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Esito di queste ricerche è stata la paradossale constata-
zione di una possibile inversione dei concetti metaforici presi
in questione, al punto da creare due nuove metafore in posi-
zione speculare rispetto alle precedenti: L’UOMO COME
COMPUTER e la SOCIETÀ COME INTERNET. Un gioco semantico
non privo di conseguenze dunque, se teniamo in considera-
zione la nascita di consistenti dibattiti di natura filosofica,
scientifica e morale, che trovano le loro radici ora nel campo
d’indagine dell’Intelligenza Artificiale (IA) e della cibernetica,
ora nel campo della Vita Artificiale (ALife).
Il capitolo conclusivo della tesi sarà, infine, dedicato alla
descrizione di un progetto ipertestuale, consistente in un sito,
finalizzato ad una esplicazione visiva delle metafore citate nel
corso della dissertazione.
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Capitolo I
1 TEORIE LINGUISTICHE
1.1 METAFORA E PENSIERO:
LA LINGUISTICA COGNITIVA
Nell’ultimo quarto di secolo, gli studi della linguistica,
condotti su diversi piani, sono approdati ad un risultato con-
vergente: la dimostrazione empirica del ruolo fondamentale
del corpo umano e delle esperienze sensoriali nel ragionamen-
to e nel linguaggio, teoria chiamata embodiment, che possiamo
tradurre in italiano come “cognizione incarnata”.
Partendo da queste premesse, la teoria cognitiva rifiuta la
tradizionale dicotomia mente-corpo, in base alla quale la men-
te veniva definita incorporea (disembodied) ed astratta (vedi
Damasio, 1994:336-7). Contrariamente alle supposizioni filo-
sofiche secondo le quali mente e corpo sarebbero due entità
scisse, la ricerca sperimentale ha provato invece che “la mente
possiede una natura corporea, che il pensiero è in gran parte
inconscio, e che i concetti astratti sono principalmente metafo-
rici” (Lakoff e Johnson 1999:3, trad. propria).
La linguistica cognitiva rifiuta, inoltre, le teorie tradizio-
nali per cui i concetti e il significato delle parole sono trascen-
denti, innati ed indipendenti dal sistema concettuale dell’uomo.
Ricerche hanno rivelato, al contrario, la nostra capacità di co-
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struire concetti sulla base di prototipi, elementi che apparten-
gono a categorie aventi uno speciale statuto cognitivo.
Human concepts are not just reflections of an
external reality, but [..] are crucially shaped by
our bodies and brains, especially by our sensori-
motor system. (Lakoff and Johnson 1999:23-24).
Uno dei contributi più rilevanti in questi ultimi anni
nell’ambito di studio della cognizione
2
, cioè “la capacità di un
qualsiasi sistema, naturale o artificiale, di conoscere e di co-
municare a se stesso e agli altri ciò che conosce”, è stata la teo-
ria di George Lakoff e Mark Johnson (1980) sulla metafora,
che rientra nell’interesse delle nostre analisi.
Secondo la retorica classica, “la metafora è un traslato; un
trasferimento di significato dalla denominazione propria di un
oggetto a quella di un altro sulla base di somiglianze o analogie
esistenti o attribuite ai due” (Di Sparti, 2004: 142). La tradi-
zione filosofica ha considerato, per molti secoli, la metafora un
semplice strumento esornativo, una figura letteraria da utilizza-
re nel campo della creatività e della poesia.
Lakoff e Johnson (1980) hanno completamente modifi-
cato questa concezione comune dimostrando che la metafora
è invece uno strumento conoscitivo, parte integrante del no-
stro pensiero e delle nostre azioni; è il mezzo tramite il quale
2
Definizione di cognizione proposta dallo studioso Paolo Legrenzi e citata in “Prima
lezione di scienze cognitive”, sul sito: http://www.swif.uniba.it
9
acquistiamo consapevolezza del mondo e delle nostre espe-
rienze.
