“tornare sui propri passi” , è una fase ben precisa del processo di outsourcing che,
prende il nome di insourcing a cui accenno nel secondo capitolo. La vera
competitività aziendale o meglio il raggiungimento di un vantaggio competitivo
sostenibile nel tempo, deriva anche dal possedere delle risorse rare, uniche e
difficilmente imitabili dalla concorrenza. La risorsa che più di ogni altra riesce a
soddisfare queste caratteristiche è la risorsa umana. Da ciò deriva che una gestione
efficace del personale dovrebbe divenire sempre più per l’impresa un obiettivo
primario. L’azienda deve offrire ai propri dipendenti una costante formazione
finalizzata ad accrescere competenze e motivazione. Sapere quale tipo di
formazione occorre promuovere all’interno dell’organizzazione è infatti un
problema cruciale e al tempo stesso una sfida pressante. Una formazione
maggiormente “mirata”, orientata a soddisfare bisogni reali, misura anzitutto la sua
aderenza alla realtà nella sua dimensione di concretezza, di effettiva incidenza nella
vita degli individui nell’organizzazione. Per garantirsi le necessarie competenze, si
deve puntare ad allargare ed approfondire le competenze attraverso la formazione,
ma altresì si deve agire mediante un’azione di consulenza diretta che fornisca
consigli utili per rendere, la formazione, utile e propedeutica al lavoro. L’azione di
consulenza, svolta dal coach, ha il fine di portare ad una più adeguata formazione in
quanto può indirizzare i corsi di formazione verso quegli ambiti dove, di persona,
hanno rilevato più problemi. Di conseguenza, le strade vincenti che le imprese
possono percorrere per raggiungere un buon risultato in termini di miglioramento
strategico e competitivo, sono quelle di una formazione articolata e diretta,
accompagnata da un’azione di consulenza che aiuti a migliorare, agendo, con
soluzioni personalizzate a seconda dell’azienda. Stabilire se le azioni formative
promosse siano state un costo o un reale investimento per l’organizzazione è
possibile in un unico modo: accertando se e in che modo i bisogni siano stati
appropriatamente rilevati attraverso l’impianto di una attività di analisi dei bisogni
formativi. Nel terzo capitolo si esamina in dettaglio una delle fasi del processo di
formazione, la più importante che riguarda l’analisi dei bisogni formativi partendo
dalla quale si passa poi alla progettazione e alla realizzazione degli interventi
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formativi, terminando con la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza dell’attività
formativa implementata. L’analisi dei bisogni sarà indagata all’interno dell’intero
processo formativo e, soprattutto, come attività propedeutica all’organizzazione e
progettazione formativa. Una buona analisi dei bisogni avvicina la formazione ai
reali desideri dei futuri partecipanti, migliora la progettazione successiva e consente
un’analisi dei risultati più convincente. L’analisi dei bisogni è un’attività di ricerca
finalizzata all’individuazione delle esigenze di apprendimento di un determinato
target in termini di competenze; più specificatamente è un’attività di ricerca volta
all’individuazione del gap di competenze che esiste tra le competenze possedute e
quelle richieste in riferimento ad una specifica figura professionale. Quindi, l’analisi
dei bisogni formativi deve avere l’obiettivo di individuare le esatte necessità di
formazione degli utenti finali, al fine di una corretta e dettagliata individuazione
degli obiettivi della formazione e della definizione delle esigenze di progettazione.
