3
ovvero le circostanze in cui hanno avuto origine o sono progrediti quegli aspetti
indispensabili che fanno parte delle sue caratteristiche principali (comodità, sobrietà,
praticità) e del contesto in cui questo trova collocazione. Vedremo come tali svolte siano
state generate a partire sia dall'alta moda, sia dal suo opposto, la strada, e come alcuni
personaggi abbiano contribuito alla causa, rendendo le nuove “conquiste” le tendenze del
momento, alla portata di tutti e, quindi, contribuendo a diffonderle. Inoltre, ci
soffermeremo su concetti come il tempo libero, l'emancipazione della donna, la ribalta
della generazione giovane, la musica e i movimenti che hanno portato il look rilassato ad
essere elevato a moda e diversi altri fattori altrettanto importanti.
Se la ricerca si limita al solo ambito nazionale, nel primo capitolo si terranno però presenti
anche numerosi sviluppi avvenuti in campo internazionale, in quanto fondamentali per
capire i cambiamenti che si sono imposti nel nostro Paese.
Nel secondo capitolo, avrà luogo una riflessione più ampia, che esula parzialmente dal
campo prettamente vestimentario, ma che risulterà fondamentale per il successivo sviluppo
del progetto. Infatti, si prenderà in esame il rapporto fra la sfera pubblica e quella privata,
oggigiorno separate da una linea sempre più sfumata. Le reazioni a questa confusione
semantica fra interno ed esterno, sociale e privato, possono essere diverse, portando alcuni
a cercare la solitudine e l'isolamento dal mondo esterno, appena se ne ha occasione, altri ad
adattarsi tranquillamente a questa nuova situazione.
A queste differenti reazioni fanno capo altrettante tipologie di abbigliamento domestico,
anche se non bisogna pensarle come categorie rigide.
La prima tipologia verrà analizzata nel terzo capitolo e verrà classificata come
abbigliamento “invisibile”, cioè composto da capi che devono essere portati solo dentro la
propria casa, senza essere visto da nessuno, fatta eccezione per familiari e persone a noi
intime, in quanto poco o per niente presentabili, pena un senso di imbarazzo e disagio.
La seconda categoria, chiamata abbigliamento “estetico”, verrà invece esaminata
all'interno del capitolo quattro e prenderà in considerazione quelle persone che si sentono
maggiormente a loro agio indossando anche fra le mura domestiche i capi che
normalmente utilizzano in pubblico, a volte calzature comprese, oppure portando abiti
pensati per stare in casa, ma che danno all'aspetto estetico un peso pari o maggiore di
quello della comodità e che potrebbero benissimo essere visti in pubblico senza provare la
minima vergogna. In effetti, come verrà sottolineato, negli ultimi anni anche diverse firme
4
della moda si stanno cimentando in questo ramo del vestiario e producono capi per il relax
domestico, ovviamente a prezzi alti.
Nell'ultimo capitolo, troverà spazio un esempio pratico di quella che potrebbe essere un
tipo di indagine sociosemiotica, in questo caso utilizzando il metodo dell'intervista,
applicata al nostro argomento, e della conseguente analisi effettuata seguendo criteri
semiotici. In pratica, saranno riportate le domande e le sintesi di alcune interviste
videoregistrate che vertono sul tema qui trattato e cercano di indagare le abitudini e le
riflessioni di cinque ragazzi, maschi e femmine, riguardo al loro modo di vestirsi dentro
casa e al modo di rapportare questo al mondo esterno. Dunque, verrà affrontata l'analisi
etnografica e soprattutto sociosemiotica delle interviste, valutando sia gli aspetti sintattici
che quelli semantici risultanti da queste ultime e dalle riprese video.
Successivamente, si cercherà di trarre le conclusioni considerando le valutazioni nel loro
insieme, anche alla luce della ricerca sul campo appena descritta.
