4
concepiti come strumenti di integrazione economica e i diritti fondamentali in essi previsti6 tutelavano il
cittadino comunitario nella sua dimensione economica e sociale7.
Tuttavia, la Comunità si è rapidamente affermata come organizzazione internazionale specifica che
agisce al posto degli Stati nell’ambito delle competenze che le sono attribuite8. L’affermazione del
principio di applicabilità diretta9 e di primazia10 del diritto comunitario ha contribuito largamente a
questa evoluzione.
L’estensione progressiva delle competenze comunitarie, attraverso l’art. 235 del Trattato CEE e
attraverso la revisione dei Trattati, costituiscono altrettante occasioni possibili per il diritto comunitario
di minacciare i diritti dell’uomo.
A risolvere una situazione che minacciava il primato, ancora incerto, del diritto comunitario sui diritti
nazionali11, è intervenuta la giurisprudenza delle Corte di giustizia delle Comunità europee in materia
di diritti fondamentali.
Sviluppatasi in rapporto dialettico con le Corti costituzionali tedesca e italiana, la giurisprudenza della
Corte si basa su tre pilastri: i principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, la CEDU e il diritto
comunitario. Quest’ultimo si è arricchito di riferimenti sempre più vincolanti al rispetto dei diritti
6Abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità (art. 7 e 48 CEE), libertà di circolazione dei lavoratori (art. da
48 a 51 CEE), libertà di stabilimento e di prestazione di servizi (art. da 52 a 66 CEE), parità di retribuzione fra lavoratori e
lavoratrici per uno stesso lavoro (art. 119 CEE).
7
Questa spiegazione tradizionale, che riduceva la portata dei diritti fondamentali alla sfera personale dell’individuo, è stata
sostenuta in particolare da P.PESCATORE, Les droits de l’homme…, op. cit., p. 629 e sg.. Questa tesi non ha tardato a
manifestare la sua inconsistenza e oggi può dirsi del tutto superata: anche nel campo economico, se non soprattutto in questo,
c’è pericolo per la libertà dei cittadini. Così P.H. TEITGEN, Rapport au colloque de Louvain sur l’adhésion des Communautés à
la CEDH, Bruxelles-Louvain, 1981, p. 22; L. DUBOIS, Le rôle de la CJCE Object et portée de la protection des droits
fondamentaux, RIDC, 1981, p. 612; M.H. MENDELSON, The ECJ and Human rights, YEL, 1981, p. 127.
8
La dottrina internazionalistica si è a lungo interrogata sulla natura giuridica delle Comunità europee; in genere gli sforzi sono
stati volti a collocare il fenomeno comunitario in una categoria che si ponesse come tertium genus rispetto alle forme tradizionali
di collaborazione intergovernativa, basate su accordi internazionali tra Stati che restano pienamente sovrani e soluzioni di tipo
federale, nell’ambito delle quali un nuovo soggetto subentra agli Stati che si federano. E’ stata in particolare sostenuta l’idea di
una rottura del legame inizialmente esistente fra gli Stati membri e la Comunità alla quale essi hanno dato origine: creando la
Comunità gli Stati avrebbero perduto una parte della loro sovranità. Ciò avrebbe portato alla nascita di una comunità di diritto
dotata di una propria carta costituzionale. Questa è la tesi di D. SIMON, Y a-t-il des principes généraux en droit
communautaire?, Droits, n° 14, 1991, p.82, che sottolinea l’irriducibile specificità della costruzione giuridica comunitaria, entità
non statale indipendente dagli Stati che l’hanno edificata e produttrice di un ordine normativo che non sarebbe né internazionale,
né nazionale. Per le critiche a questa dottrina v. O. DE SCHUTTER et Y. LEJEUNE, L’adhésion de la Comunité à la
Convention européenne des droits de l’homme. A propos de l’avis 2/94 de la Cour de justice des Communautés, in Cah. Dr.
Eur., 1996, p. 573 e sgg.. Anche U. DRAETTA, in Elementi di diritto comunitario, Milano, 1995, p. 192 ritiene superfluo il ricorso
al tertium genus (anche perché, “tra soluzioni internazionalistiche e soluzioni federaliste, probabilmente, tertium non datur”, p.
