9
del patrimonio tra gli eredi prima dell’apertura della successione con
strumenti improntati alla negozialità.
Dunque sarà la prassi a stabilire se, il fine di preservare l’unità del
bene produttivo, l’unicità del controllo e l’ anticipazione in vita del
trasferimento dell’impresa sia stato raggiunto, nel contemperamento
con i classici strumenti offerti dal diritto.
Per il momento è interessante partecipare al dibattito dottrinario per
stabilire una migliore incardinazione dell’istituto del patto di famiglia
nel sistema giuridico di diritto privato.
10
PARTE PRIMA
Riflessioni sul concetto di autonomia privata e suo riconoscimento e
limite nel diritto successorio
11
CAPITOLO I
AUTONOMIA E RECEZIONE DIRITTO REALTA’ SOCIALE
1.1 CENNI SUL NEGOZIO GIURIDICO
Chi osservi lo svolgersi della vita di relazione in ogni società che
abbia raggiunto un sufficiente grado di civiltà, trova che gli interessi
privati esistono in essa indipendentemente dalla tutela del diritto, e
che l’iniziativa privata provvede ad ogni consapevole assetto di tali
interessi, esplicandosi non solo nell’aspirare a certi scopi pratici , ma
anche nel foggiarsi i mezzi ad essa rispondenti, prima di ogni
intervento dell’ordine giuridico. Mezzi di tal natura nei rapporti tra
singoli sono i “negozi giuridici”
1
.
E’ questo un passo tratto dalle pagine dettate da Emilio Betti nel 1963
per la voce “Negozio Giuridico”, di un ‘enciclopedia delle nostre
discipline’.
Ai fini della presente relazione siddetta citazione permette di
soffermarsi sul concetto di “autonomia”. Autonomia significa facoltà
di autoregolamentare i propri interessi. E’ autonomo chi può decidere
sul se e sul come perseguire e raggiungere un certo scopo.
Nel generale quadro dell’autonomia, il negozio giuridico è la
manifestazione più importante della c.d. “autonomia privata” ossia,
potestà riconosciuta ai privati di regolare da sé i propri interessi,
indipendentemente dalla necessità giuridica di ricorrere a questa
categoria astratta al fine di unificare tipi di atti.
1
Betti E., Negozio Giuridico, voce in Noviss. dig.it, Vol.XI Torino, 1968
12
La meditazione bettiana sul negozio giuridico muove da due premesse
di carattere generale: la struttura della norma, il rapporto tra diritto e
realtà sociale.
La norma ha una struttura ipotetica, nel senso che prevede fatti e
dispone effetti correlativi. I fatti giuridici sono classificati dal Betti
secondo il modello della pandettistica: dal fatto all’atto, dall’atto al
negozio.
Considerati sotto il profilo funzionale, gli atti giuridici si distinguono
in atti che dettano regola a interessi rilevanti per il diritto e atti che
provvedono al soddisfacimento di interessi già muniti di tutela. Gli atti
della prima categoria, in quanto diretti a statuire un dover essere
giuridico si qualificano come “atti precettivi” e, a seconda che la
regola sia dettata da un’autorità superiore o dagli stessi interessati,
distinguiamo i “provvedimenti” (atti di comando etero normativi) dai
“negozi giuridici” (atti di autonomia privata).
Dunque il negozio giuridico è essenzialmente un atto di autonomia
privata, con cui il privato dispone un dato regolamento di certi
interessi: atto, cui la legge ricollega effetti giuridici destinati ad attuare
lo scopo pratico tipico (causa) normalmente perseguito.
2
2
Betti E, Per una classificazione degli atti processuali di parte, in Riv. Dir. Proc. Civ;
1928, I, p. 120-121
13
1.2 DIRITTO - REALTA’ SOCIALE (METAFORA DELLA
STRATIFICAZIONE)
Dunque, se virtù del diritto è garantire mezzi efficaci e validi affinché
i singoli possano disporre dei loro interessi all’interno della
collettività, un senso di limitatezza del diritto si può evincere nel
rapporto con la realtà economico sociale.
