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Un esempio di questo stato di cose è generato dal dibattito sull’uso del velo per le donne
islamiche: se nell’epoca di al-Andalus il velo hijab veniva usato come ornamento per le
nobili di classe sociale alta, oggi è spesso visto come indumento improprio per una società
occidentale e laica come la Spagna contemporanea. Così si produce il paradosso di una
società che si considera aperta alla diversità, ma che fa fatica ad accettare certe usanze. Ho
anche analizzato in breve la situazione legislativa che è stata creata dopo la dittatura
franchista (1939-1975), che dovrebbe promuovere l’identità islamica al pari di quella
cristiana.
In questo viaggio tra passato e presente, ho dato risalto alla figura della donna in relazione
al suo particolare rapporto con la cultura e religione islamica. Per fare questo, ho dedicato i
capitoli centrali del manoscritto alle donne andalusí, con particolare riferimento
all’istituzione matrimoniale e ai lavori che praticavano fuori e dentro l’ambiente
domestico.
Infine, il primo capitolo è totalmente incentrato sulla storia e cultura andalusí. Mi è parso
fondamentale dedicare varie pagine a questo argomento, che rappresenta l’essenza storica
della presenza islamica in Spagna, soffermandomi anche sui canoni religiosi musulmani
che tanto hanno influenzato la società e le donne di al-Andalus e che tutt’ora costituiscono
la base irrinunciabile degli stili di vita dei musulmani spagnoli e degli immigrati
magrebini.
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CAPITOLO I: INQUADRAMENTO GENERALE STORICO-CULTURALE
DELLA SOCIETA’ ANDALUSÍ
1.1 La storia di al-Andalus (711dc-1492dc)
Il periodo storico preso in considerazione nell’esposizione dello stile di vita andalusí è
molto amplio e racchiude circa otto secoli di confronto tra due culture tanto diverse quanto
simili. È la storia della più importante presenza islamica europea che generò un fecondo
incontro fra due mondi diversi, uniti in uno spazio geografico chiamato penisola iberica, un
territorio particolarmente soggetto all’influsso dello straniero sin dall’antichità.
Le ricchezze minerarie ed agricole del suolo iberico attirarono i Celti nel I millennio a.C., i
quali occuparono le regioni a nord, comprendenti l’odierna Galizia, le Asturie, la
Cantabria, i Paesi Baschi, la parte settentrionale della Castiglia e buona parte del
Portogallo. La costa peninsulare orientale venne invece occupata prima dai Fenici, già nel
X secolo a.c. poi dai Greci, che le dettero il nome di Iberia. Si crearono così due culture: la
civiltà celtica al nord e quella iberica al sud. Trasformatasi in provincia romana nel II
secolo a.c., la penisola iberica fu assimilata dai Romani, con l’imposizione del latino e del
Cristianesimo, religione ufficiale dell’Impero nei periodi precedenti il IV secolo d.c.
Con lo smembramento dell’Impero Romano, le popolazioni germaniche note come svevi,
vandali e visigoti invasero in successione la penisola; questi ultimi vi si stabilirono nel V
secolo d.c. e vi rimasero fino all’arrivo dei saraceni (Padial Sánchez 2006: web).
Con il nome al-Andalus si suole designare quella vasta porzione di terra che rimase sotto il
potere politico islamico dal 711 sino al 1492, anno in cui l’ultimo regno arabo di Granada
fu riconquistato dai cristiani.
Rigettata l’idea che il termine possa derivare da Vandalusia (Lo Jacono 2003: 116), gli
studi più autorevoli hanno da tempo dimostrato come al-Andalus derivi dall'espressione in
lingua gota Landahlauts, che significa feudi o lotti terrieri attribuiti ai nobili visigoti. Gli
Arabi apposero semplicemente il loro articolo determinativo “al” a tale parola, originando
l'aggettivo al-Landahlautsiyya. L’espressione originaria araba era dunque bilad al-
landahlautsiyya, paese dei feudi gotici, che si semplificò in bilad al-andalusiyya dal quale
ebbe origine il toponimo “al-Andalus” (Halm 1989: web).
L’islamologo Albert Hourani (1992) ci ha fornito un’interessante descrizione del territorio
di al-Andalus:
7
Per certi aspetti era simile alla Siria, essa constava di piccole regioni […]. Il centro della
penisola era un esteso altopiano circondato […] da catene montuose. Da qui si dipartivano un
certo numero di corsi d’acqua […]: l’Ebro sfocia nel Mediterraneo a nord, il Tago nell’Atlantico
[…] ed il Guadalquivir sempre nell’Atlantico ma più a sud. […] Si trovano la zona montuosa
della Catalogna a nord, e zone pianeggianti al sud. Variazioni nel clima e nelle precipitazioni
danno luogo a differenze nella natura e nel suolo. […] Nel clima caldo delle valli dei fiumi e
delle pianure costiere, si producevano agrumi ed altri frutti. Era qui, in aree ricche […] con
possibilità di trasporti fluviali, che si trovavano le grandi città: Cordova e Siviglia (Hourani
1992: 97).
