rappresenta uno dei principi fondamentali della Comunità, ma al tempo
stesso uno degli strumenti più efficaci per mantenere e consolidare
l’assetto unitario del mercato. Il ruolo che, in tal modo, è assegnato alla
concorrenza “è quello di un processo regolatore dell’attività economica,
derivante dalle preferenze e dalle scelte espresse sui mercati, attraverso le
singole decisioni dei produttori e dei consumatori
3
”. Alla base della
politica di concorrenza vi è l’idea che l’economia di mercato offra la
garanzia migliore per accrescere il tenore di vita dei cittadini nella UE. Il
regolare funzionamento dei mercati è condizione imprescindibile sia per
fornire ai consumatori i prodotti, a prezzi contenuti, che desiderano, sia
per accrescere la competitività dell’economia europea, in quanto consente
di creare un contesto in cui le imprese efficienti ed innovative vengano
debitamente ricompensate. Quando il processo competitivo si svolge in
maniera soddisfacente ad esso incombe una triplice funzione a favore
dello sviluppo armonioso delle attività economiche della Comunità:
1. una funzione di allocazione delle risorse, in quanto permette una
migliore utilizzazione dei fattori disponibili per raggiungere una
maggior efficienza economica delle imprese ed un più elevato
grado di soddisfazione dei bisogni del consumatore;
3
Commissione Europea, XIV Relazione sulla politica di concorrenza, Rel. Concl. 1983, Bruxelles –
Lussemburgo, 1984.
II
2. una funzione di incitamento, in quanto spinge le imprese a
migliorare i rispettivi risultati;
3. una funzione di innovazione, in quanto favorisce l’introduzione di
nuovi prodotti sui mercati e la messa a punto di nuovi processi di
produzione e commercializzazione. Infatti, la concorrenza obbliga
all’innovazione costante le imprese comunitarie che non potendo
concorrere, per gli alti costi europei della mano d’opera, in
produzioni a basso prezzo, sono costrette ad indirizzarsi verso
produzioni ad elevata tecnologia.
È evidente che quanto detto produce un progresso dell’intero settore
industriale, il che arreca, di conseguenza, grandi vantaggi per i
consumatori, che, in definitiva, sono i naturali beneficiari della
concorrenza. Obiettivo della politica di concorrenza è di consentire,
quindi, al processo competitivo di produrre i propri effetti benefici,
concorrendo in tal modo alla realizzazione del mercato comune, che si
delinea come interesse primario della Comunità. Il Trattato CE sottolinea,
come sia fondamentale all’interno della Comunità la tutela della libertà di
concorrenza per la realizzazione del fine economico e sociale, allo scopo
di integrare i mercati nazionali in uno spazio comune senza frontiere
interne, contraddistinto dalla libera circolazione delle merci e dei fattori di
III
produzione, in cui deve essere garantita l’efficienza economica. Per il
raggiungimento di tale obiettivo è assolutamente necessario che le
imprese si trovino a competere in condizioni il più possibili omogenee. In
sintesi, scopo della politica di concorrenza è di stimolare il rafforzamento
della competitività dell’industria europea, attraverso l’incoraggiamento
dell’innovazione, la riduzione dei costi, il miglioramento della qualità,
l’accrescimento dell’efficienza, creando le condizioni per un buon
funzionamento dei mercati, senza tuttavia trascurare le peculiarità di
regioni europee particolarmente svantaggiate o interventi di carattere
settoriale. Le azioni attraverso cui tale politica è resa operativa
comprendono la repressione degli accordi restrittivi della concorrenza e
degli abusi di posizione dominante, il controllo delle concentrazioni tra
imprese, la liberalizzazione dei settori economici caratterizzati da
monopolio ed il controllo degli aiuti di Stato.
