendentemente. (Alford, 2005)
La definizione classica di stakeholder è stata elaborata da Freeman (citata
in Chiesi, Martinelli, Pellegatta, 2000, pag. 20): “Gli stakeholder primari,
ovvero gli stakeholder in senso stretto, sono tutti quegli individui o gruppi
ben identificabili da cui l‟impresa dipende per la sua sopravvivenza:
azionisti, dipendenti, clienti, fornitori e agenzie governative chiave. In senso
più ampio, tuttavia, stakeholder è ogni individuo ben identificabile che può
influenzare o essere influenzato dall‟attività dell‟organizzazione in termini
di prodotti, politiche e processi lavorativi. In questo più ampio significato,
gruppi di interesse pubblico, movimenti di protesta, comunità locali, enti di
governo, associazioni imprenditoriali, concorrenti, sindacati e la stampa,
sono tutti da considerare stakeholder”.
Clarkson (1995, pag. 110) distingue tra stakeholder primari e secondari.
Gli stakeholder primari sono quelli senza la cui continua partecipazione
l‟impresa non potrebbe sopravvivere, tipicamente gli azionisti, gli
investitori, i dipendenti, i clienti e i fornitori, insieme a quello che può
essere definito il gruppo degli stakeholder pubblici, e cioè governi e
comunità che forniscono le infrastrutture, i mercati, le leggi e i regolamenti.
Gli stakeholder secondari sono tutti coloro che influenzano o sono
influenzati dall‟impresa, ma non sono impegnati in transazioni con essa e
non sono essenziali per la sua sopravvivenza.
La responsabilità sociale dell‟impresa si traduce in primo luogo
nell‟identificazione dei suoi stakeholder e, in secondo luogo, nella ricerca di
un giusto bilanciamento dei legittimi interessi in gioco. Gli stakeholder,
analogamente a quanto fanno gli shareholder che investono il loro capitale,
pongono in essere degli investimenti di vario genere nei confronti
dell‟impresa, e quindi hanno un diritto/pretesa di ottenere un‟equa
remunerazione di tali investimenti da parte dell‟impresa. Ciò vale anche nel
caso di stakeholder danneggiati dalle attività dell‟impresa e in tal caso si
parla di diritto/pretesa a un equo risarcimento da parte dell‟impresa. Di
fronte a interessi e pretese conflittuali tra loro, è preferibile adottare una
9
logica relazionale e un metodo di tipo negoziale e contrattualistico. (Chiesi,
Martinelli, Pellegatta, 2000)
Nell‟ambito dei rapporti tra un‟impresa e i suoi portatori di interesse,
l‟espressione “stakeholder dialogue” indica una modalità di confronto,
negoziazione e riconoscimento dei reciproci interessi tra l‟azienda e gli
stakeholder su basi tendenzialmente paritarie, allo scopo di assumere
decisioni condivise. A una fase preliminare di mappatura degli stakeholder,
ovvero di riconoscimento degli attori coinvolti, segue la verifica da parte
dell‟impresa della volontà di dialogo e partecipazione.
Nello svolgimento del dialogo possono essere utilizzati diversi strumenti
tra cui la raccolta di informazioni, dichiarazioni e documenti prodotti dagli
stakeholder, questionari o interviste, incontri a varia periodicità, istituzione
di uno stakeholder forum. Il dialogo può essere bilaterale, ovvero basato su
un rapporto privilegiato con un particolare stakeholder strategico;
multilaterale, intrattenuto dall‟azienda con ciascuno stakeholder
singolarmente preso; infine, può assumere la forma dello stakeholder
network, in cui il dialogo dell‟azienda con gli stakeholder si integra nel
dialogo che gli stakeholder intrattengono tra loro di propria iniziativa.