Infine, a chiusura di questo lavoro, si è pensato di rendere omaggio a due capi emblematici
dell'abbigliamento domestico, la tuta e la vestaglietta, che verranno discussi ognuno
all'interno di un'appendice. Entrambi, sono indumenti dall'identità poliedrica, che nel corso
della storia hanno mutato ciclicamente la loro percezione simbolica, passando da essere
abiti da indossare solo in casa o in occasioni molto informali a mise di tendenza, proposte
nelle collezioni dei più grandi fashion designer, e viceversa.
Questo a dimostrazione del fatto che la dimensione privata e quella pubblica sono in un
rapporto di scambio reciproco e continuo e, forse, pianerottolo e passerella sono più vicini
di quanto si pensi.
5
Capitolo I
Cenni storici sull'evoluzione del concetto di comodità
In questo capitolo si cercherà di inquadrare il tema dell'abbigliamento domestico all'interno
di un percorso temporale, attraverso l'individuazione di alcuni dei momenti, dei personaggi
e delle evoluzioni fondamentali che hanno portato allo sviluppo dell'abbigliamento da casa
così come lo conosciamo oggi. Questo, infatti, è un tema relativamente recente ed è il
frutto di alcune “rivoluzioni” nel campo della moda e del sociale avvenute principalmente
nel secolo scorso. Il concetto a cui presteremo maggiore attenzione e che cercheremo di
individuare nel corso della storia sarà quello di comodità. Ma procediamo per gradi.
Il primo passo verso una sobrietà negli abiti, quantomeno nel campo della moda maschile,
si ha all'inizio del XIX secolo, quando si assiste a quella che verrà chiamata la “grande
rinuncia”, da cui discenderà l'attuale vestito maschile di tipo occidentale. Con la grande
rinuncia i canoni dell'eleganza virile, da elaborati e sfarzosi quali erano, diventano discreti,
senza fronzoli, quasi austeri, mentre l'ostentazione del lusso viene lasciata alle donne.
Questa nuova foggia deriva, in parte, dal costume quacchero proveniente dall'Inghilterra,
che, a partire dagli anni successivi alla guerra civile inglese del 1642, predica i valori
cristiani di modestia, semplicità e umiltà anche nel vestire, in opposizione all'immoralità
della moda, e in parte da un fattore ideologico, ovvero i valori di democratizzazione della
società che si diffondono a partire dalla Rivoluzione francese. L'ozio non viene più visto
come una qualità positiva al contrario del lavoro, e il fatto che gli uomini delle classi
elevate si vestano in modo meno appariscente fa sì che diminuiscano, almeno in parte, le
differenze, prima molto marcate, fra le varie classi sociali.
La necessità di una riforma dell'abbigliamento, che incoraggi forme più naturali che
liberino il corpo dalle costrizioni, si riscontra anche in numerosi movimenti nati verso la
metà e la fine del XIX secolo.
Nel 1851, ad esempio, Amelia Jenks Bloomer scrive un articolo, sulla sua rivista
femminista chiamata “The Lily”, nel quale sottolinea l'importanza di un cambiamento nel
modo di vestire delle donne, dando così vita al Bloomerismo, movimento che predica la
superiorità della comodità, della funzionalità e della salute, rispetto all'estetica e
all'immagine. La tenuta tipica indossata da Bloomer e dalle sue seguaci è composta da
pantaloni “alla turca”, molto ampi e tenuti stretti alla caviglia da un polsino elastico, portati
6
sotto a una gonna lunga sotto al ginocchio. Completa il tutto un corpetto non rigido. Il fatto
di promuovere i pantaloni nell'abbigliamento femminile riscontra all'epoca non poche
critiche e prese in giro, che conducono ad una fine prematura del Bloomerismo, che rimane
comunque una tappa significativa nell'emancipazione della donna
1
.
Verso la fine dell'Ottocento, specialmente negli anni Ottanta del secolo, acquista sempre
più rilevanza il concetto di salute, promosso anche dagli studi del dottor Gustav Jaeger,
professore di zoologia e fisiologia all'università di Stoccarda, il quale invita le persone a
indossare tutto il giorno capi in lana, materiale da lui ritenuto igienico, a contatto con la
pelle, al fine di prevenire le malattie.
