atenei, fare ricerca più mirata al mercato e incontrare le esigenze delle aziende. Si
determinerebbe un sistema universitario in cui si assiste ad una abolizione dei
concorsi, liberalizzazione degli stipendi, delle assunzioni e della didattica. Il tutto
prendendo spunto da quanto avvenuto a partire dalla metà degli anni settanta – il
fenomeno delle privatizzazioni – in cui la gestione dell’imprese statali (es. SME,
ENEL, INA, TELECOM ITALIA) venne assunta dai privati, ossia si attuò un vero e
proprio trasferimento della proprietà dall’azienda pubblica al settore privato.
La seconda ragione invece si riferisce al mio status di studente, che si è
direttamente, e per lungo tempo, confrontato con il mondo universitario. La
curiosità di conoscere i suoi meccanismi, le logiche che la governano e di indagarne
le ricadute sulla realtà, è stata il maggiore sprone allo studio di questo tema.
Il lavoro che di seguito è proposto inizia con l’analisi, nel primo capitolo, del
percorso legislativo che ha formato e strutturato la politica universitaria italiana e le
risorse di cui attualmente dispone.
Nel secondo capitolo analizzerò il fenomeno della fuga di cervelli un tema
ingombrante che coinvolge la società nel suo complesso. E’ necessario infatti,
interrogarsi con una certa urgenza su questo fenomeno dispersivo cercando di
valorizzare il capitale umano e sociale acquisito sui nostri territori. Un capitale
umano che rappresenta un sicuro vantaggio competitivo per le nostre economie del
domani.
5
Infine, nell’ultimo capitolo illustrerò alcune applicazioni della teoria generale
dell’economia pubblica ai servizi del sistema universitario.
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Capitolo I – Quadro generale dell’università
1.1 Il sistema universitario
L'istruzione universitaria costituisce il più elevato livello dell'ordinamento
scolastico italiano e viene impartita, oltre che nelle università, negli istituti
universitari e nei politecnici (sia statali che liberi o pareggiati).
Fino all’anno accademico 2001-2002, anno in cui entrò in vigore la Riforma dei
cicli accademici, l’istruzione universitaria era articolata in due cicli paralleli,
rappresentati rispettivamente dai corsi di diploma universitario e scuole dirette a fini
speciali (di durata biennale o triennale) e dai corsi di laurea (di durata variabile tra i
quattro e i sei anni).
La Riforma del sistema universitario, in attuazione del Decreto Ministeriale n.
509/1999, ha sottoposto l’istruzione accademica ad una radicale riorganizzazione, al
fine di offrire agli studenti italiani dei percorsi di studio più brevi rispetto al passato
e la possibilità di ottenere titoli maggiormente spendibili, dal punto di vista
professionale, all’interno dell’Unione Europea.
La nuova organizzazione didattica, avviata in via sperimentale nel 2000-2001 e a
regime dal 2001-2002, viene definita del “tre più due” poiché si concretizza in un
primo ciclo di tre anni, maggiormente orientato alle professioni, seguito da un
7
secondo ciclo di due anni, più orientato alla conoscenza avanzata e
all’approfondimento scientifico.
Il primo ciclo è costituito dai corsi di laurea di primo livello che consentono,
mediante il raggiungimento di 180 crediti formativi e lo studio obbligatorio di
almeno una lingua straniera, il conseguimento del nuovo diploma di laurea. Il
secondo ciclo è costituito dai corsi di laurea di secondo livello ed è finalizzato al
conseguimento della laurea specialistica per l’ottenimento della quale sono
necessari 300 crediti formativi (180 dei quali sono i crediti già conseguiti per la
laurea triennale salvo che non si scelga una specializzazione diversa da quella del
corso di laurea).
La laurea di primo livello rappresenta il necessario titolo di ingresso per chi decide
di iscriversi ai corsi di secondo livello.
