minoritaria rispetto al centri di potere che l’hanno governata e amministrata e
che con essa si sono trovati a interagire.
La trattazione si presenta come una panoramica che attraversa mezzi, spazi,
tempi e usi non in modo asettico e soltanto descrittivo, ma mettendo in rilievo
il ruolo del concetto di novità, invenzione, trasformazione eei mezzi, dei
territori, dei tempi, degli usi tenendo sempre al centro e utilizzando come
elementi unificatori almeno tre aspetti fondanti.
¾ Il primo aspetto fondante si basa su quella prospettiva sopra indicata,
ossia quella che tiene il concetto di dignità propria e altrui come punto
di partenza per qualsiasi riflessione culturale. In questo senso è
sottinteso che nessun mezzo, nessuno spazio, nessun tempo è superiore
o migliore di un altro anche se parallelamente ogni strumento, luogo ed
epoca ha le sue peculiarità che per essere adoperate devono essere
comprese.
¾ Altro elemento unificante è quello che vede le isole di Sardegna non
come mero territorio geografico o Regione amministrativa ma come un
luogo abitato e attraversato da “persone che comunicano” e quindi
scambiano, tramandano, recuperano e diffondono informazioni.
¾ Il terzo e ultimo filo conduttore riguarda l’attenzione che durante tutta
la trattazione viene rivolta alle pratiche di interiorizzazione dei media e
di autorappresentazione attraverso gli stessi.
Nello specifico i capitoli sono quattro, preceduti da un’introduzione e
seguiti dalle conclusioni e due appendici.
1) Mezzi:
Nel primo capitolo, dopo una panoramica generale delle epoche
mediatiche create e attraversate dall’homo sapiens attraverso le
rivoluzioni strutturali e tecniche ci si sofferma brevemente sui processi di
convergenza e integrazione (che stanno attualmente interessando tutte le
attività umane) e sulla descrizione delle pratiche di interazione, per poi
arrivare in maniera abbastanza diretta alla deduzione della necessità di
una adeguata alfabetizzazione che non comprenda solo le pratiche di
scrittura e lettura ma di tutte quelle nozioni che permettano non solo di
fruire ma anche usare ogni media costitutivo della propria società;
dall’oralità alle reti e gli apparecchi digitali, passando per quelli
analogici.
Conclusione che si va a delineare è allora che la relegazione ai sistemi
esperti di qualsiasi pratica comunicativa, causata spesso dall’assenza di
una aggiornata alfabetizzazione ed educazione mediatica fa sì che
alcune pratiche comunicative non risultino interiorizzate dalla
popolazione che comunque ne è in qualche modo condizionata, e che si
trova a convivere con i significati che con essi o con parte di essi
vengono veicolati.
12
In questo senso si fa allora riferimento alle nozioni di divario tecnologico
e divario di rappresentazione che sono presenti in maniera abbastanza
evidente nella società presa in esame uno squilibrio nei processi di
produzione e distribuzione delle informazioni non solo causato da
disparità economica ma anche di competenza. Uno squilibrio che da un
lato ha ritardato o comunque reso più difficili le interiorizzazioni di quelli
che sono stati di volta in volta i nuovi media ma che al contempo ha
nutrito, rafforzato e portato a rinnovare le pratiche di comunicazione e
memorizzazione orale. Nozioni che logicamente si vanno allora a toccare
nella trattazione sono allora quelle di traduzione mediatica (per cui i
contenuti pensati per essere veicolati con un determinato media sanno in
qualche modo integrarsi con un altro) e quello di autorappresentazione
(ossia tutte quelle rappresentazioni create all’interno di un certo contesto
dagli stessi soggetti interessati da un determinato evento) Il capitolo si
conclude con un accenno a quella che Ong definisce “oralità di ritorno”, o
secondaria, ossia quella generata con gli sviluppi del fissaggio in un
supporto e della trasmissione delle entità sonore che ha portato in un
primo tempo (quello legato alla diffusione dei mezzi della comunicazione
di massa quali radio, cinema e televisione) a una rilegittimazione
dell’oralità e in un secondo tempo (quello legato ai media convergenti,
digitali e on-line) a una suo uso più collettivo e partecipante.
