governo, guidato dall'aprista Alan García, dall'altro lato il terrorismo di Sendero
Luminoso, grosso pericolo per la sicurezza, la democrazia e la pace - el Chino, chiamato
popolarmente così per le origini e la fisionomia, ha causato a questo paese danni
incalcolabili in tutti i settori.
In economia ha fatto parte della prima generazione di politici neoliberisti
latinoamericani che, con l’assistenza degli Stati Uniti e del Fondo Monetario
Internazionale, hanno adottato un’innumerevole serie di misure antisociali:
congelamento dei salari, liberalizzazione dei prezzi, svendita delle proprietà statali e
deregolamentazione generalizzata. Ma essere liberisti, è vero, non è un reato: Fujimori è
stato anche un leader corrotto e ha guidato un governo che ha praticato la repressione e
la tortura, rendendosi responsabile di molti massacri. Come ricorda il giornalista
Carretas
3
, è accusato di essere coinvolto direttamente in quattro casi di omicidio:
l’uccisione di quindici persone nel quartiere Barrios Altos a Lima nel ’91, il sequestro e
l’uccisione di nove studenti e di un professore dell’università di La Cantuta nel ’92, e,
nello stesso anno, l’eliminazione del giornalista Pedro Yauri e di dieci abitanti del
villaggio di El Santa.
E’ stato inoltre un censore implacabile dei mezzi d’informazione, a cui voleva impedire
di raccontare la verità sul paese.
La sua colpa maggiore però, è quella di aver insediato un governo dittatoriale (dopo
l’assalto al parlamento nell’aprile del 1992) e di aver sospeso le attività della
magistratura: è stato un vero e proprio colpo di Stato, a cui è seguita una costituzione
scritta su misura per lui, che subordinava il parlamento al suo governo.
A differenza dei militari golpisti che avevano insanguinato l’America Latina negli anni
settanta e ottanta, Fujimori era arrivato al potere con elezioni democratiche e aveva
distrutto le istituzioni dall’interno.
Durante gli ultimi mesi del suo terzo mandato, il governo Fujimori era stato inoltre
travolto da una serie di scandali che vedevano accusati di corruzione personaggi di
primo piano del paese. In seguito a tali fatti, Fujimori era stato costretto a dimettersi e
aveva deciso di auto esiliarsi nel suo paese di origine, il Giappone: da Tokyo aveva
mandato via fax la sua rinuncia alla carica.
3
Fonte: http://www.correoperu.com.pe/indice.php
4
Nell'ottobre 2005 Fujimori aveva dichiarato di volersi presentare per le elezioni
presidenziali del 2006, ma appena qualche settimana dopo, durante una visita pubblica
in Cile, era stato arrestato dalla polizia cilena (7 novembre 2005).
Non contento, e nonostante fosse agli arresti domiciliari a Santiago de Cile, aveva
presentato la sua candidatura al senato nelle legislative giapponesi di luglio,
dimostrando non solo la sua intenzione di prendersi gioco della giustizia, ma anche il
suo disprezzo per il Perù. Ma presentandosi alle legislative giapponesi si è visto sfumare
ogni possibilità di riprendere l’attività politica in Perù e di ricandidarsi alla guida del
paese, rivelando così tutto il suo opportunismo: aveva preso la cittadinanza peruviana
perché gli faceva comodo, ma oggi che deve assumersi la responsabilità delle azioni del
suo governo corrotto e illegale preferisce essere un cittadino giapponese, ricordandosi
delle sue origini giapponesi solo quando è in difficoltà
4
. Lo si era già visto nel 1992,
quando, dopo il golpe guidato dal generale Jaime Salinas Sedò, era stato costretto a
rifugiarsi nell’ambasciata giapponese; poi a Lima nel 2000, quando era scappato a
Tokyo dopo essere stato travolto dalle accuse di corruzione. E infine, di fronte alla
decisione della giustizia cilena sull’estradizione in Perù, lo vediamo cercare di nuovo
riparo in Giappone tra le braccia del “Nuovo partito del popolo” e magari dell’immunità
parlamentare. Ma il governo e la magistratura cilena aveva resistito alle pressioni di
Tokyo e aveva concesso l’estradizione consegnando l’ex Presidente alla giustizia
peruviana.
