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E’ questo il momento, nel cuore dell’estate, in cui il fiume sembra inabissarsi nel
suo stesso letto e la sua acqua pare scomparire sotto i ghiareti o sotto le grandi e bianche
lame di arena, anch’essi diventati umile ma redditizia risorsa da sottrarre al fiume e da
vendere agli uomini che incessantemente costruiscono case, strade e città. In realtà la vita dl
fiume prosegue ancora, sotterranea, e continua ad alimentare altri pozzi e altre fontane, fino
a quando parte dell’acqua che continua a scorrere inabissata finirà per riemergere più a
valle e ridiventare di nuovo fiume. Da questo punto in poi l’acqua si fa fiume vero, perenne
e sempre più pensile, racchiuso da argini la cui sommità sovrasta ormai quella delle case.
Anche gli altri fiumi che gli recano tributo devono piegarsi al suo periodico respiro.
Siano acque alpine di neve disciolta, decantate e intiepidite nei grandi laghi, oppure acque
terrose che scendono lungo i fondovalle dell’Appennino, tutti nell’avvicinarsi al fiume
devono essere invasati ed arginati. Solo a questa condizione il Grande Fiume potrà
accogliere le loro acque, che altrimenti stagnerebbero in grandi laghi ai lati del suo letto.
Visti tutti insieme, acque e fiumi, argini e campi, fabbriche e case, altro non sono che un
mirabile ed inestricabile connubio tra elementi della natura e lavoro dell’uomo.
Tutto questo è il Po, nella storia delle sue genti, nell’economia delle sue piatte e
geometriche campagne e delle città che sulle sue rive si affacciano. La storia del fiume e
delle sue acque è inscindibile dalla storia degli uomini che hanno vissuto in questa valle,
nella fortuna e nella sventura, nella prosperità e nella carestia, nella pace e nella guerra. La
grande lama d’acqua in movimento è stata spesso confine di Stati, mai di uomini. Essa
attraversa infatti ogni giorno, senza passaporto, quei confini politici che gli uomini hanno
inteso porre tra di loro ed accomuna, anziché dividere, le loro esistenze in tanti aspetti
materiali, nella cultura, nella parlata, nella forma delle case e dei campi, nei momenti
fondamentali dello scambio. Se attraversare il fiume è questione di pochi minuti per un
uomo che spinge un nero e piatto battello e se l’alveo del Po è stato per secoli una grande
via per merci e uomini, potrà mai il fiume un giorno divenire veramente frontiera?
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1
Franco Cazzola, Il Po tra politica ed economia, in Felisati, In principio era il Po, Marsilio, Milano 1998
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Il Museo del Po.
Il rapporto degli abitanti con il fiume è sempre stato ambivalente:
un portatore di pane o una minaccia, una possibilità di vita o un
simbolo della paura? L’uno e l’altro, nei secoli, anche se una volta
l’economia locale viveva, assai più di oggi, sull’acqua e dell’acqua:
ceramiche, vetrerie, fabbriche di laterizi prosperavano numerose
utilizzando i bassi costi dei trasporti fluviali. E la via del sale, in
ogni paese, non era un nome di memoria.
Corrado Stajano
in Ghinzelli, Vecchia Padania, Castello, Viadana 1979
La storia della pianura padana è una storia fatta di uomini e di fiumi. Tanti uomini e
tanti fiumi diversi tra loro nella provenienza, nel carattere, nel tipo di apporto, che trovano
nel Po il loro punto d’incontro e di sviluppo. E’ la storia del rapporto mai finito tra l’uomo
e il fiume, di come si sono confrontati e, di volta in volta, domati. Ne è risultato un sistema
di vivere profondamente intriso dall’acqua, con tutti i significati che vi sono intimamente
connessi.