Dopo il conseguimento del titolo di primo e secondo livello sono possibili ulteriori
percorsi formativi per il perfezionamento scientifico e per l'alta formazione
permanente e ricorrente: i master universitari di primo e secondo livello.
I master di primo livello, cui si può accedere dopo la laurea triennale, si prefiggono
la finalità di mantenere aggiornati i laureati e di aumentarne le competenze
specifiche; ai master di secondo livello, invece, si può accedere solo dopo la laurea
specialistica, per affinare la formazione e/o acquisire ulteriori competenze utili nel
mondo del lavoro.
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Accanto ai nuovi corsi, è inoltre in vigore un limitato numero di corsi di laurea a
ciclo unico che rilasciano un titolo equipollente alla laurea specialistica di secondo
livello. Si tratta di: Architettura-Ingegneria edile, Farmacia, Odontoiatria e
Veterinaria (di durata quinquennale) e Medicina (sei anni) per le quali non è
previsto alcun titolo dopo i primi tre anni ma solo al completamento del ciclo. Per
Medicina permangono le diverse specializzazioni post-laurea.
Sono inoltre rimasti in vigore alcuni corsi del vecchio ordinamento, sia di laurea che
di diploma universitario (ormai ad esaurimento).
A livello post-laurea, sono stati confermati dalla Riforma i tradizionali corsi di
perfezionamento, di dottorato di ricerca e le scuole di specializzazione (queste
ultime in particolare nell’area degli studi medico-sanitari).
1.2 Storia recente dell’ordinamento della carriera di un professore
universitario
Iniziamo ad analizzare l’ordinamento della carriera universitaria dal 1980: con il
DPR 382/80 sul fronte della docenza fu introdotto il ruolo del Ricercatore, il cui
stato giuridico sarebbe stato definito in un secondo tempo, come una sorta di
docente in formazione, e per i Professori fu stabilita l’unicità del ruolo. Il ruolo
della docenza è sì unico ma articolato su due fasce – la II fascia per i Professori
Associati e la I fascia per i Professori Ordinari, con identiche responsabilità e
compiti didattici - differenziandole solo per una diversa maturità scientifica. Il senso
di questa postilla fu, però, stravolto inserendo tutta una serie di norme discriminanti
9
nei confronti dei Professori di II fascia, privandoli del diritto di elettorato passivo ed
impedendo loro di essere coordinatori di programmi nazionali di ricerca. Si
stravolse il significato della maturità scientifica facendone discendere
automaticamente anche "maturità" gestionali.
In fase di prima applicazione della legge furono inquadrati nella I fascia dei
Professori di ruolo i Professori Ordinari e Straordinari e in quella di II fascia i
Professori incaricati stabilizzati (docenti con almeno tre anni d’incarico
d’insegnamento), questi ultimi, però, previo giudizio d’idoneità
1
.
L’articolo 11 affrontava il problema della regolamentazione dell’esercizio delle
attività libero professionali da parte di Professori universitari. Per quanti impegnati
in tali attività veniva definito l’impegno temporale nelle strutture universitarie,
tempo definito appunto, mentre per gli altri si assumeva che il loro tempo fosse
dedicato interamente all’attività universitaria, il cosiddetto tempo pieno. Ai
Professori a tempo pieno era riconosciuto un compenso economico aggiuntivo
(pensionabile) detto assegno di tempo pieno. Successive modiche e integrazioni, in
particolare a seguito sia della legge sull’autonomia universitaria 168/89, sia del
Decreto Legislativo n° 29 del 3/2/1993 e sia dei regolamenti d’ateneo, hanno
stravolto a tal punto l’articolo 11 che attualmente il numero di professori a tempo
definito è crollato verticalmente.
1 Valutazioni effettuate da commissioni nazionali fecero una forte selezione, in taluni settori anche
percentualmente molto spinta.