Il diritto non basta a se stesso, non può esaurirsi nella sequenza delle
norme, ma devi aprirsi alla realtà.
Infatti,il diritto non è, nella visione bettiana, un universo chiuso e
autosufficiente ma un piano, lo strato di un cosmo, che abbraccia altri
modi e forme dello spirito umano.
3
Diritto e realtà sociale costituiscono due piani - piano superiore e
inferiore - di un medesimo universo, di un cosmo unitario (metafora
della stratificazione).
Dunque il rapporto tra piano giuridico e piano sociale dà luogo ad un
fenomeno di recezione, nel senso che l’atto di autonomia viene
assunto nella sfera del diritto e tradotto nei termini tecnici. La
richiamata ‘metafora della stratificazione’ permette di cogliere il senso
della trattazione di questa tesi: l’attenzione sugli interessi, bisogni,
vicende dei beni, relazioni d’affari, regolati dai privati già sul piano
sociale.
Compito del diritto è recepire l’agire e il bisogno del singolo nel
complesso movimento dell’autonomia privata ma senza trascendere
dal singolo nella sua nudità esistenziale, che difende l’essere fisico a
la sfera più intima ed esclusiva della propria vita. Il privato assume un
3
Betti E.,Teoria generale del negozio giuridico, 2 Rist; 2 Ed; Torino,1955, p.4, nota 6.
14
carattere ontologico ‘La persona comanda ed il diritto si appropria il
suo comando’
4
.
Allora è plausibile una domanda: se ogni individuo è artefice dei
propri interessi vitali, se compito di ogni ordinamento giuridico
evoluto è quello di garantire mezzi idonei al perseguimento dello
scopo, al fine di evitare l’arbitrarietà e le barbarie ma garantendo
ordine e discipline, questa intangibile essenza del rapporto diritto -
realtà sociale - può trovare applicazione anche nelle disposizioni
relative all’avvenire?
Il disporre per l’avvenire implica regolamentare assetti d’interessi e
situazioni giuridiche soggettive che non trovano un consolidamento e
una cristallizzazione immediata ma protratta nel corso del tempo.
Posto che il diritto deve recepire ogni esigenza essenziale e primaria
della persona umana, non ha mai potuto prescindere sin dalle sue
origini, dall’esigenza di garantire al singolo il diritto o almeno la
facoltà di disporre della sua autonomia anche relativamente a casi in
cui muterà la sua posizione soggettiva o, soprattutto, al momento in
cui cesserà il motore della sua autonomia: la vita.
Questo aspetto della realtà del diritto interessa in linea generale il
fenomeno della successione.
4
Windscheid B., Diritto delle Pandette, trad. it. Fadda e Bensa, I, rist; Torino, 1925, p.203,
nota 1
a
.
15
CAPITOLO II
IL FENOMENO SUCCESSORIO
2.1 IL FENOMENO SUCCESSORIO: PRINCIPI GENERALI
Successione è il fenomeno per cui un soggetto (successore o avente
causa) viene ad assumere la posizione occupata da un altro soggetto
(dante causa) rispetto ad una relazione giuridicamente rilevante, la
quale rimane identica negli elementi oggettivi.
Una successione può quindi realizzarsi in ordine a tutte le categorie di
relazioni umane giuridicamente qualificate che siano suscettibili di
rimanere in vita nonostante il mutamento del soggetto che in un
determinato momento è titolare.
Con il riferimento al presupposto di fatto dal quale dipende, la
successione può essere inter vivos o mortis causa.
La successione per atto tra vivi è in linea di massima a titolo
particolare nel senso che riguarda una singola situazione giuridica
soggettiva, attiva o passiva. Ma per esigenze relative alla trattazione il
discorso richiede di soffermarsi sulla successione ereditaria o mortis
causa.