Si moltiplicano quindi i movimenti che invitano le donne ad abbandonare l'uso di busti e
corpetti, accusati di pregiudicare la gravidanza e di essere dannosi per la spina dorsale e
per gli organi interni, così come di ogni altro indumento in voga considerato costrittivo e
oppressivo per il corpo.
Fra questi gruppi riformisti spiccano la Rational Dress Society, fondata a Londra dalla
viscontessa inglese Haberton, che, sull'onda della diffusione di sport come il ciclismo e
tennis, propone abiti che favoriscano i liberi movimenti del corpo, e l'Aesthetic Movement,
un movimento artistico nato in Inghilterra nella seconda metà dell'Ottocento, che ora si
evolve ed emerge dal campo delle sole arti decorative, per occuparsi di diversi settori, non
ultimo quello dell'abbigliamento. Le fogge sostenute da questo pensiero sono molto ampie
e si ispirano alle opere di pittori Pre-raffaelliti, come Rossetti, includendo abiti che
ricordano lo stile medievale
2
.
Dell'Aesthetic Movement fa parte, fra gli altri, anche Oscar Wilde, rappresentante più
significativo del dandismo di fine secolo. Egli ritiene la moda insopportabile e Parigi il
“centro della tirannia sartoriale”
3
e promuove, dunque, uno stile lontano dalle imposizioni
della moda vigente, la “divisa estetica”, anche pubblicizzando sulla rivista Woman's World,
di cui è direttore dal 1887 al 1889, l'abbigliamento da lui ritenuto di gusto.
Tuttavia, un secondo passo avanti verso un'ulteriore democratizzazione nel vestire,
paradossalmente, viene mosso proprio con l'avvento della Haute Couture nel 1857-58, la
“tirannia sartoriale” di cui parlava Wilde. Difatti, come ricorda Gilles Lipovetsky, “la moda
moderna, anche se sottomessa all'autorità della lussuosa Haute Couture, appare così come
1 Cfr. Steele, 2005, p. 382
2 Ibidem
3 McDowell, 2006b, p. 501
7
prima manifestazione di consumo di massa omogeneo, standardizzato, indifferente alle
frontiere”
4
. Vale a dire che la massima centralizzazione della moda nella capitale parigina e
allo stesso tempo la sua internazionalizzazione, in quanto seguita da persone di tutto il
mondo, hanno fatto sì che la moda fosse meno influenzata da caratteri nazionali e fosse più
omogenea nei vari Paesi. Questo aspetto, legato allo sviluppo della confezione industriale
e, in seguito, alla diffusione sempre più capillare delle comunicazioni di massa e dei valori
moderni, ha favorito “l'attenuazione delle differenze d'abbigliamento fra le classi e la
diffusione delle toilettes di moda fra un numero sempre maggiore di persone di ogni strato
sociale”
5
.
La vera svolta in questo sviluppo verso la democratizzazione dell'abito si avrà all'inizio del
Novecento, quando anche la mise femminile sarà sottoposta ad un processo di
semplificazione.
Il primo couturier a liberare la donna dalla costrizione del busto e ad accorciare le gonne fu
Paul Poiret, nel 1910, il quale rimane tuttavia ancora legato ad una moda sfarzosa e
sofisticata. La rivoluzione vera e propria si avrà negli anni Venti, grazie a stilisti quali Jean
Patou e, soprattutto, Gabrielle Chanel. Entrambi rifiutano l'ostentazione del lusso, che
giudicano di cattivo gusto, così come gli ornamenti eccessivi, in favore della linearità e
della comodità.
Questi sono gli anni in cui si diffonde e viene consacrato (con l'Esposizione internazionale
delle Arti Decorative e industriali moderne, tenutasi a Parigi nel 1925) anche il movimento
dell'Art Déco, che influenza la moda con le sue linee pure e le sue decorazioni sobrie.