L’importanza dell’analisi dei bisogni risiede nella convinzione di molti che ‐se
condotta in modo adeguato‐ alimenta la disponibilità ad apprendere: per questo
motivo pur essendo stata definita come attività di ricerca, si colloca a pieno titolo
all’interno del processo di formazione. Spesso l’attività lavorativa non consente di
fermarsi per “prendere fiato”, e chiedersi: “Di che cosa ho bisogno? Quali sono le
mie aspettative sul posto di lavoro? Di quali conoscenze ho bisogno? Posso
migliorare il modo in cui svolgo il mio lavoro? Come può essermi utile la
formazione?”. Per rispondere a queste domande, il personale viene affiancato da un
coach. Figura ormai nota all’interno delle multinazionali, il coach sta pian piano
vincendo la diffidenza anche nelle imprese medio ‐ piccole del tessuto produttivo
italiano, che in un momento di elevata competitività e incertezza stanno spostando
sempre più il focus sulla prestazione dei loro team e si avvicinano al coaching per
riqualificare le figure di più alto livello organizzativo. Il rapporto con il coach aiuta a
definire un obiettivo e una strategia per raggiungerlo, che tiene conto sia delle
potenzialità che dei limiti della persona. Si cercano sia di mettere a fuoco i passi
concreti da compiere, sia di superare quei valori e quei modi di pensare che
costituiscono un ostacolo nell’affrontare le situazioni critiche. Nel quarto capitolo si
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procede a esaminare il tema centrale della tesi, ossia come servirsi delle
competenze del coach per rimuovere le resistenze psicologiche da parte del
personale facendo in modo di penetrare nel loro “intimo” e comprendere i loro reali
bisogni di formazione per dar luogo ad un intervento formativo in outsourcing
efficiente ed efficace. Saper gestire le resistenze è oggi una capacità manageriale
molto importante infatti i grandi cambiamenti che investono le aziende ne
modificano l’organizzazione e si traducono in continue nuove richieste al personale,
che inevitabilmente generano resistenze. Tanto più velocemente esse vengono
superate tanto più rapidamente l’azienda sarà in grado di affrontare le turbolenze
del mercato. È per questo che è importante riconoscere le cause delle resistenze e
saperle gestire. Per fare business e per farlo bene, serve un allenamento continuo,
mirato, programmato e strategico. Il coaching, in questo senso, può fornire una
risposta alle esigenze di molte aziende, supportandole nello sviluppo del potenziale
umano. Quello che distingue e rende speciale il coaching è la disciplina che insegna
per raggiungere risultati concreti nel tempo. Facendo emergere le capacità del
singolo e del gruppo, aiuta a metterle a frutto, focalizzando gli obiettivi, rimuovendo
gli ostacoli e scegliendo strategie decisionali e di comportamento nuove. Una
condizione fondamentale perché il coaching sia efficace è la capacità di voler
imparare e di mettersi in gioco personalmente. Vuol dire saper cambiare punto di
vista e lasciar andare il proprio per poter essere più flessibili e in grado di
relazionarsi agli altri con efficacia, siano essi clienti, capi, colleghi, collaboratori
all’interno e all’esterno dell’azienda. Il coach ha anche il compito di fare da
“cerniera” tra interessi solo in apparenza contrapposti, per far sì che il rapporto tra
cliente e fornitore sia non solo vincente per entrambi, ma entrambi possano
ottenere maggiori vantaggi collaborando piuttosto che irrigidendosi sulle proprie
posizioni. Non solo, ma da questo rapporto win – win ne esce vincente anche un
terzo soggetto, troppo spesso dimenticato, il cliente finale (nel nostro caso il
dipendente), che a sua volta trarrà dei vantaggi dal fatto che non si vengono a
creare quei problemi tipici invece dell’interposizione. Cambiare è faticoso, anche se
è ormai evidente che lo si deve fare perché è il mondo nel quale viviamo che si
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trasforma molto rapidamente e il manager, ha la responsabilità di precorrere i
cambiamenti e di cavalcarli per rimanere sulla cresta dell’onda. Investire in
formazione presuppone dei costi immediati e certi nell’ammontare, per contro i
vantaggi sono spesso a lungo termine e paradossalmente, possono riguardare altre
imprese concorrenti. Può capitare che l’azienda formi qualcuno e che poi tale
persona abbandoni il posto per un’altra impresa; a ottenerne i benefici sarà la
seconda organizzazione, mentre la prima ne avrà sostenuto solamente gli oneri. Del
resto il primo costo a essere eliminato, da parte di un’azienda pressata dalle
scadenze, dai profitti e dai budget, è proprio quello della formazione. Vi sono però
dei problemi connessi alla formazione dovuti alla massiccia presenza di aziende che
la considerano ancora un costo inutile da sostenere e pertanto da eliminare, specie
in momenti di crisi economica e finanziaria. Ecco necessario il ricorso
all’outsourcing, l’azienda piuttosto che rinunciare a questa funzione dovrebbe
investire in essa rivolgendosi ad aziende che eroga formazione come la TMS di cui
tratto nel capitolo finale. Disporre di personale competente consente alle imprese
di crescere e di potenziarsi, di rendersi maggiormente flessibili nei confronti del
mercato in continua evoluzione e costruire all’interno dell’azienda un clima
migliore. Lo studio empirico, mi ha dato modo di constatare come effettivamente la
formazione sia considerata uno strumento strategico indispensabile sia per le
imprese che per gli utenti, anche se si registra ancora una scarsa consapevolezza
riguardo ad esso e nella valorizzazione del personale. Nella bibliografia ragionata
invece ho riportato alcuni dei testi più significativi che mi hanno dato chiarimenti in
merito a queste tematiche e hanno reso possibile la realizzazione di questo lavoro.