La successione per causa di morte è legata al presupposto di fatto della
morte di una persona fisica, ovvero all’estinzione del soggetto. Essa
mira, secondo varie regole e diversi criteri ad assicurare la continuità
nei rapporti attivi o passivi facenti capo al defunto.
5
5
Mengoni L., Successione necessaria in Trattato di diritto civile e commerciale , Vol.
XLIII, t.2 , Giuffrè, 2000.
16
Dunque il diritto successorio o ereditario, alla luce del complesso
delle norme contenute nel libro secondo del codice civile, regola il
trapasso dei beni dal defunto alla persona o alle persone che gli
succedono e trova la sua fondamentale giustificazione nella necessità
che la morte non rompa i rapporti di colui che ha cessato di vivere.
Sulla base di questa premessa, il rapporto di recezione tra diritto e
realtà sociale trova riscontro nel fenomeno successorio, posto che, la
morte dell’individuo determina il sorgere di quella che è stata definita
‘l’esigenza negativa che un patrimonio non resti privo di titolare’ onde
evitare da un lato lotte e perturbazioni sociali per l’apprensione dei
beni relitti dal de cuius, e di escludere, dall’altro, una precarietà di
tutti i rapporti obbligatori la cui continuazione deve essere garantita
anche nel caso di morte.
2.2 RICONOSCIMENTO DELL’AUTONOMIA PRIVATA NEL
DIRITTO SUCCESSORIO
Sono queste le ragioni che hanno indotto il legislatore a garantire uno
strumento idoneo al perseguimento di obbiettivi i quali comportano,
necessariamente un disporre per l’avvenire ma nel rispetto delle libere
scelte e della volontà del singolo.
Questa particolare manifestazione della volontà umana trova
estrinsecazione per mezzo del testamento.
L’importanza del testamento ha condotto, per un’esigenza di unitarietà
della dottrina negoziale, a distinguere, tra le molteplici classificazioni,
i negozi inter vivos dai negozi mortis causa. Unico negozio mortis
17
causa previsto per eccellenza nel nostro ordinamento, è il testamento
nel quale, la morte, opera come causa produttiva degli effetti in
contrapposizione ai negozi inter vivos. Si parla di una non dichiarata
affinità funzionale e di destinazione concreta tra testamento e
contratto, entrambi strumenti per la circolazione dei beni e ruotanti
intorno al nucleo della proprietà.
Non mancano opinioni contrarie, le tesi sostenute contro la
riconducibilità del testamento nella categoria del negozio giuridico per
la carenza di due tipiche caratteristiche negoziali : la produzione di
effetti nel patrimonio e l’irrevocabilità dell’impegno.
La definizione giuridico - normativa del testamento è data dall’art.
587 cc. Testamento.- ‘Il testamento è un atto revocabile con il quale
taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le
proprie sostanze o di parte di esse’.
Dalla definizione discende che, il fondamento del diritto di disporre
per testamento è ricercato nel rispetto attribuito alla persona umana,
alla manifestazione di volontà e dunque, all’esplicazione
dell’autonomia privata.
Nel contesto di un unico atto può pertanto essere racchiusa una
pluralità di disposizioni testamentarie che manifestano distinte volontà
con riferimento ai singoli beni o interessi. Più la volontà del de cuis è
articolata, più numerose saranno le disposizioni, le quali, hanno
ciascuna una propria autonomia sostanziale ad onta dell’unicità del
documento formale. Ciò non significa che il testamento sia costituito
da una pluralità di atti, perché la dichiarazione di volontà è unica, ma
l’autonomia interna di ciascuna disposizione ha modo di manifestarsi.
18
La caratteristica del testamento è la sua naturale destinazione a
regolare vicende successivamente alla morte, cosicché esso, prima di
tale evento è inefficace. Di qui la sua incondizionata revocabilità.
Dunque un eventuale testamento viziato può essere impugnato o
confermato solo dopo l’apertura della successione e quindi non ad
opera del de cuius, il quale, durante la vita, in presenza del vizio può
revocare o confezionare altro testamento. La revocabilità è
espressione della spontaneità.