Sul Grande Fiume si navigava: si trasportavano passeggeri e merci e si
contrabbandavano i generi più richiesti, in particolare il sale. Nella storia di tutte le
popolazioni padane il Po è stato strada maestra per raggiungere l’Adriatico, in quanto più
veloce e più breve delle strade di terra. Nell’antichità il tratto terminale fu crogiolo di
scambi commerciali tra il Nord Europa e il Mediterraneo orientale. Per il predominio di
questa importante via d’acqua, gli Stati rivieraschi entrarono spesso in conflitto tra loro e il
Po fu teatro di scontri e battaglie fluviali. Insomma: intorno al Po ha respirato la Storia.
Sul Po, per molti secoli, sono esistiti i mulini. La vita del mugnaio era di solito tranquilla,
purché non sopravvenissero vento o gelo a mettere in pericolo la stabilità del natante. Per
questo il mugnaio era acuto osservatore dei fenomeni naturali: le stagioni, le piene, le
magre, i cambiamenti improvvisi del tempo.
Nell’acqua si pescava. Il Po non è mai stato fiume molto pescoso, salvo in alcuni mesi
dell’anno, quando alcune specie risalgono la corrente per deporre le uova. Tuttavia alcune
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famiglie vivevano di pesca e molti pescatori occasionali integravano, con questa attività, il
magro bilancio alimentare quotidiano.
Sul fiume vivevano i traghettatori, che trasferivano cose e persone da una sponda all’altra.
Al fiume andavano le donne per sciacquare i panni e i bambini a pescare con la moscarola.
L’acqua si beveva e, d’estate, si facevano i bagni.
Se poi si tiene conto che in golena le fornaci producevano laterizi e davano lavoro ad un
buon numero di persone, si ha un quadro pressoché completo delle attività che si
svolgevano sul Po in passato e del valore che esso rappresentava per le genti rivierasche.
Insomma, in questo Mondo Piccolo che ruotava intorno al Po tutto testimoniava il
profondo, intimo rapporto dell’uomo padano con un territorio speciale in cui il fiume e
l’acqua rappresentavano interlocutori necessari non solo all’economia, ma alla vita stessa in
ogni sua dimensione, anche e soprattutto culturale.
Ma se queste sono le origini e questa è la storia, come si spiega che il rapporto tra
l’uomo e il fiume sia oggi ridotto ad un’aspirazione per lo più generica e vagamente
nostalgica?
Una causa importante è individuabile nella convinzione pratica, maturata nel periodo di
piena frenesia tecnologico-economica del secondo dopoguerra, che il fiume potesse venire
ridotto a semplice strumento meccanico di produzione agricola e industriale, senza
assolutamente considerare il problema del rispetto della sua integrità in quanto creatura
vivente. Il declassamento del fiume da organismo vivente a oggetto ha comportato come
ovvia conseguenza il degrado ambientale. Questo a sua volta, insieme ai modelli
consumistici dell’era industriale e post-industriale, ha portato all’abbandono. Ci siamo
trovati così di fronte ad un fiume come morto, lontano dalle abitudini di vita della gente,
tenuto in considerazione solo per la paura che può suscitare e per il consumo che ancora se
ne può fare, ma sostanzialmente estraneo alla civiltà della pianura che esso stesso ha
originato.
“Dobbiamo testimoniare il nostro passato, dobbiamo trovare qualcuno cui
raccontare le nostre storie, quello che abbiamo vissuto sul Po negli anni di lavoro, quello
che il fiume ha rappresentato per noi e per le nostre famiglie. Qualcuno che scriva quello
che noi sappiamo. E’ un patrimonio che non deve andare perduto.”
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A spingere in senso positivo verso il risanamento del fiume ed il recupero del
rapporto uomo-fiume come momento di civiltà, oltre alla nuova legislazione nazionale ed
internazionale in materia di ambiente, esiste nel Po una specie di anima nascosta, fatta di
tutta una serie di persone, di enti, di associazioni che negli anni bui dell’abbandono e del
degrado hanno saputo tenere in vita con umiltà e tenacia un rapporto solidale con il fiume.
Come fare ora, perché la sensibilità che questa gente ha saputo salvaguardare e che
rappresenta l’anima stessa della civiltà del Po possa espandersi, tornare ad essere
patrimonio irrinunciabile degli abitanti della pianura padana, e costituire un godibile luogo
di riferimento per i possibili visitatori?
