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2. Essa è composta da frasi coordinate, anziché subordinate, da epiteti, da frasi
parallele ed opposte;
3. Essa è ridondante, ripetendo il già detto;
4. Essa è strettamente legata all’ esperienza umana, in quanto si rifà sempre alla
vita quotidiana ed alle esperienze dell’ uomo.
La scrittura, invece, viene vista da Ong come una tecnologia. Basti pensare al suo
avvento, alle trasformazioni che essa comportò nei confronti delle civiltà che
basavano la loro comunicazione tutta sull’ oralità. Non poteva mancare un accenno al
famoso Fedro di Platone, che affronta la questione dell’ avvento della scrittura,
demonizzando in maniera inequivocabile il nuovo mezzo che, a detta del filosofo,
presume di dare all’ uomo la sapienza ma in realtà non farebbe altro che produrre
oblio nell’ anima degli uomini, facendogli perdere l’ esercizio della memoria.
Tuttavia la scrittura, secondo Ong, ha trasformato la mente umana più di qualsiasi
altra invenzione, producendo così un discorso “decontestualizzato”, che ha perso
contatto col suo vero autore; ha comportato inoltre la riduzione del suono a spazio, la
separazione della parola dal presente immediato, nel quale esistono solo parole
parlate. Ma Ong riesce ad individuare anche una facoltà comune ad oralità e scrittura:
si tratta della facoltà oracolare (come nell’ oralità esistono discorsi adoperati in
formule rituali fisse, come gli oracoli e le profezie, così il libro diviene portavoce di
un messaggio derivante da una fonte, rappresentata dall’ autore stesso del libro).
Limitarsi però alla sola definizione di cosa sia l’ oralità e cosa la scrittura appare del
tutto riduttivo. Si farà quindi un breve riferimento alla cosiddetta “analisi del
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parlato”, ovvero lo studio che mira a fare dell’ uso parlato un oggetto di analisi, al
pari dei testi scritti, che ci darà ulteriori informazioni sulla dicotomia oralità/scrittura,
non prima di aver menzionato i quattro tipi di oralità descritti da Zumthor. L’ autore,
nella sua opera, cerca di delineare una sintesi sul tema della poesia orale. Egli riduce
a quattro specie ideali l’ estrema diversità delle situazioni possibili. Ecco, quindi i
quattro tipi di oralità descritti da Zumthor:
1. Oralità primaria, la quale non ha alcun contatto con la scrittura;
2. Oralità mista (quando l’ influenza dello scritto rimane esterna ad essa);
3. Oralità secondaria, la quale si ricompone a partire dalla scrittura e in un ambiente
in cui quest’ ultima predomina sui valori della voce nell’ uso e nell’ immaginario;
4. Oralità meccanicamente mediata, differita nel tempo e nello spazio.
E’ solo dopo aver fatto riferimento all’ opera di Zumthor che possiamo addentrarci
all’ interno dell’ analisi del parlato, ovvero lo studio che fa dell’ uso parlato un
oggetto di analisi. All’ interno di questo campo di studi troviamo grandi nomi quali
De Mauro, Nencioni e Albano Leoni. Ognuno di loro, a suo modo, ci presenta un
approccio diverso all’ analisi della sfera del parlato. Se Nencioni afferma che il
parlato del colloquio quotidiano è inverificabile, in quanto attraverso la registrazione
audiovisiva è possibile registrare solo il contesto immediato, non quello mediato,
escludendo così i presupposti pragmatici del colloquio, De Mauro, d’ altro canto, ci
informa di cinque casi in cui è palese una secondarietà dello scritto rispetto al parlato,
secondarietà motivata da una base biologica, in quanto l’ uomo preferisce il parlare
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allo scrivere per una sorta di “economia cognitiva”, ossia per adoperare il minimo
sforzo nella comunicazione. Eccoli:
1. Il primo caso riguarda il fatto che i segni linguistici siano stati realizzati anzitutto
oralmente e solo successivamente graficamente;
2. il secondo caso è relativo al fatto che solo un numero ristretto di idiomi risultano
adoperati, oltre che oralmente, anche scrivendo;
3. Il terzo caso riguarda il fatto che, fino ai tempi più recenti, solo una minoranza
delle persone era in grado di servirsi della trasmissione scritta dei segni linguistici;
4. Il quarto caso è relativo al fatto che tutti coloro che sanno servirsi della
trasmissione scritta dei segni linguistici, vi ricorrono solo eccezionalmente;
5. L’ ultimo caso è relativo al fatto che: “Un testo scritto non ha altro compito che
quello di registrare ed evocare un testo parlato” (De Mauro, 1971: 100).
