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Ad esempio l’abilità di un bambino nell’apprendere a leggere nelle prime 
classi elementari può dipendere non solo da come gli viene insegnato, ma 
anche dai legami esistenti tra scuola e casa e dalla loro natura. Va anche 
detto che lo sviluppo del bambino sia profondamente determinato da eventi 
che si verificano in situazioni ambientali in cui il bambino stesso non è 
neppure presente. Lo sviluppo del bambino infatti, è determinato dal tipo di 
professione o mestiere esercitato dai genitori.  
All’interno dello schema ecologico assume un ruolo importante la diade o 
sistema composto da due individui. La diade è molto importante perché 
funge da base per lo sviluppo di strutture interpersonali più ampie. Grazie 
alla diade il bambino ha la possibilità di sperimentare delle attività, 
favorevoli all’apprendimento. Tali attività caratterizzati dalla reciprocità e 
dall’equilibrio di potere consentono al bambino di esibire strutture 
interattive progressivamente più complesse riproponendole in contesti 
differenti, favorendo lo sviluppo cognitivo e sociale. Il bambino acquisisce 
inoltre una migliore capacità di controllo delle situazioni in cui si trova, con 
maggiore sicurezza. 
Si può quindi affermare che apprendimento e sviluppo vengono agevolati 
quando la persona che sta crescendo partecipi ad attività progressivamente 
più complesse insieme a persone nei cui confronti nutre stima e affetto. Le 
azioni che altri indirizzano nei confronti del bambino hanno un azione 
immediata nel favorire la crescita. Un attivo coinvolgimento in quello che 
altri stanno facendo, o anche la semplice esposizione a ciò, induce una 
persona a fare cose simili. Una volta che il bambino mette in pratica ciò che 
ha appreso in altri contesti ha di fatto realizzato uno sviluppo sotto forma di 
attività molare. Queste costituiscono la rappresentazione principale sia 
dello sviluppo del bambino che delle influenze esterne. Le attività molari 
rappresentano il grado e la natura della crescita psicologica; quelle esibite 
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da altri in una data situazione sono il mezzo principale di influenza diretta, 
da parte dell’ambiente sulla persona che sta crescendo. 
Molte attività svolte dal bambino si possono esibire in solitudine, ma 
alcune richiedono necessariamente l’interazione con gli altri. All’inizio le 
attività dei bambini sono diadiche, implicano cioè una persona alla volta, 
ma con il passare del tempo il bambino inizierà ad interagire con più 
persone contemporaneamente. Man mano che il bambino cresce, diviene 
capace non solo di partecipare attivamente nell’ambiente ma anche di 
modificarlo e di accrescerlo. I bambini acquisiscono e perfezionano queste 
capacità attraverso il loro contatto con i genitori, soprattutto con le madri. Il 
bambino, infatti  impara ad afferrare nutrendosi  al seno della madre. 
Impara a distinguere gli oggetti animati da quelli inanimati attraverso lo 
spettacolo costituito dalla faccia di sua madre. L’interscambio tra madre e 
figlio è denso di fattori emotivi ed è in questo interscambio  che il bambino 
impara a giocare. Familiarizza con il suo ambiente perché la madre lo porta 
in giro; con il suo aiuto impara ad essere sicuro nel muoversi, e in ogni 
altra situazione. In questo rapporto emotivo con la madre il bambino 
comincia ad imparare, e poi ad imitare (Spitz, 1945).  
Spitz nel 1945 è stato il primo a riflettere sulla questione dei bambini 
allontanati dalla madre. 
Sicuramente sono molti i fattori che influiscono nello sviluppo del bambino 
– la capacità del genitore di espletare il proprio compito, l’adeguatezza 
delle soluzioni relative alla cura del bambino, la presenza di amici e parenti 
disposti  a dare un aiuto nelle piccole e grandi emergenze, la scuola – ma di 
primaria importanza risulta la presenza della madre, l’assenza di 
quest’ultima nella vita del bambino  potrebbe avere conseguenze negative. 
Quanto finora esposto non è sicuramente possibile che si realizzi in realtà 
strutturate da rigide regole, come può essere il carcere. 
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Il lavoro in questione mira a mettere in evidenza dei contesti fonte di 
rischio, sia per la relazione madre-bambino che per lo sviluppo di 
quest’ultimo; in modo particolare analizza il vissuto della maternità 
nell’istituzione penitenziaria, con un accenno alla normativa che regola i 
rapporti tra madre e figlio, le possibili ricadute che tale situazione può 
provocare nello sviluppo del bambino, e non per ultimo delle proposte 
operative che migliorerebbero questa situazione. 
Per mettere in luce le peculiarità della maternità in carcere ho effettuato 
una ricerca sul campo. Tale ricerca si è svolta nella Casa Circondariale di 
Verona.  
Per questo lavoro vanno i miei ringraziamenti al Direttore del carcere 
Salvatore Erminio  e alla dott. Ribezzi, responsabile del servizio educativo, 
che mi hanno consentito l’ingresso in carcere; all’ispettore Loi che mi ha 
sostenuto soprattutto nel primo impatto con il carcere, agli agenti di polizia 
penitenziaria per la loro disponibilità e cortesia; in modo particolare alla 
dott. Giuseppina Vellone e al dott. Vittorio Tubini, la prima responsabile 
del servizio psichiatrico e il secondo di quello medico di codesta casa dal 
1994 al 2000, che mi sono stati molto vicini in questa esperienza.  
Concludo con delle proposte operative che secondo me potrebbero rendere 
migliore la relazione madre-bambino. 
 