Molte sono le vie per raggiungere questo obiettivo, ma il punto di partenza è unico:
la conoscenza e la pratica del fiume. I motivi, le occasioni, i modi, i livelli sono i più vari,
da quello scientifico all’economico, al culturale, al ricreativo ed altri ancora. Riportare
l’uomo al fiume come momento di recupero di civiltà. Perché l’ambiente non può essere un
optional e nemmeno uno slogan: è ragione di vita, è l’aria che respiriamo. L’ambiente parla
all’uomo e contribuisce a costruirne la storia: prescinderne significa impoverire la storia
dell’uomo, sia quella personale sia quella collettiva.
Una di queste vie è già stata intrapresa, qualche anno fa, grazie all’impegno costante
di un gruppo di Enti pubblici (Comune di Boretto, Comune di Gualtieri, Comune di
Guastalla, Provincia di Reggio Emilia, ARNI) e privati (la ditta Aladino Bacchi) riuniti
sotto il nome di Associazione per il Museo del Po.
Con l’articolo 2 del suo Statuto, l’Associazione proclama così i propri intenti:
“Il Museo sviluppa attività conoscitive e informative per raggiungere finalità
culturali e scientifiche ed in particolare per valorizzare il patrimonio artistico, culturale,
documentale e storico, nonché la promozione di tutte le tematiche attinenti al Po, alla
navigazione fluviale, al territorio rivierasco, alla memoria degli antichi mestieri, al
reticolo idrografico minore delle opere di bonifica e, comunque, all’intero sistema del
bacino del Po.
L’Associazione sviluppa le attività di cui sopra attraverso l’organizzazione di
mostre, convegni, dibattiti, manifestazioni, iniziative culturali ed editoriali; istituendo un
Museo del Po da realizzarsi a Boretto o in altri luoghi di particolare interesse per il
conseguimento delle finalità; provvedendo all’archiviazione e all’acquisizione di materiali
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di documentazione; sviluppando le iniziative di cui sopra nell’ambito delle politiche
comunitarie nei settori dell’ambiente, della cultura, dell’informazione, del trasporto e del
turismo; promuovendo iniziative e progetti per sviluppare la conoscenza e l’interesse dei
giovani nei confronti delle tematiche legate al fiume Po, attraverso seminari, incontri e
attività di laboratorio; Promuovendo eventi d’arte e di comunicazione anche attraverso la
produzione di materiale documentaristico e giornalistico; promuovendo gemellaggi con
Associazioni, Soggetti ed Enti pubblici e privati per sviluppare la valorizzazione e la storia
dei grandi fiumi, sia in termini turistici sia come tecnica della navigazione interna, sia
come cultura dei territori interessati all’opera di bonifica.
Si propone inoltre di realizzare un sistema informativo che permetta di realizzare
una sinergia con tutti i Musei e le Associazioni affini in Italia e in Europa, nonché di
gestire spazi promozionali e non, anche in convenzione con altri Enti ed Istituzioni
pubbliche e private, tali da consentire la realizzazione delle finalità espresse.”
Proprio così: uno dei primi passi per il recupero del rapporto uomo-fiume è stato
fatto nella direzione della cultura, della memoria del luogo nel senso più lato del termine. Il
Museo del Po, della Navigazione Interna e del Governo delle Acque è già stato istituito, ha
già un suo Presidente, Ivanna Rossi, e una sua collocazione nell’ala ovest del cantiere
ARNI. Non è ancora aperto al pubblico, perché in effetti mancano ancora tutte le strutture
per renderlo fruibile e il materiale, seppur catalogato, è ancora accatastato qua e là in modo
abbastanza casuale. Ma ci si sta muovendo perché esso possa diventare un Museo a tutti gli
effetti e contribuire ad arricchire l’immagine e l’identità di questo tratto del Po. Come
scrive Ivanna Rossi: “Per questo si fa un Museo a Boretto, il cui nucleo è un lascito di
archeologia industriale: perché il fiume non arrugginisca del tutto”.
