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diagnostiche e terapeutiche. Tali obblighi, così come altri, sono di ordine
generale, e riguardano tutti i medici, e dunque anche gli psichiatri, anche
se, come è ovvio, in questo settore specialistico essi possono assumere
connotazioni particolari, talora paradossali, o irrisolvibili se non
ricorrendo a mezzi specialmente previsti (per esempio: il trattamento
sanitario obbligatorio).
Il principio fondamentale, su cui si incardina la discussione giuridica e
medico-legale, è quello della tutela della salute nel rispetto della volontà
del paziente. Questo principio nasconde però al suo interno, oltre al
dettato costituzionale e all'insegnamento della Suprema Corte, una serie
di ipotesi di reato, doloso o colposo, commissivo od omissivo, di cui
ogni medico ed ogni psichiatra può rendersi responsabile. Allo psichiatra
in particolare si chiede però anche di prevedere la probabile condotta del
suo paziente, e la possibilità che questa sia socialmente accettabile.
Senza dubbio la riforma psichiatrica del 1978 (cd. “Legge Basaglia” dal
nome dello psichiatra che l’ha ispirata e promossa) ha reso più evidente
la presenza del malato di mente, ed ha acuito la sensibilità della
popolazione verso i problemi connessi.
Come detto, allo psichiatra la società chiede non solo una diagnosi ed
una prognosi di malattia, cose che vengono chieste a tutti i medici, ma
anche una prognosi di condotta ed una terapia che sia efficace nel
condizionare la condotta stessa. Questa richiesta sociale è
manifestamente eccessiva.
Se un paziente psichiatrico si suicida, o se procura lesioni o la morte di
altri, il richiamo della pericolosità per sé e per gli altri è pressoché
immediato. Numerose ricerche hanno mostrato che il malato di mente
non è più pericoloso di chiunque altro, ma la casistica, che mostra spesso
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le caratteristiche della brutalità e dell’assenza di motivazioni, unitamente
alla convinzione che tali caratteristiche siano proprie dei delitti compiuti
da malati di mente, fa sì che l’idea preconcetta si mantenga viva.
Alessandro Tartaglia
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Capitolo 1: La legge Basaglia
1.1 Evoluzione storica
In diversi paesi europei, la presenza delle istituzioni manicomiali risale
ai primi decenni del 1800. Allora, nel manicomio prevaleva l’ispirazione
scientifica e filantropica.
Quei presidi erano concepiti come “clinica”, “asilo”, luogo tranquillo e
protetto, esclusivamente riservato ai malati di mente (nelle intenzioni), in
tal modo sottratti all’orrore dei ricoveri di mendicità e delle carceri.
Già nella metà del 1800, ci si accorse che il manicomio era una realtà
violenta. Le ragioni della violenza erano diverse: l’aumento dei
ricoverati per malattie non mentali (per esempio la pellagra) di cui non si
conosceva la causa; la scarsità di personale medico e il non rispetto delle
norme igieniche; la mancanza di vigilanza e le mancate dimissioni dei
degenti.
In Italia, nell’anno 1865, la legge comunale e provinciale stabilisce che i
Consigli Provinciali creino degli “stabilimenti pubblici provinciali” per il
mantenimento dei “mentecatti” “poveri” della provincia.
E’ nel 1874 che in Italia viene celebrato il primo congresso degli
psichiatri.
Vengono in tale assise convalidate due linee di assistenza e cura: il
manicomio quale cronicario per sofferenti psichiatrici e le cliniche
specialistiche quali luoghi di cura secondo il modello neuro-anatomo-
patologico allora in auge.
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Si arriva cosi al 1904, quando una legge di quell’anno affronta la
questione dal punto di vista dell’ordine pubblico e non sotto il profilo
sanitario. Si tratta della legge 14/2/1904 n. 36, la quale, come ogni legge
innovativa e complessa, ha avuto bisogno di un regolamento applicativo.
Il regolamento usciva cinque anni dopo il Regio Decreto 16 agosto 1909,
n. 615.
Sia la legge che il regolamento pongono al contro della problematica non
il cittadino malato con i suoi bisogni, bensì la “pericolosità degli
alienati”.
Il ricovero manicomiale veniva imposto per i soggetti pericolosi a sé e
agli altri, nonché di pubblico scandalo. Ciò comportava la perdita dei
diritti politici, civili e sociali. Senza grandi modificazioni, questo
ordinamento rimaneva in vigore fino al 1968, quando i ricoverati nei
manicomi, nel nostro paese erano 110.000.
Nel ’68 veniva promulgata una piccola legge che cambiava solo
superficialmente la base normativa precedente: si tratta della legge 18
marzo 1968, n. 431. I ricoveri venivano attuati anche volontariamente e
non solo coattivamente. Veniva abrogata l’iscrizione dei ricoverati al
casellario giudiziale e si istituivano i primi “centri di igiene mentale”.
