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a confutare una tesi piuttosto che un’altra. Proprio
per questo ho voluto effettuare un’analisi ampia ed
esaustiva, mediante entrambi gli approcci;
dapprima ho utilizzato una metodologia qualitativa,
osservando ed analizzando il mondo dei bambini,
in seguito ho utilizzato una metodologia
quantitativa, analizzando i dati emersi dai
questionari che ho somministrato, al fine di rendere
più chiari e fruibili i risultati della ricerca.
È interessante capire come e quanto i bambini
“credano” alla pubblicità, quanto ne siano
soggiogati e quanto invece siano bravi a
manipolarne i codici. Nella prima parte della mia
tesi di ricerca, ho voluto analizzare il parere degli
esperti, di quanti parlano di bambini e hanno dei
rapporti con loro e, in base a questo, hanno delle
opinioni che contrastano o meno con quelle degli
altri di pari grado. Molte volte il giudizio dei più
piccoli viene reso attraverso l’opinione di quanti
dicono di “analizzare” i bambini e invece vogliono
leggere nei risultati solo una proiezione dei loro
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pensieri, delle loro opinioni. Di frequente proprio
per questo motivo non si hanno dei risultati certi e
attendibili, molte volte le indagini vengono
“falsate” e proprio per questo anche io ho voluto
analizzare il loro punto di vista, non in veste di
scienziato o esperto ma in quanto appassionata del
loro modo di vedere e di pensare. Invece di
attenermi a studi effettuati da persone, seppur
illustrissime, ho voluto capire quanto ci sia di vero
o meno in quello che pensano gli esperti. Questo
l’ho fatto, ovviamente, con l’umiltà di una semplice
tesi ma per vedere e capire quanto gli stereotipi si
adattano o meno ai bambini dei giorni nostri.
Creare delle tipologie, delle grandi “bolle” che
devono contenere i generi diversi è del tutto
sbagliato. Anche se i bambini tendono
all’omologazione, è bene, e soprattutto è giusto,
non creare degli allarmismi né tanto meno delle
giustificazioni che possano interessare tutti.
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È proprio una visione da “sorella maggiore”,
attenta sia ai risultati scientifici che a quelli
relazionali e psicologici, che ho utilizzato
nell’affrontare questo mio percorso tra la nuova
generazione di piccoli utenti mediatici.
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1. Crescere con la pubblicità: dalla nascita
all’aiuto della Media Education.
1.1 La crescita del bambino: dalla percezione alla
comparsa dell’intelligenza.
1.1.1 Lo sviluppo del bambino e la sua capacità di
relazionarsi con il mondo esterno.
I bambini rappresentano un mondo affascinante e
misterioso. È difficile non rimanere stupiti di fronte
ai loro progressi, alle loro capacità e alla loro
vitalità. Proprio per questo motivo diventa
fondamentale un’analisi dello sviluppo e della
crescita della mente umana fin dai primi anni di
vita, al fine di dimostrare ciò che i bambini
percepiscono e come lo percepiscono. Fin dalla
nascita i bambini posseggono tutte le caratteristiche
di esseri pensanti, ma è solo con lo sviluppo
cognitivo che entrano in possesso dei codici, i quali
permettono loro di gestire al meglio le informazioni
che provengono dal mondo esterno. La crescita è il
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“lavoro” del bambino, il suo grande impegno. Il
bambino ha la necessità di organizzare le
informazioni che cattura ovunque gli sia possibile.
Le fa sue, le sistematizza creando sistemi di
rappresentazioni che lo metteranno in grado
progressivamente di esistere e di comportarsi
socialmente. L’ approfondimento del tema
psicologico ci permetterà di capire quanto il
bambino riesce davvero a farsi influenzare dagli
agenti esterni (nel caso specifico dalla pubblicità), e
quanto siano importanti, nei primi passi verso la
socializzazione, la percezione e l’intelligenza, che
portano il bambino a diventare un essere in grado
di interagire e discriminare i vari fattori utili alla
sua crescita tanto psichica quanto sociale.
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1.1.2 La percezione.
Una confusione di suoni e di colori, il neonato
inizia la sua vita.
La percezione consiste nell’assegnare un
significato agli stimoli provenienti dagli organi di
senso e nell’attribuire ad essi proprietà fisiche:
nitidezza ad un’ immagine, grandezza ad un
oggetto, chiarezza ad un suono.
La percezione è il passo successivo
all’acquisizione: dopo che gli occhi hanno
convertito gli stimoli luminosi in informazioni
neurali, il nostro cervello deve codificare queste
informazioni per ricostruire internamente
l’immagine che gli occhi hanno acquisito e
interpretarla al fine di estrarne rappresentazioni
utili del mondo che ci circonda.
Infatti noi non vediamo “gradazioni di luce” o un
insieme di linee curve o rette ma vediamo facce,
persone, oggetti, scritte, paesaggi.
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Figura 1
Nella retina si forma quindi un’immagine capovolta
ma, sin dalla nostra infanzia, il cervello impara a
capovolgere questa immagine per interpretarla
correttamente. Tra l’altro questa immagine è una
rappresentazione bidimensionale di un’immagine
del mondo che ci circonda che invece è
tridimensionale. L’interpretazione del mondo
quindi è una traslazione, una trasposizione sotto
un’altra forma della realtà: il cervello aggiunge,
sottrae, riorganizza e codifica le informazioni
sensoriali che gli arrivano per fornire un’
interpretazione il più possibile esatta del mondo
esterno.