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Il cantiere-officina negli anni Trenta. Foto storica archivio ARNI.
Il teatro estivo nel circolo del dopolavoro. Foto storica archivio ARNI.
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Sinuosità.
Fiume. Corso. Rami. Curve. Pieghe. Meandri. Anguilla. Serpente. Drago. Filo d’Arianna.
Si muove verso se stesso il fiume,
si sposta dentro il suo cangiante bruco
ed entra, fiume nuovo/ uscito dalle sue ceneri
nei luoghi dove opera/ la primavera
Mario Luzi
Mario Luzi, da Per il battesimo dei nostri frammenti, Garzanti, Milano 1988
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Foto aerea del Po, 1930. Archivio Istituto Beni Culturali dell’Emilia-Romagna
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Drago.
Ciò che si dipana lungo tutto lo spazio collegandone punto per punto i luoghi è un percorso.
Il percorso di visita, se così vogliamo chiamarlo: nasce da un bandolo e si srotola come un
filo d’Arianna, entra negli edifici e si incunea nel terreno per poi risorgerne all’aria aperta,
si immerge nell’acqua e si configge nella terra, traccia pieghe, gomiti, meandri. E non è un
segno sulla superficie, ma un segno aereo: il percorso di visita è marcato sopra le teste dei
visitatori, è rete sospesa che indica la direzione. Penetra dovunque, si insinua in ogni
anfratto come l’acqua del Grande Fiume, è anguilla, è serpente, è drago come lui.
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Architettura.
L’architettura sola, tra le arti, può dare allo spazio il suo pieno
valore. La pittura può dipingere lo spazio; la poesia può
richiamarne l’immagine; la musica può darcene la sensazione;
l’architettura però ha a che fare direttamente con lo spazio, lo usa
come materiale e ci pone al centro di esso.
Geoffrey Scott
L’architettura dell’Umanesimo, Laterza, Bari 1939
Abbiamo visto come dall’osservazione del paesaggio si possa trarre una sorta di
catalogo dei suoi caratteri distintivi, poi come ognuno di questi caratteri si possa
trasformare in linea sulla carta, generando così forme e direttrici. Resta da compiere il salto
finale: forme, linee e direttrici non hanno valore in sé, perché l’architettura non è un’arte
come le altre. Anzi, per meglio dire: l’architettura non è soltanto arte. E’ anche logica, e
tecnica, e realtà vera. Il disegno architettonico non è concluso in se stesso, si badi bene, non
è e non deve essere in alcun modo un quadro. Esso presuppone quello che verrà, o che
dovrebbe venire, dopo: la costruzione reale di quello che vi è rappresentato. Perciò tutte le
informazioni che il disegno architettonico trasmette devono avere un esatto corrispondente
nella realtà: quella linea è una rete, quel quadrato è un pilastro, quei puntini sono sabbia,
quella forma attorcigliata è una matassa di fil di ferro e via dicendo.
L’architettura è essenzialmente creazione di spazi. L’involucro che contiene questi
spazi è certamente importante, ma ancora di più lo è il vuoto, sia quello che ne risulta
all’interno, sia quello che relaziona gli involucri tra loro. In questo vuoto si muoveranno
delle persone, entreranno usciranno, saliranno scenderanno. Quindi: l’architettura è la
creazione di uno spazio in cui si svolgerà un pezzo (breve o lungo, non importa) della loro
vita. Questo presupposto è fondamentale: non dobbiamo mai dimenticarlo. E’ per questo
che si dice che l’architettura, se è un’arte, è un’arte spuria: perché essa non può prescindere
in alcun modo dalla realtà, in quanto subordinata alla funzione, alla fruizione, alla tecnica.
L’architettura che vedrete descritta e rappresentata nelle pagine che seguono è il
progetto di un museo: il Museo del Po e della Navigazione Fluviale. Fin qui ne ho
enunciato i principi teorici. Vediamo allora che cosa ne è venuto fuori.