Lo stakeholder dialogue può rappresentare anche uno strumento
strategico di stakeholder management per perseguire meglio gli scopi
economici dell‟impresa e concordare con gli stakeholder principi e obiettivi
sociali e ambientali. Tuttavia da un lato l‟impresa deve credere nella
responsabilità sociale e adottare prassi eticamente orientate. Dall‟altro,
occorre che gli stakeholder siano convinti che non si tratti di una mera
politica di immagine e di comunicazione, volta a manipolare gli
interlocutori. In altre parole, è necessario un preliminare livello di fiducia
reciproca tra le parti, che potrà essere incrementato dai risultati stessi del
dialogo. (Chiesi, 2005a)
Nell‟epoca della globalizzazione la determinazione delle conseguenze
delle decisioni strategiche di imprese transnazionali diventa più complessa e
aumentano sia il numero che l‟eterogeneità di coloro che le subiscono e
possono avanzare pretese legittime di accountability. Sulla base di una
10
definizione degli stakeholder legittimi tale da non compromettere il
processo decisionale dell‟impresa, si devono creare meccanismi istituzionali
capaci di garantire una effettiva accountability transnazionale, sia mediante
la definizione di codici internazionali di sviluppo sostenibile da parte delle
Nazioni Unite sia mediante lo sviluppo di una società civile e di un‟opinione
pubblica transnazionali che sostengano l‟applicazione di tali codici.
(Martinelli, 2005)
1.2 Il contesto della responsabilità sociale d’impresa
Al fine di comprendere il contesto in cui si è sviluppato l‟attuale dibattito
sulla responsabilità sociale d‟impresa è opportuno illustrare brevemente i
fattori che lo hanno sollecitato in maniera più significativa. Verrà
innanzitutto considerato il fenomeno della globalizzazione come processo di
integrazione economica accelerato le cui conseguenze si riflettono sul
problema della sostenibilità dello sviluppo, sia dal punto di vista sociale che
ambientale. Particolare attenzione verrà quindi dedicata al ruolo assunto
dalle imprese multinazionali nell‟economia globale con specifico
riferimento alle crescenti pressioni in direzione di una loro
responsabilizzazione sociale, soprattutto in fase di delocalizzazione. Infine
bisogna considerare la recente proliferazione di quelle imprese che,
concentrate esclusivamente sulla massimizzazione del valore per gli
azionisti, adottano pratiche irresponsabili nei confronti di ogni altra
categoria di portatori di interessi.
1.2.1 Giudizi critici sugli effetti della globalizzazione
La globalizzazione può essere definita, in prospettiva economica, come
una forte accelerazione del processo di integrazione tra diverse aree del
mondo che determina sostanziali conseguenze sul mercato dei beni e dei
fattori produttivi, dal punto di vista dell‟economia reale, e una crescente
libertà e velocità dei movimenti di capitali, dal punto di vista dell‟economia
11
finanziaria. Entrambi i fenomeni sono stati resi possibili da una rivoluzione
tecnologica su larga scala originata dalla riduzione dei costi di trasporto e da
una progressiva diffusione della microelettronica e delle telecomunicazioni.
Si evidenzia da parte della società civile la percezione di una stretta
relazione tra la globalizzazione e alcuni fatti riferiti al permanere di sacche
di povertà assoluta, allo sviluppo diseguale e al deterioramento della qualità
dell‟ambiente. È quindi opportuno considerare le dinamiche relative a questi
fenomeni per valutare la fondatezza di tale percezione.
Nel corso degli ultimi decenni si è verificata una riduzione della quota
relativa della popolazione mondiale in condizioni di estrema povertà,
parallelamente a un aumento delle disuguaglianze, sia a livello globale tra
diversi paesi sia all‟interno dello stesso paese (Becchetti, 2005). Si tratta di
due fenomeni mutualmente compatibili in presenza di una dinamica di
crescita mediamente lieve o moderata delle condizioni di sviluppo delle
fasce di popolazione in povertà estrema e di una crescita significativamente
maggiore delle fasce di popolazione più ricche.
La globalizzazione, attraverso la delocalizzazione, la mondializzazione
del mercato del lavoro e del prodotto e il progresso tecnologico, tende ad
aumentare i divari salariali tra i lavoratori ad alta specializzazione e quelli a
bassa specializzazione aumentando le disuguaglianze. In questa prima fase
in cui sussiste uno squilibrio tra potere delle grandi imprese rispetto a quello
dei cittadini e delle istituzioni nel nuovo mercato globale, la possibilità di
percepire i benefici della globalizzazione è fortemente correlata con le
“abilità” dei lavoratori e con la loro posizione sulla “scala dei talenti”. Più
elevata la posizione, minore la sostituibilità e maggiore il potere contrattuale
del lavoratore e dunque la possibilità di appropriarsi di parte dei benefici
dell‟integrazione dello scambio. Per questo motivo è possibile assistere
contemporaneamente a un aumento medio del benessere accompagnato da
una disuguaglianza crescente.