10
Il DPR 382/80 è stato l’ultimo intervento legislativo che interessava tutto il pianeta
dell’Università; successivamente i vari interventi legislativi hanno riguardato aspetti
specifici dell’Università.
Il varo della legge n°168 del 1989, la cosiddetta legge sull’autonomia, ha
rappresentato un punto di svolta nel modo di fare università nel nostro paese, anche
se, per alcuni aspetti, gli intenti innovatori sono stati vanificati da successivi
interventi della magistratura amministrativa. Infatti, uno degli scopi della legge era
dare attuazione al dettato costituzionale che, per quanto riguarda l’articolo 33,
afferma nell’ultimo comma:“ le istituzioni di alta cultura, università ed accademie,
hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello
Stato”.
Le procedure di reclutamento dei docenti, di norma, non si attivano più sulla base
delle risorse che il Ministero suole erogare ma sulla base delle retribuzioni
disponibili alla data del 31/12/1993. Da questa data ciascuna Università ha potuto
attivare le procedure di reclutamento solo se aveva disponibile la completa
copertura finanziaria per ciascun posto da mettere a concorso.
Con la legge 210/98, che riguarda il reclutamento dei docenti, si cancella il vecchio
concorso, che è soppiantato dalla valutazione comparativa, e introduce importanti
novità.
La novità più rilevante è enunciata subito al primo comma dell'art. 1, relativo alla
"Copertura dei posti di ruolo", dove si legge: “La competenza ad espletare le
11
procedure per la copertura dei posti vacanti e la nomina in ruolo di professori
ordinari, nonché di professori associati e di ricercatori è trasferita alle università.”.
Un cambiamento radicale per i concorsi a professore ordinario e professore
associato, fino ad allora nazionali, e solo parziale per quelli di ricercatore che
prevedevano un intervento del Consiglio Nazionale Universitario in fase di
definizione delle commissioni d’esame. D'altra parte “le università possono
emanare propri regolamenti” solo in materia di "criteri generali, preventivi e resi
pubblici, in base ai quali deve essere effettuata la valutazione comparativa, anche
prevedendone forme differenziate, nonché le modalità di valutazione dei titoli e
delle pubblicazioni, ivi compresa l'utilizzazione, ove possibile, di parametri
riconosciuti in ambito scientifico internazionali”
2
. Rimane invece responsabilità
del governo di emanare, entro 90 giorni dalla data d’entrata in vigore della legge, su
proposta del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, uno o
più regolamenti che disciplinino le modalità di espletamento delle procedure
generali in conformità ai criteri contenuti nella legge.
Questa modalità decentrata, se da un lato ha fortemente ridotto i tempi necessari
all’espletamento dei concorsi, dall’altro ha incentivato un localismo eccessivo. Per
quanto riguarda i professori, nella stragrande maggioranza dei casi, i vincitori erano
già inquadrati nei ruoli dello stesso ateneo. I concorsi hanno quindi determinato
processi di scorrimento da una fascia all’altra senza modificare la composizione e
2 Articolo 2 comma 1 lettera e)
12
l’entità del corpo docente. Solo raramente, nonostante gli incentivi ministeriali, la
mobilità fra gli atenei è stata di una qualche consistenza.
Tra le novità nelle "procedure per la nomina in ruolo" (art. 2) si segnala, in primo
luogo, il fatto che ogni singola università indice "specifici bandi per i posti di
ricercatore, associato e ordinario distinti per settore scientifico-disciplinare" in
linea con l'autonomia universitaria.
Vengono poi rivisitate le composizioni e le modalità di nomina delle commissioni.