 
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Capitolo primo 
 
Genitorialità a rischio: il ruolo del contesto 
 
 
 
Negli ultimi decenni, l’interesse per la psicodinamica della famiglia si è 
ampliato in ambito psicologico, sociologico e psicoterapeutico. Il tema 
della genitorialità, in particolare, rappresenta nel panorama attuale un 
campo di confronto e scambio tra studiosi, clinici e ricercatori. “La 
transizione alla genitorialità” è una difficile e complessa tappa del ciclo di 
vita familiare che subisce l’influenza di fattori esterni ed interni e che si 
apre a sempre nuovi punti di osservazione, studio e ricerca. In questo 
capitolo si snoda il tema della genitorialità a rischio, analizzata in situazioni 
dove è il contesto che determina la componente “problematica” e in altre 
dov’è invece la relazione stessa (coniugale, tra genitori e figli …) possibile 
fonte di rischio. Il rischio si configura oggi come un elemento della 
quotidianità che condiziona, attraverso una serie di fattori, ogni scelta che 
ci troviamo a compiere, ancor di più nell’esperienza dell’essere genitori si 
presentano sfide diverse che rendono tale percorso una vera e propria 
“situazione di rischio” (Bramanti, 2001). Tra gli eventi critici del ciclo di 
vita familiare, la nascita di un figlio, e del primo in modo particolare, 
assume una connotazione di particolare complessità e ambivalenza. E’ 
innegabile l’importanza che tale evento ha nella vita della donna, nella 
storia della coppia, nonché nell’intreccio con le generazioni precedenti e 
con quelle future. Nella strutturazione di questo lavoro, che si pone in una 
prospettiva ecologica considerando ogni situazione  “rischiosa”  tra realtà 
interna e realtà esterna, è stata operata una scelta nella direzione di 
approfondire alcuni contesti specifici, che indagano, alcune realtà 
particolari, dove si struttura l’esperienza della genitorialità. 
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Le genitorialità difficili possono avere differenti configurazioni e dipendere 
da numerosi fattori: sono “difficili” per particolari problemi dei figli, dei 
genitori o della loro relazione; importante è il contesto che è rappresentato 
da interazioni, reali e fantasmatiche, triadiche (Fava Vizziello, 2003). Un 
esempio tipico di situazione a rischio, in cui vengono coinvolti tutti gli 
elementi che caratterizzano la prospettiva ecologica è la nascita pretermine. 
La lettura dell’evento nascita pretermine, è stata recentemente affrontata da 
Perricone, Scimeca e Maugeri (2004)  in una prospettiva psicodinamica. In 
questo studio rappresentano elementi chiave  la valenza dell’immaginario 
(Freud, 1914; Lacan, 1979) e la conflittualità psichica (tra conscio-
incoscio, Freud, 1938), tra mondo interno-mondo esterno (Klein, 1963), 
(Fairbairn, 1944), con il conseguente ricorso a processi difensivi  (fuga, 
evitamento, razionalizzazione, negazione, ecc.) per arginare i vissuti di 
sofferenza ,vergogna, senso di colpa (Freud, 1936). 
 La nascita pretermine, viene definita dagli studiosi, come un evento 
critico, una situazione che interrompe bruscamente il tempo della 
gravidanza, creando una condizione di disorganizzazione psichica, 
cognitiva ed emozionale, poiché il processo di preparazione graduale alla 
separazione dalla propria creatura , l’instaurarsi di un rapporto con essa e 
l’assunzione del ruolo di mamma, subiscono una brusca interruzione, 
complicata dai timori per la propria salute e per quella del proprio bambino 
(Caplan, 1964). L’evento parto rappresenta di per sé una crisi evolutiva, 
poiché segna il passaggio, specie se si tratta di una prima gravidanza, ad 
una nuova fase del ciclo vitale della famiglia e consente lo sviluppo di 
nuove parti del proprio sé (Di Vita, 2000). A questa situazione, già 
destrutturante in quanto presuppone la sperimentazione di nuovi livelli 
relazionali, si aggiunge nel caso della nascita pretermine l’impatto 
dell’imprevisto, pensato ma “scaramanticamente” respinto.