divisioni, l'economia con le sue invasioni e le sue
ritirate, il pensiero con le sue mappe dell'ordine
2
.
Argomento di questa tesi è capire come i
confini mutano, scompaiono e tornano a
ricrearsi, come influiscono, sul territorio,
sull'identità, nei processi storici e religiosi.
E per comprendere ciò, guarderemo all'area di
confine più controversa in Italia, quella del
Friuli-Venezia Giulia, dove per i confini, tanto
civili quanto religiosi, si sono scritti libri,
intessuti accordi, combattute guerre.
Eppure, nonostante le violenti divisioni, rese
ancora più dure dalle scelte arbitrarie della
politica, sembra ancora esistere la voglia di
unire quei confini, servendosi della normativa
comunitaria, per andare oltre le barriere che
hanno separato per anni realtà che per lungo
tempo hanno rappresentato un unicum.
Inizieremo quindi con l'esaminare quale
potere hanno i confini sia nella formazione
delle identità, sia nella legittimazione della
forza, e in quali modi essi si rappresentano.
2
C.Magris, Come i pesci il mare, in Aa.Vv. Frontiere, supplemento a “Nuovi
Argomenti”, 1991, n.38, cit.p.12
3
E la potenza dei confini si è rivelata in modo
violento proprio nell'area friulana, per secoli
parte dell'impero austro-ungarico, tornata poi
italiana alla conclusione del primo conflitto
mondiale. E l'esito di un'altra guerra, e gli
eventi ad essa seguenti, sarà poi la causa di
altre divisioni, quelle che consegneranno
all'Italia e alla Jugoslavia territori prima uniti
da storie e tradizioni comuni.
Di queste divisioni ne soffrirà anche la Chiesa,
costretta ad alterare la mappa delle sue diocesi
a causa delle scelte della politica
internazionale, contro la quale non mancò di
prendere posizioni.
Sebbene tutto, però, oggi, quando tutti i
conflitti si sono sanati, ed i confini e frontiere
sono stati saldamente definiti, questi ultimi
tornano a tenere banco.
In un'Europa integrata, dinanzi alle nuove
sfide della globalizzazione, è fortemente
sentita l'esigenza di ritrovare identità più
circoscritte territorialmente, e non un caso che
le Regioni si mostrino ora sempre più pronte a
tutelare le loro prerogative e specificità a
livello comunitario.
Proprio sfruttando le aperture della normativa
4
europea, è nata la proposta di un'Euroregione
nel Nord Est, che unisca Veneto, Friuli-
Venezia Giulia, Carinzia e Slovenia in una
cooperazione profonda che vada oltre le
barriere, tanto fisiche quanto mentali.
Questo fa riflettere sulla forza che ha la
memoria nell'influenzare scelte e
comportamenti, riportando al dialogo proprio
quella parte d'Europa che è stata una sola cosa
per molto tempo.
E' chiaro dunque che andare verso il margine,
vivere la liminarità, stare sul confine, richiede
a ciascuno di noi la disponibilità di compiere
un'esperienza d'apprendimento oltre le
abitudini e i preconcetti.
Vivere il confine e le sue contraddizioni vuol
dire esercitarsi nella pratica della tolleranza,
della convivenza, dello stare fianco a fianco
nonostante le rispettive particolarità. Vuol dire
anche cercare di avere uno sguardo più aperto
sulle cose, in grado di comprendere aspetti
diversi di una stessa realtà come parti di una
sola complessità.
Un’ultima riflessione sarà poi riservata ai
rapporti tra confini civili e confini religiosi,
che vivono entrambi gli effetti della
5
globalizzazione e, a livello continentale,
dell'integrazione europea, ma li interpretano
in modo diverso.
I primi ne subiranno le conseguenze, i secondi
ne potrebbero trarre beneficio.
6
Confini
Rappresentazione dei Confini
Figlia: Papà, perché le cose hanno contorni?
Padre: Davvero? Non so. Di quali cose parli?
F: Sì, quando disegno delle cose, perché hanno i
contorni?
P: Beh, e le cose di altro tipo... un gregge di pecore?
O una conversazione? Queste cose hanno
contorni?
F: Non dire sciocchezze. Non si può disegnare una
conversazione. Dico le cose.
P: Sì... stavo solo cercando di capire che cosa volevi
dire. Vuoi dire: “ Perché quando disegniamo le cose
diamo loro dei contorni"? ", oppure vuoi dire che le
cose hanno dei contorni, che noi le disegniamo
oppure no?