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PAROLE CHIAVI
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L’OUTSOURCING
Outsourcing è un termine inglese composto da outside e resourcing, reperire risorse
all’esterno, questo il significato e lo scopo principale di tale pratica manageriale che
si è cominciata ad usare in Italia soprattutto nel corso dell’ultimo decennio. Le
origini storiche sono antiche e risalgono ai tempi del Medioevo e del Rinascimento
dove le attività economiche del settore tessile erano organizzate da mercanti,
imprenditori che acquistavano le materie prime e i coloranti da varie regioni del
mondo e le affidavano ai diversi artigiani specializzati nelle varie fasi della
lavorazione. Se volessimo trovare una parola italiana corrispondente ci
accorgeremmo che non esiste ma questo non deve farci pensare che gli inglesi
abbiano scoperto qualcosa di assolutamente nuovo a noi sconosciuto, piuttosto deve
indirizzarci verso uno studio di tale fenomeno all’interno di un’evoluzione logica,
quella che nel corso del tempo ha seguito il rapporto cliente - fornitore precisando
che in passato le transazioni economiche stabilivano un rapporto venditore –
compratore che si esauriva con il passaggio di proprietà spingendo le aziende a
liberarsi da qualsiasi forma di proprietà – perfino degli impianti produttivi – e a
privilegiare il massiccio ricorso all’outsourcing, scegliendo quindi di affidare,
interamente o parzialmente, ad un fornitore esterno delle attività di servizio interne
all’organizzazione
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. Il principio fondamentale sul quale si basa questo strumento è
molto semplice: far fare ad altre organizzazioni quello che sanno fare meglio in
modo da ridurre i costi, migliorare la qualità dei servizi o dei prodotti di cui si ha
bisogno e liberare così risorse necessarie per lo sviluppo di ciò che costituisce la vera
attività dell’organizzazione committente. Espresso in questi termini l’outsourcing
può sembrare una sorta di formula magica che funge da “toccasana” per le imprese:
per svolgere meglio la propria attività primaria è sufficiente delegare ad altri (che
sono più esperti nel settore) le attività di supporto. Un assunto così semplice
nasconde invece problematiche molto complesse perché all’impresa si chiede di
cambiare il modo di fare business: non contare più solo ed esclusivamente sulle
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Cfr. J. RIFKIN, L’era dell’accesso, Mondadori, Milano, 2000, pp. 7-8
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proprie forze ma affidarsi a qualcun altro. Ciò comporta enormi cambiamenti sia a
livello strategico che organizzativo ma soprattutto l’impresa deve avere fiducia nei
propri fornitori. I fattori che rendono possibile un rapporto di fiducia sono l’apertura
e la franchezza; la ricerca di queste peculiarità richiede criteri di selezione con clienti
che cercano un fornitore culturalmente compatibile con la loro organizzazione,
devono giungere cioè allo stadio di relazione a “libro aperto”. È intuitivo e
semplicistico ma il successo di un’azienda dipende in gran parte da quanto, e per
quanto tempo, riesce a mantenere una buona relazione con i propri clienti ma, allo
stesso tempo dalla capacità di ridurre e mantenere stabili i costi affrontati per la
propria attività nel suo complesso. Proprio riguardo quest’ultimo aspetto, la realtà
aziendale è molto cambiata. Forse i positivi sviluppi dei processi produttivi, le
innovazioni tecnologiche, forse un aumento dei professionisti maggiormente
qualificati , hanno portato le aziende a non sentirsi obbligate a mantenere sempre e
comunque al proprio interno ogni processo ed ogni funzione e a rivolgersi all’esterno
non solo per stipulare semplici contratti di fornitura, ma per affidare a terzi un intero
processo aziendale. In pratica, si tratta di attività che vengono svolte da un’azienda
che cede (out) in outsourcing parte dei lavori che svolgeva, risparmiando denaro,
operai ed altro (risorse). In questo modo l’azienda potrà utilizzare le proprie energie
nel valorizzare le competenze peculiari che la distinguono sul mercato,
incrementando attività a maggior valore aggiunto. Tale esigenza nasce anche dalle
richieste del mercato di risolvere le problematiche legate ai costi sempre più elevati,
dalla scarsa flessibilità del personale e dalla necessità di avere una maggiore
specializzazione produttiva. Affinché l’outsourcing possa portare i massimi vantaggi
deve essere inserito in una strategia aziendale tendente al raggiungimento di una
crescita dimensionale e produttiva nelle attività principali dell’impresa, mentre
sarebbe destinato a fallire nel caso venga adoperato come soluzione finalizzata alla
sola riduzione dei costi. Quando si parla di outsourcing si fa riferimento ad una
forma particolare di esternalizzazione di una parte o di intere parti di attività
considerate strategiche o solo tattiche dall’azienda, attraverso un rapporto di
collaborazione tra l’azienda che ha deciso di esternalizzare e quella a cui si vuole
affidare il compito di gestire l’oggetto della esternalizzazione. Gli attori che
normalmente caratterizzano l’outsourcing sono, pertanto, i seguenti:
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