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certezza che si basino solo su principi meritocratici, ma possono essere dettati da fonti
d’errore specifico nella situazione di conoscenza, percezione e comprensione dell’altro,
collegando il momento di ricezione, registrazione e rilevazione dei dati a quello di presa
di decisione e valutazione degli stessi: comportamenti erronei di fondo e trasversali, che
potrebbero permeare in modo continuativo il lavoro dell’intervistatore. Perciò cogliere
gli elementi che portano alla scelta di un candidato piuttosto che ad un altro, ha una
triplice utilità: è particolarmente rilevante per il neo-laureato che s’immetterà nel
mercato del lavoro e non conosce le dinamiche d’incontro tra domanda e offerta: in un,
sempre più competitivo, mercato del lavoro, potrebbe essere molto utile alla giovane
matricola, al laureando, al neo-laureato, conoscere i criteri utilizzati nella scelta dei
candidati in ingresso nel mercato del lavoro da parte di chi, per professione, si occupa di
ricerca e selezione del personale; per le aziende, che cercano candidati più in linea al
proprio contesto con delle skills (in primis) ad hoc, ma anche con delle competenze
trasversali che “fit-tino” con l’organizzazione; infine per un’istituzione come
l’Università che ha l’obiettivo di formare i giovani che s’immetteranno nel mondo del
lavoro: conoscendo le esigenze del mercato del lavoro può virare a cambiamenti o ad
offerte formative più in linea con la domanda e salvaguardare quelle discipline con un
numero esorbitante d’offerta e poco di domanda, bilanciando al meglio i due poli, al
fine di soddisfare le richieste di entrambi, cercando di plasmare futuri lavoratori “co-
costruendo”, con una formazione in linea alle richieste del mercato del lavoro nazionale
e multinazionale.
Naturalmente, alla base d’ogni passo compiuto empiricamente, vi sono stati i riferimenti
teorici tratti dalla letteratura: riferimenti non semplici da individuare, per via della
limitatezza degli studi sui criteri di scelta del personale sul lato della domanda. Il
capitolo 1 offre una panoramica sull’evoluzione delle risorse umane nel corso degli
anni. Infatti non si può sorvolare l’evoluzione d’importanza che ha avuto la selezione
del personale: un ruolo centrale nel raggiungimento degli obiettivi di lungo periodo
dell’azienda. Ciò è dovuto, principalmente, ad una sorta di rielaborazione circa il reale
contributo che tale funzione può apportare alla creazione di un differenziale competitivo
rispetto alle aziende concorrenti, caratteristica indispensabile per avere successo in un
mercato come quello attuale per lo più stabile, affollato, globale, in cui la sopravvivenza
delle aziende è sempre più legata alla loro capacità che innovare e creare valore
aggiunto. Tale cambiamento ne asseconda un altro più radicale che riguarda la
“riscoperta” delle risorse umane, intese come singoli e come gruppo, in un’ottica
assolutamente centrale rispetto all’organizzazione di cui fanno parte, in quanto capaci di
segnarne in positivo (o in negativo) il destino al pari di quanto possano fare le altre
tipologie di risorse (finanziarie, tecnologiche, etc.) di cui quest’ultima dispone. Quindi,
si può senz’altro affermare che le risorse umane sono oggi il fattore produttivo che più
di tutti può determinare il successo nella realizzazione di attività e nell’erogazione di
servizi da parte di un’azienda. Partendo da tale constatazione trae origine, innanzi tutto,
l’ampliamento progressivo delle attività svolte dalla funzione HR che da semplice
amministrazione del personale si è evoluta, acquisendo col tempo una serie di nuove
9
responsabilità. Questo sviluppo ha portato ad un progressivo ampliamento delle attività
da lei svolte al servizio dell’organizzazione: il capitolo 2, verterà sulla stesura degli
strumenti ed attività, a disposizione del selezionatore.
Questo arricchimento circa i contenuti della funzione delle risorse umane, ha avuto
come ovvia conseguenza anche un arricchimento delle competenze richieste ai neo-
laureati: non solo (o meglio non più), competenze tecniche, ma anche competenze
trasversali, valori ed aspettative delle organizzazioni nei confronti dei neo-laureati. Il
capitolo 3 cercherà di offrire una panoramica su questi criteri di scelta, con un taglio
psico-sociologico. Infine, il capitolo 4, è dedicato alla descrizione e interpretazione dei
risultati della ricerca. L’analisi si è concentrata sui comportamenti dei selezionatori che
operano nelle società di ricerca e selezione in quanto intermediari tra domanda e offerta
e professionisti della selezione riconosciuti istituzionalmente (cfr. legge 30\2003).