3
3
G. Bateson, Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano 2000, cit. p. 62
7
Che cosa è un confine? Perché ad un certo
punto qualcuno decide di stabilirne uno?
Come viene vissuto un confine?
Il confine è un luogo misterioso, un luogo che
incontriamo molte volte nei nostri
spostamenti.
E’ quello strano spazio tra le cose che
mettendole in contatto le separa, o forse,
separando mette in contatto cose, persone,
culture e identità diverse.
In forme e modi differenti, confini e frontiere
hanno entrambi a che fare con la
modificazione del nostro paesaggio, e
trasformano il territorio che fisicamente
abitiamo. Ma allo stesso tempo, incidono in
modo più profondo, danno forma ai nostri
orizzonti mentali, alle nostre identità.
L’uomo tende a vivere all’interno di uno
spazio chiuso e ha bisogno che attorno a se vi
sia una barriera che delimiti lo spazio che ha
occupato, che lo protegga da un qualcosa che
nel momento stesso in cui il confine viene
tracciato diventa “altro”, “alter”.
L’esplodere dei particolarismi, il riapparire,
anche violento, delle differenze, evidenziano il
8
bisogno di un corrispettivo spaziale, di un
territorio proprio.
Questi fenomeni li possiamo registrare tanto
su scala urbana che regionale. Da una parte ci
sono Stati grandi come città( Singapore, il
Principato di Monaco, ad esempio); dall’altra
città sempre più simili a stati multiculturali(
New York, Bombay, Città del Messico, e via
dicendo).
Gli sforzi compiuti nel tentativo di
ricomporre, o quantomeno limitare, i conflitti
causati dal desiderio di una spazialità
esclusiva, mostrano quanto possa essere
profonda la distanza tra mappa e realtà, tra i
tavoli dei policy makers e un condominio di
Sarajevo
4
.
Ma è proprio perché i limiti sono vissuti che
essi partecipano alla territorialità
5
.
Sul terreno il confine individua spesso uno
spazio a sé, un luogo con i suoi abitanti e da
cui spesso partono segnali di cambiamento in
processi socio-politici rilevanti per molte
persone al di là del loro contesto locale
6
.
4
P. Zanini, I significati del confine, Mondadori, Milano 1997, cit. pp.15-18
5
C. Raffestin, Per una geografia del potere, Unicopli, Milano 2007, cit. p.174
6
H. Donnan, T.M.Wilson, Identità e cultura sulle frontiere internazionali, in
9
Sempre più di frequente la nostra sembra
essere l’epoca dello spazio. Siamo nell’età del
simultaneo, della giustapposizione, del vicino
e del lontano
7
. E il confine è proprio il luogo in
cui queste giustapposizioni si manifestano in
concreto e si mostrano del tutto.
Ma come si rappresenta un confine?
Linea, sbarra, steccato: nel dizionario non
mancano i modi per darne una definizione.
Ma questa linea, di cui non conosciamo forma
o colore, condiziona e caratterizza in modo
profondo la nostra vita e la nostra personalità.
Può essere fonte di tensione, così come linea di
pacificazione; ma può essere anche una forma
di demarcazione tra ciò che è possibile dire,
fare, sapere e ciò che non è permesso; tra ciò
che può essere attraversato e ciò a cui non ci si
deve nemmeno avvicinare; tra l’ordine ed il
disordine.
Disegnare un confine diventa un modo per
ottenere qualcosa dagli altri: uno spazio
proprio dove fissare le proprie regole,
un’autonomia visibile anche dall’esterno, il
«Ossimori», 1995, n. 6, pp. 34
7
M. Foucault, Spazi altri. I principi dell’eterotopia, in «Lotus International»,
1985-86, n.48-49, pp.89-90
10
riconoscimento di una diversità.
Fin dalla sua prima apparizione, il confine
indica quello che sembra essere il suo ruolo
principale: segnalare il luogo di una differenza
sia reale che presunta.
1.1
Il confine è radicato in modo intenso sul
territorio. Questo legame con la terra è
testimoniato in molti modi: il confine come
segno sul terreno delimita per la prima volta
uno spazio, lo toglie dal nulla, dandogli una
dimensione. Rende quello spazio vivibile e
concede a chi lo abita la possibilità di stabilirvi
un diritto. Per il mondo latino la traccia del
vomere era il solco originario, quello che
fondava lo spazio cittadino, che disegnava
l’orizzonte della città.