Chanel crea abiti femminili ispirandosi all'abbigliamento maschile (per questo il suo viene
chiamato look alla garçonne), che evoca potere e libertà, oltre a quello sportivo e a quello
da lavoro. Ciò che le interessa è vestire una donna attiva, con indumenti pratici,
confortevoli e funzionali, in cui ci si deve sentire a proprio agio e, soprattutto, libere nei
movimenti.
Non più donne prigioniere dei loro abiti, dunque, ciò che attrae è ora il loro “corpo
dall'incedere libero, che si vestiva senza bisogno di aiuto e si svestiva in un batter
d'occhio”
6
. Per raggiungere questo scopo, Chanel, ad esempio, accorcia le gonne, elimina il
punto vita, mantiene forme ampie e morbide, promuove l'utilizzo dei pantaloni per le
4 Lipovetsky, 1989, p. 74
5 Ibidem
6 Charles-Roux, 2002, p. 129
8
donne e utilizza tessuti duttili come il crêpe, il tweed e, specialmente, il jersey, un tessuto
di maglia fatto a macchina, morbido ed elastico, che veniva generalmente usato come
tessuto delle uniformi dei domestici, con cui ella realizza molte delle sue creazioni.
In Italia, vengono diffusi i valori della moda futurista, per fare acquisire agli abiti il senso
del cambiamento e del possibile “e i vestiti si arricchiscono non solo di colori – vistosi,
sgargianti, contrastanti – ma anche di materiali estranei a quelli in uso nella sartoria, come
fili elettrici, materiali plastici e perfino lampadine”
7
. Nel 1918-19, Thayaht, nome d'arte del
fiorentino Ernest Michaelles, inventa per primo la tuta, un indumento tagliato in unico
pezzo, che rientra nei canoni futuristi di eversione e liberazione da schemi prefissati. Nata
per un pubblico elitario, diviene presto un capo d'abbigliamento pratico, perfetto in campi
quali lo sport e il lavoro.
Il valore dominante di questi primi decenni del Novecento, ma che sarà destinato a
diventare fondamentale anche per quelli a seguire, è quindi la comodità, in precedenza
soffocata da un'esagerata ostentazione della supremazia sociale.
Semplicità e comodità saranno i principi ispiratori anche negli anni Trenta, in cui
l'immagine della donna continuerà a privilegiare forme naturali e armoniose. La linea
rimane di carattere maschile, ma presenta comunque dettagli, come il punto vita
nuovamente sottolineato, che lasciano la figura molto femminile nel complesso. Continua
la supremazia di Chanel, ora affiancata però dalla sua rivale, Elsa Schiaparelli, la quale
crea modelli più eccentrici e sofisticati, ispirati alla corrente artistica surrealista, ma che
sono rivolti alla stessa tipologia di donna indipendente a cui si indirizzava Chanel.
L'esigenza di comodità non è una prerogativa europea, comunque, e anche negli Stati
Uniti, dove più di ogni altro posto sta aderendo l'abbigliamento sportivo, si sta facendo
strada uno stile rilassato e versatile, adatto al tempo libero.
Una delle stiliste dell'epoca che più di altri aderisce a questa corrente è Claire McCardell,
la quale crea abiti essenziali, rimanendo fedele alla sua “filosofia di minimalismo
sportivo”
8
, adatta a delle donne moderne ed emancipate. Basti pensare che la sua creazione
più conosciuta è denominata la Monaca, in quanto talmente semplice da non sembrare altro
che un telo, fino alla cintura. Un altro esempio americano è quello di Tina Leser, anche lei
parte di questi stilisti che considerano moda l'abbigliamento sportivo, la quale si ispira a
modelli provenienti dalla vita di tutti i giorni, come grembiuli e tute sportive, restando però
7 Piccolo Paci, 2004, p. 102
8 McDowell, 2006a, p. 29
9
più formale di McCardell.