Tutto questo lo descriveremo dettagliatamente nei successivi capitoli, frutto di una
rielaborazione di dati, libri, articoli e documenti di siti internet raccolti in gran parte
durante la nostra permanenza in Perù nel maggio del 2007.
Dimostrerò, inoltre, come, fin dagli anni seguenti l’indipendenza, il Perù non abbia mai
raggiunto una stabilità democratica concreta, ma piuttosto, abbia vissuto sempre e solo
delle “primavere democratiche”
5
, e di come non abbia mai sviluppato e consolidato un
sistema politico di tipo democratico a causa, secondo molti, della mancanza di
un’affermazione, sul piano istituzionale, dei corpi politici più importanti.
4
Rivista Internazionale, n.700 del 6 luglio 2007
5
Hubert Herring, Storia dell’America Latina, Ed. Rizzoli, Milano, 1972
5
Fondamentalmente si potrebbe definire il Perù come un paese alla ricerca di
un’alternativa plausibile al sistema di dominazione oligarchica degli anni‘30
6
: se infatti
è vero che la partecipazione politica in quel periodo era bassa, è anche vero che il
sistema di potere era riconosciuto come tale dalle masse popolari. Gli indios come i
cholos o i mestizos avevano interiorizzato la forma di potere all’epoca vigente, e la
riconoscevano come valida e oltre a ciò le relazioni intercorrenti all’interno di quel
sistema politico erano di natura verticale (rapporto peon-patron), e non orizzontale
(rapporti tra indios, cholos, mestizos): ciò se da una parte comportava una
partecipazione politica molto limitata o praticamente inesistente, dall’altra aveva come
principale conseguenza quella di dar luogo ad un vertice decisionale molto stabile.
Ma, come dimostreremo, a partire dagli anni ‘30 la situazione subì una profonda
mutazione: le vecchie oligarchie furono sostituite da nuove forme oligarchiche, frutto
degli accordi tra le grandi multinazionali straniere e le oligarchie presenti nelle zone in
cui queste multinazionali agivano (zone d’enclave)
7
. In seguito alla rottura dei vecchi
vincoli patron-peon e all’immigrazione verso le città delle popolazioni della sierra, le
masse popolari, contadine e urbane, cominciarono ad avere le possibilità di entrare in
contatto con idee diverse da quelle che fino a quel momento erano state riconosciute
come valide.
Le masse popolari, entrando in contatto con esponenti politici per lo più di sinistra,
iniziarono a spingere per entrare a far parte dell’arena politica.
Gli anni ‘60 rappresentarono, così, l’esatto opposto di ciò che era avvenuto fino agli
anni ‘30: una forte partecipazione della popolazione nel gioco politico, ma anche una
grande debolezza dal lato istituzionale.
Proprio i concetti di partecipazione e istituzionalizzazione giocano, secondo
Huntington
8
, un ruolo fondamentale nei processi di democratizzazione: proprio
6
Alberti, G., Democracy by default, Movimientismo and Social Anomie in Latin America, University of
Bologna, 1991
7
Calderon Ticse, German (Edicion), Nacion e identidad en la historia del Perù, Academia de la Historia
del Perù, Lima, 2006
8
Samuel Phillips Huntington (18 aprile 1927) è un politologo statunitense noto per la sua analisi della
relazioni tra governo civile e potere militare, i suoi studi sui colpi di stato, e le sue tesi sugli attori politici
principali del ventunesimo secolo: le civiltà che vanno a sostituire gli Stati-nazione. Nel 1993, Huntington
diede il via a un dibattito tra i teorici delle relazioni internazionali con la pubblicazione in Foreign Affairs
di un articolo estremamente influente e citato intitolato "The Clash of Civilizations?" (Lo scontro di
civiltà?). L'articolo si opponeva a un'altra tesi politica relativa alle dinamiche principali della geopolitica
post-Guerra Fredda teorizzata da Francis Fukuyama nel “La fine della Storia”. Secondo l'articolo e il
libro, i conflitti successivi alla Guerra Fredda si verificherebbero con maggiore frequenza e violenza
6
nell’equilibrio di questi due fattori, secondo quest’autore, si concentra la peculiarità di
un sistema democratico.