Gli aiuti di Stato rappresentano lo strumento attraverso cui si cerca di
indirizzare le decisioni degli imprenditori, per favorire obiettivi ritenuti
strategici dalle autorità pubbliche. Mediante gli aiuti gli Stati tentano, a
volte, di attuare una politica di sostegno all’occupazione, nella necessità
di rilanciare l’economia, incoraggiare gli investimenti, ovvero interventi a
finalità sociale. Pertanto tale strumento è volto a correggere le inefficienze
IV
di mercato all’interno dei singoli Stati, il che può provocare conseguenze
indesiderate tanto a livello nazionale quanto sul piano comunitario, poiché
può generare effetti distorsivi sulla concorrenza producendo, da un punto
di vista economico, una scorretta allocazione delle risorse. In molti casi,
infatti, l’erogazione di aiuti di Stato, potrebbe ridurre il benessere
economico, in quanto fornisce vantaggi selettivi ingiustificati ad alcune
imprese, impedendo alle forze di mercato di premiare le imprese più
competitive ovvero ritardandone l’azione in tal senso, e riducendo quindi
la competitività europea nel suo complesso. Anche a livello politico gli
aiuti di Stato hanno rischiato di avere effetti negativi, quando, dopo la
ratifica del Trattato di Roma, essi potevano essere utilizzati dagli Stati
membri al posto dei dazi doganali, non più possibili, all’interno della
Comunità, come strumento di protezionismo economico volto a mettere in
una situazione di vantaggio le imprese nazionali rispetto a quelle presenti
in altri Stati membri. Occorre inoltre evidenziare come gli aiuti di Stato
hanno un costo e che non costituiscono una soluzione miracolosa che
consenta di risolvere all’istante tutti i problemi all’interno dei singoli
Stati. In fin dei conti, sono i contribuenti ed i consumatori a pagare per gli
aiuti di Stato e non vanno dimenticati i relativi costi di opportunità. A ciò
si aggiunge la considerazione che la concessione di aiuti alle imprese
V
significa minori finanziamenti per altri settori di intervento. Infatti, le
risorse statali sono limitate e tuttavia necessarie per molti compiti
essenziali, come l’istruzione, la sanità, la sicurezza nazionale. È evidente
come gli aiuti di Stato possano provocare delle gravi distorsioni della
concorrenza, in quanto discriminanti tra le imprese che li ricevono e
quelle che invece non ne beneficiano, divenendo, in tal modo, una
minaccia per il mercato interno. Di conseguenza, per i consumatori,
queste distorsioni della concorrenza possono tradursi in aumenti di prezzi,
prodotti di qualità inferiore, minore innovazione. Proprio la volontà di
arginare tali effetti indesiderati, prodotti dagli aiuti di Stato, ha indotto i
redattori del Trattato CE ad inserire, tra le disposizioni che riguardano la
regolamentazione della concorrenza, gli articoli 87 – 88 – 89, tesi a
realizzare una disciplina che limitasse gli effetti negativi ed al contempo
desse la possibilità, per mezzo di un sistema di deroghe, di concedere aiuti
che fossero in linea con gli obiettivi stabiliti dal Trattato CE.
Il Trattato CE, quindi, istituisce un sistema incentrato sul principio di
incompatibilità degli aiuti di Stato, salvo espresse e tassative deroghe, che
sono ammesse solo se strumentali al perseguimento dell’interesse comune
della Comunità. Tale interesse comune può definirsi come “l’interesse alla
realizzazione degli scopi dell’articolo 3 del Trattato CE, guardato alla luce
VI
dei compiti generalissimi, economici, politici e civili stabiliti dall’articolo
2
4
”. Il Trattato CE ha assegnato alla Commissione, organo esecutivo della
Comunità, il compito di controllare le misure di aiuto degli Stati membri,
sia le misure proposte che quelle già in vigore, per verificare che non
falsino la concorrenza intracomunitaria e gli scambi in misura contraria al
comune interesse. La Commissione, per giustificare il principio di
incompatibilità degli aiuti, di cui all’articolo 87 par. 1 del Trattato, così si
pronunciava già nel lontano 1982: “gli aiuti di Stato possono essere
utilizzati dalle autorità pubbliche come strumento di protezionismo, per
favorire i produttori nazionali, attribuire loro vantaggi sul piano della
concorrenza, evitare necessari adattamenti strutturali, in breve per
trasferire le difficoltà verso i concorrenti di altri Stati. Data l’importanza
degli scambi di prodotti nella Comunità, gli aiuti, per quanto vantaggiosi
possano sembrare sotto il profilo nazionale a breve termine, rischiano di
compromettere e di indebolire l’unità del mercato comune, nella cui
esistenza e sviluppo risiede la miglior garanzia per superare la
recessione. In tale situazione la vigilanza esercitata dalla Commissione
[…] assume sempre più importanza ai fini dello sviluppo della Comunità
ed in particolare del mantenimento dell’unità del mercato comune.