Il tema dello sport è, infatti, oltre agli altri fattori culturali ed estetici già ricordati, uno
degli aspetti che più hanno contribuito alla rivoluzione democratica dell'abbigliamento
femminile. Già dalla fine dell'Ottocento si può assistere ad un proliferare di abiti sportivi e
dagli anni Venti del Novecento se ne occupa assiduamente anche la Haute Couture. I già
citati Chanelle e Patou, ad esempio, disegnano indumenti sportivi semplici ed essenziali e
proprio Patou nel 1922 “organizza una prima sfilata di abbigliamento per lo sport e l'aria
aperta e nel 1925 apre la boutique 'le Coin des Sports'”
9
.
Si delinea dunque un nuovo ideale di bellezza, la cura del corpo, un fisico snello e atletico
e il culto del tempo libero iniziano ad affermarsi come qualità importanti, favorendo la
diffusione di quello che verrà chiamato sportswear, anche se per il momento rimane uno
sportswear di classe. Bisogna infatti evidenziare che per il momento la moda sportiva “non
era indossata per praticare sport, ma era composta da abiti informali, benché molto curati,
indossati in quelle occasioni in cui la donna non doveva dimostrare la sua posizione
sociale. Normalmente, una donna indossava abiti sportivi in casa, o quando si rilassava con
altre donne del suo stesso rango sociale. Era, inoltre, l'unico modo accettabile in cui una
donna potesse vestirsi in campagna”
10
. Perché lo sportswear diventi una moda di massa
bisognerà aspettare il secondo dopo guerra e specialmente gli anni Cinquanta e Sessanta.
Da segnalare, in questo periodo, l'affermazione del pigiama come indumento da notte
anche per le donne.
Nel frattempo, durante gli anni del secondo conflitto mondiale la discrezione e la praticità
nel vestire sono non solo un piacere, ma diventano una vera e propria necessità. Difatti, è
proibito qualsiasi spreco di tessuto, così i modelli si fanno semplici e lineari, senza fronzoli
e i colori dominanti sono quelli scuri. In Italia questa verrà classificata come moda
“d'emergenza”.
Finita la guerra, il nostro Paese è economicamente in ginocchio. Poche donne italiane
hanno un lavoro, mentre quasi tutte sono casalinghe e trascorrono la maggior parte del loro
tempo fra le mura domestiche. Le famiglie hanno subito gravi perdite, spesso anche di tipo
umano e gran parte di questi nuclei, o comunque della gente in genere, appartiene al ceto
medio-basso, con evidenti caratteri della cultura contadina.
L'elemento che in quell'epoca caratterizza la tipica tenuta da casa della donna appartenente
9 Lipovetsky, 1989, p. 77
10 McDowell, 2006a, p. 467
10
a questa fascia sociale, è il grembiule, o vestaglietta, che per le più anziane è tuttora in
voga, nella sua forma originale, mentre reinterpretato è diventato parte delle collezioni
recenti di diversi fashion designer. Si tratta di una sorta di vestitino di cotone, spesso
chiuso da bottoni sul davanti, oppure da un cordoncino che gira attorno alla vita e che si
chiude dietro alla schiena, con le maniche lunghe per l'inverno e corte (o anche assenti) per
la stagione calda. Mentre in estate può essere portato da solo o con una maglia leggera, nei
mesi freddi viene indossato sopra agli abiti che si portano abitualmente per uscire
all'esterno (cioè per andare a fare la spesa, più che altro) o sopra a capi in lana confezionati
in casa.
Bisogna infatti ricordare che in quasi tutte le case è presente una macchina da cucire, a
pedali, solitamente della Singer o della Necchi e che praticamente tutte le donne sanno
produrre capi in lana. Questi vengono disfatti e rilavorati per diverse volte, finché non
diventano eccessivamente consumati, per riadattarli ad altri membri della famiglia o per
confezionare qualcosa di diverso.
Riguardo al grembiule, potremmo ritenerlo, forse un po' forzatamente, una derivazione
delle divise dei domestici, e in fondo l'utilizzo è pressoché lo stesso. Quello che cambia è il
colore: mentre le uniformi dei domestici erano a tinta unita e venivano lavate in
continuazione, i grembiuli tipici recano stampe variopinte (quella più frequente è a
fiorellini, che tutti abbiamo visto almeno una volta addosso a una nonna) per nascondere il
più possibile le macchie, visto che usualmente se ne possedeva solo uno per stagione.