Questa regione così prospera, comprendente parte dell’odierna Spagna e dell’attuale
Portogallo, è conosciuta con molteplici epiteti. Molti studiosi come Maria Maddalena
Colasuonno (2007: web) preferiscono parlare di Spagna musulmana, nonostante sia un
termine dalla connotazione alquanto anacronistica, dato che in epoca medievale esistevano
solo regni cristiani come Castiglia e Navarra, e non un entità nazionale spagnola, e
fuorviante, poiché esclude buona parte del Portogallo. Altri, come Manuel Ladero
Quaesada (2007: web), sono più propensi all’utilizzo di aggettivi che tendono a
sottolineare il carattere ambivalente di questa società “ispano-araba”, “arabico-andalusa”,
“ispano-musulana”. Si tende oggigiorno a privilegiare il termine al-Andalus perché era il
modo con cui gli abitanti di queste terre designavano loro stessi.
Anche se i limiti temporali appaiono piuttosto netti, bisogna ricordare che questo dominio
islamico non fu uniforme. Alcune regioni furono assoggettate al controllo islamico per tutti
gli otto secoli, come ad esempio il regno di Granada; altre zone come quelle settentrionali
furono interessate da questo fenomeno solo marginalmente. Il retaggio cristiano persistette
nella penisola e riprese piede nel XII secolo, togliendo grandi fette di territorio al dominio
islamico. Accadeva di frequente che varie culture si trovassero a convivere nella medesima
porzione di terreno.
I cosiddetti mudéjares erano comunità musulmane non convertite che vivevano sotto il
dominio cristiano nel periodo della Reconquista, i moriscos
2
comprendevano convertiti,
alcuni dei quali solo in apparenza, alla fede cristiana, che rimasero in territorio iberico fino
alla loro definitiva cacciata nel XVII secolo. La maggior parte dei muladíes era costituita
da coloro i quali si convertirono per convenienza all’Islam, in quanto non pagavano i
tributi, o erano discendenti da matrimoni misti. Infine i mozarabi, discendevano ispano-
2
Morisco (piccolo moro) era un vocabolo sprezzante e svilente, a volte tinto di un senso di pietà, riservato a
questi convertiti (Wheatcroft 2004: 146).
8
romani o visigoti che, pur vivendo tra i musulmani, conservarono la loro fede, anche se
assimilarono la lingua e la cultura araba (Daniel 1979: 130). Così, la popolazione di al-
Andalus nel IX secolo, era composta da quattro elementi principali: i conquistatori
musulmani nella duplice componete arabo/berbera, i mozarabi cristiani arabizzati, e gli
ebrei (Wheatcroft 2004: 82).
La prolungata coesistenza in un’unica regione di popoli e culture diverse portarono ad una
reciproca influenza, sebbene gli elementi arabi fossero preponderanti. Etnicamente al-
Andalus si presentava come un mosaico di etnie:
La población fue muy heterogénea. La religión actuó como el principal elemento
diferenciador entre musulmanes, cristianos y judíos. Había también diferencias étnicas entre los
musulmanes, que se encontraban formados por distintos grupos tales como árabes, beréberes,
sirios, yemeníes, hispanos, negros del Sudán y eslavos. Los conquistadores musulmanes de la
Hispania visigoda fueron aproximadamente unos 100.000 árabes, sirios, yemeníes, y sobre todo,
beréberes del norte de África. La población hispanovisigoda era algo mayor de cuatro millones
(Cardillo 2002: web).
Dopo queste premesse, è innegabile notare come questa società abbia avuto connotazioni
originali rispetto al resto dell’Europa cristiana, una società non feudale, vicina
geograficamente ed ideologicamente ai paesi del Maghreb (Tunisia, Algeria e Marocco),
nella quale convivevano con tolleranza
3
, culture e religioni diverse.
Agli inizi del VIII secolo, il regno visigoto, con capitale Toledo, il cui trono non era
ereditario ma elettivo, si era trasformato in un caos politico e sociale con un
impoverimento generale accresciuto dalle frequenti siccità, dalla rivalità tra i nobili e il
conseguente discredito dei monarchi.