Alcuni autori definiscono la percezione come quel
processo mediante il quale l’essere vivente, grazie
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alle capacità discriminatorie dei suoi organi di
senso e all’elaborazione superiore o cognitiva del
percepito, trova informazioni sul mondo che lo
circonda. Tra le tante scuole o correnti di
psicologia, la Gestalt pone, sin dall’origine, in
primo piano, il nesso soggetto - oggetto, relazione
che viene indagata nell’ atto psichico più
complesso, ossia la percezione. Infatti, con la
Gestalt vengono individuate e rintracciate delle
strutture, sia nel mondo fisico sia nel mondo
mentale, e tra questi due domini si cerca di
rintracciare la condizione generale che rende
possibile una loro interpretazione omogenea. Tale
condizione viene individuata nel postulato
dell’isomorfismo, ossia in una corrispondenza di
forme o strutture tra mondo fisico e mondo
psichico, tra sfera fisiologica e sfera mentale,
secondo un modello esplicativo di tipo analogico.
Questa visione viene espressa dai gestalisti,
soprattutto attraverso due leggi psicologiche
fondamentali: la legge della formazione non
additiva della totalità e la legge della pregnanza.
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Queste due leggi dicono che il Tutto si comprende
solo a condizione che venga abbandonato
l’atteggiamento di considerarlo come la risultante
di una somma, per progressive aggiunte ad
elementi primitivi, già esistenti e/o pre-esistenti.
Questi cessano di essere considerati addendi, ma
diventano fattori che cadono sotto il carattere
dell’appartenenza al Tutto. Così, gli elementi che
entrano nella sensazione non posseggono solo una
funzione strutturata, ma anche strutturante, in
quanto ne costituiscono il materiale e, nel
contempo, concorrono a determinare la struttura o
configurazione generale. Alla luce di questo,
possiamo dire che l’atto stesso del percepire è una
ricostruzione interna del mondo che ci circonda,
ossia la percezione è un’approssimazione del
mondo. Alcuni sperimentatori del cosiddetto “New
Look” hanno dimostrato, in alcuni esperimenti, che
l’individuo chiamato a dover descrivere gli stimoli
somministrati in condizioni particolari come:
tempo di stimolo limitato, illuminazione
crepuscolare, forme di oggetti debolmente
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strutturati, davano comunque una descrizione
personale e non reale dello stimolo percepito. La
qualità delle risposte, si è visto, era comunque, o
poteva essere, condizionata dai bisogni organici del
soggetto e dal valore individuale che veniva
attribuito agli oggetti percepiti. Alcuni esperimenti
comprovano l’importanza, nella descrizione delle
caratteristiche dell’oggetto, del valore affettivo
attribuito allo stimolo. Infatti, quando si parla di
espressività degli oggetti percepiti, come scrive
Metzger (1966), l’individuo cerca, o meglio coglie
una serie svariata di qualità, che possono essere
così classificate:
¾ Qualità sensoriali o semplici. Sono presenti
anche se riduciamo lo stimolo ad un’area
puntiforme, e sono specifiche per un preciso
organo di senso. Esempi: le tonalità
cromatiche, il caldo, il freddo, l’amaro, il
dolce, ecc.
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¾ Qualità globali o formali. Sono estese a
tutta la configurazione nel suo insieme e
sono tali da emergere solo dall’esame del
tutto, non di piccole parti; non è possibile,
cioè, risalire ad esse da un esame di
particolari eventi. Esse si colgono
immediatamente da un’ispezione globale,
estesa a tutto l’oggetto con un
atteggiamento non analitico, ma globale. Le
qualità globali a loro volta comprendono:
ξ qualità strutturali: caratterizzano appunto la
forma e il disegno architettonico
dell’oggetto. Tali sono le qualità cui fanno
riferimento gli aggettivi rettilineo, rotondo,
aperto, snello, tozzo, simmetrico. Sono
qualità che si possono cogliere con
immediatezza nelle configurazioni visive,
nei ritmi, nelle melodie;
ξ qualità costitutive: si riferiscono agli
aggettivi liscio, ruvido, molle, lucido,
trasparente, torbido, rauco;
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ξ qualità espressive: sono quelle cui si
riferiscono aggettivi come allegro, triste,
aggressivo, frettoloso, solenne, virile,
amichevole. Anche queste sono qualità che
emergono con immediatezza e spontaneità
nell’esame degli oggetti.
Una stessa qualità espressiva, come la calorosità,
può manifestarsi oltre che in qualità semplici (ad
esempio, nella sensazione termica di caldo, o nel
colore giallo rossastro), anche in determinate
strutture: ad esempio, nelle forme spaziali di certi
tipi di barocco, oppure nella struttura
comportamentale della tenerezza umana. Vi è
dunque una coincidenza espressiva fra determinate
forme e qualità semplici, nel medesimo o anche in
diversi ambiti sensoriali. Come afferma Kohler
(1935), per lungo tempo si è ritenuto che le qualità
dei diversi sensi non avessero nulla in comune,
eppure molti fatti contraddicono questa concezione.
Chiarezza ed oscurità sono attributi comuni
all’esperienza visiva ed a quella uditiva. Un
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aggettivo come dolce si può usare non solo per un
cibo che assaggiamo, ma anche per il suono di una
voce.
L’espressività è quindi una qualità globale; la
percezione delle emozioni è un caso particolare
della espressività.
La teoria della Gestalt
La teoria gestaltista non nega ogni importanza
all’esperienza, alla familiarità, alla memoria,
perché questi sono fattori di campo. Si spiega così
perché il comportamento di una persona è tanto più
espressivo, quanto più la persona stessa è
conosciuta. Ma imparare a cogliere le espressioni
non significa associazione su base empatica;
significa piuttosto affinamento delle capacità
discriminative.