2) Spazi:
Il secondo capitolo cerca di focalizzare l’attenzione su quello che risulta
essere il contesto locale di riferimento: la Sardegna; un isola
mediterranea, letteralmente “in mezzo alle terre” e di conseguenza solo
parzialmente modello di isolamento, (ossia isolata solo in determinati
spazi e tempi non coincidenti), fattore che ne fa un lieto esempio di
“melting-pot radicato” dove nativi e migranti, Oriente e Occidente, Nord
e Sud del mondo si trovano miscelati in un contesto raramente studiato
nella sua effettiva complessità culturale. A questo proposito si mette in
evidenza il fatto che nell’uso corrente il termine “Cultura Sarda” è un
concetto aperto formato da membri legati tra loro da somiglianze di
famiglia e non dalla condivisione di una nota caratteristica. Somiglianze
che più che derivare da nessi etnici, identitari o politici, trovano unità in
quel carattere di determinatezza che l’insularità geografica comporta e
che fa della Sardegna una realtà culturale (oltre che spaziale)
particolarmente interessante.
I flussi con l’esterno infatti, sono in un isola come la Sardegna un
qualcosa di più facilmente identificabile, anche se, come in qualsiasi
contesto, di difficile generalizzazione. Senza voler necessariamente fare
riferimento al carattere odierno di Sardegna come Regione Autonoma
della Repubblica Italiana, essa rimane un contesto si influenzato dalle
varie culture e governi con cui le popolazioni che l’hanno abitata hanno
avuto a che fare, ma anche e soprattutto nutrito dalle azioni e le pratiche
che in tale contesto hanno trovato un’originale evoluzione e una
stratificata specificità.
13
Una conclusione che sembra emergere spontanea in questo capitolo è che
l’uso delle differenze come ricchezza culturale e segno di dignità sociale
non potrebbe che avvantaggiare anche lo sviluppo economico soprattutto
delle aree più povere e spesso più problematiche del sud e delle isole,
oltre che di tutti quei contesti nelle quali il bilinguismo e il
multiculturalismo (sia storico che recente) rappresenta una realtà che non
può più ragionevolmente essere ignorata. In questo senso è plausibile
affermare che ogni regione percepita come tale dai suoi abitanti possa e
in qualche caso debba orientare le sue differenze non come fonte di
competizione economica e giudizio morale ma di comprensione sociale,
crescita culturale e scambio informativo.
3) Tempi:
Nel terzo capitolo si mettono in evidenza le epoche mediatiche nel
contesto spaziale sardo attraverso una excursus storico ridotto
all’essenziale e particolarmente focalizzato sui processi di transizione e
interiorizzazione delle pratiche comunicative. Tralasciando per ovvie
ragioni di sinteticità il passato più remoto si passano in rassegna alcune
delle caratteristiche più palesi ai fini di comprendere le pratiche
comunicative inerenti la cultura sarda. Il primo aspetto che viene messo
in evidenza è quello per cui considerando che i primi documenti scritti
utilizzando i volgari sardi, risalenti addirittura alla seconda metà
dell’anno mille (1066-74) è evidente una precoce emancipazione dal
latino che mostra come non si possa propriamente parlare nel contesto
sardo di oralità primaria (ossia di quella di una cultura del tutto ignara
della scrittura). Considerando allora come le pratiche di scrittura fossero
in espansione durante il periodo Giudicale si và allora a esaminare come
con l’invenzione della stampa (introdotta in Sardegna nel 1566) facilitò
questo processo, notando come però come l’avviamento dell’Inquisizione
Spagnola (1492) e l’introduzione della censura preventiva (1502)
interruppero quella stagione di libertà che aveva accompagnato la stampa