Per rendere la spiegazione più chiara, è giusto soffermarsi un momento sul concetto di
democrazia, così come la intende May, ossia come “Regime politico che postula una
necessaria corrispondenza tra gli atti di governo e i desideri di coloro che ne sono
toccati”, o anche “la continua capacità di risposta del governo alle preferenze dei suoi
cittadini...”
9
.
Perché questo possa avvenire, però, devono esistere due presupposti. Il primo è che
esistano quelle organizzazioni (partiti politici, sindacati, comitati civili, e le restanti
forme di aggregazione civile e politica) che fungono da canali di raccordo tra la società
e lo Stato, e, chiaramente, che i cittadini abbiano la possibilità di esprimere i propri
bisogni tramite queste stesse forze. Il secondo è che tanto queste forze incaricate di
esprimere i bisogni del cittadino, quanto quelle incaricate di rispondere a questi bisogni,
siano riconosciute come istituzioni, vale a dire come portatrici di norme e valori validi
nel tempo. Una delle condizioni favorevoli a questo processo d’istituzionalizzazione è
sicuramente rappresentata dalla possibilità che un determinato regime ha di perdurare
nel tempo, condizione che in Perù, fino al 1980, non si era mai presentata.
Dalla fine della dittatura oligarchica di Leguía (1919-1930) in avanti, questo paese ha,
infatti, vissuto periodi segnati dal tentativo di aprire a regimi democratici (Prado, 1956),
intervallati da periodi in cui il governo era prerogativa delle forze militari (Benavides,
nel 1933; Velasco Alvarado nel 1968, seguito da Bermúdez), senza la possibilità per un
regime democratico di protrarsi per un tempo sufficientemente lungo a permetterne il
consolidamento.
Tale condizione si è, di contro, venuta verificando a partire dal 1980. Da allora agli
ultimi anni ’90 si sono tenute per quattro volte elezioni presidenziali; ciò nonostante, il
problema della mancanza d’istituzionalizzazione permane. Affinché si possa parlare
d’istituzionalizzazione, deve esistere l’interiorizzazione di un determinato sistema di
lungo le linee di divisione culturali ( o di civiltà come quella islamica, occidentale sinica, ecc.) e non più
ideologiche, come accadeva nel ventesimo secolo durante la Guerra Fredda.. Suppone infatti, che per
capire i conflitti presenti e futuri, siano da comprendere innanzitutto le divergenze culturali, e che la
cultura (piuttosto che lo Stato) debba essere accettata come luogo di scontro. Per questo motivo sottolinea
che le nazioni occidentali potrebbero perdere il loro predominio sul mondo, se non saranno in grado di
riconoscere la natura inconciliabile di questa tensione.
9
Bartolini, S., Cotta, M., Panebianco, A., Pasquino, G., Manuale di Scienza della Politica, a cura di G.
Pasquino, Ed. Il MULINO, Bologna, 1986, p.85
7
modelli di comportamento stabili, validi e ricorrenti, da parte della popolazione soggetta
a determinati corpi istituzionali: in caso contrario non si potrebbe parlare di un sistema
istituzionalizzato, ma di una forza coercitiva che impone alla gente di riconoscersi in
essa. Un sistema così costruito, però, è per definizione debole ed è, fin dall’inizio,
destinato a durare solo per un breve lasso di tempo. Perché un sistema tenga, deve
portare chi vi appartiene a riconoscerlo come proprio, anzi di più: la matrice
istituzionale deve’essere identificata come valore universale e indiscutibile, capace di
mostrarsi, soprattutto, come duratura nel tempo. Esiste, esisteva, esisterà; questo è il
sottile stratagemma che permette alle istituzioni di reggersi nel tempo. Infatti, in
un’inchiesta sulla fiducia della popolazione nelle varie istituzioni, eseguita nell’agosto
del 1997
10
, si vedeva come le persone sembrassero offrire più attenzione e riporre più
fiducia, nelle fonti d’informazione piuttosto che negli atti parlamentari o nel potere
giudiziario.