4
Pinotti, Gli aiuti di Stato alle imprese nel diritto comunitario della concorrenza, CEDAM, 2000, pag.
9.
VII
L’esistenza e l’applicazione di tali controlli costituiscono un freno alla
crescita di aiuti aventi effetto protezionistico […]
5
”. Infine il Trattato,
autorizza esplicitamente alcune eccezioni al divieto di aiuti di Stato,
quando le distorsioni alla concorrenza prodotte dall’aiuto sono
controbilanciate dai vantaggi che il mercato riceve nel suo insieme, cioè
quando i regimi di aiuto proposti possono avere effetti positivi al livello
della UE nel suo complesso. Il principio di tutela della libera concorrenza,
insomma, può anche essere sacrificato, in alcune ipotesi, a favore di altre
finalità considerate rispondenti agli interessi della Comunità. Infatti,
occorre ricordare che, se la libera concorrenza è uno dei principi
fondamentali della Comunità, essa non costituisce comunque un fine, ma
è uno strumento per il raggiungimento degli obiettivi enunciati
dall’articolo 2 del Trattato, tra cui spiccano l’instaurazione di un mercato
comune, “di uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività
economiche nell’insieme della Comunità” e quello “di promuovere un
elevato livello di occupazione e di protezione sociale”. La Commissione,
dunque, nella valutazione degli aiuti opera un bilanciamento tra il
principio di libera concorrenza ed altri obiettivi economici, sociali,
industriali di interesse comunitario. Se, dunque, è vero che le finalità
5
Commissione Europea, XII Relazione sulla politica di concorrenza, Rel. Concl. 1982, Bruxelles –
Lussemburgo, 1983.
VIII
perseguite dagli Stati membri, attraverso la concessione degli aiuti, sono
irrilevanti nella valutazione dell’ammissibilità degli aiuti stessi, va pur
detto che il perseguimento degli obiettivi statali potrà essere valutato
positivamente dalle istituzioni comunitarie e compatibile con il mercato
comune, qualora dette misure facciano parte di programmi la cui
attuazione coincida anche con gli interessi della Comunità. La
Commissione europea, infatti, ha utilizzato i poteri di vigilanza e sanzione
sugli aiuti, di cui all’articolo 88 del Trattato, per orientare le politiche
economiche degli Stati membri e comporre la tensione tra obiettivi
nazionali ed obiettivi comunitari. Gli aiuti, insomma, sono valutati alla
luce della “prospettiva comunitaria”. Reintrodurre tale prospettiva
nell’ambito delle politiche adottate dai Paesi membri è la finalità
principale del controllo operato dalla Commissione sugli interventi
pubblici a favore delle imprese. Ciò fa sì che gli obiettivi perseguiti dagli
Stati vengano “comunitarizzati”, si inseriscano cioè nel contesto di uno
sviluppo armonioso della Comunità contribuendo a raggiungerlo. In
definitiva, la Commissione ha riconosciuto che gli interventi degli Stati
rappresentano necessari strumenti di politica strutturale quando
l’operatività del mercato, da sola non rende possibile raggiungere obiettivi
di costante crescita per evidenti squilibri di natura economica tra le
IX
diverse regioni europee o fra certi settori produttivi. In tale contesto,
infatti, gli aiuti di Stato rappresentano strumenti che consentono di
correggere i fallimenti del mercato migliorando il funzionamento dello
stesso e rafforzando la competitività europea, anche al fine di resistere alla
concorrenza straniera.