Metaphor is typically viewed as a characteristic
of language alone, a matter of words rather than
thought or action [...] that metaphor is pervasive
in everyday life, not just in language, but in
thought and action. Our ordinary conceptual
system, in terms of which we both think and act,
is fundamentally metaphorical in nature (ibid: 3)
Il passaggio della metafora -- dal semplice campo filolo-
gico a quello concettuale -- è sicuramente un’idea acutissima
che possiamo riscontrare anche in Eco e in parte anche in Ari-
stotele. Per Eco la funzione cognitiva della metafora sta nel
“far vedere, insegnare a guardare […] ciò che Aristotele ha ca-
pito è che la metafora non è belletto (kòsmos), bensì strumento
conoscitivo, chiarezza ed enigma” (cit. in Di Sparti, 2004: 142)
Il nostro sistema concettuale, la strutturazione dei nostri
concetti, è un fenomeno di cui non si ha piena consapevolez-
za, per tal motivo, un modo per esplorarlo è rivolgere
l’attenzione alle sue manifestazioni esplicite: il linguaggio. La
tradizione linguistica ci ha insegnato ad associare il pensiero al
linguaggio, ma ovviamente del sistema concettuale fanno parte
anche elementi sonori, visivi e così via. Secondo Lakoff e Jo-
hnson il tipo di sistema concettuale che noi possediamo è il
prodotto del nostro modo di essere e del nostro modo di inte-
ragire con l’ambiente fisico e culturale, cioè embodied.
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In questo processo, gli “schemi di immagine” (image sche-
mata; Johnson, 1987:29) giocano un ruolo cruciale, fornendoci
modelli dinamici e ricorrenti delle nostre interazioni percettive
col mondo esterno, che danno, a loro volta, coerenza e strut-
tura alle nostre esperienze e pensieri.
Johnson insiste sul ruolo centrale dell’immaginazione
umana in tutti gli aspetti, comprensione e ragionamento‚ “sen-
za immaginazione, egli asserisce, niente nel mondo può essere
significativo”. (ibid.:9)
Successivi studi nel campo della linguistica cognitiva e
della psicologia hanno dato prova del legame indissolubile tra
metafora ed esperienza concettuale (vedi ad esempio Sweetser,
1990; Turner, 1987). La metafora ci aiuta a concepire un do-
minio concettuale astratto in termini di uno concreto (cfr.
Gibbs, 1994). I nostri discorsi sono intessuti di metafore, mol-
to di più di quanto si possa immaginare; si utilizzano metafore
quotidianamente senza scopi poetici, ma soltanto per scopi
comunicativi. I concetti stessi hanno una struttura metaforica,
sono cioè strutturati come metafore di altri concetti che a cau-
sa della loro astrattezza o lontananza dalla nostra esperienza
risulterebbero altrimenti poco chiari a noi stessi.
Lakoff e Johnson (1980: 246) hanno elaborato così la
teoria della metafora concettuale (TMC):
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A conceptual metaphor consists of a (partial)
mapping of the basic structure of one concep-
tual domain (the source) onto another (the tar-
get).
In genere accade che un domino concreto di origine
(source domain) rimandi ad un dominio astratto di destinazione
(target domain). Definiamo le corrispondenze sistematiche tra i
due domini “mappings”. Ciascun dominio concettuale possiede
una struttura basilare di entità e relazioni ad un livello di astra-
zione. “Per esempio il domino concettuale di viaggio racchiu-
de le entità di viaggiatore, sentiero, partenza, destinazione e
così via.” (Fauconnier e Turner, 1998; trad. prop.) Le corri-
spondenze metaforiche tra i domini non sono né astratte né
arbitrarie, ma sono create dalle nostre esperienze sensoriali nel
mondo, esperienze in cui i due domini concettuali sono colle-
gati.
Consideriamo ad esempio la metafora la MENTE È UN
CONTENITORE. In questo caso, il dominio concettuale concre-
to di CONTENITORE rimanda ad un dominio più astratto, la
MENTE. Di conseguenza, pensiamo la mente come un magaz-
zino, vale a dire attribuiamo (“trasferire”, nel significato origina-
rio della parola metafora) le proprietà tipiche di un
CONTENITORE alla mente. Le idee, intese come OGGETTI pos-
sono perciò riempire il magazzino, possono essere conservate
in un luogo specifico, o perfino essere collocate erroneamente.
Si tratta nel caso in questione di una “metafora
CONTENITORE” come affermano Lakoff e Johnson (1980: 29).
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We are physical beings, bounded and set off
from the rest of the world by the surface of our
skins, and we experience the rest of the world as
outside us. Each of us is a container, with a
bounding surface and a in-out orientation.
Una prova evidente di quanto asserito ci viene offerta da
alcune espressioni linguistiche che si basano su questa metafo-
ra.
Ad esempio:
Ho un pensiero in testa.
