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impedire la dissociazione del multimero. Questo, però, conferisce alle
strutture così ottenute una notevole rigidità conformazionale con
conseguente crescita piuttosto modesta dell’aggregato.
Un meccanismo alternativo proposto per la formazione di strutture
oligomeriche a partire da forme monomeriche è il 3D-domain swapping
(Bennet, et al., 1995). Con tale termine si intende un fenomeno che prevede
la dislocazione di un dominio (in alcuni casi uno o più elementi strutturali)
di un monomero nel corpo di un’altra subunità monomerica identica, in cui
va ad occupare il posto del corrispondente tratto di catena polipeptidica,
ristabilendo all’interno dell’unità strutturale le stesse interazioni presenti nel
monomero.
Una caratteristica comune a molti oligomeri definiti “scambianti” è la
ridotta superficie di interazione, legata alla specifica struttura quaternaria
(vedi interfaccia aperta e peptide cerniera, paragrafo 1.1), mostrata da analisi
statistiche condotte sulle superfici di interazioni dei dimeri scambianti
(Schlunegger, et al., 1997; Sinha, et al ., 2001). La limitata superficie di
contatto determina la possibilità di ampi moti intersubunità, inusuali se
confrontati a quelli di dimeri convenzionali, che permettono l’accesso a
molteplici strutture quaternarie e quindi favoriscono la crescita
dell’aggregato (Merlino, et al., 2005).
Per tali ragioni questo meccanismo, consentendo un certo grado di
adattabilità della superficie oligomerica, può giocare un ruolo rilevante nei
meccanismi di riconoscimento molecolare, che si verificano durante i
fenomeni di aggregazione di proteine, compresi quelli di tipo patologico.
1.1 3D-domain swapping
Il meccanismo di scambio di domini strutturali prevede che, in certe
condizioni (fisiologiche o patologiche), si rompano le interazioni tra i
domini di una proteina monomerica, strutturalmente complessa, con
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formazione di un monomero aperto; in questa conformazione la proteina
monomerica riforma le interazioni con un dominio identico appartenente ad
un’altra unità monomerica con conseguente formazione di un dimero o, in
generale, di un oligomero scambiante di ordine superiore.
In tutte le proteine che presentano lo scambio di domini strutturali possono
essere individuate tre regioni caratteristiche (Figura 1-1):
Figura 1-1 Illustrazione schematica della formazione di un
dimero mediante 3D-domain swapping.
ξ l’interfaccia chiusa (interfaccia-C), che è costituita dalle regioni di
contatto tra il dominio scambiato e il resto della catena polipeptidica
ed è identica nella proteina monomerica e oligomerica;
ξ l’interfaccia aperta (interfaccia-O), che è rappresentata dalla
regione di contatto tra le diverse subunità dell’oligomero scambiante,
costituita da interazioni assenti nel monomero (Bennett, et al., 1995);
ξ il peptide cerniera (hinge peptide), che è il segmento di catena
peptidica che connette il dominio scambiato al corpo della proteina e
che adotta conformazioni diverse nella proteina monomerica e
oligomerica (Mazzarella, et al., 1993).
Monomero aperto
Monomeri chiusi
Interfaccia-O
Interfaccia-C
Peptide cerniera
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L’interfaccia chiusa determina nella massima parte la stabilità
dell’aggregato mentre, l’interfaccia aperta e il peptide cerniera, sono
importanti nel determinare la specifica struttura quaternaria dell’oligomero.
Il fenomeno dello scambio, inizialmente osservato solo nell’ambito della
famiglia delle ribonucleasi, è stato riscontrato, in questi ultimi anni, in un
numero sempre crescente di sistemi ed è considerato un aspetto importante
nell’organizzazione strutturale delle proteine.
Il dominio coinvolto nello scambio può essere sia un intero dominio
globulare sia un singolo elemento di struttura secondaria (α-elica, β-strand
o β-sheet) (Schlunegger, et al., 1997).