Trattandosi di neo-laureati si è pensato di restringere il campo al livello in cui
generalmente sono inseriti: il livello “junior” (o intermedio), in altri termini, il livello
impiegatizio tecnico. Sono stati scelti tre ambiti lavorativi: gestione risorse umane;
amministrazione e controllo; sistemi informatici. La ricerca consiste in una simulazione
del processo di selezione di neo-laureati che si candidano per i tre ambiti appena
descritti. Si tratta di simulare il processo di scelta tramite la valutazione di 20 curricula
per ogni ambito lavorativo (c.v. fittizi, ma costruiti dopo una breve fase esplorativa in
cui sono stati visionati curricula reali). Una volta scelti i c.v. più idonei, a questi sono
state affiancate delle schede riportanti alcuni elementi che potrebbero emergere durante
il colloquio (competenze, valori e informazioni personali) e si è chiesto ai selezionatori
di fornire una valutazione finale. Infine si è chiesto al selezionatore di compilare una
breve scheda atta a registrare gli aspetti sfuggiti alla simulazione e che egli ritiene
invece molto rilevanti per una valutazione efficace. Questo metodo di rilevazione
empirica (la simulazione con c.v. sulla falsa riga dei reali) è stato scelto per rendere
massima l’attendibilità delle risposte dei selezionatori interpellati; perciò abbiamo
utilizzato una tecnica oggettivante: la factorial survey (Rossi, Nock, 1982; Colombo,
2006), uno strumento di misura delle scelte mutuato dal marketing e utilizzato in Italia
nella sociologia del lavoro, solo nella ricerca precedente a questa, da Colombo (2006).
La successiva analisi dei dati con questa tecnica, è stata associata ai commenti fatti dai
selezionatori, durante la simulazione. Per concludere questo elaborato è anche il frutto
di una riflessione sulla professione del selezionatore: chi intraprende questa carriera
deve rendersi conto della quantità, della complessità e dell’interesse dei problemi che
essa pone. Questioni di teoria e di metodo, questioni di rilevanza aziendale ed
organizzativa, problemi legati alla reale possibilità di osservare, ascoltare, conoscere e
valutare una persona, in tempi brevi e con l’ausilio di tecniche specifiche,
inevitabilmente imperfette e fallaci. Chi opera è dunque un fruitore di tecniche e metodi
che - non essendo oggetti nel senso meccanicistico e fisico della parola - non si prestano
ad essere semplicemente presi e utilizzati. Essi vanno ricontestualizzati, compresi
pienamente e criticamente, usati con accortezza e attenzione, metabolizzati, collegati
alle teorie di derivazione e non assunti pragmaticamente (Castiello d’Antonio, 2006).
10
Ecco che quindi, agli occhi del selezionatore, aver chiaro che si è potenziale “vittima” di
tutti questi elementi influenzatori della scelta, si potrà compiere una scelta non
necessariamente migliore, ma sicuramente più cosciente e consapevole, per poter
accuratamente considerare le variabili più tangibili del profilo del candidato.
Questo lavoro è una parte del frutto di una collaborazione (oltre alle docenti) di altre tre
laureande (una collega della laurea magistrale in Psicologia delle organizzazioni e del
marketing dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e due studentesse della
laurea magistrale in Scienze del lavoro dell’Università degli studi di Milano) che
analizzeranno la seconda parte della simulazione (informazioni raccolte durante il
colloquio).
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CAPITOLO 1:
L’EVOLUZIONE DELLA RICERCA E SELEZIONE
DEL PERSONALE
“Non possiamo fare altro che imparare dalla storia.
Se ho potuto vedere più lontano degli altri,
è perché stavo sulle spalle dei giganti."
Isaac Newton
Questo capitolo ha la funzione di fornire una panoramica sull’evoluzione della ricerca e
selezione del personale dal punto di vista della domanda, ossia delle aziende. Perciò
bisognerà tenere conte del processo di scelta delle persone ritenute adeguate ad
occupare determinati posti vacanti (Colombo, 2006).
Come cercherò di illustrare, spesso è stato necessario, nel corso della storia, ridefinire i
percorsi di pensiero, di azione e la posizione culturale e sociale. In questo senso è utile
capire e apprendere i passaggi, le trasformazioni, le innovazioni e anche gli errori, al
fine di conoscere questo quadro complesso, in cui maturità, professionalità e
correttezza, diventano il comune denominatore dell’agire di tutti.
1.1 La funzione delle Risorse Umane nell’organizzazione
nella storia
Da anni le organizzazioni si sono poste il problema della modalità con cui ricercare e
selezionare il personale.
Lo Stato, l’esercito, le chiese, gli artigiani e le imprese hanno affrontato in vario modo il
tema della selezione dei propri collaboratori (Zuffo, 2002).
Infatti, la selezione del personale, a differenza di quanto si potrà pensare, ha una lunga
storia alle spalle ed è da sempre intesa come una necessità che ogni aggregato di
persone, che lavora, ha sentito, sente e sentirà.
E’ recente la necessità da parte di molte imprese di organizzarsi per ricercare e
selezionare in modo efficace e strutturato i propri dipendenti.
Infatti, la prospettiva tradizionalista, ossia l’acquisizione di lavoratori conosciuti
personalmente dall’imprenditore o dallo stretto collaboratore, sembra crollare: lo
sviluppo della cultura manageriale, la crescente difficoltà a reperire personale idoneo e
la legislazione fortemente garantista sviluppatasi negli anni Settanta, sconsigliano
all’imprenditore di curare personalmente quest’attività (Zuffo, 2002; Bassi, 2002).
12
Inoltre il quadro di sviluppo delle imprese negli ultimi tempi ha portato a una maggiore
concorrenza.
Infatti, è il consumatore che sceglie, e l’azienda deve cercare l’innovazione, e
l’originalità che catturi l’attenzione del cliente.
Perciò ha bisogno di una stretta coesione tra i collaboratori, puntando sulla risorsa
umana, senza potersi permettere errori nell’inserimento dei propri lavoratori (Normann,
2005).