Gli aiuti di Stato, inoltre, possono anche promuovere la coesione
sociale e regionale, lo sviluppo sostenibile, e la diversità culturale. In
definitiva, è proprio questo il motivo per cui sono state previste delle
deroghe al divieto di concessione di aiuti alle imprese, e dunque al
principio di non intervento agli scambi, perché gli aiuti in alcuni casi,
piuttosto che pregiudicare, possono talvolta contribuire allo svolgimento
dell’attività economica in condizioni di effettiva parità tra gli investitori.
Tuttavia, gli aiuti di Stato dovrebbero essere utilizzati soltanto quando
costituiscono uno strumento idoneo a conseguire un obiettivo ben
definito, quando creano gli incentivi giusti, quando sono proporzionati e
quando falsano il meno possibile la concorrenza.
Nel presente elaborato, sulla scia di quanto esaminato fino ad ora,
saranno analizzate le tematiche inerenti all’occupazione, poiché essendo
X
questioni di “interesse comune
6
”, come tali sono suscettibili di dar luogo,
in presenza di determinate condizioni, alle deroghe al principio generale
di incompatibilità degli aiuti di Stato con il Trattato CE indicate all’art.
87, par. 3. A conferma di tale assunto saranno passati in rassegna i
Regolamenti di esenzione per categoria
7
, essendo tutti motivati da
considerazioni come la creazione, la promozione o il miglioramento delle
condizioni di lavoro, ad eccezione del Regolamento c.d. de minimis
poiché analizza gli aiuti, ossia quelle misure, che per la loro esiguità, non
sono reputate idonee ad incidere in modo significativo sugli scambi e
sulla concorrenza tra gli Stati membri.
Fulcro del presente lavoro è il raffronto tra la politica comunitaria
della concorrenza e quella nazionale, al fine di verificare se esista un
rispondenza tra gli obiettivi italiani e gli obiettivi della Comunità
Europea, sopra enunciati.
In conclusione, gli artt. 87 – 89 del Trattato CE, in realtà, non
comportano un divieto assoluto di aiuti di Stato finalizzati al sostegno
dell’occupazione e alla lotta alla disoccupazione. Tuttavia, come precisato
6
Cfr. il par. 2 dell’art. 126 del Trattato CE, dove si afferma testualmente che gli Stati membri
“considerano la promozione dell’occupazione una questione di carattere comune e coordinano […] le
loro azioni a riguardo […]”.
7
Regolamenti CE n. 68/2001, 69/2001 e 70/2001 della Commissione del 12 gennaio 2001, in GUCE L
10 del 13/01/2001 e Regolamento CE n. 2204/2002 della Commissione del 12 dicembre 2002 relativo
all’applicazione degli artt. 87 e 88 del Trattato agli aiuti a favore dell’occupazione, in GUCE L 337 del
13 dicembre 2002.
XI
dalla VII Relazione sulla politica della concorrenza
8
, gli aiuti in favore
dell’occupazione non possono rappresentare un “grimaldello”
interpretativo della normativa comunitaria sulla concorrenza per
mantenere in vita produzioni non competitive o alimentare pratiche
protezionistiche a favore di determinate imprese nazionali. Questo spiega
perché proprio le disposizioni in materia di concorrenza abbiano assunto
un rilievo centrale rispetto alle politiche occupazionali nazionali
9
.
8
Commissione Europea, VII Relazione sulla politica della concorrenza, Rel. Concl. 1977, nn. 223 –
224.
9
Michele Tiraboschi, Incentivi all’occupazione, aiuti di Stato, diritto comunitario della concorrenza,
Giappichelli editore, Torino, 2002, p. 52.
XII