La città nasce in questo modo, e il confine tra
dentro e fuori, indicato dagli Dei, è tracciato
dal sacerdote, a cui spetta il nome di Rex,
ovvero colui che domina la regula, il rectus.
La separazione che così si crea non è più,
allora, solo tra differenti porzioni spaziali.
11
La frattura che il solco nella terra stabilisce per
l’uomo investe, partendo dallo spazio, tutti i
suoi molteplici universi: quello religioso,
separando un luogo sacro da quello profano;
quello temporale; ma soprattutto fissa un
confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è.
In questa prima incisione della terra sembra
esserci il carattere del sacrificio.
Lo spazio e la terra non potevano esistere se
una prima ferita non fosse stata inferta alla
terra: il vomere rompe la terra, infrange le
radici, sradica tutto ciò che incontra.
Farsi gioco dei confini può essere molto
pericoloso; su di essi tragico e ridicolo sono
strettamente mescolati.
8
1.2
Tracciato il solco e individuato così uno spazio
con una dimensione finita, quest'ultimo viene
svuotato, pulito.
Il campo per trovare una sua possibile
esistenza deve essere vuoto, libero; tutto ciò
che è al suo interno deve essere espulso,
8
Vedi nota 4
12
portato al suo esterno.
Le pietre vengono tolte dal terreno e portate ai
margini del campo, diventando segno
tangibile dei suoi limiti: la pietra è eretta a
segnare il confine.
La costruzione del confine non protegge solo
dai pericoli che possono venire dall’esterno,
dal disordine che può irrompere nello spazio
liberato; il margine che si crea diventa anche
riparo interiore, limite all’ansia causata
dall’oscurità, dall’incerto. Le pietre possono
continuare ad accumularsi ai margini per
tempo e più il confine si irrobustisce più
sembra divenire sicuro.
Attorno alla sua costruzione pian piano cresce
una comunità che vive su di esso e grazie ad
esso.
Nelle regioni coperte da grandi foreste, dalla
Lituania alla Russia fino alle regioni
balcaniche, molte parole che indicano i confini
derivano dall’abitudine di incidere una croce
sugli alberi ( basti pensare alla parola tedesca
Grenze, che in italiano si traduce con confine),
o da quella di abbattere gli alberi per creare un
13
margine o una barriera artificiale.
9
Come la pietra anche il tronco può essere
accatastato, può divenire il limen di un luogo,
fortificandolo.
Il confine non separa più soltanto spazi
diversi, ma vi si oppone, diventa qualcosa
d’altro: diventa frontiera.
1.3
Quando parliamo di frontiera non dobbiamo
intendere questa parola come un semplice
sinonimo di confine: la frontiera è qualcosa di
più.
Se il confine indica un limite comune, una
separazione tra spazi contigui, la frontiera
rappresenta la fine della terra, il limite ultimo
oltre il quale avventurarsi.
Varcare la frontiera, significa inoltrarsi in un
territorio che non si conosce, uscire da uno
spazio familiare, conosciuto, rassicurante, ed
entrare in quello dell’incertezza.
Ma cosa rende unica una frontiera? Cosa la
9
C. Milani, Il “confine”: note linguistiche, in M. Sordi (a cura di), Il confine nel
mondo classico, Università Cattolica, Milano 1987, cit. pp.3-12
14
distingue dal confine?
La frontiera è qualcosa in continua
evoluzione
10
, non è un dato certo e può
cambiare dall’interno o dall’esterno in un
qualsiasi momento. La frontiera è instabile, e
questa incertezza si percepisce su più fronti:
politico, spaziale, perfino linguistico.
Fissare un confine invece significa fondare
uno spazio, definire un punto di riferimento,
una linea stabile. Il confine impone, con la
concretezza dei suoi segni, il suo essere uno
spazio chiuso, circoscritto, una sicurezza che
la frontiera, vasta indeterminata, non può
garantire.
Il confine separa due spazi, due ideologie, due
persone, in maniera più netta di quanto faccia
la frontiera.
Il primo ha contorni decisi e forti, il secondo
annebbiati e incerti
11
.
Rompere i confini allora non comporta
necessariamente cancellare le frontiere;
significa semmai infrangere, sfrangiare il più
possibile il confine e ciò che esso stabilisce, per
10
M. Anderson, Frontiers, Polity Press, Oxford 1996, cit.pp.46-58
11
A. Calabrò, Frontiere, Il Sole 24 Ore, Milano 2001, cit. p.123
15