195). L’ordinamento comunitario è derivato rispetto all’ordinamento internazionale ma va, tuttavia, considerato come autonomo
almeno nel senso che esso ha norme, fonti, destinatari e strumenti suoi propri (ivi, p. 197).
9
CGCE, sentenza del 4 febbraio 1963, VAN GEND & LOOS, causa 26/62, in Racc., p. 350.
10
CGCE, sentenza del 15 giugno 1964, COSTA/ENEL, causa 6/64, in Racc., p. 1141.
11
Ciò perché, paradossalmente, i cittadini degli Stati membri, promossi al rango di cittadini “europei”, non trovavano, nei Trattati
che conferivano loro questo status, garanzie nel caso in cui l’azione delle istituzioni comunitarie minacciasse uno dei diritti
fondamentali loro riconosciuti dalle Costituzioni nazionali. Il giudice nazionale poteva così trovarsi di fronte alla necessità di
dichiarare incostituzionale una norma comunitaria quando essa fosse stata contraria ai diritti fondamentali così come definiti
dalla sua Costituzione o dalla CEDU.
5
dell’uomo: il cammino percorso va dall’impegno politico delle tre istituzioni - Parlamento, Consiglio e
Commissione - a rispettare la Convenzione europea, affidato ad una dichiarazione congiunta del
197712, al riferimento al rispetto della Convenzione di salvaguardia nel Preambolo dell’Atto unico del
1986, sino all’incorporazione di un tale riferimento nei diversi articoli del Trattato di Maastricht13.
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo non è stata soltanto integrata nell’ordine giuridico interno
attraverso i meccanismi accennati: essa è anche un fondamentale punto di riferimento dell’attività
esterna della Comunità e dell’aiuto che essa dà ai Paesi in via di sviluppo nei loro sforzi finalizzati alla
realizzazione di un’economia di mercato e di una democrazia pluralista, entrambe basate sul rispetto
dei diritti dell’uomo 14 . L’adesione della Comunità alla CEDU sembrerebbe rappresentare il
prolungamento naturale dell’incorporazione delle garanzie materiali della Convenzione nel diritto
comunitario.
A questo proposito sono state sollevate molteplici obiezioni.
Alcuni autori hanno sottolineato che la CGCE garantisce pienamente, con la sua giurisprudenza, il
rispetto dei diritti dell’uomo inscritti nella CEDU, e hanno liquidato come falso problema la necessità
dell’adesione15. Altri osservatori, pur ammettendo che l’attuale protezione dei diritti dell’uomo nella
Comunità non è perfetta, ritengono che ricercare l’adesione a tutti i costi possa rischiare di condurre
ad una protezione ridotta dei diritti fondamentali16. La maggior parte della dottrina è però concorde nel
sostenere l’adesione: ciò per evitare divergenze nell’interpretazione della CEDU fra le due Corti, Corte
di Giustizia delle Comunità europee e Corte europea dei diritti umani, e per assicurare che la
Comunità sia soggetta allo stesso meccanismo di controllo del rispetto dei diritti fondamentali che vale
per gli Stati membri, cioè il ricorso alla Corte europea di Strasburgo17.
12
Parlamento europeo, Consiglio e Commissione, Dichiarazione comune sui diritti fondamentali, 5 aprile 1977, in GUCE, 27
aprile 1977. A questa dichiarazione, nella quale le tre istituzioni si impegnano a rispettare i diritti dell’uomo così come essi
risultano nelle Costituzioni degli Stati membri e nella CEDU, dà particolare rilievo J. PIPKORN, La Communauté européenne et
la CEDH, RTDH, 1993, p. 227, per il quale essa rappresenta un impegno “tant politique que juridique”. Contra F. CHALTIEL,
L’Union Européenne doit-elle adhérer à la CEDH?, RMC, 1997, p. 37, secondo il quale la dichiarazione non costituirebbe che
“un engagement moral”.
