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Purtuttavia, la Natura è sempre un passo avanti a noi ed il
mondo dei veleni è come un oceano, in cui un uomo può nuotare
per tutta la vita senza riuscire mai a toccare l’altra sponda.
Nonostante ciò, l’importanza dell’argomento e le sue
implicazioni per quanto riguarda l’essere umano sono tali da
imporci un continuo studio dei veleni, dei fenomeni ad esso legati e,
soprattutto, per noi Medici, dell’impatto di essi sulle singole
persone. Non dimentichiamo, tra l’altro, che i greci, forse per
questo verso più lungimiranti di noi, con la parola pharmakon,
intendevano, sì, “rimedio”, ma anche “veleno”.
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SCOPO DEL LAVORO
Dato il numero sempre crescente di viaggiatori che, per
lavoro o per diporto, ma soprattutto per diporto, si recano in aree
esotiche, a rischio per questa e per altre patologie analoghe, ritengo
di notevole importanza lo studio, la gestione clinica ed il follow up
di coloro che, durante il viaggio, siano andati incontro a fenomeni
morbosi di questo genere.
Questo lavoro si pone, come scopo, di fare una breve
digressione sulle tossine marine più conosciute, soprattutto su
quelle alimentari, e di valutare, nello specifico, una delle sindromi
da intossicazione che più frequentemente interessa l’uomo e che,
essendo appannaggio quasi esclusivo dei mari tropicali, è spesso
negletta dal medico europeo, la Ciguatera, qui rappresentata da
quattro casi.
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PARTE I
INTOSSICAZIONI DA TOSSINE MARINE
INTRODUZIONE
Non c’è gruppo di organismi viventi nel mare, dai protozoi
alle spugne, dai celenterati agli anellidi, dagli artropodi ai
molluschi, agli echinodermi, ai pesci, che non produca sostanze
tossiche di cui essi si servono in genere come mezzi di offesa o di
difesa.
Sono stati tentati numerosi inquadramenti tassonomici di
queste sostanze, basandosi di volta in volta su criteri farmacologici,
clinici, chimici, epidemiologici, ma la complessità della materia e
delle sostanze in esame è tale che spesso l’adozione di un criterio
piuttosto di un altro dipende dalla branca a cui afferisce il
tassonomista interessato al momento, medico o biologo, chimico o
farmacologo. Dal che si evince che la classificazione riportata in
queste pagine non ha assolutamente la pretesa di essere esauriente
ovvero particolarmente appropriata; essa è stata adottata solo per
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comodità, ponendo in evidenza fondamentalmente l’aspetto medico
della questione.
Per quanto le tossine marine possano causare danno all’
uomo attraverso quattro meccanismi fondamentali, inalazione,
contatto, inoculazione ed ingestione, sembra essere quest’ultimo
meccanismo quello che gioca il ruolo principale in patologia
umana; la bioconcentrazione di sostanze tossiche ed il fenomeno
delle magnificazione biologica (il cui significato chiarirò nel corso
di questa breve trattazione) ne rendono facilmente comprensibile il
perché, unitamente al grande consumo di pesce ed altri animali
marini a scopo alimentare, nel mondo.
Molte di queste sostanze sono rappresentate da molecole non
peptidiche, molto potenti: generalmente sono sufficienti dosi
inferiori a 1 mg/kg per creare un danno, anche importante (p.e. la
ciguatossina e la maitotossina). La maggior parte di esse agisce con
meccanismo neurotossico, sebbene ne siano state identificate alcune
ad attività emolitica.
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Ma, tra i fattori che le rendono così importanti in patologia
umana, c'è il fatto che quasi tutte sono termostabili, acido-resistenti,
e non modificano le caratteristiche organolettiche degli alimenti in
cui sono presenti; per cui non sono di facile identificazione, né
possono essere prevenuti i loro effetti con le normali procedure di
preparazione dei cibi.
Ma da dove provengono queste tossine, e come si inseriscono
nella catena alimentare, per arrivare sino all’uomo?
Quasi tutte (ad eccezione, cioè della tetrodotossina della
famigli dei pesci tetraodontidi - a cui appartengono oltre 120 generi,
tra cui i “pesci palla” - e delle tossine prodotte dalle alghe cianofite
azzurro-verdi ) sono prodotte da diatomee e dinoflagellati.