fin dalla sua comparsa, facendo dei libri quasi “una merce proibita” o per
lo meno pericolosa. Continando la panoramica si và allora ad accennare
di come se la classe dominante spagnola controllò le tipografie e di fatto
limitò ogni tipo di circolazione e diffusione di testi scritti, quella Sabauda
cercò “solo” di indirizzarne i contenuti e di inserirvi il proprio punto di
vista. Per quanto riguarda l’autorappresentazione si fa un breve accenno
al fenomeno giornalistico sardo italiofono e una particolare attenzione a
quello dei “fogli volanti” contenenti fatti di cronaca o di importanza
sociale sotto forma di poesia e canzoni in lingua sarda, testimonianza di
una antica tradizione orale di selezione, interpretazione ed esposizione
“giornalistica”. Considerando che la caratterizzazione e l’influenza
politica del giornalismo vero e proprio continuò nel periodo fascista e nel
dopo guerra si va allora ad esaminare come gli altri mezzi di
comunicazione abbiano trovato uso in Sardegna. Considerato che la
prima trasmissione radiofonica libera in Sardegna sia addirittura del
1943, e che dopo la sentenza della Corte Costituzionale n.202 del 76 la
14
trasmissione in ambito locale sia radiofonica che televisiva fu di fatto
legalizzata, si fa notare come questi mezzi abbiano trovato in Sardegna
un luogo fertile e prolifico. Dal 1970 al 99 si contano quasi duecento
radio e quaranta televisioni di cui però solo meno della metà resiste
all’entrata in vigore della legge Mammì del 1995, che in più interrompe
di fatto questa esponenziale crescita dell’uso di questi nuovi mezzi di
comunicazione. Senza andare ad analizzare nello specifico le
conseguenze delle leggi successive si fa sinteticamente notare come il
potenziamento dei flussi esterni associata ad un non altrettanto grande
sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa locali e a un crescente
abbandono delle pratiche comunicative popolari proprie abbia portato a
una diminuzione dei canali di autorappresentazione e
autodocumentazione locali in Sardegna fino almeno alla legittimazione di
internet come nuovo mezzo di comunicazione. Giusto per citare qualche
esempio della rapidità con la quale le reti sono state sfruttate viene citata l
’Unione Sarda, edito a Cagliari dal 1889, che risulta il primo quotidiano
europeo a pubblicare la sua edizione nel web, e la recente apertura della
biblioteca digitale sarda, una banca dati curata dalla Regione dove sono
disponibili migliaia di contenuti analogici recentemente digitalizzati.
4) Uso.
Il quarto capitolo fa in qualche modo il punto della situazione mettendo
innanzitutto in risalto il fatto di come qualsiasi tecnologia e pratica
comunicativa abbia effetti diversi in un contesto a seconda che essa sia
usata esclusivamente dalle classi dominanti o sia interiorizzata anche
dalle fasce popolari di una determinata società. Segue la constatazione
che la ristrettezza di una adeguata educazione mediatica porta ancora
oggi a notevoli problemi sociali in Sardegna anche se le pratiche
autorappresentative hanno e lo scambio di informazioni dal basso stanno
trovando nel web e nelle trasmissioni digitali il nuovo canale nella quale
diffondersi ed evolvere. Il capitolo si conclude facendo notare come i
FLOSS (free/libre and open source) -ossia i programmi cui codice
sorgente risulta libero o aperto- e le politiche del Creative Commons
stiano diffondendo un nuovo concetto di diritto d’autore che incentivi
l’uso comunitario dei media e dei contenuti con essi veicolati,
riproponendo di fatto e a livello allargato le regole di condivisione della
conoscenza che avveniva in contesti prevalentemente orali.