Tuttavia De Mauro ci tiene a sottolineare che questa secondarietà dello scritto rispetto
al parlato, in alcuni casi, subisce forti limitazioni: è questo il caso di alcune lingue
che sono state usate esclusivamente nelle scritture, come il latino medievale e
moderno, lo stesso italiano dal Quattrocento al Novecento. Non si può, a questo
punto, non fare riferimento alle nozioni di uso “formale” ed uso “informale” di una
lingua, analizzate dallo stesso linguista. Secondo De Mauro sarebbe un errore
stabilire una sorta di equivalenza che vorrebbe l’ uso scritto indissolubilmente legato
ad un uso formale e l’ uso parlato legato invece ad un uso informale, anche se, d’
altra parte, sarebbe sciocco non ammettere che, nell’ uso scritto l’ utente si senta
orientato maggiormente ad un uso formale, a differenza di quei contesti familiari in
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cui lo stesso utente si sente portato maggiormente ad usare un tono più libero dall’
osservazione di norme relative al codice della lingua. Albano Leoni, invece, classifica
in uno schema alcune tipologie comunicative di base. All’ interno dello schema, lo
studioso cerca di evidenziare una sorta di continuità, di filo conduttore che
idealmente colleghi la sfera dello scritto a quella del parlato. In effetti, a suo dire,
scritto e parlato apparterrebbero entrambi alla facoltà di linguaggio, ma si
differenzierebbero per mezzo di vari fattori, quali le fasi iniziali e finali dei processi, i
gesti della produzione, nonché gli oggetti della decodifica.
A fine capitolo, si faranno delle considerazioni circa le caratteristiche di cui la
scrittura si serve per poter rappresentare il parlato: ecco che, grazie a queste
caratteristiche, i due sistemi della scrittura e del parlato cominciano ad incontrarsi.
Benché aventi peculiarità che li differenziano notevolmente, lo scritto e il parlato
trovano comunque un punto di incontro, ovvero una trasposizione dell’ oralità
attraverso la scrittura. Ecco queste caratteristiche:
1. La composizione in unità discrete e finite;
2. La semanticità;
3. La metalinguisticità;
4. La convenzionalità.
Senza questa premessa, non si potrebbe dimostrare che entrambi i sistemi coesistono
all’ interno della pagina letteraria. I complessi rapporti tra oralità e scrittura vengono
qui studiati attraverso l’ analisi delle metafore della pagina letteraria. Alla metafora,
ed alla sua natura cognitiva (“Noi pensiamo per metafore” , diranno Lakoff e
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Johnson), è dedicato il secondo capitolo. Nello studio di Lakoff e Johnson, la
metafora viene spogliata del suo angusto ruolo retorico per assurgere a modus
vivendi, diventando un ponte situato a metà tra linguaggio ed esperienza percettiva.
In particolare, Lakoff e Johnson ci presentano vari tipi di metafore:
1. Metafore di orientamento;
2. Metafore ontologiche;
3. Metafore di personificazione
4. Metonimia;
5. Metafore strutturali;
6. Nuovi significati.
In conclusione, dopo aver riassunto l’ iter di questo lavoro, è opportuno ritornare a
quanto detto da Albano Leoni (vedi schema). In effetti, egli, attraverso il suo
grafico, oltre a mostrarci in maniera chiarissima la dinamica del rapporto tra orale
e scritto, (rapporto pertanto analizzato già ampiamente da Ong), mette in evidenza
un aspetto fondamentale: l’ indipendenza dei due sistemi, scrittura e parlato. La
scrittura, quindi, svolge così il ruolo di mezzo attraverso il quale si parla dell’
oralità. Non è raro che gli uomini si servano del mezzo scritto per riferirsi all’
esperienza del “dire”. Sui nostri telefoni cellulari è consuetudine diffusa scrivere
un messaggino in cui promettiamo all’ interlocutore di “parlargli” di quella
determinata cosa. Nelle ormai anacronistiche lettere che un tempo scrivevamo a
mano, ma che oggi sono diventate pagine di blog o di forum sul web, cosa
scriviamo, se non del voler comunicare qualcosa a qualcuno? Linguisti e
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glottologi, inoltre, sono interessati a quei fenomeni legati al trasferimento del
linguaggio orale nella scrittura, individuando nel modo di scrivere dei giovani
studenti una trasposizione di termini nell’ uso scritto che appartengono all’ oralità
e al parlare quotidiano. La scrittura, quindi, a pensarci bene, tra le sue funzioni
primarie , tra le quali quella di “fissare graficamente l’ informazione” (Gensini,
2004: 129)
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, riveste anche quella di creare una trasposizione dell’ oralità.
Alla luce di ciò, quindi, possiamo concludere che le metafore della scrittura
rilevate dallo spoglio del L.I.Z. 4.0 mostrano come si ricorra all’ uso di categorie
derivanti dalla scrittura per modellizzare il parlato. E’ proprio il criterio di
modellizzazione ad essere chiamato in causa nel rapporto tra il dire e lo scrivere.
Pensiamo al semplice uso dell’ alfabeto: non si tratta forse di un caso in cui
modellizziamo il nostro parlato ricorrendo ai simboli della lingua scritta?
Goldoni, C. :
“Chiudasi la parentesi e torniamo a noi”
“Mi hanno detto a lettere cubitali”
“Vi prometto di non lasciar fuori una virgola”
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Qui viene riportata la definizione di scrittura contenuta nel “Manuale di Semiotica”, di Stefano Gensini, Carocci,
2004.