La composizione, ovviamente, è diversa a seconda se il concorso è per ricercatore,
associato o ordinario. In ogni caso uno dei membri è un professore di ruolo
(associato o ordinario) “nominato dalla facoltà che ha chiesto il bando, inquadrato
nel settore scientifico-disciplinare oggetto del bando, ovvero, se necessario, in
settori affini”, mentre gli altri vengono scelti tra “professori [o ricercatori nel caso
del concorso per ricercatore] non in servizio presso l'ateneo che ha emanato il
bando” eletti “dalla corrispondente fascia di professori di ruolo [o dai ricercatori
confermati] appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando,
ovvero, se necessario, a settori affini”. Le elezioni dei membri delle varie
commissioni da parte degli atenei devono avvenire “con modalità che consentano
una rapida costituzione delle commissioni e che prevedano l'indicazione di una sola
preferenza”. C’è da dire comunque che tale norma non è dettata prioritariamente
dalla necessità di semplificare l’iter e di essere in sintonia con l’introduzione
dell’autonomia spostando, ad esempio, in periferia la regia del processo. A ben
13
vedere la motivazione principale che ha indotto il legislatore ad innovare la
procedura, decentrandola e limitando il numero di procedure di valutazione
comparative alle quali ciascun candidato può sottoporsi in una stessa tornata, si
potrebbe ritrovare nell’intento di contrastare la dilatazione nel tempo dei concorsi
conseguenti all’impugnazione in sede giudiziaria.
Con i regolamenti emanati dalle università sono stabilite inoltre le procedure per la
copertura dei posti mediante trasferimento, nonché per la mobilità nell'ambito della
stessa sede dei professori e dei ricercatori.
Alla lettera d) dell'art. 2 è prevista la possibilità che i bandi per la nomina in ruolo
contengano limitazioni al numero delle pubblicazioni scientifiche da presentare per
la valutazione comparativa dei candidati.
Quindi se nel bando venisse fissato tale limite, cosa che avviene in molti altri paesi,
il candidato si ritroverebbe a scegliere solo un certo numero di pubblicazioni, quelle
a suo giudizio più rilevanti: ciò consentirebbe una maggiore garanzia che i
commissari, non oberati da migliaia di pagine, possano davvero entrare nel merito
del valore scientifico delle pubblicazioni presentate dai singoli candidati.
Un'altra novità si trova alla lettera g) dell'art. 2 che prevede, nel caso dei concorsi
per associato e ordinario, la proposta di due idonei per ogni posto bandito. Il
consiglio di facoltà che ha chiesto il bando può o nominare in ruolo uno dei due
idonei o nessuno, riservandosi di nominare un candidato risultato idoneo per lo
stesso concorso in altre sedi universitarie, come pure gli idonei possono essere
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nominati in ruolo per chiamata da università che non hanno emanato bandi per la
copertura di un posto nello stesso settore scientifico-disciplinare che si sia reso
disponibile.
Sempre all'art. 2 si segnala un’ultima innovazione: l'introduzione di “un numero
massimo di domande di partecipazione da parte di un candidato a procedure di
valutazione comparativa in un periodo determinato”
3
.
L'art. 4 ha previsto nuove norme per il conseguimento del dottorato di ricerca:
questo non è più visto come un titolo spendibile solo in ambito accademico ma un
livello avanzato di formazione che consente di acquisire le competenze necessarie
per “esercitare, presso università, enti pubblici o soggetti privati, attività di ricerca
di alta qualificazione”
4
. A differenza di quanto avveniva prima non tutti i
dottorandi debbono usufruire di una borsa inoltre l'accesso e la frequenza dei corsi
sono gratuiti. Si legge, infatti, al comma 5 dell'art. 4 che: il numero delle borse,
“comunque non inferiore alla metà dei dottorandi", e il loro ammontare sono
determinati annualmente con decreti rettorali e sono previsti “contributi per
l'accesso e la frequenza dei corsi” con possibilità di esonero sulla base “del merito e
del disagio economico”.
Infine “le università possono, in base ad apposito regolamento, affidare ai
dottorandi di ricerca una limitata attività didattica sussidiaria o integrativa che
non deve in ogni caso compromettere l'attività di formazione alla ricerca.
3 Lettera l)
4 Comma 1
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