Le conclusioni della tesi iniziano con una citazione di Pasolini, “la morte non è
nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi”, e seguono
con la famosa frase di Kranzberg “la tecnologia non è né buona né cattiva. E
non è neppure neutrale”. Queste due citazioni ci aiutano ad arrivare al senso
finale della trattazione: affinché la cultura sarda possa essere ancora compresa
dai suoi depositari e conosciuta più dignitosamente nel resto del mondo è
necessario che le tecnologie usate per comunicarla siano interiorizzate dalla
popolazione in modo che essa possa effettivamente considerata viva. In questo
senso si fa anche riferimento all’autorappresentazione in quanto autobiografia
15
di una società tesa alla formazione di punti di vista condivisibili più che
necessariamente condivisi, comprensibili più che uniformemente compresi,
ottenuti mettendo in moto quel processo formativo che porti a una
modellizzazione aperta, responsabile e polifonica della propria identità.
Nota: la trattazione contiene inoltre due appendici: nel primo vengono esposte
alcune piccole considerazioni sul concetto di diversità.
Il secondo appendice contiene il progetto di un portale che ho ideato durante
il ciclo di esami professionalizzanti che ho avuto modo di frequentare durante
questa esperienza universitaria. Esso rappresenta solo un modesto esempio di
come potrebbe essere possibile incentivare nel web le pratiche
autorappresentative e collaborative di carattere culturale e artistico favorendo
la convergenza virtuale dei contenuti e le interazioni nel contesto sardo così
come in qualsiasi altro contesto locale.
C.C.
16
. introduzione.
Decidere di usare un neologismo
1
per il titolo di una tesi non è una novità, e
usandolo non è la novità che si rincorre.
Eppure è noto che nel destinatario, il neologismo, soprattutto se derivato da
termini conosciuti, ha un potere più forte nella percezione, poiché obbliga alla
riflessione, alla riconciliazione tra la parola scritta, il suono e il significato.
Riporta in un lampo la scrittura all’oralità.
Sardignità…
Suonerà strano a molti, quasi stonato.
Ma si pensi all’orecchio quando, alle prese con un genere musicale
sconosciuto, valuta con perplessità e solo dopo un ripetuto e variato ascolto
riesce ad apprezzare o criticare.
E quando ad essere eseguita è una melodia nota, ma l’esecuzione avviene per
mezzo di nuovi strumenti, c’è un momento in cui stentiamo a riconoscere
l’originale.
Anche con un nuovo strumento o tecnica di comunicazione accade pressappoco
lo stesso.
Che sia un termine mai sentito o un nuovo mezzo di comunicazione, li si
comprende pienamente quando si è in grado di utilizzarli pubblicamente
2
.
Per goderne e usufruirne bisogna prenderci dimestichezza.
Abituarsi all’uso.
La novità deriva spesso dal conosciuto: essa può ispirarci repulsione, dubbio,
entusiasmo, ma raramente ci lascia impassibili.
Il primo passo è la curiosità.
1 E’ da segnalare che il termine Sardignità è già stato utilizzato da Gavino Maieli, (cfr. www.monserratonews.it ),
giornalista e poeta nonché direttore responsabile della rivista NUR (aipsa Edizioni, Cagliari, pubblicazione
bimestrale culturale bilingue fondata nel 2001 e sospesa nel 2005, cfr. www.editorisardi.it, www.aipsa.com )
2 È Wittgenstein a sostenerlo nelle sue Philosophische Untersuchungen -Ricerche Filosofiche- nel quale, a proposito
del linguaggio, spiega il fondamentale ruolo dell’uso (non privato né individuale) nel processo della comprensione.
(cfr. Wittgenstein L. ,Ricerche Filosofiche,Philosophische Untersuchungen, Einaudi, Torino 1999.
17
Seguono poi il rifiuto o l’interesse, l’ignoranza o l’uso.
Abituarsi a considerare la dignità come valore guida di qualsiasi cultura e
soprattutto di una minoritaria, come quella sarda, è come allenare la mente ad
un nuovo modo di concepire la realtà; o meglio un nuovo modo di organizzarla
e condividerla.