Ecco che in questo quadro la gestione delle Risorse Umane (ma soprattutto la selezione)
occupa un primo piano di grande importanza. Richard Normann
1
spiega molto bene
questo concetto, parlando dell’evoluzione del cliente: mentre prima il consumatore
aveva a disposizione una piccola quantità e varietà di prodotti, era “costretto” a
scegliere tra quelli cui era esposto, ora è il consumatore il cliente, che può e sceglie il
prodotto più consono alle sue esigenze. Ora, tra le imprese, vige la norma che Normann
definisce “Se non vi prendete cura dei vostri clienti, lo farà qualcun altro; è giunto il
momento di portare all’interno il mondo esterno”.
Grazie all’incremento della ricchezza personale, all’avvento dei nuovi media e alla
nuova abitudine di viaggiare all’estero, i clienti\consumatori, hanno cambiato la loro
visione del mondo: sono più attivi, più esigenti e più consapevoli delle alternative.
E’ questo il momento in cui le aziende scoprono che i clienti non sono più i loro schiavi:
bisogna sedurli e costruire delle relazioni basate sulla fedeltà e non sulla cattività, ma
soprattutto favorendo la progettazione di un nuovo business riconfigurato (la Gru),
traendo visioni dal futuro per poi tradurle in un’idea di business nel “qui ed ora”.
Infatti, in questo corollario di ricca concorrenza, l’importanza di una salda équipe
collaborativa, si riflette in primis nella delicata fase di scelta del personale.
La complessità assunta dal processo di selezione e la difficoltà a rimediare a un errore
effettuato in fase di assunzione, hanno spinto molte imprese a ristrutturare totalmente il
setting organizzativo della ricerca e selezione del personale e a cercare strumenti e
metodi che rendessero meno aleatoria la scelta e più prevedibile il comportamento
futuro delle persone che intendevano assumere (Normann, 2005).
Perciò nel secondo dopoguerra nel nostro Paese sono state importate (spesso dagli Stati
Uniti) sofisticate tecniche di ricerca e selezione, che cercavano di comprendere le
capacità e le potenzialità degli individui da avviare al lavoro (Zuffo, 2002).
L’obiettivo principe dei selezionatori era di comprendere le caratteristiche individuali
dei candidati al fine di trovare “la persona giusta, da collocare al posto giusto, al
momento giusto”. Quindi la selezione fu equiparata, da un lato, alle indagini psico-
attitudinali (colloquio, screening di curriculum, osservazione sul campo.) e dall’altro, fu
considerata una tecnicità, utile a verificare le abilità dei candidati. Il focus, in questo
1
Richard Normann è Presidente del Gruppo SMG e lavora come consulente di management sui temi di
strategia e sviluppo imprenditoriale. Riconosciuto da tutti gli studiosi di management e dai protagonisti
del mondo imprenditoriale come uno dei più profondi pensatori nel campo manageriale –quasi un
filosofo-, Normann offre con “Ridisegnare l’impresa”, un nuovo approccio ai problemi di strategia
d’impresa, un modo del tutto originale di considerare le organizzazioni e una visione innovativa del
futuro.
13
caso, era sugli strumenti che ottimizzavano i processi di contatto e acquisizione delle
risorse umane, e, quindi, di conseguenza, la selezione consisteva nel contattare il
maggior numero possibile di persone e nel testarne le capacità e le esperienze sulla base
delle evidenze esplicite(Zuffo, 2002).
Entrambe le prospettive sono importanti nel processo di selezione, ma solo ultimamente
s’individua una terza dimensione: la selezione come momento dello sviluppo
organizzativo di un’impresa.
Infatti, in quest’ottica i processi di selezione non possono essere correttamente
compresi, senza ricondurli a una strategia generale di gestione del personale, perché
dalla funzionalità complessiva del sistema organizzativo dipende il giudizio delle
singole parti. In altri termini il processo di acquisizione delle risorse umane non può
essere valutato solamente rispetto al numero e alla qualità dei candidati che riesce a
portare in azienda, ma anche in ragione della sua funzionalità alla realizzazione delle
strategie generali d’impresa (Zuffo, 2002; Bassi, 2002).
Per aver chiaro questo fondamentale passaggio è utile riconoscere una sequenzialità e
un’evoluzione delle fasi del processo di selezione e, più in generale, della gestione delle
Risorse Umane.
La funzione aziendale “Risorse umane”, nei manuali viene in genere presentata
seguendo un doppio tracciato lineare: quello diacronico (storico) e quello sistematico
(le attività)
2
.
In altre parole:
ξ Percorso diacronico:
Si cerca di descrivere il percorso storico della funzione delle risorse umane.
Si parte dagli anni in cui la funzione è completamente assorbita nella maglia
organizzativa e quindi nemmeno ha un nome, fino agli anni in cui progressivamente è
individuata e successivamente arricchita di crescenti significati nel dispiegarsi delle
strategie d’impresa.
Il divenire del modo con cui è “denominato” sintetizza bene questa evoluzione:
amministrazione del personale, personale, direzione del personale, risorse umane,
gestione delle risorse umane.
ξ Percorso sistematico
3
:
S’identificano le pratiche aziendali riferite al personale, secondo uno schema che
idealmente segue il dipendente dal momento in cui entra a far parte dell’azienda, sino a
portarlo al vertice della sua carriera.