I dinoflagellati sono organismi unicellulari, alga-simili,
biflagellati, presenti sulla Terra da circa 450 milioni di anni, ed
hanno attributi sia eucariotici che procariotici. Si ritrovano nei
pressi delle barriere coralline (il “reef”), pur essendo anche pelagici,
e sono la causa più comune delle cosiddette “maree rosse”, che, per
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la loro importanza nell’ecosistema, saranno trattate più
diffusamente in un capitolo a parte. Delle circa 2000 specie
conosciute di dinoflagellati, una ventina circa produce sostanze ad
attività tossica , su oltre quaranta specie produttrici di sostanze
bioattive.
Le diatomee, come i dinoflagellati, sono alghe unicellulari,
non flagellate, che possiedono, per definizione, una parete silicea,
causa talora di gravi danni a pesci attraverso un danno diretto
branchiale; possono essere causa di una grave sindrome
neurologica, la ASP (Amnesic Shellfish Poisoning), tramite il
fenomeno della bioconcentrazione in molluschi (Wright et al.
1989).
Esiste una controversia sul ruolo che queste tossine giocano
nell’ecologia delle microalghe citate; infatti, mentre alcuni
ricercatori postulano che esse siano necessarie al metabolismo delle
alghe stesse, altri ritengono che siano usate come vantaggioso
meccanismo di competizione nei confronti di altri organismi (Baden
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1983; ILO 1984; Carmichel et al. 1986; Halstead 1988; Winter et al.
1990; Miller 1991).
Il ruolo potenziale dei batteri nella genesi di queste sostanze è
altresì ancora in discussione: molti anni fa Masaaki Kodama,
dell’Università Kitasato del Giappone, dimostrò che batteri
intracellulari ritrovati in una coltura di una microalga, Alexandrium
tamarense, erano i reali produttori della saxitossina, agente di una
sindrome morbosa dovuta alle alghe stesse.
E’ possibile che, nel corso dell’evoluzione, si sia realizzata
una qualche sorta di sinergia tra batteri simbionti e le microalghe
che li ospitano, risultante nella formazione di tossine di varia
natura.
Quale che sia la loro funzione e la loro effettiva derivazione,
le tossine prodotte dai dinoflagellati causano le entità cliniche
denominate NSP (Neurotoxic Shellfish Poisoning), PSP (Paralytic
Shellfish Poisoning), DSP (Diarrehic Shellfish Poisoning) e la
Ciguatera (Baden, 1983).
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Come sopra citato, le diatomee sembrano essere invece
responsabili della sindrome ASP (Amnesic Shellfish Poisoning).
In virtù della loro ecologia, le microalghe “incriminate”
entrano nella catena alimentare umana tramite la loro
bioconcentrazione in organismi che filtrano quantità d’acqua per
procurarsi cibo (per esempio, i molluschi bivalvi), di cui poi l’uomo
si nutre, oppure per il tramite, come già detto, della magnificazione
biologica, per il quale, ad esempio, microalghe tossiche (e se
volessimo andare oltre, l’anello iniziale della catena è molto
probabilmente rappresentato da batteri simbionti di queste
microalghe), epifite di macroalghe, vengono ingerite da animali
marini erbivori, successivamente mangiati da predatori nei quali si
verifica quindi la bioconcentrazione. Il tipo di tossina e l’entità
dell’intossicazione dipenderanno, di volta in volta, dall’organismo
bioaccumulatore in causa (mitile o pesce), dal punto della catena
alimentare interrotto per i fabbisogni alimentari umani e dalla
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quantità di tossina accumulata nelle carni dell’animale che
giungeranno sulla nostra tavola.
Per nostra fortuna, molte specie di interesse commerciale,
come aringhe, merluzzi, salmoni, sono sensibili a queste tossine, e
muoiono prima che la tossina raggiunga, nelle loro carni,
concentrazioni pericolose per l’uomo. Altre, purtroppo, si
accumulano nel fegato ed in altri organi di certi pesci, così che gli
animali che li consumino interi, ovvero uomini che li consumino
senza aver provveduto all’eviscerazione, corrono gravi rischi.
Nel passato, a rischio per queste forme morbose erano più
che altro le popolazioni il cui fabbisogno alimentare si basava
essenzialmente sul pescato, come le popolazioni costiere o isolane,
ed ogni tipo di intossicazione era relativamente circoscritto a
determinate aree del globo; in più, conoscendo i rischi relativi al
mangiare certi alimenti marini, magari in periodi particolari (per
esempio in quelli con maggior frequenza di comparsa delle già
citate “maree rosse”, che altro non sono se non massicce fioriture
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algali), e, quindi, adottando abitudini alimentari opportune, la
frequenza della malattia rimaneva relativamente contenuta.