Diversi fattori favorirono l’arrivo di una nuova civiltà che in appena otto decenni aveva
conquistato tutto il bacino sud del Mediterraneo. Agli occhi delle popolazioni iberiche,
l’Islam si presentò come una civiltà compatta, che aveva rigettato il paganesimo del mondo
antico, dotata di un cospicuo potere militare, fornita d’impostazioni sociali avanzate,
rispettosa dei costumi tradizionali e delle pratiche religiose altrui. Il nord cristiano era
3
È necessario ricordare che la “tolleranza” è un’idea relativamente recente ed estranea nella sua forma
moderna agli andalusí ed a qualsiasi altra collettività precedente alla Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo (Marín 2001: 57). Ciò nonostante, il sentimento di apertura nei confronti di altre culture e religioni
scandalizzò i musulmani di altri paesi, i giuristi e gli uomini di religione (Caretto/ Lo Jacono/ Ventura/
Gabrieli 1983: 38).
9
soggetto al declino generale che caratterizzava il mondo romano in Occidente, mentre il
sud islamico era in piena fioritura, grazie al rinnovamento generale apportato dalla civiltà
araba. Non c’è da stupirsi, quindi, che il ridotto contingente di truppe arabe e berbere fosse
accolto come liberatore e che in pochi anni la popolazione locale avesse assimilato questa
nuova civiltà accettandone i suoi contenuti.
Nell’anno 710 il Governatore del Nord d’Africa inviò l’ufficiale Tarif con un gruppo di
ricognizione, occupando con successo il promontorio sud della Penisola che ricevette il
nome con il quale si conosce oggi la città di Tarifa. Il governatore, quindi, organizzò un
esercito di circa 12.000 uomini al comando del suo luogotenente Tariq. Egli, partendo da
Tangeri nel 711, attraversò lo stretto e sbarcò in una roccaforte che d’allora si chiamò
Yabal Tariq, la montagna di Tariq, Gibilterra (Lo Jacono 2003: 115).
In letteratura si trovano descrizioni assai colorite di questa venuta dello straniero, come
sottolinea Muñoz Molina (1996):
Soldati in fuga e viaggiatori casuali erano venuti in città narrando storie esagerate dalla
paura, descrivendo con terrore quei guerrieri dalla pelle scura e dagli strani indumenti e armi
che erano sbarcati in Aprile presso la nuda rocca di Gibilterra […]. I mori dell’esercito tutti
vestiti di seta e panni d’ogni colore […] i loro volti neri come la pece, il più bello di loro era
nero come il carbone […]; tra loro pochissimi erano arabi. La maggior parte erano nomadi
berberi, convertiti da non molto all’Islam e animati dalla speranza del bottino e dalla certezza di
guadagnarsi il Paradiso se morivano nella guerra santa (Muñoz Molina 1996: 23, 24).
Nonostante queste iperboli letterarie, è probabile che nelle città appena conquistate
nessuno provasse realmente questi sentimenti di terrore, anzi sono noti i trattati alquanto
pacifici stipulati da Abd al-Aziz
4
, figlio di Musa Ibn Nusair, capo degli invasori, e dal
principe visigoto Tudmir, signore di Murcia. Come ci ricorda Muñoz Molina (1996):
È vero, come dicono le cronache cristiane, che il mondo veniva scosso dalle fondamenta,
ma può darsi che pochissimi lo notassero o che non gli importasse (Muñoz Molina 1996: 26).
Anche se la conquista fu relativamente facile, è possibile affermare che, nei primi tempi,
non ci fu un netto assorbimento della cultura autoctona, poiché l’islamizzazione del
4
Abd al-Aziz è ricordato per aver contratto il primo matrimonio misto tra un musulmano ed una cristiana, in
quanto sposò Egilona, vedova di Don Rodrigo, ultimo re visigoto. La sua tragica fine (fu ucciso a Siviglia,
mentre pregava), fu decretata dai suoi tentativi di conciliare vincitori e vinti. Opere letterarie sono state scritte
su questo episodio (Caretto/ Lo Jacono/ Ventura/ Gabrieli 1983: 44).
10
territorio iberico interessò maggiormente le grandi città e solo marginalmente le zone di
campagna
5
. Questo processo di conquista non consistette soltanto nella conversione del
popolo iberico ad un nuovo culto religioso con le sue conseguenti norme di
comportamento; fu anche un evento che impose un controllo ideologico ed economico su
gran parte della penisola iberica (Marín 2000: 119). Per quasi mezzo secolo, gli arabi
furono impegnati a fornire al paese nuove strutture di governo; ciò rappresentò un
elemento di grande novità, che, però non si realizzò in maniera immediata ed uniforme.
Era necessario ridimensionare le ultime resistenze nemiche, in particolare quelle dei
visigoti, che si erano rifugiati nelle Asturie insieme ad altri spiriti indipendentisti.