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Museo del Po e della Navigazione Fluviale.
1. uffici del museo e foresteria per i suoi ospiti; 2. servizi per il pubblico: biglietteria, informazioni,
guardaroba, bookstore, sanitari; 3. museo coperto per il materiale deperibile; 4. museo all’aperto; 5. parco del
Po.
Azienda Regionale per la Navigazione Interna.
1. amministrazione e uffici tecnici; 2. servizi degli addetti: infermeria, spogliatoio, sanitari, cabina elettrica,
centrale termica; 3. officine: carpenteria, verniciatura, forgiatura, motoristica, macchine utensili.
Strutture autonome.
1. biblioteca; 2. laboratorio per il restauro dei natanti; 3. padiglione delle esposizioni temporanee; 4. struttura
polivalente: auditorium, aule informatiche, aule didattiche; 5. modello idraulico del Magistrato per il Po.
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Pezzi.
Passeggiando tra i natanti arrugginiti e i vecchi attrezzi accatastati in modo più o
meno casuale nella parte del cantiere che un giorno diventerà a tutti gli effetti Museo del Po
e della Navigazione Fluviale ci si trova catapultati dentro un paesaggio strano, quasi
surreale. Quando si cammina in questo posto a cavallo tra la vita e la morte ci si sente
trasportati in un’altra dimensione, perché si percepisce che lo stato di abbandono è soltanto
apparente, ma al tempo stesso non si riesce ad intravedere da che parte cominciare per
ridare un po’ di ordine al tutto. E’ in questo senso del vago, dell’indeterminato il grande
fascino dell’ala ovest del cantiere-officina.
Poi salta all’occhio una particolarità interessante: tutto qui procede secondo la legge
dell’accumulazione. Evidentemente, chi si è assunto il compito di catalogare e riordinare
sommariamente le centinaia di oggetti grandi e piccoli che costituiscono la collezione del
museo, ha pensato -giustamente- di ammucchiarli secondo la loro funzione o la loro
tipologia. Così incontri cinque tavoli da lavoro con morsa qui, sette tubi corti lì, dieci
verricelli qua, sedici ancore là… l’effetto, una volta scoperto, è notevole. Così ho pensato:
venti ancore tutte insieme sono visivamente molto più forti di venti ancore disperse lungo il
percorso. E ho deciso che anche il mio Museo del Po sarebbe stato organizzato così:
secondo il principio dell’accumulazione.
Dapprima ho catalogato i pezzi secondo la loro forma e la loro quantità. Ne è
emerso che essi possono essere distinti in tre grandi gruppi: quelli piccoli e ripetibili, quelli
grandi e ripetibili, quelli grandi e non ripetibili. In seguito, ho studiato per ognuna di queste
categorie un’apposita sistemazione nell’area del museo all’aperto. I pezzi piccoli e ripetibili
sono viti, bulloni, chiodi, rondelle e anelli di catena e colmano i canalini che scandiscono il
ritmo verticale. I pezzi grandi e ripetibili sono tubi corti, matasse di fil di ferro, bombole,
ancore, verricelli, argani, boe, barili, cerchi in ferro, catene e corde e riempiono
geometricamente gli zoccoli di fondazione dei due depositi, demoliti. I pezzi grandi e non
ripetibili sono dei più svariati generi, dal motore Fiat del 1949 alla vecchia gru per il carico
e scarico delle merci, ed ognuno occupa un quadrante del reticolo disegnato per terra.
Così, davanti agli occhi di chi lo visita, il percorso del museo si svela gradatamente
come un racconto, in cui ogni episodio è un pezzo della storia del Grande Fiume.
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Allegati.
Modello.
Il plastico dell’intera area di studio, realizzato in scala 1:500, è di dimensioni 70 x 106 cm.
I materiali utilizzati sono il legno di abete per la base e gli edifici, il plexiglas per il vetro, la
carta vetrata di colore ocra per il ferro, i chiodi per i pilastri del percorso curvilineo.