Ha perso i sensi.
Hai una buona idea! traducila in parole.
La teoria tradizionale della metafora presupponeva un
rapporto di somiglianza preesistente tra i due termini, mentre
la TMC, ritiene che non sempre devono esistere delle relazioni
di similitudine. A motivare la creazione e l’uso di una metafora
sono infatti le correlazioni riscontrate nell’esperienza comune.
Una metafora può essere motivata dall’esperienza. Quan-
do siamo arrabbiati, ad esempio, il flusso sanguigno è maggio-
re, e percepiamo un aumento della temperatura corporea. Ba-
sata su questa esperienza biologica, è la metafora LA RABBIA È
UN FLUIDO CALDO. Da qui le frasi: “gli bolle il sangue nelle ve-
ne”, “mentre litigavano il suo volto si infiammava, ecc.
Inoltre non tutta la struttura di un dominio viene traspo-
sta all’altro dominio ed è importante notare come non tutti gli
elementi del source vengono corrisposte nel target (cosiddetto
principio di invarianza, vedi Lakoff, 1980).
13
Tuttavia è stato dimostrato che questo metodo standard
di spiegare la metafora non è esaustivo per risolvere mappings
di metafore complesse.
1.2 LA TEORIA DEL “BLENDING”
Un passo avanti è stato fatto per quanto riguarda la teoria
della metafora nel 1994, grazie agli studi di Fauconnier e Tur-
ner, i quali hanno sviluppato la teoria nota col nome di “reti di
integrazioni concettuali”. L’integrazione concettuale, o sempli-
cemente “blending”, è una spiegazione delle operazioni cogni-
tive di mapping e proiezione particolarmente adatta a chiarire
metafore complesse, come quelle in cui è richiesta una proie-
zione da diversi domini di input verso un dominio target, ov-
vero quelle immagini visive che richiedono l’integrazione di
numerose metafore e metonimie. La teoria dell’integrazione
concettuale differisce dalla teoria della metafora concettuale
per il semplice fatto che non opera soltanto su domini concet-
tuali, ma anche su strutture cognitive di livello superiore chia-
mate “spazi mentali”. “Gli spazi mentali sono piccoli pacchetti
concettuali costruiti mentre pensiamo o parliamo, allo scopo
di comprendere o agire in contesto specifico.” (Fauconnier,
1994; trad. propria). Essi non sono equivalenti ai domini con-
cettuali, ma piuttosto dipendono da essi: gli spazi rappresenta-
no particolari scenari costruiti da domini precisi. I domini
concettuali e gli schemi di immagine sono strutture più pro-
fonde di memoria a lungo termine, apprese dalle esperienze
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infantili, mentre gli spazi mentali sono più flessibili proprio
perché possono essere modificati come il pensiero e il discor-
so. In breve possiamo dire che “uno spazio mentale è un co-
strutto a breve termine informato da strutture di conoscenza
più generiche associate ad un particolare dominio”.(Grady,
Oakley, Coulson, 1998. trad. propria).
Fauconnier e Turner (1994) propongono un modello di
creatività metaforica non più basata su due domini concettuali,
bensì un minimo di quattro spazi mentali. Gli elementi e i rap-
porti presenti nei due spazi input (associati al source e al target
della TMC)si proiettano su un terzo spazio generico (generic
space), il quale contiene una struttura scheletrica, o appunto
generica condivisa dai due input. Questi vengono poi proietta-
ti in un altro spazio, lo spazio del blend, dove gli elementi e i
rapporti vengono completati, combinati, ed elaborati, e da cui
poi emergono nuove strutture e idee. Consideriamo, l’ esem-
pio citato in “blending and Metaphor”( Grady, Oakley, Coul-
son, 1998), la nota metafora: “QUEL MEDICO È UN
MACELLAIO”, intesa come una affermazione offensiva nei con-
fronti di un lavoratore incompetente. Inizialmente si ravvisano
soltanto due domini, CHIRURGO e MACELLAIO, con una proie-
zione diretta dal source al target, guidata da una serie di corre-
lazioni omologhe ben stabilite: “il macellaio” rimanda (maps on-
to) al “medico”; “l’animale” (mucca) rimanda all’“essere uma-
no”; “la mannaia”rimanda al “bisturi”; il “mattatoio”rimanda
alla “sala operatoria”, “affettare la carne” rimanda all’incisione
sulla pelle umana”.