Si parte allora dal reclutamento, la selezione (con le varie ed eventuali tecniche di
selezione), il contratto di lavoro, l’inserimento nell’organizzazione, la valutazione delle
2
Classificazione a cura di Agop Manoukian (2008)
3
Il percorso sistematico verrà trattato nel dettaglio nel secondo capitolo, analizzando le fasi di selezione.
14
prestazioni, l’incentivazione, lo sviluppo di carriera, e si arriva in molti casi fino a
esplorare la pluralità dei temi che riguardano la vita e il funzionamento organizzativo:
gestione dei conflitti sindacali, mobbing, la gestione della conoscenza, la formazione,
ecc.
1.1.1 Il percorso diacronico: contesto socio-economico e
mercato del lavoro
Fatta questa generale premessa può essere comunque utile ripercorrere il percorso
storico nel dettaglio e le principali fasi della progressiva configurazione della funzione,
almeno come si è venuta evolvendo nel mondo delle “grandi imprese” che da sempre
hanno costituito il modello cui in modo parziale e frammentario si sono andate
accodando, il più delle volte con ritardi (ma a volte con anticipazioni) anche la miriade
di medie imprese e organizzazioni di ogni altro tipo.
Gli anni Cinquanta e Sessanta hanno rappresentato per l’Italia un periodo di grande
sviluppo economico e di espansione industriale (Manoukian,2008).
Si assiste a un passaggio dalle campagne alle industrie, che ha come corollario un
cambiamento culturale, di apertura e d’innovazione tipica degli anni Sessanta.
Negli anni Settanta si assiste alla crisi petrolifera, alla fine dei movimenti politici
giovanili e agli anni bui del terrorismo, allo sviluppo della società civile,
all’articolazione di un’imprenditorialità diffusa e alla crescita generale del benessere
(Manoukian, 2008). Negli anni Ottanta l’economia gode di una congiuntura positiva,
cambiano i modelli valoriali della società, si affiancano i primi segni incontrovertibili
dei processi d’internalizzazione. Sono gli anni dei simboli di status, dei vestiti griffati,
delle auto di lusso e dello sfarzo. Seguendo quindi quest’onda, si configura un diverso
approccio al lavoro: il lavoratore sceglie l’azienda che meglio garantirà i bisogni di
carriera, di ruolo, di successo in senso lato (Zuffo, 2002; Bassi, 2002). In tutto ciò anche
il Giappone fa il suo ingresso nella scena, come potenza economica, in grado di
minacciare l’economia occidentale e di mettere in discussione i modelli gestionali,
organizzativi e valoriali, proponendone di nuovi.
Sono gli anni delle razionalizzazioni industriali, della fatica del sindacato che esprime
contraddittoriamente un accompagnamento costruttivo alla nuova realtà competitiva e
una certa cultura anti-industriale. Questo non fa altro che sviluppare nuove figure
professionali, facendo evolvere di conseguenza l’importanza della funzione della
selezione (Zuffo, 2002).
Infine, nel periodo che va dai primi anni Novanta e arriva ai giorni nostri, si assiste, da
un punto di vista socio-economico, a una forte competitività aziendale, che destabilizza
e provoca turbolenze organizzative. Ora, a differenza degli anni passati, i cicli di
espansione economica (prima molto lunghi) diventano più brevi e irregolari, esponendo
le aziende a continui momenti di crisi e di ristrutturazione, causando esiti non positivi.
Ma al di là di ciò, si assiste a una logica di perseguimento e ricerca continua
dell’efficienza. Le organizzazioni sono allora sfidate a rimettere in discussione le
15
tradizionali strategie, a sviluppare nuovi prodotti, nuovi canali di distribuzione, nuove
tecniche di marketing e ad affrontare quasi quotidianamente problematiche di
decentramento, accorpamento, concentrazione, accordo, fusione e trasferimenti.
Questo porterà a un aumento rilevante dell’economia dei paesi industrializzati,
compresa l’Italia (Manoukian, 2008).
Un altro dato da non trascurare riguarda il funzionamento interconnesso e
interdipendente dei diversi mercati nazionali. La globalizzazione e l’abbattimento dei
confini dei mercati negli ultimi anni hanno notevolmente esasperato la competizione tra
le imprese, che si sono dovute confrontare con livelli più globali. Un terzo fenomeno,
tipico di questo periodo che ha portato a sconvolgimenti industriali, è senza dubbio
quello della “tempesta tecnologica”, rivelatasi fattore primario di cambiamento radicale
delle culture, dei comportamenti e delle potenzialità creative degli individui e delle
imprese.
L’Information technology sostituisce parte del lavoro e rende obsolete molte figure
professionali, ma nel frattempo contribuisce ad arricchire il ruolo dei lavoratori di nuovi
contenuti.
Quindi la vitalità di un’azienda è misurata sul suo know-how tecnologico, sull’offerta
parallela di servizi, sulla dimensione ed efficienza della rete distributiva: tutti fattori
intangibili, giocati nei fatti dalla capacità delle sue Risorse Umane.
La flessibilità diventa la parola “chiave” per rileggere le relazioni industriali,
l’organizzazione del lavoro, i comportamenti e le tecnologie.