13
Il riferimento al rispetto della CEDU è contenuto nell’art. F§2 del Trattato di Maastricht e reiterato nell’art. K2§1 per l’insieme
dei problemi che, ex art. K1, sono oggetto delle disposizioni sulla cooperazione intergovernativa in materia di giustizia e affari
interni. A norma dell’art. K1, questa cooperazione è realizzata non solo nel rispetto della CEDU, ma anche secondo quanto
previsto dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951.
14
L’art. 130U del Trattato CEE dispone infatti che, nel settore della cooperazione allo sviluppo, “La politica della Comunità (…)
contribuisce all’obiettivo generale di sviluppo e consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché di rispetto dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.
15
P. PESCATORE, La Cour de justice des Communautés et la Convention européenne des droits de l'homme, Mélanges
Wiarda, Berlin-Bonn- Munchen, 1990, p. 451.
16
“La recherche du mieux risquerait fort de n’etre que l’ennemie du bien”: così F. CHALTIEL, L’Union Eur., op. cit., p. 50.
17
Con l’entrata in vigore del Protocollo 11, avvenuta il 1° novembre 1998, la Corte europea per i diritti umani ha sostituito la
“vecchia” Corte europea, sciolta dopo mezzo secolo di attività. La vecchia Corte, con giudici part time attivi una settimana al
mese e metodi pensati nel 1950 per poche decine di casi, non era più in grado di smaltire le migliaia di ricorsi (12 mila nel 1997)
che ora giungono ogni anno a Strasburgo. Il nuovo Tribunale agirà secondo un meccanismo diverso da quello seguito in
passato: finora tutte le istanze venivano indirizzate alla Commissione europea dei diritti dell’uomo, che svolgeva un ruolo di
“filtro” mentre ad occuparsi delle istanze accolte e non regolate consensualmente erano, poi, sia il Consiglio dei Ministri del
Consiglio d’Europa che la Corte europea, le cui sentenze erano esecutive nei singoli paesi interessati. Il Protocollo 11, invece,
6
Ma, come anticipato all’inizio di questa analisi, la CGCE, adita dal Consiglio ai sensi dell’art. 228§6 del
Trattato CEE, ha reso un parere negativo sulla compatibilità dell’adesione alla CEDU con il Trattato
istitutivo della Comunità europea. Secondo la Corte di Giustizia, una tale adesione non rientra fra le
competenze della Comunità così come essa è oggi; neppure il ricorso all’articolo 235 sarebbe base
giuridica sufficiente e adeguata su cui fondare l’adesione.
Ciò significa che la possibilità di aderire alla CEDU è ormai subordinata a una revisione del Trattato,
secondo la procedura prevista dall’’art. N del Trattato UE 18 . La Corte di giustizia rinvia così la
soluzione del problema dell’adesione al mondo politico; e cioè, praticamente, alle calende greche19.
L’adesione della Comunità alla Convenzione diventa invece ogni anno più necessaria. Infatti, “con il
Trattato di Maastricht l’ordinamento comunitario è ormai pervenuto ad un livello di complessità e di
incidenza sulle posizioni dei singoli che non può più prescindere da un efficace sistema di tutela dei
diritti soggettivi di questi ultimi”20.
Nelle pagine che seguono ci chiederemo se i diritti dell’uomo sono sufficientemente protetti nell’ordine
giuridico comunitario (Capitolo 1), poiché dalla risposta a questa domanda dipende quella
dell’opportunità di una eventuale adesione della Comunità alla Convenzione (Cap. 2). Analizzeremo
poi il parere 2/94 della Corte di Giustizia (Cap. 3). In conclusione (Cap. IV), si cercherà di riflettere
sulle possibilità che esistono di migliorare la protezione dei diritti fondamentali nell’ordine giuridico
comunitario, dopo il parere del 28 marzo 1996 e alla luce delle modifiche apportate al diritto
comunitario dal recente Trattato di Amsterdam.
prevede che i ricorsi siano direttamente proponibili alla Corte europea (costituita da una camera giudicante di 7 giudici per i casi
più semplici e di 17 giudici per quelli più complessi); la Commissione europea è stata soppressa e il Comitato dei Ministri ha
perso il suo potere decisionale. Inoltre, la Commissione e la Corte tenevano un numero limitato di sessioni annuali: la nuova
Corte è invece un organismo unico e permanente. Cfr. la Repubblica, 4/11/1998; per il testo della Convenzione europea come
risulta a seguito dell’entrata in vigore del Protocollo 11, Human Rights Journal, 1994, p. 102 e sgg.