Gli uomini invece non hanno un equivalente tanto individuabile che identifichi la mise
casalinga. Di solito rimangono vestiti così come sono andati a lavorare, ovvero con
pantaloni, camicia e spesso anche cravatta, oppure indossavano qualche capo più vecchio,
che probabilmente viene usato ancora per uscire, ma magari portato sotto ad un cappotto.
In alcune parti d'Italia, specialmente nelle campagne, si possono tuttora trovare dei signori
di una certa età che per stare in casa si vestono con la camicia e in certi casi persino con la
cravatta.
I bambini più piccoli vestono col grembiulino, dentro e fuori casa, mentre adolescenti e
giovani ereditavano quasi sempre gli indumenti dei fratelli o delle sorelle maggiori, dei
cugini e di altri parenti. D'altronde, non esistono ancora una moda e dei prodotti mirati per
questa fascia d'età, in quanto “l'adolescente teen ager, almeno come lo intendiamo noi oggi,
prima degli anni Cinquanta non esiste. Prima o si era adulti pronti a lavorare, metter su
11
famiglia e fare la guerra, o si era bambini pronti a diventare adulti”
11
.
In effetti, dobbiamo pensare che il termine teen ager serve proprio per circoscrivere una
determinata fascia d'età con un metodo derivato dalle strategie del marketing e descrive
appunto l'ottenimento di un potere d'acquisto, che, seppur scarso, serve a identificare
l'adolescente come nuovo target di riferimento per certi articoli.
12
La questione dell'ereditare abiti, comunque, trova la sua più semplice spiegazione in modo
particolare nel fatto che il guardaroba è molto ridotto e quello che c'è viene tramandato in
famiglia per durare più a lungo possibile, fino a quando non è talmente ridotto male da non
poter essere più portato. Anche in questa circostanza, ad ogni modo, si trovava un sistema
per riciclare il capo per altri usi, magari facendolo diventare uno straccio per pulire. La
lunga durata, probabilmente inimmaginabile per un vestito dei giorni nostri, è dovuta anche
a materiali (le lane, in modo particolare) di una qualità superiore a quella con cui viene
confezionata la maggior parte degli abiti che compriamo oggigiorno.
Ai piedi normalmente si portano delle pantofole di feltro o lana cotta, con la suola di
gomma, di solito di colore marrone, senza distinzione per gli uomini e per le donne,
giovani e meno giovani, indossate sopra a calze di lana realizzate ai ferri. In estate ci sono
le ciabatte.
I colori sono essenzialmente scuri, come nero, grigio, blu e marrone, sia per “tenere lo
sporco”, data la scarsità di ricambi, sia perché la tinta rispecchia sempre il momento storico
in cui ci si trova e in questo caso ci troviamo con due guerre devastanti alle spalle, con
famiglie che spesso hanno dovuto far fronte alla perdita di un loro caro, anche se la voglia
di rinascita è forte.
Rinascita che avverrà gradualmente a partire dagli anni Cinquanta, attraverso lo sviluppo
di diversi aspetti. Primo fra tutti, si può iniziare veramente a parlare di tempo libero per
tutte le classi sociali. Infatti, per molta gente il problema di possedere indumenti casual da
portare nel tempo libero nemmeno si poneva, data la scarsissima quantità di quest'ultimo e
“per la maggior parte degli esponenti della classe operaia il tempo trascorso lontano dalla
fabbrica o dai campi significava vestirsi in maniera elegante, non il contrario”
13
. Elegante
per quanto possono permettersi, ovviamente. Per queste persone, poi, il vestito migliore si
indossava solo in occasione di eventi formali, come può essere considerato l'andare a
11 Donadio-Giannotti, 1996, p. 9
12 Cfr. Surace, 2000, p.65
13 McDowell, 2006a, p. 59
12
messa la domenica.