È noto che sin dai primissimi anni della conquista, mentre ancora erano in corso le
incursioni musulmane in Francia, un primo nucleo di resistenza cristiana si formò nelle
Asturie con la partecipazione di esponenti dell'aristocrazia visigota, probabilmente su
iniziativa delle popolazioni locali, profondamente romanizzate e cristianizzate. I problemi
persistettero anche all’interno della comunità araba, col riprodursi in suolo andalusí dei
contrasti tribali tra qaisiti, kalbiti e berberi
6
(Wheatcroft 2004: 79,80). Tutto ciò era indice
di fragilità e si sommava al fatto che la fede islamica non sarebbe mai stata l’unica
religione del paese. Questa religione dovette coesistere con i seguaci di cristianesimo ed
ebraismo “ai quali fu concesso lo status di dhimmi
7
”( Caretto/ Lo Jacono/ Ventura/ Gabrieli
1982: 38).
Molto è stato scritto e teorizzato sul fatto che il territorio iberico fosse una penisola felice,
nella quale convivevano pacificamente tutte le genti del libro, vale a dire i seguaci di
religioni rivelate attraverso un testo sacro. Manuela Marín (2001) rievoca questo “mito di
al-Andalus”:
come luogo immaginario del recupero dell’essenza ispanica mascherata da un velo di
arabismo […], come società della tolleranza e della convivenza, nella quale fioriscono le “tre
culture” in un ambiente di mutua comprensione, che fu soppressa violentemente dai
conquistatori cristiani. […] “L’arte di vivere” andalusì ha plasmato, in questo secondo livello
del mito, uno spazio di delicati piaceri sensuali, […] il gusto per i profumi, i giardini, la buona
cucina, la musica e le belle donne (Marín 2001: 54, 55, 56)
5
Molte zone di campagna non erano soggette al controllo delle autorità urbane (Marín 2000: 120).
6
Etnicamente i berberi costituirono la maggior presenza islamica in territorio iberico; essi si erano convertiti
all’Islam nel periodo precedente la conquista del regno visigoto (Daniel 1979: 24).
7
Dhimma, secondo la legge musulmana è ogni israelita, cristiano, zorastriano o sabeo cui è di norma
concesso di vivere la propria fede religiosa in un paese governato secondo i principi dell’Islam (Caretto/ Lo
Jacono/ Ventura/ Gabrieli 1982: 38).
11
Se ciò è parzialmente vero, non dobbiamo dimenticarci dei travagliati scontri armati tra
cristiani e musulmani nelle terre di nessuno, o del guerriero chiamato Santiago Matamoros,
miracoloso evangelizzatore cristiano della Spagna pagana che si contrapponeva all’eretico
Maometto (Caretto/ Lo Jacono/ Ventura/ Gabrieli 1983: 39) o del movimento dei “martiri
di Cordova”, i quali, approdarono all’estremo gesto del suicidio come dimostrazione di
appartenenza all’identità culturale cristiana, rigettando quindi l’identità musulmana. Come
ci ricorda Daniel (1979), questo movimento nacque nella Córdoba del IX secolo e si
ispirava al supremo ideale dell’ascetismo cristiano, una forma di ribellione nata:
dall’odio tipico che una minoranza ha per coloro da cui si sente costretta e soffocata,
dall’ostilità di chi appartiene ad una cultura per chi appartiene ad un’altra tradizione e, infine
dell’astio di chi ha una certa lingua per chi ne adopera un’altra […]. I martiri di Cordova
agirono in una situazione in cui sentirono il bisogno di esplicitare una chiara identità comune a
conferma delle proprie certezze religiose. Taluni […] dovettero identificarsi con la comunità
cristiana attraverso atti inequivocabili (come il martirio) proprio perché personalmente si
trovarono in posizione equivoca. Altri, […] che già appartenevano alla minoranza cristiana in
toto, sentirono il bisogno di asserire ugualmente l’identità del gruppo sociale cristiano contro la
dominante comunità musulmana (Daniel 1979: 49, 71).
Questa ansia di martirio e la conseguente corsa alle delizie paradisiache fu repressa
duramente dalle autorità, grazie all’esecuzione, negli anni tra l’851 e l’858, del prete
Eulogio, ispiratore principale di questi eventi (Caretto/ Lo Jacono/ Ventura/ Gabrieli 1983:
41).
Per quanto riguarda lo stile di vita dei non musulmani, dobbiamo ricordare che esistevano
non poche limitazioni sociali per i suddetti. Maometto aveva stabilito di consentire alle
genti del libro di conservare la loro religione, purché pagassero imposte di carattere
personale e fondiario (Lapidus 1993: 49). La tassazione segnava così una prima, grande
differenza, attraverso una diversa condizione economica, detta appunto Jizya
8
. I giuristi
l’hanno definita come una sorta di compensazione per l’esclusione di queste persone dalla
comunità islamica ed, in particolare, per la loro assenza dalla vita militare.
8
Secondo l’interpretazione normale la jizya non era solo una tassa, ma anche una simbolica espressione di
subordinazione. La sottomissione e il tributo all’autorità islamica permisero alle minoranze d’invocare lo
status di “persone protette” (Lewis 1991: 32).