18
Il paragrafo 1 dell’art. N dispone che “Il governo di qualsiasi Stato membro o la Commissione possono sottoporre al Consiglio
progetti intesi a modificare i Trattati su cui è fondata l’Unione. Qualora il Consiglio, dopo aver consultato il Parlamento europeo
e, se del caso, la Commissione, esprima parere favorevole alla convocazione di una conferenza dei Rappresentanti dei Governi
degli Stati membri, questa è convocata dal Presidente del Consiglio allo scopo di stabilire di comune accordo le modifiche da
apportare ai suddetti trattati(…). Gli emendamenti entreranno in vigore dopo essere stati ratificati da tutti gli Stati membri “.
19
“En effet, en imposant une révision prèalable du traité, la Cour de Luxembourg sait, pertinentement, que sauf revirements des
Etats “minoritaires” les plus importants, l’adhésion est plus ou moins renvoyée aux calendes grèques”: J. F. FLAUSS, L’avis
2/94 de la La Cour de justice des Communautées européennes du 28 mars 1996, Bull. Dr. H., 6/1996, p. 5.
20
L. S. ROSSI, Il parere 2/94 sull’adesione della Comunità Europea alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ne Il diritto
dell’Unione Europea, 3/96, p. 843.
7
CAPITOLO 1: LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’
EUROPEE
1.1. “Diritti dell’uomo”: un tentativo di definizione
Il primo problema che dovrebbe essere brevemente affrontato è quello della definizione di “diritti
dell’uomo”.
Nell’ordine giuridico interno i differenti sistemi giuridici si riferiscono tanto alla nozione di diritti
fondamentali che a quella di diritti dell’uomo o di libertà pubbliche, la cui equivalenza è dubbia; i
termini variano da un testo all’altro, e la confusione aumenta con l’incorporazione nel diritto interno di
convenzioni internazionali che si riferiscono ai diritti dell’uomo o, indifferentemente, alle libertà
fondamentali, se non ad entrambi, come fa la Convenzione europea per i diritti umani.
Gli studi dedicati ai diritti fondamentali non suggeriscono alcuna definizione21: questo silenzio può
essere giustificato dall’assimilazione della nozione di diritti fondamentali a quella di diritti dell’uomo22.
Anche quest’ultima è però una definizione molto vaga23.
I diritti dell'uomo costituiscono inoltre una classe variabile che si è modificata e va modificandosi col
mutare delle condizioni storiche e culturali24.
Di fronte ai problemi posti da una definizione univoca, non possiamo che affermare che il problema
sostanziale relativo ai diritti dell’uomo è oggi non tanto quello di definirli, o di giustificarli, quanto quello
di proteggerli25.
21
Un’eccezione è rappresentata da M. H. MENDELSON, The European The European Court of Justice and Human Rights, YEL,
1981, p. 126, che distingue quattro tipi di diritti: i diritti civili e politici, i diritti economici e sociali, i principi di giustizia
amministrativa e i cd. “fundamental Community rights”. Anche L. DUBOIS, Le rôle de la CJCE. Object et portée de la protection,
RIDC, 1981, p. 608, tenta di circoscrivere il contenuto materiale dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Corte di Giustizia nei
principi di uguaglianza, libertà e proprietà, oltre ai diritti che hanno come scopo quello di garantire la sicurezza giuridica dei
cittadini comunitari. L’Autore inoltre invita a non confondere il concetto di diritto fondamentale con i principi di diritto, una delle
fonti formali del diritto comunitario, che hanno uno spettro infinitamente meno esteso dei diritti fondamentali.