Sembra anche essere il filo rosso che collega i vari aspetti della vita organizzativa anche
per l’individuo: flessibilità nei tempi di lavoro, nei luoghi, nel problem setting e
nell’individuazione di nuovi schemi d’azione (Zuffo, 2002).
1.1.2 Fasi dello sviluppo delle Risorse Umane
nell’organizzazione
Per evidenziare questa evoluzione delle Risorse Umane mi rifaccio a una classificazione
di Boldizzoni che, “ al solo scopo di evidenziare i collegamenti fra variabili ambientali e
cammino evolutivo della “direzione del personale” in Italia”, propone una
periodizzazione dello sviluppo in cinque fasi così caratterizzate:
a. La ricostruzione del sistema industriale (gli anni Cinquanta);
b. Lo sviluppo del sistema economico (gli anni Sessanta);
c. La conflittualità sindacale (gli anni Settanta);
d. Fra ristrutturazione e sviluppo (gli anni Ottanta);
e. Qualità e produttività (gli anni Novanta).
Ripercorro quindi questa evoluzione storica, per poi sfociare nella descrizione
dell’attuale situazione:
16
a. La ricostruzione del sistema industriale (gli anni Cinquanta)
Gli anni cinquanta sono l’inizio della svolta del cambiamento industriale italiano.
Contraddistinti da forti investimenti e da un’esplosione del mercato del lavoro, hanno
portato alla coniazione dei termini quali “miracolo italiano” o “boom economico”
(Zuffo, 2002). Molti elementi hanno contribuito al decollo dell’industria italiana: la
liberalizzazione degli scambi con l’estero, l’ingresso nel Mercato Comune Europeo, la
vasta disponibilità di manodopera a basso costo proveniente da settori pre-capitalisti o
arretrati (come l’agricoltura degli anni cinquanta), la diffusione di tecniche di
produzione già sperimentate nei paesi più avanzati e una buona predisposizione alla
svolta e al cambiamento da parte della popolazione italiana. A specchio di questo incipit
di sviluppo, uomini, donne e giovani hanno abbandonato i campi per raggiungere le
industrie del Nord, dando vita a due fenomeni paralleli: l’urbanizzazione e
l’immigrazione. Le città protagoniste sono Milano, Torino e Genova (Zuffo e Bassi,
2002).
Il boom economico ha portato con sé un aumento delle potenzialità di consumo da parte
di chi, non avendo sino ad allora potuto disporre di molti beni materiali, era pronto a
comprare tutto ciò che le case produttrici offrivano, pretendendo solo raramente qualità
e servizio elevati (Zuffo e Bassi, 2002). L’industria è passata in questo modo dalla fase
precedente alla guerra, centrata prevalentemente sulla trasformazione manifatturiera,
alla configurazione di poli settoriali diversificati e verticalizzati: la chimica
(Montedison), l’energia (l’Enel), la meccanica, l’edilizia, etc. Questo processo di
articolazione della grande industria non ha portato però a uno sviluppo altrettanto
strutturato dell’organizzazione aziendale, che è rimasta inizialmente e per parecchio
tempo funzionale e semplice, ma sta subendo radicali evoluzioni solo negli ultimi
tempi. È stato osservato che nell'immediato dopoguerra e per tutti gli anni Cinquanta la
funzione del personale era sostanzialmente: “Una funzione amministrativo-disciplinare
totalmente subalterna, in una logica di impresa che traeva profitto dalla non criticità del
fattore umano, preoccupata di assicurare l'afflusso di una forza di lavoro sicura e
tranquilla sotto il profilo ideologico e politico, avvantaggiata dall'eccedenza dell’offerta
sulla domanda del lavoro” (Unnia, 1958; Manoukian, 2008). La funzione del personale
si connotava al massimo come un servizio all'interno della funzione amministrativa, con
compiti di amministrazione, di interpretazione e tutela della normativa. La
responsabilità della gestione del personale era saldamente nelle mani della linea
gerarchica, soprattutto dei capi di primo livello, mentre le attività che esulavano dalla
gestione ordinaria erano prerogative dell'alta direzione: il management si trovava a
dover risolvere questioni prevalentemente tecniche, di ottimizzazione e di saturazione
delle capacità produttive (Manoukian, 2008).
In quegli anni il sindacato, per debolezza organizzativa e per la presenza di vaste sacche
di disoccupazione, influiva con la contrattazione solo sulla sfera del costo del lavoro,
senza scalfire la discrezionalità dell'azione manageriale.
17
Il know-how e la strumentazione tecnica utilizzata erano molto semplici, la cultura
professionale degli addetti piuttosto bassa e limitata agli aspetti amministrativi e i
rapporti con il vertice dell'azienda sporadici (Manoukian, 2008). Una nota diversa, quasi
unica nel panorama italiano, è stata rappresentata dall’Ufficio del Personale
dell’Olivetti, azienda assolutamente originale nell’ambito della grande industria
nazionale del tempo e per tanti versi esempio di fabbrica moderna nell’ambito dello
scenario industriale internazionale. Centrale al riguardo è stato il ruolo svolto da
Adriano Olivetti, che dimostrando un vivissimo interesse per tutto ciò che riguarda la
psicologia ha istituito nel 1943 un Centro di Psicologia del lavoro (Musatti, Bausano,
Novara, Rozzi, 1980). Questo si è distinto subito ed è ben lontano dai caratteri della
psicologia di quel tempo. Il centro si è sviluppato nell’ambito di una filosofia che
considerava la fabbrica responsabile nei confronti del territorio, in nome della quale
economisti, filosofi, urbanisti e tecnologi erano chiamati a cercare di conciliare lo
sviluppo industriale con le esigenze sociali (Rozzi, 1975; Zuffo, 2002). La
considerazione che l’azienda mostrava di avere nei confronti dei cambiamenti sociali e
antropologici, in atto si traduceva, in fase di selezione del personale, in una precisa
attenzione alla soggettività dei candidati. Il modello Olivetti ha rappresentato l’illusione
di un capitalismo umano e progressivo, terminato con la morte del proprietario Adriano
Olivetti (Zuffo e Bassi, 2002).