Una delle conseguenze della mancanza d’istituzionalizzazione è, per l’appunto, la quasi
impossibilità per un sistema politico di affermarsi come tale: più specificatamente si
può affermare che in Perù manchino le prerogative perché esista una struttura politica
che garantisca governabilità e la crisi dei partiti politici testimonia la mancanza
d’affermazione di una struttura politica capace di proporsi come modello stabile e
duraturo.
Lo dimostrava anche, come vedremo, il multipartitismo peruviano e le innumerevoli
liste di organizzazioni e formazioni politiche, conseguenza, probabilmente, di
un’incapacità delle forze politiche storiche presenti sul territorio di offrirsi come
parametro d’identificazione al singolo cittadino nel momento in cui deve decidere per
chi votare. La crisi di A.P.
11
e quella de l’APRA
12
, da sole, privarono una grande fetta
della popolazione del modello cui guardare.
A prendere piede fu, allora, una tendenza diversa, fatta di alta partecipazione ma poco
strutturata: istituzionalizzazione significa, anche, capacità di canalizzazione, da parte di
una forza, di masse portate a identificarsi nell’idea che questa dichiara di seguire e
10
John Crabtree and Jim Thomas, Fujimori’s Perù: the political economy, Institute of American studies”,
London, 1998, p.31
11
Accion Popular, formazione di centro destra fondata nel 1956 da Fernando Belaúnde. Vedi p.41
12
Alianza Popular Revolucionaria Americana, storico partito della sinistra indigenista, l’APRA, fondato
nel 1924 da Haya de la Torre, come movimento internazionalista e nel 1930 come partito politico
peruviano, è una costante del panorama politico peruviano.
8
disposte a lasciare da parte le aspettative e gli interessi personali, sacrificandoli alla
causa di un interesse maggiore.
Il multipartitismo, di per sé, non è sinonimo di mancanza d’affermazione di un sistema
democratico, però, influisce sicuramente sulla stabilità del sistema politico. Ciò che il
multipartitismo suggerisce, con la propria presenza, è l'esistenza di un alto grado di
partecipazione, ma basso d’istituzionalizzazione. Le forze politiche presenti in casi di
multipartitismo estremo soggiacciono infatti, almeno di solito, a due caratteristiche: la
prima è d’essere forze che si costituiscono in previsione di tornate elettorali imminenti,
per poi scomparire subito dopo. La seconda è che, sempre di solito, queste forze sono
per lo più slegate da movimenti politici costruiti su un’idea base: sono invece frutto di
azioni estemporanee, rappresentanti interessi particolari e gravitanti intorno a candidati
indipendenti.
Quindi la mancanza d’istituzionalizzazione è una delle cause principali della difficoltà
d’affermazione di un sistema democratico in Perù perché, ribadiamolo, il Paese, da una
visione superficiale, vive da circa vent’anni una realtà formalmente democratica, ma
negli anni di Fujimori, è stata governata con metodi mal celati ma classici della
tipologia autoritaria: quanto segue è il tentativo di verificarlo in maniera concreta.
In questi quattro capitoli si esamineranno, quindi, la figura di Fujimori e il decennio del
suo governo: partendo da una breve analisi storico-politica del Paese, dalla conquista
spagnola fino ai giorni nostri, prenderò in esame, nel secondo capitolo, la decade ottanta
- novanta, decade che prepara la salita al potere di questo politico fino ad allora
sconosciuto, che si presentava come un candidato nuovo, diverso dai politici e
tecnocrati tradizionali cui era abituato il popolo peruviano, per poi arrivare nei
successivi capitoli all’“epoca Fujimori”.
L’ultimo capitolo, che concluderà l’excursus storico - e la tesi - documenterà ed esporrà
passo a passo l’evoluzione dello storico processo all’ex Presidente, colpevole, come si
cercherà, e cercheremo, di provare, di aver commissionato, tra il 1990 e il 2000,
omicidi, rapimenti, violenze e torture generalizzate.