L'idea di tempo libero è già stata introdotta in epoca fascista ed esso è gestito direttamente
dallo Stato, in quanto parte indispensabile del progetto politico per ottenere il consenso
delle masse. A partire dagli anni Cinquanta invece non viene più considerato prescrivibile
per legge e diviene un'attività facoltativa in piena regola.
“Dal secondo dopoguerra con la rapida diffusione sul vecchio continente dello stile di vita
americano (del quale la televisione, l'automobile, il divertimento e lo sport sono i simboli
più vistosi) si consolida ulteriormente nell'intero corpo sociale la 'civiltà del tempo libero'.
[...] Il discorso sul corpo non è più solo in rapporto alla nutrizione e alla salute fisica, ma in
quanto valore in sé, strumento di comunicazione e collocazione sociale”
14
. Questo
condurrà ad un aumento esponenziale delle attività sportive praticate e, altro aspetto
fondamentale, lo sport sarà destinato, nel decennio successivo, a diventare un consumo di
massa, influenzando anche la moda e di riflesso l'abbigliamento domestico.
Nel frattempo, dall'America arriva, attraverso il cinema, una nuova tendenza destinata
cambiare l'immagine di molte persone al di sotto di un certa età e non solo: il look giovane.
Simbolo di questo look sono i jeans, inizialmente creati nel 1853 da Levi Strauss come
indumento comodo e resistente per cowboys e cercatori d'oro, ma già in voga come capo
per il tempo libero negli anni Trenta, mentre l'icona è James Dean, prototipo del giovane
ribelle. Jeans, giubbotti, stivali e t-shirt o camicie sportive divengono come una divisa per
migliaia di ragazzi, mentre l'icona femminile a cui si ispiravano le ragazze è Brigitte
Bardot, non più diva perfetta e irraggiungibile, come potevano invece essere Greta Garbo o
Katharine Hepburn, bensì ragazza “vera” e, come si stava cominciando a dire all'epoca,
sexy. La Bardot e chi ha adottato il suo look “indossavano semplici abiti in cotone, non
portavano cappelli e raramente si mostravano in qualcosa ancora vagamente simile agli
abiti da sera preferiti dagli atelier di moda. Libere e disinvolte, senza calze e con i sandali
(se non a piedi nudi) avevano in comune un elemento di déshabillé nel loro modo di
vestire. Non era soltanto mancanza di formalità e noncuranza, si trattava di libertà sessuale
e uguaglianza sociale”
15
.
La ribalta dei giovani è così sentita che questo fenomeno verrà battezzato “youth-quake”,
terremoto giovanile, da Diana Vreeland, redattrice di Harper's Bazaar, nonché direttrice di
14 Calanca, 2002, p. 116
15 McDowell, 2006a, p. 60
13
Vogue e consulente del Costume Insitute del Metropolitan Museum
16
.
I giovani diventarono una nuova classe sociale. Non per niente è proprio questo il periodo
in cui nasce, sempre in America, un nuovo genere musicale che si rivolge ai teenagers e
che condiziona il loro modo di vestire, vale a dire il rock and roll. Esso rigetta il concetto
di status, le formalità tipiche dello stile appartenente alla generazione precedente, e
propone un nuovo modello di fascino legato alla giovinezza e alla sfrontatezza.
Si pongono dunque le basi per la nascita sia di una “cultura giovane”, sia di uno stile che,
per la prima volta, parte dalla cultura popolare e non dalle classi elevate.
Gli anni Cinquanta per l'Italia sono un momento chiave per lo sviluppo del made in Italy e
di un'identità ben definita della moda italiana come istituzione. E' del febbraio 1951, a
Firenze, la prima mostra-sfilata dedicata alla moda italiana, organizzata da Giovanni
Battista Giorgini, a cui ne seguono altre nella Sala Bianca di Palazzo Pitti.
“Quello che emerse da queste prime sfilate fiorentine fu soprattutto la 'moda boutique',
ovvero l'alta moda pronta, spesso vista in chiave di attività sportiva o all'aperto, di tempo
libero e informalità [...]”