b. Lo sviluppo del sistema economico (gli anni Sessanta)
Negli anni Sessanta la situazione cambia in modo significativo.
L’attività industriale si sviluppa considerevolmente, il mercato del lavoro diventa più
dinamico, le principali aziende italiane si affacciano sui mercati esteri e avvertono la
necessità di razionalizzare le strutture produttive per incrementare la produttività
(Manoukian, 2008). “Da un lato ci sono grosse migrazioni di lavoratori dalle attività
agricole a quelle industriali con enormi problemi di formazione professionale, dall'altra
emergono, per l’evoluzione tecnologica, nuove figure professionali che spingono il
sindacato a tentare di ridurre la discrezionalità del management attraverso la
contrattazione articolata e l'allargamento della sfera contrattuale dai cottimi alle
qualifiche, alle classificazioni” (Sordi, Bernardi, 1978).
Nell’ambito delle aree tecniche connesse ai fatti produttivi e in quelle dello sviluppo
tecnologico si iniziava ad avere una certa articolazione delle professionalità, si
delineavano esigenze massicce di manodopera a basso livello di specializzazione, ma si
verificava anche una strutturazione di ruoli professionali di livello superiore: i
manutentori, i tecnici progettisti, i responsabili del controllo di processo, della qualità e
dei problemi della sicurezza (Frey, 1969; Zuffo e Bassi, 2002). All’interno del mercato
del lavoro si è registrata una fortissima crescita dell’occupazione industriale che ha
causato un capovolgimento tra domanda e offerta. L’aumento dell’offerta di posti di
lavoro ha coinvolto differenti fasce di qualificazione: innanzi tutto i lavoratori generici
non scolarizzati di varia età e provenienza territoriale, ai quali sono state affidate
18
mansioni semplici e poco articolate (assemblaggio, movimentazione della merce...);
infine, persone con livelli di scolarizzazione più elevati quali i diplomati delle scuole
tecniche e i laureati, che possedevano competenze differenti da quelle necessarie per
semplici operazioni manuali. Diventano importanti e necessari la cura, l’attenzione, la
comprensione del funzionamento della macchina, una certa conoscenza dei suoi
elementi fondamentali e delle loro possibili disfunzioni (Unnia,1978). L’attenzione
dell’azienda in quegli anni era ancora centrata sul modo migliore di lavorare, di
organizzare il personale e, soprattutto, data l’esigenza di grandi masse di lavoratori da
parte del nuovo sistema produttivo, di selezionarlo, “L’impresa industriale che si
presenta nel pulsare della sua vita, nello svolgimento delle proprie attività non sta
marciando alla cieca ma realizza degli obiettivi coordinando e dirigendo il movimento
di tutti i propri organi attraverso un cervello costituito dalla Direzione, e li realizza
attraverso lo svolgimento di funzioni che devono attuarsi armonicamente e
compiutamente nei modi e nei tempi studiati e prestabiliti” (G. Testa,1964). Ecco che
quindi la funzione della selezione delle risorse umane comincia ad assumere una
valenza a sé stante, acquistando autonomia. Importante sottolineare che questo periodo
è segnato anche dall’entrata nelle aziende di intellettuali, filosofi, psicologi, sociologi ed
economisti. Tali figure hanno esercitato un’enorme azione stimolante per l’apertura
verso una cultura meno provinciale e rurale, e per l’avvicinamento al mondo
accademico da cui spesso provenivano e al quale tornavano dopo qualche esperienza
diretta come consulenti d’impresa.
E’ questo quadro di crescita culturale aziendale che permette di far fare i primi passi alla
psicologia nelle aziende, che con l’avvento di contatti con i modelli aziendali
d’oltreoceano, subisce l’influenza degli studi delle business schools americane (Zuffo e
Bassi, 2002).
Siamo negli anni delle selezioni di massa: le aziende dovevano inserire, in tempi esigui
e in zone differenti, centinaia di persone destinate a poche mansioni standardizzate. Per
far ciò, individuavano alcune caratteristiche fondamentali, poste come “requisiti critici”
(Flanagan, 1949; 1954) e condizioni necessarie per l’accesso alla fabbrica.
Di fatto questa necessità di selezioni di massa è stata tra le principali cause dello
sviluppo dei laboratori di psicologia nelle grandi imprese italiane, facendo nascere
quindi una collaborazione con il mondo accademico.
Si assiste così, ad una doppia entrata: da una parte lo psicologo usciva dall’università e
si approssimava ad una società dinamica e produttiva, dall’altra l’azienda risolveva un
problema concreto come la selezione apparendo, inoltre, avanzata, “alla moda”, aperta
al nuovo (Claparède, 1922; Corberi, Favini, 1922; Boring, 1950, Zuffo, 2002).