Ma un processo, si sa, è sempre lungo e difficile, e questo lo è in particolar modo:
essendo tuttora in corso, è purtroppo privo di “epilogo”. Cercheremo quindi, attraverso i
dati raccolti, di dimostrare che:
9
ξ Fujimori attuò una politica di violazione sistematica dei diritti umani che
rispondeva a una strategia di lotta contro la sovversione
ξ Fujimori era a conoscenza dell’uso che il Servizio di Intelligenza Nazionale
(SIN) faceva della struttura del Quartiere Generale dell’Esercito, conosciuto con
il nome di “Il Pentagonito”: precisamente il suo sotterraneo si convertì in un
centro di detenzione clandestino per le punizioni, le torture e le esecuzioni agli
oppositori e presunti nemici del regime dittatoriale
ξ Fujimori commise crimini di corruzione, usurpazione di potere e attentati contro
l’istituzionalità democratica.
10
CAPITOLO I
Figura 1: cartina geografica del Perù
Di tutte le nazioni ricavate dal blocco dell’impero americano della Spagna, la repubblica
del Perù è quella che è rimasta più tenacemente legata alle tradizioni iberiche.
L’indipendenza, raggiunta grazie all’intervento dell’argentino San Martín e del
venezuelano Bolívar, fu scarsamente sentita dal popolo: Lima, battezzata da Pizarro
“città dei re”, rimase una città in cui i re si sarebbero trovati a proprio agio.
Quando Simòn Bolívar sconfisse definitivamente l’esercito spagnolo e si proclamò
dittatore, l’atteggiamento del popolino trovò la sua espressione nella volgare filastrocca
di un prete irriverente:
Quando ad Ayacucho, noi
spezzammo le nostre catene con la Spagna
non fu altro che il baratto
11
di un naso sporco con una bocca bavosa.
Sì, abbiamo cambiato la nostra condizione,
siamo passati dal potere di don Ferdinando
a quello di don Simon.
13
Il mantello di viceré coloniali, luogotenenti e giudici reali cadde sulle spalle dei
proprietari terrieri, dei vescovi e dei capi politici; ma il Perù, come dice Hubert Herring
nel suo libro “Storia dell’America Latina”, è un anacronismo nel ventesimo secolo,
perché resta ostinatamente la società più feudale di tutte le Americhe. Il perspicace
educatore messicano Moisés Sáenz parla, nel suo classico “El indio peruano”, di un
incontro con un vecchio indiano e di sua figlia, su una strada della Sierra, in cui Sáenz
chiese loro “In che paese vivete?”: la loro risposta fu “Somos de don Guillermo
Pacheco” (Siamo del signor Guillermo Pacheco). “Essi sanno” scrive Sáenz “a chi
appartengono, ma non dove vivono”.
13
Citato da Jorje Basadre in Historia de la Repùblica del Perù, 2 volume, terza edizione, Lima, Editorial
Cultura Antàrtica, 1946, vol. I, p.52
12
1.1 Geografia
Il Perù moderno, una nazione dell'America meridionale (è uno dei 51 Stati membri che
nel 1945 diedero vita all’ONU ed è inoltre membro dell'AMCC, del Patto delle Ande,
dell'OAS e del Gruppo di Rio), ha un’estensione di 1.285.215 km
2
ed è il terzo Paese
del Sud America per estensione (dopo Brasile e Argentina).
Confina a nord con Ecuador e Colombia, a est con Brasile e Bolivia, a sud con Cile, a
ovest con l'oceano Pacifico.
Dal punto di vista geografico, esistono tre Perù: la costa, la Sierra e la Selva.
Il Perù costiero, una stretta striscia di terra, è un deserto spazzato dal vento, privo di
vegetazione, all’infuori di qualche oasi bagnata da più di quaranta fiumiciattoli che
scendono dai ghiacciai. La costa, che rappresenta circa l’11% del territorio nazionale, è
abitata da circa il 40% della popolazione peruviana e a essa si deve più del 50% della
produzione nazionale. Lima, una moderna città ricca di cose meravigliose, domina la
costa e la nazione.