Studi di diffrazione dei raggi X hanno mostrato che una proteina può
scambiare sia regioni N-terminali che regioni C-terminali – fa eccezione, ad
esempio, la IX/X-binding protein, un eterodimero le cui subunità scambiano
un loop che si trova nella regione centrale della proteina (Mizuno, et al.,
1997) – e che questi tipi di scambio possono avvenire anche
simultaneamente in un oligomero (Liu, et al., 2002).
Studi energetici condotti sulla tossina della difterite (DT), proteina
monomerica secreta da Corynebacterium difteriae, e su altri sistemi
scambianti (Chen, et al., 2005) hanno permesso di valutare la variazione
dell’energia libera standard coinvolta durante il meccanismo di scambio
(Bennett, et al., 1994-B). In particolare, la tossina DT mostra il fenomeno
dello scambio di domini, in seguito a trattamento di congelamento e di
scongelamento, in presenza di tampone fosfato a pH neutro (tampone che
riduce il suo pH da 7.0 a 3.6 durante il processo di freezing (van de Berg, et
al., 1959)) (Bennett, et al., 1994-A) (Figura 1-2).
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Figura 1-2 Variazione di energia libera nel processo di formazione del dimero
scambiante per DT.
I dati ottenuti per DT indicano che la forma monomerica e quella
oligomerica scambiante della proteina hanno un’energia libera molto simile,
a causa del fatto che il dominio scambiato, presentando un intorno proteico
essenzialmente identico nel monomero in conformazione chiusa e nel
dimero, è stabilizzato dalle stesse interazioni non covalenti. Le piccole
differenze nel bilancio energetico (∆G) tra lo stato monomerico o quello
multimerico dipendono da:
¾ la maggiore entropia del monomero rispetto all’oligomero;
¾ le nuove interazioni che il peptide cerniera forma nella specie
oligomerica;
¾ la formazione di una nuova superficie di contatto, l’interfaccia
aperta, assente nel monomero.
Il peso relativo di questi fattori determina lo spostamento dell’equilibrio
verso la forma monomerica o verso la forma aggregata.
Meccanismo di associazione
E
n
e
r
g
i
a
l
i
b
e
r
a
∆G di dimerizzazione
monomeri aperti
monomeri chiusi
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L’elevata barriera energetica che, separa il monomero e l’oligomero
scambiante – tale da poter considerare entrambe le forme efficacemente
stabili in tempi dell’ordine di grandezza dei processi biologici – viene
considerata l’energia di attivazione del processo. Tale energia corrisponde a
quella necessaria a far passare, durante il processo di scambio di domini
strutturali, attraverso uno stato di transizione rappresentato dalla formazione
del monomero aperto, in cui vengono rotte le interazioni esistenti
all’interfaccia chiusa per permettere lo scambio. Tali studi hanno inoltre
evidenziato che eventi molecolari e ambientali sono in grado di ridurre
l’energia di attivazione del processo: mutazioni, variazione del pH o della
temperatura, aumento della concentrazione proteica, interazioni con recettori
o ligandi sono fattori in grado di influenzare la velocità di interconversione
fra i diversi stati aggregati.
In vivo le condizioni favorevoli al fenomeno dello scambio di domini
strutturali potrebbero verificarsi durante il processo di strutturazione
(folding) di una proteina, se l’associazione dei domini strutturali mediante
scambio è più rapida rispetto alla strutturazione degli stessi nella forma
monomerica. Inoltre stati patologici o il passaggio di una proteina in tessuti
o in compartimenti cellulari specializzati possono favorire il processo di
scambio.
1.2 Ruolo del peptide cerniera
I determinanti strutturali che portano una catena polipeptidica a strutturarsi
in uno stato oligomerico sono difficili da identificare: non sembrano esserci,
infatti, dall’analisi delle numerose proteine scambianti finora caratterizzate
strutturalmente, caratteristiche funzionali e strutturali comuni. Un ruolo
rilevante nel meccanismo dello scambio di domini strutturali viene giocato
sia dall’interfaccia aperta che dal peptide cerniera che, come già detto,
rappresenta l’unica regione della proteina che cambia conformazione nel
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passaggio da monomero ad oligomero scambiante.