22
F. DI BUCCI, Droits fondamentaux in A. BARAV e C. PHILIP, Dictionnaire juridique des Communautées européennes, Paris,
1993, p. 412, rileva esplicitamente che nel diritto comunitario l’espressione “diritti fondamentali” è generalmente utilizzata come
sinonimo di “diritti dell’uomo”. L’assimilazione è però più spesso implicita: v. P. PESCATORE, Les droits de l’homme et
l’intégration européenne, CDH, 1968, p. 629 e sgg.; G. COHEN JONATHAN, La Cour de Communautés européennes et les
droits de l’homme, RMC, 1978, p. 74 e sgg., suggerisce di confrontare le costituzioni o la CEDU per riconoscere i diritti che
meritano la qualifica di fondamentali, ma fa notare che il catalogo di diritti fondamentali riconosciuti nell’ordine giuridico
comunitario non si confonde con quelli delle costituzioni e delle convenzioni internazionali.
23
N. BOBBIO, ne L’età dei diritti, Torino, 1992, p. 5 e sgg., sottolinea come la maggior parte delle definizioni di diritti dell’uomo
siano tautologiche; se si aggiunge qualche riferimento al contenuto, non si può fare a meno di introdurre qualche termine di
valore: “il fondamento di diritti, di cui si sa soltanto che sono condizioni per la attuazione di valori ultimi, è l’appello a questi valori
ultimi” che, a loro volta, non si giustificano, si assumono. I valori ultimi, inoltre, sono antinomici e in quanto tali, non possono
realizzarsi tutti globalmente e contemporaneamente.
24
P. WACHSMANN, Les droits de l'homme, Paris, 1995, p. 40, sottolinea quanto sia problematico parlare di universalità dei
diritti dell'uomo; riportando una formula di B. Edelman, l’Autore osserva che parlando di universalità dei diritti dell'uomo noi
pretendiamo di “universalizzare la nostra universalità”. Ciò vale soprattutto per la concezione occidentale dei diritti dell'uomo,
che ha "vocation à l'universalité, mais qu'elle ne l'a qu'à ses propres yeux - et aux yeux de ceux qui y adhèrent".
25
N. BOBBIO, op. cit., p. 16.
8
1.2. La giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee
Il tema della protezione giudiziaria dei diritti dell’uomo nella Comunità attraversa tutta la
giurisprudenza della Corte di giustizia, dai suoi primi passi come Corte CECA, sino ai nostri giorni.
Esso accompagna e segna l’evoluzione della comunità nel suo insieme, fornendo un indice molto
prezioso per l’osservatore che cerchi di analizzare la sua struttura politica e costituzionale26.
Tale protezione giudiziaria si è resa necessaria poiché i trattati di Parigi e di Roma, carte costituzionali
della comunità, non contengono alcun catalogo di diritti fondamentali. Nelle loro versioni d’origine, non
è presente nessun riferimento a questo argomento: semplicemente, essi garantiscono alcuni diritti
specificamente economici nel trattato CE e diritti legati alla cittadinanza dell’Unione nel trattato UE.
Essendo la Comunità europea una comunità di diritto, essa offre delle garanzie di sicurezza giuridica:
l’articolo 164 del trattato dispone che la Corte di giustizia “assicura il rispetto del diritto
nell’interpretazione e nell’applicazione del […] trattato”. Questa esigenza è rafforzata dall’articolo 173
che dispone che la Corte “esercita un controllo di legittimità sugli atti adottati congiuntamente da
Consiglio e Commissione […] che non siano raccomandazioni o pareri”. Il trattato offre ugualmente
delle garanzie procedurali nell’articolo 167 relativo all’indipendenza della Corte, o ancora nell’articolo
166 sullo statuto dell’avvocato generale. L’articolo 215 infine, prevede che, in materia di responsabilità
non contrattuale, la comunità debba riparare, comunemente ai principi generali comuni agli Stati
membri, i danni causati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni.