La Sierra, chiusa dai tre bracci delle Ande, occupa circa il 26% della massa territoriale
della nazione e ospita il 52% della popolazione. I suoi tavolieri (punas) e le vallate sono
circondati da picchi innevati, nove dei quali superano i 5.700 metri: qui si trovano città
a 3.000 metri sopra il livello del mare, come Cuzco, Puno, Ayacucho, Juliaca.
In questo mondo indiano, gli indigeni lavorano nelle loro antiche terre comuni o
servono i padroni delle grandi piantagioni: è un mondo desolato, nella cui aria sottile, il
viaggiatore che vi giunge dalla costa cade facilmente preda della fastidiosa soroche, il
mal di montagna.
La Selva, giungla lussureggiante, ricca di dense foreste e di fiumi veloci che percorrono
i pendii orientali della cordigliera, rappresenta il 62% del territorio nazionale ed è
abitata da meno del 9% della popolazione complessiva.
Se qualche visitatore volesse rendersi conto del dramma dei tre Perù, dovrebbe mettersi
in viaggio un mattino da Lima, spingersi attraverso le sabbie infuocate del deserto
costiero, percorrere la bella autostrada in salita fino al passo a 5.704 metri, e scendere ad
Oroya dove le fonderie di rame coprono le montagne di vapori sulfurei, procedere
quindi per Tarma ed imboccare la strada che conduce alla vallata amazzonica: quel
percorso in discesa verso il paese di Merced, dà tutto il sapore, l’odore, la sensazione
della Selva con le sue fitte nubi di pioggia, la sua vegetazione gocciolante vapore, le sue
13
foreste di mogano e altri legni duri. Si trovano dappertutto piccoli ruscelli che si
arricchiscono d’acqua man mano che si procede nel cammino fino a formare a Merced
un fiume ruggente, il Perené, uno dei molti affluenti del Rio delle Amazzoni: il
viaggiatore avrà visto tre Perù nell’arco di una giornata.
Il Perù è suddiviso in 25 regioni, a loro volta suddivisi in 195 province composte da
1832 distretti.
1.1.1 Geografia politica
Ciò che colpisce anche il semplice visitatore é l’incredibile, forse unica al mondo,
diversità di culture che caratterizza il Perú. Anche se negli ultimi anni si é avuta molta
migrazione dalla Sierra verso la Costa, ancora, quando si va verso l’entroterra da Lima,
sembra di andare in un altro paese.
Nel Perú hanno convissuto e tuttora convivono molte culture che hanno mantenuto
intatti gran parte dei loro connotati originari. Anche se, ad esempio, la religione
cattolica portata dai conquistadores pervade l`intero paese, non é raro trovare nelle
popolazioni andine interessanti elementi di sincretismo con l’antica fede incaica (ad
esempio l`adorazione alle cime dei monti più alti - gli apu - e i sacrifici annuali alla
Madre Terra di lama e alpaca). La stessa composizione razziale della popolazione,
27.949.630
14
, ne è un indicatore interessante: quasi la metà sono amerindi, il 37%
meticci (cholos come vengono chiamati in Perù), il 15% bianchi e un 3% neri, asiatici e
altri.
I bianchi del Perù, orgogliosi del loro sangue spagnolo, posseggono la terra migliore
della costa e della Sierra, e controllano gli affari e la politica. Scarsa è stata
l’immigrazione europea, ma alcune migliaia di cittadini di discendenza tedesca e
italiana sono potenti commercianti e finanzieri. Gli svizzeri tedeschi di Lima hanno
contribuito grandemente allo sviluppo commerciale e industriale. Circa 90.000 cinesi,
importati tra il 1849 e il 1874 come forza lavoro di basso costo, si sono mescolati con la
popolazione costiera: circa 30.000 giapponesi emigrarono nel Perù dopo il 1900 e molti
vi sono rimasti.
14
http://www.sudamerica.it/portali/struttura/servizi/quaderni/quaderni_1_pagina.php?rubriche_id=200240
9&rubriche_cod_cat=101010100&rubriche_cod_cat_quad=101010100&cod_sito=001
14