Trascorreranno altri dieci anni, quando nel 1978 veniva promossa dal
movimento radicale un’iniziativa referendaria concernente l’abrogazione
della legge basilare dell’assistenza psichiatrica, ovvero la n. 36 del 1904.
Il Parlamento, onde evitare l’espressione popolare con il referendum su
tale spinoso argomento, prendendo in considerazione le teorie e le
esperienze del Prof. Basaglia di Trieste, approvava la legge 13 maggio
1978, n. 180, recante per oggetto gli accertamenti e trattamenti sanitari,
volontari e obbligatori delle persone con sofferenza psichiatrica.
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Nello stesso anno, veniva approvata la legge di riforma sanitaria, relativa
all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (legge 23 dicembre 1978,
n. 833). In questa legge-quadro veniva recepito pressoché integralmente
il testo della legge n. 180/78, trovandolo riprodotto negli articoli 33, 34,
35, e 64.
Il cardine fondamentale del prodotto normativo dell’anno 1978 è
rappresentato dall’inizio del processo di chiusura degli ospedali
psichiatrici pubblici e la contestuale creazione di un nuovo assetto
territoriale di assistenza.
Le Amministrazioni Provinciali vengono spogliate della competenza fino
a quel momento loro ascritta, perché essa viene attribuita alle nuove
Unità Sanitarie Locali.
Sta di fatto che negli ospedali psichiatrici, negli anni in cui sono rimasti
funzionanti, sono stati ricoverati non soltanto le persone con sofferenza
psichiatrica (psicotici, nevrotici), ma anche soggetti con affezioni psico-
geriatriche (dementi senili) e con disabilità intellettiva (disabili psichici,
cerebropatici).
Da ciò discende la “povertà” del servizio manicomiale, nella
riproduzione della cronicità, dipendenza, nella creazione di barriere,
esclusioni, invalidazioni, infantilizzazioni, dove i soggetti sono rimasti
nella veste di destinatari passivi di interventi e supporti.
C’è da annotare che le leggi succitate non contemplano la chiusura degli
ospedali psichiatrici giudiziari e delle strutture private, che continuano
ad ammettere persone con sofferenza psichica.
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1.2 Dopo la legge Basaglia: l’obbligo di “cura”
sostituisce l’obbligo di “custodia”
E’ noto come la legge 13 maggio 1978, n. 180, meglio conosciuta come
legge Basaglia, abbia rivoluzionato, nel nostro paese, il trattamento dei
malati di mente. E’ parimenti evidente che il nucleo fondamentale della
novella sia costituito dalla fine del modello “custodialistico” nel
trattamento della malattia mentale, sostituito da un approccio che mette
l’accento sulla cura, e sulla valorizzazione, per quanto possibile, della
libera partecipazione del paziente al percorso terapeutico.
Come è stato già detto, la legge Basaglia è confluita nel corpo della
legge n. 833 del 23 dicembre 1978 (“Istituzione del servizio sanitario
nazionale”), agli artt. 33 ss. Ma credo si possa liberamente affermare che
sia stata proprio la succitata legge una delle linee guida fondamentali per
l’accentuato modello “volontaristico” e “partecipativo” che caratterizza
tutto il sistema sanitario nazionale, come delineato nel 1978.
Non per niente, l’art. 33 comma 1 della l. 833 del 1978 riprende ed
espande a tutti i trattamenti, anche non psichiatrici, il contenuto dell’art.
1 della l. 180 del 1978: “ gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di
norma volontari”. Ciò significa che sono volontari tutti i trattamenti
sanitari, inclusi quelli psichiatrici, che non siano “trattamenti sanitari
obbligatori” disposti dalle leggi dello Stato.
Di conseguenza se il paziente accetta (volontariamente) le cure, non è
consentita alcuna limitazione alla sua libertà personale: non sono
consentite, in particolare, quelle limitazioni alla libertà personale che
possono essere adottate in caso di trattamento sanitario obbligatorio.
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“Il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale” – recita l’art.
34 comma 4 legge 833/78 – “può prevedere che le cure vengano prestate
in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni
psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici: se gli stessi non
vengono accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le
circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure
sanitarie extraospedaliere”.
Persino nel contesto del trattamento sanitario obbligatorio ogni sforzo
viene apprestato per mantenere intatta, fin dove realizzabile, la
possibilità di una partecipazione consapevole da parte del malato: “gli
accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori … devono essere
accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la
partecipazione da parte di chi vi è obbligato” (art. 33 comma 5 legge
833/78).
E’ in questa situazione che la legge Basaglia ha provveduto ad abrogare
tutte le fattispecie penali proprie del precedente modello
“custodialistico”: l’art. 715 c.p. che prevedeva una responsabilità penale
a carico di chi non osservasse gli obblighi inerenti alla custodia dei
malati di mente; l’art. 714 e l’art. 716 (nella parte relativa agli infermi di
mente) e l’art. 717.