Ma se queste disposizioni meritano di essere sottolineate, esse non possono bastare ad assicurare
una protezione soddisfacente dei diritti dell’uomo nell’ordine giuridico comunitario, e cioè a garantire
un livello di protezione almeno equivalente a quello offerto a livello nazionale da ciascuno degli Stati
membri. Il problema della protezione dei diritti fondamentali nella comunità non poteva così mancare
di porsi nel momento in cui le istituzioni cominciavano ad attivare i poteri che erano stati loro attribuiti
e prendevano misure suscettibili di ledere gli interessi dei cittadini.
Davanti all’inquietudine delle giurisdizioni nazionali, la Corte di Giustizia ha adottato per diverso tempo
una posizione puramente difensiva in materia di diritti dell’uomo 27 , se non addirittura di netta
chiusura28: ogni volta che le veniva sottoposto il problema della conformità di una misura comunitaria
con un diritto dell’uomo garantito sul piano nazionale, essa si limitava a difendere l’autonomia del
diritto comunitario affermando che quest’ultimo non poteva essere invalidato sulla base del diritto
interno 29 . E’ sintomatica di questo ragionamento la sentenza resa il 15 luglio 1960, affare dei
Comptoirs de Vente du Charbon de la Ruhr. Le imprese ricorrenti contestavano una regolamentazione
26
F. MANCINI e V. DI BUCCI, Le développement des droits fondamentaux en tant que partie du droit communautaire, Collected
courses of the academy of European Law, 1990, Vol. I–1, Dordrecht- Boston-London, 1991, p. 35. Gli autori sottolineano come
l’esistenza di un meccanismo di protezione dei diritti fondamentali sia diventato uno degli attributi essenziali di una democrazia
moderna e come esso, da limite posto al potere dello Stato, si sia trasformato in strumento di legittimazione della sua sovranità.
27
G. COHEN JONATHAN, Les droits de l’homme dans les Communautées européennes, Mèlanges Einsenmann, Paris, 1977,
p. 407: “La Cour de Luxembourg ha adopté pendant longtemps une position purement défensive, assez logique sans doute,
mais limitée, sans imagination”.
28
Questo il parere di F. MANCINI e V. DI BUCCI, Le développement…, op. cit., p. 35.
29
P. PESCATORE, Les droits de l’homme…, op. cit., p. 637.
9
commerciale imposta dall’Alta Autorità ai Comptoirs della Ruhr invocando l’articolo 14 della Legge
fondamentale tedesca relativa alle garanzie della proprietà privata. La Corte rifiutò di pronunciarsi in
materia poiché
Non spetta alla Corte, giudice della legalità delle decisioni prese dall’Alta Autorità […] assicurare il rispetto delle regole di diritto
interno, anche costituzionali, in vigore nell’uno o nell’altro degli Stati membri; la Corte non può né interpretare né applicare
l’articolo 14 della Legge fondamentale tedesca nell’esame della legalità di una decisione dell’Alta Autorità30.
Questa risposta della Corte può spiegarsi innanzi tutto con il fatto che i giudici dell’epoca erano
probabilmente d’accordo con i padri fondatori delle Comunità circa l’inutilità di un Bill of Rights in una
comunità economica, percepita ancora come una semplice organizzazione internazionale, anche se
sui generis. In secondo luogo, in assenza di una dottrina che enunciasse chiaramente il primato del
diritto comunitario, i giudici temevano forse che la protezione dei diritti fondamentali diventasse il
pretesto attraverso il quale gli atti comunitari e l’attività delle istituzioni sarebbero stati subordinati alle
disposizioni costituzionali e legislative degli Stati membri31.
La sentenza Costa/ENEL32 doveva modificare totalmente queste prospettive. Se è vero, infatti, come
affermato dalla CGCE in questa sentenza, che il trattato CEE “ha istituito un proprio ordinamento
giuridico” e che “il trasferimento, effettuato dagli Stati a favore dell’ordinamento giuridico comunitario,
dei diritti e degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del Trattato implica […] una limitazione
definitiva dei loro diritti sovrani”, la necessità di una carta comunitaria dei diritti dell’uomo si impone.