E’ inoltre un atto personalissimo e da ciò consegue la nullità di ogni
disposizione testamentaria con la quale si fa dipendere dall’arbitrio di
un terzo l’indicazione di erede o del legatario o la determinazione
della quota di eredità.(art. 631 cc).
Il testamento può contenere disposizioni non solo a carattere
patrimoniale ma anche a carattere personale (contenuto atipico) ma in
tal caso può imporre solo vincoli indiretti.
Dal punto di vista strutturale il testamento è atto unilaterale perché,
incidendo solo sulla direzione della volontà normativa, provoca una
vocazione testamentaria e non legale, ma la delazione, cioè l’offerta
che il chiamato può o meno accettare è sempre della legge. E’ un atto
non recettizio perché è irrilevante che l’esistenza del testamento sia o
non sia comunicata all’interessato prima della morte ovvero, al
chiamato, dopo tale evento. Il testamento è inoltre atto formale,
prevedendo la legge i vari modi in cui l’individuo può testare. È
necessario un atto scritto e unipersonale.
Quanto alle figure di testamento ammessi nel nostro ordinamento si
distingue tra testamenti ordinari e speciali.
19
Appartengono alla prima categoria il testamento olografo e il
testamento per atto di notaio, pubblico o segreto. Nella seconda
categoria si annoverano i testamenti speciali, forme particolari di
testamento pubblico relativamente a situazioni o circostanze
eccezionali.
6
Analizzato l’aspetto formale del testamento è necessario sottolineare
l’aspetto sostanziale, ossia l’essere l’unico atto previsto nel nostro
ordinamento al fine di disporre delle proprie sostanze per il tempo in
cui si sarà cessato di vivere, tutelando la volontà manifestata in vita.
E’ questa la tipicità e unicità del testamento.
2.3 UNICITA’ DEL TESTAMENTO
L’essere il testamento lo strumento primario garantito ai singoli ai fini
di dirigere la volontà normativa, trova una più celere conferma,
nell’impianto successorio generale in relazione al principio consacrato
nel ‘Divieto dei patti successori’ (art. 458 cc) “E’ nulla ogni
convenzione con cui taluno dispone della propria successione.
E’ del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli
possono spettare su una successione non ancora aperta o rinuncia ai
medesimi”.
7
La ricostruzione di una tipica e unitaria nozione di patto successorio è
resa ardua dalla molteplicità delle figure ipotizzate e dalla difficoltà di
6
Gazzoni F., Manuale di diritto privato, in XIII Edizioni scientifiche italiane, 2007, pagg.
495 – 496 - 497
7
L’art. 458 c.c. è stato modificato dalla L. n. 55/2006 che ha introdotto la clausola di
salvaguardia (fatto salvo quanto disposto dagli artt. 768 bis e ss.”.
20
identificare in esso caratteristiche comuni sufficientemente
significative.
8
Nonostante il fondamento del divieto sia profondamente diverso a
seconda che si tratti di patti istitutivi, dispositivi e rinunciativi, tali
convenzioni vengono definite patti successori.
A parte la sanzione della nullità che li accomuna, in dottrina si è
tentato di elaborare alcuni requisiti che possono ricomprendere queste
eterogenee convenzioni ovvero:
si tratta di patti stipulati prima dell’apertura della successione
i beni oggetto di queste convenzioni sono ricompresi nell’eredità
futura
l’acquisto del diritto avviene successionis causa e non ad altro titolo.
9
Questo ultimo requisito è proprio dei patti successori istitutivi che
sarebbero gli unici definiti atti mortis causa.
La più convincente definizione dell’atto mortis causa identifica come
tale, l’atto diretto a regolare rapporti e situazioni che traggono origine
e individuazione autonoma dalla morte dell’autore.