I requisiti del peptide cerniera sono: lunghezza opportuna e flessibilità
intrinseca, necessarie per poter adottare differenti conformazioni nella forma
chiusa del monomero e in quella scambiante dell’oligomero.
Un esame dei peptidi cerniera di un gran numero di strutture proteiche
scambianti ha evidenziato che essi mostrano una varietà di lunghezze, di
sequenze e di strutture secondarie. Le osservazioni sperimentali raccolte
indicano chiaramente che è difficile evidenziare i determinanti strutturali
generali del 3D-domain swapping. L’effetto di mutazioni, delezioni o
allungamenti sullo scambio di domini strutturali varia infatti al variare del
sistema proteico esaminato.
1.3 Ribonucleasi di tipo pancreatico
Da alcuni anni nel gruppo presso il quale ho svolto il mio lavoro di tesi è in
corso una linea di ricerca volta alla caratterizzazione dei determinanti
strutturali del fenomeno dello scambio di domini strutturali, nell’ambito
della famiglia delle ribonucleasi di tipo pancreatico. Questa famiglia
rappresenta un sistema modello ideale per lo studio dello scambio dei
domini strutturali sia per la contemporanea presenza del prototipo
monomerico, la ribonucleasi bovina pancreatica (RNasi A) e della
controparte dimerica naturale, la ribonucleasi seminale bovina (BS-RNasi)
(Mazzarella, et al., 1993), sia per la tendenza di molti suoi membri a
generare oligomeri scambianti in condizioni blandamente denaturanti.
L’approccio sperimentale adottato prevede mutazioni puntiformi o piccole
delezioni o inserzioni di residui nelle regioni principalmente coinvolte nel
fenomeno relativo allo scambio di domini strutturali, in particolare nella
regione del peptide cerniera, nell’interfaccia aperta e nelle regioni che
interagiscono con l’ hinge peptide.
Le ribonucleasi di tipo pancreatico sono endoribonucleasi specifiche per
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substrati che presentano una base pirimidinica in posizione 3’ del legame
fosfodiestereo che viene idrolizzato (Raines 1998). La reazione di
degradazione dell’acido ribonucleico (RNA) procede con un meccanismo a
due stadi. Il primo stadio della reazione è una transfosforilazione con
formazione di un monofosfato ciclico 2’-3’, che rappresenta il substrato
della successiva reazione di idrolisi in cui viene rilasciato il nucleotide
3’-monofosfato. Il substrato è, generalmente, RNA a singola elica (Usher, et
al., 1972), ma alcuni membri della famiglia (ribonucleasi bovina seminale,
ribonucleasi pancreatica umana) sono in grado di esercitare la loro azione
catalitica anche su doppie eliche di RNA e su catene di acido ribonucleico in
ibridi DNA-RNA (Libonati and Floridi 1969; D'Alessio, et al., 1972;
D'Alessio, et al., 1974). Nel meccanismo catalitico svolgono un ruolo
essenziale due residui di istidina (His12 e His119) e un residuo di lisina
(Lys41).
Il sito catalitico è localizzato tra i due lobi della tipica struttura a forma di
“V” adottata da questa classe di enzimi.
Il prototipo monomerico della famiglia delle ribonucleasi di tipo pancreatico
è la ribonucleasi pancreatica bovina (RNasi A) (Figura 1-3), un enzima a
lungo utilizzato come sistema modello per lo studio di aspetti funzionali e
strutturali delle proteine (Blackburn, et al., 1982; Raines 1998). L’RNasi A è
una piccola proteina compatta di 124 residui amminoacidici, per cui non è
nota alcuna funzione oltre quella di degradare l’RNA (Raines, 1998); la
stabilità della proteina è assicurata da quattro ponti disolfurici intracatena
(Kartha, et al., 1967), mentre per il corretto ripiegamento della
macromolecola sono fondamentali quattro residui di prolina, due dei quali,
Pro93 e Pro114, hanno i corrispondenti legami peptidici in conformazione
cis.