Nel momento in cui “il diritto nato dal Trattato“ non può “trovare un limite in qualsiasi provvedimento
interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risult(i) scosso il fondamento
giuridico della stessa Comunità”, i diritti fondamentali e i meccanismi di controllo esistenti negli Stati
30
CGCE, sentenza Comptoirs de vente de charbon de la Ruhr c. Alta Autorità, 15 luglio 1960, cause da 36 a 39 e 40/59, in
Racc., p. 890. Può essere interessante leggere le conclusioni dell’avvocato generale Lagrange a questa sentenza, ibid., p. 910.
Lagrange (definito non a torto “clairvoyant” da F. MANCINI e V.DI BUCCI, , in Le développement, op. cit., p. 36) aveva proposto
alla Corte di colmare le lacune del diritto comunitario in materia di diritti fondamentali applicando la tecnica dei principi generali
di diritto all’ambito dei diritti dell’uomo. Nelle sue conclusioni a questa sentenza, l’Avvocato generale aveva dichiarato che “non
spetta alla Corte… applicare almeno direttamente (in corsivo nel testo), le regole di diritto interno, anche costituzionali…”, ma,
aggiunge, “essa può… ispirarsene eventualmente per trarne l’espressione di un principio generale di diritto suscettibile di
essere preso in considerazione per l’applicazione del trattato”. Sull’orientamento della Corte v. anche la sentenza Stork del 4
febbraio 1959, causa 1/58, in Racc. 1959, p. 43: anche qui la CGCE rifiuta di esaminare la validità degli atti comunitari rispetto
ai diritti fondamentali protetti dalla legge tedesca, come sollecitato dai ricorrenti (i quali lamentavano la violazione da parte
dell’Alta Autorità degli articoli 2 e 12 della Legge fondamentale tedesca riguardanti rispettivamente il libero sviluppo della
personalità e la libertà professionale) e anche la conformità degli stessi atti comunitari rispetto ai principi generali comuni ai
diritti degli Stati membri.
31
Così MANCINI, DI BUCCI, Le développement…, op. cit., p. 36. Anche G. COHEN JONATHAN, Les droits de l’homme dans
l’Europe de demain, op. cit., p. 408, giudica la risposta della Corte nella sentenza Comptoirs de vente de charbon de la Ruhr
abbastanza logica (è espressione delle concezioni più classiche del diritto internazionale), ma incompleta, perché nega
all’individuo il diritto di invocare la sua costituzione senza però assicurargli una giusta protezione sul piano comunitario.
Secondo l’Autore, il risultato è un vero “déni de justice”. P. PESCATORE, Les droits de l’homme, op. cit., p. 638, osserva che la
Corte avrebbe almeno potuto mostrare la sua sollecitudine per il problema della violazione di un diritto fondamentale; la Corte
avrebbe dovuto interrogarsi sull’esistenza, nel diritto comunitario, di una garanzia analoga a quella invocata, per arrivare in
seguito a pronunciarsi se un diritto di carattere fondamentale fosse stato infranto.
32
CGCE, sentenza del 15 luglio 1964, Costa c. ENEL, cit..
10
membri devono trovare il loro equivalente nel quadro comunitario, per evitare che venga ridotto il
livello di protezione di cui beneficiano i cittadini.
E’ proprio su questo terreno che si organizza la resistenza alla dottrina del primato del diritto
comunitario delle Corti costituzionali tedesca e, in misura minore, italiana che hanno, fra le loro
competenze, quella di assicurare il rispetto del catalogo nazionale dei diritti fondamentali 33 . In
Germania le obiezioni mosse all’applicazione del diritto comunitario nel diritto interno sono state tanto
radicali da minacciare di rimettere in causa l’adesione della RFT ai trattati europei34.