10
Le convenzioni con cui si dispone non della propria successione, ma
dei diritti che possono spettare sulla successione non ancora aperta di
un altro soggetto, o a quei diritti si rinuncia, non incidendo sul
fenomeno successorio, devono considerarsi negozi tra vivi e dunque
tali sono i patti dispositivi e rinunciativi.
La precisazione riveste notevole importanza poiché dal riconoscere ad
un atto la natura di negozio mortis causa, dipende non solo un diverso
atteggiarsi degli effetti, ma la stessa volontà. Il divieto dei patti
8
De Giorgi, voce Patto successorio, in Enc. del Dir., pp.533 ss.
9
Antonini, Il divieto dei patti successori, in Studium Iuris, 1996, fasc.5, p.601
10
De Giorgi, cit., p.535
21
successori pone il problema di tracciare il confine tra contratti inter
vivos (dove la morte figura solo come termine o condizione) e
contratti in cui l’evento morte ha rilevanza causale.
Da qui, una serie di dubbi su diverse fattispecie circa l’appartenenza
alla categoria dei patti successori.
Ne è esempio una sentenza della Corte di Cass., n. 2404 del 1981 in
materia di struttura dei patti successori
11
.
Quest’ultima, a giudizio della S.C., ricorre se :
- il vinculum iuris, che scaturisce dalla convenzione, abbia avuto la
specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere
diritti relativi ad una successione non ancora aperta;
- la cosa o i diritti che sono oggetto della convenzione siano stati
considerati dai contraenti come entità della futura successione con
rinuncia da parte dei soggetti del c.d. ius poenitendi;
- l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla
successione stessa;
- il trasferimento dal promittente al promissario avrebbe dovuto aver
luogo mortis causa, a titolo di erede o legatario.
Inoltre si afferma che, in applicazione del principio ‘utile per inutile
non vitiatur’, la nullità del patto successorio non determina la nullità
di tutto il contratto nel quale esso sia inserito.
Nella fattispecie si trattava della vendita di un immobile (podere) dal
padre ad uno dei figli e della divisione del prezzo ricavato a tutti i
figli, compreso l’acquirente, a tacitazione dei diritti sulla futura eredità
dello stesso padre. Nel caso era evidente la situazione di
interdipendenza dei due negozi collegati.
11
Bessone M., Casi e questioni di diritto privato, Giuffrè, 2002, p. 193 e ss.
22
La circostanza che i due atti fossero stati stipulati a breve distanza di
tempo e che, nel secondo, si specificava che la somma era stata
ricavata dalla compravendita con uno dei figli, non bastava a
dimostrare, secondo la S.C. quella ‘interdipendenza tra negozi
collegati che risale all’atteggiamento e agli intenti dei soggetti, con
riguardo alla loro comune volontà.’
Secondo la S.C. al di fuori delle ipotesi del collegamento necessario
stabilite dalla legge o di accessorietà (pegno, ipoteca..), per potersi
stabilire se le vicende di un negozio si ripercuotano sull’altro, deve
indagarsi sulla volontà da cui ha tratto origine il collegamento.
In relazione alla fattispecie esaminata, la Cassazione non ha ritenuto
sufficiente la ricognizione strutturale del patto successorio da parte del
giudice di merito perché non è stato evidenziato se, ‘il primo contratto
era permeato dal medesimo intendimento per il quale la seconda
convenzione era stata ritenuta inficiata dalla nullità di cui all’art.458
c.c, posto che, il padre venditore aveva precisato, nella premessa del
secondo atto, di aver venduto al figlio non solo ai fini di disporre di
una somma liquida da ripartire con gli altri figli, ma anche per far si
che, detto podere divenisse di proprietà dell’indicato figlio, che era il
solo a dedicarsi alla sua coltivazione.
Questa sentenza affronta anche il problema della successione per
causa di contratto dove l’esigenza di trasferire il podere al figlio
agricoltore con il consenso degli altri figli, viene sostituita dal bisogno
di liquidità del padre e dei fratelli che il cessionario agricoltore poteva
soddisfare.