17
, come si può ad esempio vedere nei modelli di completi sportivi
creati da Emilio Pucci, il quale ha fatto parte della squadra olimpionica italiana di sci ed è
stato ufficiale dell'aviazione. Lo stile italiano, rilassato ma sofisticato, informale ma
elegante, diventa vero e proprio stile di vita esportabile nel resto del mondo, specialmente
in America, dove la moda è già all'avanguardia e pronta a sperimentare qualcosa di diverso
rispetto ai canoni della moda parigina, vista come eccessivamente formale. Senza contare
che, oltreoceano, esiste un target in Italia ancora sconosciuto, ovvero la donna in carriera,
una donna che, per la prima volta, possiede molti soldi da spendere, e non perché è di
origini aristocratiche o perché dipende da un uomo, e, inoltre, non si può dimenticare che
qui l'abbigliamento comodo e sportivo è già piuttosto diffuso e utilizzato da molti stilisti,
come Anne Klein, ad esempio, che crea tute e altri capi di derivazione sportiva,
privilegiando forme leggere e materiali morbidi
18
.
Con gli anni Sessanta si consolidano e hanno un'enorme diffusione tutti i fenomeni che
hanno visto la luce nel decennio precedente.
E' in questo periodo, difatti, che i giovani cominciano a far sentire la propria voce anche in
Europa, apportando nuovi valori (come la libertà, la non-convenzionalità, il dinamismo)
16 Cfr. Vergani, 1999, pp. 811-12
17 Kawamura, 2005, p. 156
18 McDowell, 2006b, p. 255
14
nella società e quindi anche nel campo della moda, a scapito della rigidità e della formalità
della Haute Couture. “La risposta del sistema della moda alla richiesta proveniente dai
giovani di un abbigliamento più libero e democratico è stata una semplificazione del più
tradizionale stile opulento e barocco dell'alta moda, ma soprattutto lo sviluppo del prêt-à-
porter”
19
. Questo, che propone abiti economicamente accessibili, ma di buona qualità, era
già attivo negli anni Cinquanta, ma ora ha la sua massima espansione, in quanto
universalizza la produzione in serie e si pone come risposta alle esigenze dei giovani.
Questa nuova cultura giovane diffonde valori di edonismo e individualismo, si rafforza il
culto del corpo e dello sport, quello che conta è sembrare giovani, in quanto la giovinezza
si impone come nuovo canone di imitazione sociale.
Anche gli uomini iniziano a prendersi cura della proprio fisico con più costanza e
utilizzano prodotti di profumeria, prima prerogativa femminile, mentre le ragazze per la
prima volta possono indossare tutti gli indumenti facenti parte del guardaroba maschile
(pantaloni, stivali, cravatte, giacconi ecc.) senza perdere la loro femminilità e senza
suscitare scalpore.
Mentre prima la moda si basava su un'opposizione fra i sessi ben delineata, si assiste ora ad
una sorta di uniformazione negli stili fra uomini e donne, anche se le differenze vengono
tutt'altro che eliminate. Questa è una caratteristica che possiamo ritrovare anche
nell'abbigliamento sportivo attuale, ad esempio nelle tute composte da felpa e pantaloni, in
cui molti modelli si somigliano, ma permangono dettagli che rendono comunque
femminile un capo inizialmente creato per il corpo maschile.
Tornando agli anni Sessanta, bisogna sottolineare che, se da un lato si nota una certa
commistione fra i generi maschile e femminile, dall'altro si segnala anche la nascita nel
1964 di un indumento che di androgino non ha nulla, ovvero la minigonna, creata da Mary
Quant espressamente per le giovanissime, riscuotendo enorme successo, ma anche molte
critiche. I modelli corti, in questo decennio, riscontrano enorme successo e, oltre alle
minigonne, vanno molto di moda anche cappottini corti e miniabiti, da portare sopra a
scarpe basse o a stivali.
La moda giovane propone anche stili poveri, adottando capi provenienti dal mondo del
lavoro manuale, come i già citati jeans e sfoggia un look a volte trasandato, con maglioni
sformati e magliette con personaggi dei comics.
19 Codeluppi, 2002, p. 43