Tuttavia, a livello macroregionale, è possibile osservare una sensibile
eterogeneità di performance. Da una parte, i paesi asiatici (soprattutto la
Cina e più recentemente l‟India, il Vietnam e le “tigri asiatiche”) segnano
12
sostanziali progressi in tutti gli indicatori sociali (lavoro minorile,
aspettativa di vita alla nascita, mortalità infantile, ecc..). Dall‟altra l‟area
latinoamericana si trova in una sostanziale stagnazione. Infine, l‟Africa
Subsahariana segna in alcuni casi un regresso, accentuato anche
dall‟epidemia di AIDS e dalle guerre civili.
L‟interpretazione oggi più accreditata di queste diverse performance
riprende lo schema teorico della convergenza condizionata in base al quale i
paesi più indietro nello sviluppo possono recuperare il terreno perduto in
termini di reddito pro-capite rimuovendo contemporaneamente un
complesso di condizioni tra cui l‟insufficienza di capitale fisico e
infrastrutture, lo scarso accesso all‟istruzione, il dissesto delle istituzioni
locali. In un mondo sempre più integrato in cui i capitali finanziari e i
lavoratori sono più liberi di muoversi da un paese all‟altro diventa
progressivamente più importante assicurare nel proprio paese condizioni che
attraggano tali fattori da altre parti del mondo.
Non si può ignorare il fatto che la globalizzazione, come sfida del
ventesimo secolo, abbia favorito particolarmente il mondo orientale. Questi
paesi oggi hanno tassi di crescita che si aggirano intorno al 10% annuo e
non si possono più definire emergenti, ma sono ormai mercati emersi, che
hanno beneficiato del fenomeno della globalizzazione. In Cina e India la
correlazione tra crescita e riduzione della povertà ha funzionato in modo
impressionante a partire dagli anni Ottanta quando entrambi i paesi hanno
abbandonato le politiche autarchiche e si sono aperte al commercio estero e
agli investimenti diretti esteri (Bhagwati, 2004). Si stima che il 60% delle
esportazioni cinesi siano originati da investimenti stranieri in Cina, un paese
che ha saputo comprenderne i vantaggi in termini di know-how e
accelerazione dell‟industrializzazione (Tavola Rotonda "Cina, India e
Giappone: le potenze asiatiche e le sfide della globalizzazione", ISPI, 2007).
Di rado è stata dimostrata così bene la capacità di un‟economia in rapida
crescita di attrarre le risorse umane verso impieghi redditizi, e quindi di
incidere notevolmente sulla povertà.
13
Un altro aspetto fondamentale legato alla globalizzazione è la sempre
maggiore consapevolezza delle potenziali esternalità negative dello sviluppo
economico sulla tutela delle risorse ambientali. In particolare, vanno
considerati due aspetti: l‟inquinamento e l‟esaurimento delle risorse naturali.
Per quanto riguarda il primo punto, l‟evidenza empirica non corrobora
l‟ipotesi ottimistica basata sulla cosiddetta curva di Kuznets (citata in
Vercelli, 2005) secondo la quale il degrado ambientale aumenterebbe fino a
una certa soglia di sviluppo e poi diminuirebbe progressivamente per effetto
delle trasformazioni della struttura produttiva e delle preferenze degli agenti
economici.
Per quanto riguarda invece la scarsità delle risorse ambientali, il
problema riguarda soprattutto l‟esaurimento delle fonti di energia non
rinnovabili. Secondo dati dell‟International Energy Agency, nel 2005 il
consumo energetico mondiale di petrolio era del 43,4%, quello di gas del
15,6% e di carbone dell‟8,3% (IEA, Key World Energy Statistics, 2007).
Il modello energetico attuale, basato in gran parte sull‟uso dei
combustibili fossili, è molto vulnerabile non solo per la scarsità delle riserve
petrolifere ma anche per la loro concentrazione dal punto di vista territoriale
e proprietario che espone il processo di produzione e distribuzione
dell‟energia a considerevoli rischi geo-politici. Infine i costi elevatissimi ad
esso connessi hanno determinato un mercato oligopolistico dominato da un
ridotto numero di multinazionali dell‟energia dalle cui strategie dipende
l‟andamento dell‟economia mondiale (Vercelli, 2005).
In conclusione, la riflessione sugli effetti di un fenomeno complesso e
articolato come la globalizzazione conduce necessariamente
all‟approfondimento del concetto di sostenibilità sociale e ambientale dello
sviluppo.