Le Risorse Umane (con all’interno un vasto numero di psicologi
4
) assumono all'interno
dell'azienda compiti più precisi, giustificati dall’adozione e dall'impiego di tecniche di
4
L’APIL (Associazione Italiana Psicologi del Lavoro) ammetteva: “Il 90% circa delle attività degli uffici
psicologici delle industrie italiane è dedicato alla selezione del personale”.
19
gestione più sofisticate, quali la job evaluation, la selezione basata sui test psicologici
5
,
l'addestramento e la formazione dei quadri. Si comincia più che mai a rintracciare
specifiche idoneità per specifici posti di lavoro operai, per i quali non si erano ancora
definite le attitudini peculiari richieste.
Per tutto il decennio si sono sviluppate e affinate le applicazioni di tecniche selettive
eseguite per mezzo di test, ma senza che si potesse parlare ancora di servizi di selezione
in senso completo (Spaltro, 1966).
In complesso la gestione delle risorse umane, pur continuando a essere in posizione
subalterna rispetto alle più tradizionali funzioni aziendali, come la produzione,
l’amministrazione, le vendite, si caratterizza come una “funzione integrativa, avendo
l’obiettivo di suscitare il consenso sugli obiettivi aziendali e nei confronti delle forme di
autorità costituite nell’azienda”.
Le responsabilità di gestione sono ancora affidate prevalentemente alla linea gerarchica,
però le funzioni del personale assumono alcune responsabilità dirette, per esempio nella
selezione, nella messa a punto di strumenti di valutazione, nella fissazione di criteri e
principi generali di politica del personale, affidate soprattutto agli psicologi
(Manoukian, 2008).
c. La conflittualità sindacale (gli anni Settanta)
Gli anni Settanta sono ricordati per essere gli anni delle razionalizzazioni aziendali,
della fatica del sindacato che esprime contraddittoriamente un accompagnamento
costruttivo alla nuova realtà competitiva e una certa cultura anti-industriale (Manoukian,
2008).
Inoltre, fino ad allora, il mercato del lavoro era stato caratterizzato dalle assunzioni di
massa, in particolare di personale con bassa scolarità e di diplomati tecnici; in quel
periodo nelle aziende esplode l’interesse per giovani ad elevata potenzialità, come i
diplomati di livello e soprattutto i laureati (Zuffo e Zanirato, 2002).
Nell’immaginario dei neo-laureati si fa strada la consapevolezza di poter scegliere
l’azienda che meglio risponderà alle loro esigenze professionali, ma anche alle loro
fantasie e alle loro caratteristiche più personali ed emotive.
Ecco che la funzione dell’ufficio di risorse umane assume importanza: proliferano
pubblicazioni espressamente rivolte a laureati, che contengono informazioni sulle
aziende, sulle dimensioni, sui fatturati e il settore in cui operano, ma anche, in
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La psicotecnica si è associata in quel periodo alle selezioni di massa, all’esigenza delle realtà produttive
di trasformare dei contadini in operai. I metodi degli psicotecnici erano estremamente rigorosi,
standardizzati, anche se ben lontani dalla selezione attitudinale sviluppata nel corso dei decenni
precedenti negli Stati Uniti. Nelle grandi aziende l’idoneità dei candidati veniva accertata da un esame,
dotato di speciali apparecchiature, che somministrava prove di carattere medico e psicotecnico. Queste
ultime erano di norma affidate agli psicologi ed erano divise in due fasi: nella prima lo psicologo
annotava osservazioni iniziali, finalizzate a rilevare le caratteristiche della fisionomia, della mimica, delle
reazioni muscolari dei candidati. Nella seconda, invece, si procedeva all’esplorazione delle attitudini
mentali, tramite prove psico-motorie, esami sulla sensibilità e a test professionali in cui veniva riprodotta
una fase del lavoro.
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particolare, sulle politiche relative alle risorse umane: i tempi e le modalità di sviluppo
di carriera, la retribuzione, l’incentivazione al contributo personale, al lavoro di gruppo,
al clima (Peters, Waterman, 1982; Speroni, De Benedetti, 1987; Passerini, 1988;
Castiello d’Antonio, 1989; Zuffo e Zanirati, 2002).
Quindi in questo quadro, la progressiva sindacalizzazione dei “nuovi” operai, tecnici e
impiegati, la pervasività delle strutture sindacali e l'intervento dei rappresentanti dei
lavoratori su aree problematiche che fino a quel momento erano prerogativa aziendale
(l’organizzazione del lavoro, l'ambiente.) colgono impreparate le direzioni aziendali e,
soprattutto, i capi intermedi, che in misura sempre crescente delegano alla funzione del
personale il ruolo di gestione del conflitto (Manoukian, 2008).
È in questa situazione che la Gestione delle risorse umane acquista visibilità e rilevanza
e reclama maggior potere e peso politico nelle aziende; inoltre la criticità e la rigidità
che caratterizzano ormai il fattore lavoro fanno sì che la Gestione delle risorse umane,
almeno nelle grandi aziende, sia spinta a prendere parte in modo più incisivo all'attività
di pianificazione generale dell'impresa e a rivendicare un nuovo ruolo. Questo nuovo
ruolo è definito in vari modi: da alcuni, in termini di mediazione tra il personale e la
direzione generale, oppure tra azienda, contesto economico e mercato del lavoro, oppure
di mediazione culturale tra società e azienda (Unnia, 1978); da altri in termini di
valorizzazione e miglior utilizzo del capitale-lavoro; da altri ancora nella gestione della
conflittualità permanente e quindi nella contrattazione del potere nella azienda (Unnia,
1978).