Con l’espansione del fenomeno del turismo internazionale,
con l’incremento della pesca, ma, soprattutto con le massicce
esportazioni di generi alimentari ‘ittici’, grazie alla crescente
popolarità che questo tipo di alimenti sta riscuotendo da qualche
lustro a questa parte in ogni parte del mondo, rese possibili grazie
alle varie tecniche di surgelazione, i casi di intossicazione dovuti
alle tossine marine si stanno verificando un po' dappertutto, con
frequenza sempre maggiore. Altri tre possibili aspetti da non
sottovalutare sono ugualmente causati dall’uomo: l’eutrofizzazione
delle acque (che ha però maggiore importanza nelle acque dolci,
soprattutto quelle lacustri e che potrebbe diventare un grave
problema anche in Italia), la graduale distruzione del “reef” (che
porta ad uno squilibrio ambientale) causata soprattutto da certe
attività di pesca, e l’abitudine di tanti capitani di navi mercantili di
lavare le stive scaricando nelle acque viciniori al porto d’arrivo il
liquido di lavaggio; così facendo, infatti, le forme cistiche, di
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resistenza, di molte alghe, ritrovate in enorme quantità nelle stive di
alcune navi, colonizzano aree fino ad allora esenti, modificando in
forma più o meno grave l’ecosistema e soprattutto infettando
eventuali acquacolture (di pesci o molluschi) presenti in quelle aree
e nelle zone limitrofe.
Fino a poco tempo fa, gli unici mezzi a nostra disposizione
per diagnosticare queste patologie erano l’esame clinico, unito ad
una accurata anamnesi, alla conoscenza dell’epidemiologia di questi
fenomeni ed a biosaggi animali su pesci o molluschi “sospetti”.
Infatti, il modo di affrontare le intossicazioni da tossine
marine era basato soprattutto sulla prevenzione e sull’osservazione
epidemiologica di nuovi casi, non esistendo presidi veramente
idonei a “guarire” chi fosse incorso in un avvelenamento.
Si stanno però ora sviluppando nuove e più fini metodiche di
ricerca biochimico-farmacologiche, che permetteranno di svelare,
così auspichiamo, gli intimi meccanismi d’azione di questi veleni,
forse permettendoci di realizzare nuove armi con cui contrastare
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queste esotiche (ma non più tanto), ma non per questo meno
insidiose, patologie.
Un annoso problema è che non tutti i laboratori di ricerca
interessati hanno, purtroppo, a disposizione le risorse per ampliare
le conoscenze in questo campo e per fare quindi progressi nella
conoscenza e nella terapia delle intossicazioni tropicali (e non).
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CAPITOLO I
LE MAREE ROSSE
Di tanto in tanto, in relazione a non ben determinate
condizioni climatiche e ad altri fattori ancora non ben identificati, si
può assistere ad uno spettacolo suggestivo: ampie aree della
superficie marina appaiono di un colore rosso acceso. A dispetto
della bellezza dello spettacolo, questo fenomeno è spesso foriero di
calamità per molti animali marini ed anche per gli esseri umani.
Infatti questo evento, riferito da Tacito, citato da Omero,
osservato anche da navigatori che hanno solcato il Mediterraneo nei
secoli passati (Bower et al. 1981; Halstead !988), denominato
“marea rossa”, altro non è che la manifestazione di estese fioriture
algali (“blooms”), le quali, con vari meccanismi, meccanici o
biochimici, possono causare danni agli esseri viventi che, attraverso
varie modalità, ne vengano a contatto.
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Negli ultimi tempi, viene riportato che il numero di fioriture
tossiche e gli epifenomeni ad esse collegati (perdite economiche, in
termini di distruzione di acquacolture ed impatto - in certe aree - sul
turismo, la varietà di tossine, il numero di specie algali velenose),
sembrerebbero in costante aumento, ma è da definire se quanto
riportato sia un fatto obiettivo ovvero se si tratti solo del risultato di
una maggiore consapevolezza scientifica e del miglioramento degli
strumenti di sorveglianza e di analisi.
Comunque stiano le cose, per quanto riguarda la
terminologia, il nome “maree rosse” è in realtà fuorviante, dal
momento che molte fioriture tossiche assumono questo nome anche
quando le acque colonizzate acquistano colorazioni brune o verdi o
addirittura non presentano alcun cambiamento di colore; di contro,
un accumulo di alghe non tossiche può cambiare in maniera anche
pittoresca il colore delle acquee. Altre alghe, invece, non
modificano la colorazione acquatica, né producono tossine,
nondimeno sono in grado di uccidere gli animali marini attraverso
altri meccanismi.