In particolare, due furono le critiche formulate di fronte alle giurisdizioni tedesche: la prima si riferiva al
problema di sapere se uno Stato che, in forza della propria Costituzione, deve rispettare alcuni principi
di struttura propri delle democrazie liberali (rispetto del diritto, separazione dei poteri, carattere
democratico del processo legislativo, controllo giurisdizionale…), possa validamente trasferire
competenze ad un organismo il cui atto costitutivo non sia conforme a queste esigenze35. La seconda
critica riguarda specificamente i diritti dell’uomo e l’estensione della delegazione di competenze
consentita dal legislatore tedesco alle comunità: il problema è sapere se l’autorità comunitaria possa
33
P. PESCATORE, Les droits de l’homme…, op. cit., p. 632, si chiede perché il problema della protezione dei diritti
fondamentali non abbia sollevato la stessa inquietudine negli altri paesi membri della Comunità; la ragione di questo strano
contrasto va senza dubbio, a suo avviso, attribuita al fatto che i giuristi tedeschi e italiani sono particolarmente sensibili ai diritti
dell’uomo, e che il compito delle due Corti è appunto quello di vegliare sul rispetto della legge fondamentale e dei diritti che
essa sancisce: “pour eux, plus que pour les autres, le respect des droits de l’homme constitue dès lors une dimension réelle de
la vie judiciaire”. Neppure per M. H. MENDELSON, The European Court of Justice and Human Rights, YEL, 1981, p.130, è
casuale che siano proprio le Corti tedesca e italiana a sollevare il problema del rispetto dei diritti fondamentali nelle Comunità:
“it was in these two countries that fundamental rights were the most thoroughly entrenched constitutionally – largely as reaction
to their fascist past”. Per una visione d’insieme sulla clausola dei diritti fondamentali fra Corte di giustizia e corti costituzionali
degli Stati membri, v. A. BENAZZO, Diritti fondamentali, giudici costituzionali e integrazione europea, in Rivista italiana di diritto
pubblico comunitario, 5/98, p. 835.
34
In Germania il problema ha infatti riguardato l’interpretazione dell’art. 24 § 4 della Legge fondamentale tedesca, che prevede
che “La federazione può trasferire, per via legislativa, dei diritti di sovranità a delle istituzioni internazionali”. Data la natura
dualista del sistema tedesco, i trattati europei e il diritto derivato, introdotti nell’ordinamento nazionale attraverso una legge
ordinaria, hanno lo stesso valore giuridico dell’atto iniziale d’approvazione: in teoria, dunque, essi possono essere oggetto di un
controllo di conformità alla costituzione che gli è gerarchicamente superiore. Questa eventualità è stata vigorosamente scartata
da tutti coloro che hanno messo l’accento sulla specificità dell’integrazione comunitaria; altri autori hanno al contrario affermato
la possibilità di verificare la costituzionalità dei trattati comunitari e del diritto derivato. Per una analisi della dottrina tedesca, cfr.
G. COHEN JONATHAN, Les droits de l’homme dans les communautées européennes, op. cit., p. 401 e sgg..
35
La legge tedesca di ratifica sarebbe incostituzionale perché essa consentirebbe una delegazione di poteri legislativi
all’autorità comunitaria che ha invece carattere esecutivo: é questa la tesi detta de “l’equivalenza strutturale” che ha ricevuto un
certo favore nella dottrina e nella giurisprudenza tedesca. Spinta alle estreme conseguenze, questa dottrina ha per effetto di
gettare un dubbio sulla legittimità dell’adesione dello Stato tedesco alle Comunità europee, e permette di giustificare la priorità
delle regole di diritto nazionale sulle regole di diritto comunitario: queste ultime, infatti, non essendo il risultato di un processo
assimilabile al processo legislativo nazionale, sarebbero di rango inferiore alle norme statali. Su questo punto v. P.
PESCATORE, Les droits de l’homme…, op. cit., p. 633 e sgg..; G. COHEN JONATHAN, Les droits de l’homme dans l’Europe
de demain, RDH, 1972, p. 617 e sgg.. Tuttavia si deve riconoscere che questa teoria riflette una preoccupazione legittima circa
la devoluzione di poteri legislativi ad un esecutivo non sufficientemente controllato dai rappresentanti del popolo, e cioè, in
questo caso, dal Parlamento Europeo. In questo senso, va valutata più che positivamente l’attribuzione al PE di poteri sempre
più ampi di partecipazione al processo legislativo.