Le scelte strategiche, politiche, organizzative delle Direzioni dell’ufficio del personale,
restano tuttavia ancora incerte, anche se sul piano operativo si nota uno sforzo per
ripensare agli strumenti tecnici della gestione del personale in modo più rigoroso e
coerente (Sordi, Bernardi, 1978).
Tale dato risulta dalle prime indagini sistematiche effettuate sulla evoluzione del ruolo
della funzione del personale in Italia da cui è possibile ricavare un profilo di
responsabile della Gestione delle risorse umane “con un background prevalente in
discipline giuridico-economiche ed esperienze precedenti principalmente
nell'amministrazione”, mentre la funzione svolta “è soprattutto chiamata a selezionare,
assumere e retribuire il personale. Anche i rapporti sindacali e, più in generale, le
relazioni industriali rappresentano un costante e importante compito e così pure l'attività
di addestramento e formazione del personale” (Eni, 1979).
In azienda si inizia a parlare di sviluppo manageriale e di formazione, non più
unicamente diffusa nelle aziende di cultura multinazionale, ma anche in quelle italiane. I
nuovi direttori del personale, spesso ancora di vecchia tradizione, iniziano a contornarsi
di collaboratori con cultura internazionale e con una grande attenzione ai progetti
formativi (Jannaccone Pazzi, 1987; Speroni, De Benedetti, 1987; AA.VV., 1989).
Cambia quindi la figura del selezionatore: giovane laureato che esprime un forte
orientamento alla professionalità ed è poco incline alle mediazioni, agli accomodamenti,
alle assunzioni governate da logiche familiari o politico ideologiche. E’ un laureato in
discipline umanistiche o economista affascinato dall’inconscio, oppure laureato nella
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neo disciplina di Psicologia con l’obiettivo di entrare in azienda per sviluppare la
propria professionalità. Questa nuova generazione di selezionatori di candidati quindi,
non premia più ( o comunque non solo) l’ancoraggio personale o familiare, le
raccomandazioni, ma cerca potenzialità professionali verificate alla luce dei modelli
manageriali che iniziano a diffondersi nelle imprese. Si introducono le prime schede di
valutazione del potenziale come punto di riferimento concreto e si diffondono le
iniziative di formazione per la divulgazione di questi modelli, talvolta vissuti e proposti
come rimedi salvifici alle arretratezze manageriali (Zuffo e Zanirati, 2002).
d. Fra ristrutturazione e sviluppo (gli anni Ottanta)
Con la forte turbolenza dei mercati, la diffusione delle tecnologie informatiche, la
necessità di riacquistare libertà di azione e potere nei confronti delle organizzazioni
sindacali da una parte e con la necessità di recuperare produttività e flessibilità
nell'utilizzo dei fattori produttivi dall'altra, le direzioni dell’Ufficio del personale hanno
sempre più importanza in termini di maggiore proattività, in ciò facilitate dalla caduta
della conflittualità sindacale e dalla ripresa dell'iniziativa manageriale (Manoukian,
2008).
È negli anni Ottanta che si completa l’istituzionalizzazione della funzione delle
direzioni dell’Ufficio del personale nel sistema aziendale.
Non solo essa ha ormai quasi universalmente lo status di direzione con dipendenza
diretta dal vertice ed è legittimata a svolgere le più tradizionali attività di gestione delle
Risorse Umane (selezione, valutazione, sviluppo, formazione ecc.) costituenti il core
della funzione, ma allarga il proprio raggio di azione acquisendo le funzioni
dell'organizzazione, delle relazioni esterne e dell'ambiente/sicurezza (Hay-
ISTUD,1982).
Il fenomeno della crescente esternalizzazione di attività specialistiche tradizionalmente
svolte all'interno delle organizzazioni, riscontrabile negli anni Ottanta in buona parte
delle grandi imprese non solo italiane, risulta trovare riscontro anche a proposito delle
attività delle direzioni dell’Ufficio del personale.
Le attività esternalizzate risultano essere soprattutto quelle di formazione e di selezione
per manager e quadri, svolte nella quasi totalità dei casi con l'ausilio di enti e agenzie
specialistiche, mentre molto consistente è anche il ricorso all'esterno per l’assistenza
nella messa a punto di programmi di sviluppo organizzativo, per le analisi e i piani
retributivi, l’analisi delle posizioni e la progettazione dei sistemi di valutazione delle
prestazioni e del potenziale (Manoukian, 2008).
Contemporaneamente, molto marcato risulta essere anche il processo di
elaborazione/acquisizione di know-how specialistico.
Con l’inizio degli anni Ottanta, le grandi imprese iniziano a rivolgere la propria
attenzione a quei principi di Total Quality Management
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Il Total Quality Management è un insieme di teorie, modelli, tecniche, metodologie che si sono
arricchite nel tempo, diventando, da strumenti per il miglioramento di specifici aspetti produttivi,