1.2.2 Lo sviluppo sostenibile
Secondo la definizione proposta nel quadro dell‟ONU dal Rapporto
Brundtland (World Commission on Environment and Development, 1987),
14
lo sviluppo è sostenibile quando “soddisfa le esigenze del presente senza
compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro
esigenze”. Inoltre, l‟idea-forza di sviluppo sostenibile “implica un impegno
per l‟equità sociale tra generazioni che per coerenza […] deve essere esteso
all‟equità nell‟ambito di ogni generazione”.
Tale definizione si basa su un principio di equità applicato alla
distribuzione inter-generazionale e intra-generazionale del reddito, della
ricchezza e delle risorse. La condizione inter-generazionale di sostenibilità
intende garantire che la libertà di scelta delle generazioni future non risulti
compromessa dalla miopia decisionale delle generazioni precedenti. Tale
requisito di sostenibilità si definisce “ambientale”, poiché l‟effettiva libertà
di scelta delle generazioni future dipende in modo cruciale dall‟integrità
dell‟ambiente naturale che esse riceveranno in eredità.
La condizione intra-generazionale di sostenibilità si pone l‟obiettivo di
garantire pari opportunità a tutti i partecipanti alla competizione del
mercato, assicurando loro una sostanziale uguaglianza dei punti di partenza,
cioè l‟accesso effettivo a tutte le opportunità economiche rilevanti. Tale
criterio di sostenibilità si definisce “sociale” in quanto esso dipende in modo
cruciale da indici economico-sociali quali il grado di disuguaglianza nella
distribuzione dei redditi e la povertà.
Benché fondati su principi etici, i due requisiti illustrati non sono in
contrasto con gli obiettivi economici. Non vi è infatti un conflitto di fondo
tra etica ed economia dal punto di vista di lungo periodo della sostenibilità
dello sviluppo, poiché l‟accesso di tutti alle opportunità economiche è
condizione imprescindibile di efficienza (Vercelli, 2005).
1.2.3 L’impatto sociale delle multinazionali e la delocalizzazione
Il fenomeno della globalizzazione degli ultimi decenni si è sviluppato di
pari passo con l‟affermazione sulla scena mondiale di nuovi attori in grado
di svolgere un ruolo decisivo sia in campo economico che politico, le
imprese multinazionali. Già descritte alla fine degli anni Settanta come “le
15
istituzioni dominanti la nuova era del commercio globale”, esse sono entità
economicamente imponenti, tecnologicamente dotate e geograficamente
diffuse che spesso mobilitano più risorse degli stessi Stati che le ospitano. A
questo proposito si considerino alcuni dati (Piasecki, 2007):
Il 51% dei maggiori sistemi economici mondiali è
costituito da multinazionali e non da nazioni;
Il 40% degli scambi economici globali avviene tra quelle
multinazionali;
Solo 21 nazioni hanno un prodotto interno lordo superiore
al fatturato annuo di ognuna delle 6 maggiori multinazionali.
Si tratta di una realtà che pone complesse questioni come quella che
all‟accresciuto potere delle imprese multinazionali e transnazionali vorrebbe
veder corrispondere un ampliamento delle responsabilità di questi nuovi
attori nei confronti di tutti gli stakeholder, che si aggiungano al tradizionale
obiettivo economico della massimizzazione del profitto per gli azionisti.
Organizzazioni non governative, gruppi di pressione e mondo
dell‟associazionismo si sono resi portavoce di tali istanze attraverso
campagne di informazione, sensibilizzazione e boicottaggi (Ferro, 2005).
Le multinazionali infatti devono oggi fare i conti con un crescente
bisogno di accountability, termine inglese che sottolinea maggiormente,
rispetto all‟italiano Responsabilità Sociale d‟Impresa, la necessità di
“rendere conto” dei propri comportamenti. Un esame del possibile impatto
sociale positivo e negativo dovrebbe essere condotto anche dalla stesse
aziende nel momento in cui pianificano le proprie strategie ed attività. Ogni
decisione di investire in attività industriali o commerciali, di essere presente
o meno in un determinato paese o contesto geografico comporta delle
conseguenze di tipo sociale, che devono essere attentamente considerate e
valutate dalle imprese multinazionali. Soprattutto in fase di
delocalizzazione, sono molteplici i casi di superficiale attenzione rivolta
dalle aziende nei confronti dell‟ambiente, dei diritti umani e dei lavoratori
(Musumeci, 2005).