In sintesi: un nuovo modo di usarla.
Più che nuovo, forse, semplicemente sconosciuto, o quasi.
Molte culture minoritarie e organizzazioni per la tutela della ricchezza culturale
hanno fatto e stanno facendo appello al valore della dignità per accrescere
l’autocritica e l’autostima dei propri componenti e per la tutela, l’innovazione,
il confronto e l’intreccio dei patrimoni cultuali umani.
Per farlo si stanno già da tempo appoggiando alle nuove tecnologie di
comunicazione.
I media di comunicazione, registrazione e trasmissione, sia tradizionali che
analogici, hanno trovato nelle memorie virtuali degli hard-disk, nei supporti di
registrazione digitale e nelle reti integrate fisiche e immateriali
3
, non dei
sostituti ma dei compagni; con una grande differenza: la possibilità di
integrazione e interazione, oltre che una maggiore accessibilità, un più largo
raggio d’azione in meno tempo.
Oggi con un computer collegato alla rete si può accedere a un numero di dati in
continua crescita. Con lo stesso mezzo si possono pubblicare (creare,
memorizzare e arricchire) un numero di dati per la cui diffusione, fino a pochi
decenni fa, occorrevano forti investimenti di mezzi, di tempo e di denaro che
solo in pochi potevano permettersi.
Per quanto il computer e le reti integrate non siano ancora facilmente
accessibili soprattutto economicamente a molte fasce della popolazione in tutti
i paesi del mondo, è evidente che rispetto ai “nuovi media del passato”( quali
sono stati ai loro tempi la scrittura, la stampa, la radio eccetera) mai un “nuovo
media” è stato altrettanto fruibile e usabile in maniera così estesa e in così
breve tempo al di fuori dei poteri ufficiali e dominanti, ossia le classi dirigenti,
mercantili o prettamente intellettuali.
I primi entusiasmi scaturiti per le possibilità di una migliore distribuzione della
conoscenza e delle informazioni all’interno delle società si sono dovuti però
ridimensionare non solo a causa dei costi –troppo spesso elitari- delle nuove
tecnologie ma anche per la difficoltà legata ai processi d’apprendimento e
aggiornamento ad esse legate ed indispensabili per un utilizzo consapevole dei
nuovi media.
In effetti i nuovi media possono contribuire all’organizzazione e la creazione di
visioni interdipendenti dal basso solo a patto di una loro conoscenza estesa e
legittimata da un uso collettivo, pubblico e polifonico. Senza questi
3 Create dalla sovrapposizione di rame, fibra ottica, satellite e wireless.
18
presupposti, l’uso rimane elitario (sia istituzionale che privato) intensificando
di fatto l’omogeneizzazione culturale tramite pochi e mirati punti di vista
dall’alto
4
;
Quello che in questa sede c’interessa trattare sono i cambiamenti messi in atto
dall’evoluzione dei Media nei processi di auto-documentazione, ossia la pratica
per cui le attività documentative non avvengono attraverso selezioni esterne
ma all’interno degli stessi contesti interessati dai soggetti delle comunicazioni
in un interscambio dal basso.
In questa trattazione si vedranno sinteticamente le dinamiche che hanno
interessato nel corso dei secoli le pratiche d’auto-documentazione nel generale
contesto delle isole di Sardegna tenendo presente che l’autodocumentazione
può interessare sia la scelta che la produzione di informazioni mediatizzate e
può coinvolgere diverse comunità della società umana, dai gruppi d’interesse
alle minoranze linguistiche, dalle categorie di lavoratori ai raggruppamenti
associativi.
Il punto di riflessione saranno le dinamiche di autodocumentazione (e quindi
quelle di auto-rappresentazione) inerenti la cultura sarda, intesa come cultura
aperta sviluppatasi in Sardegna attraverso i secoli, influenzata dagli scambi
umani con l’interno e l’esterno e modellata dall’uso dei vari mezzi di
comunicazione.
Secondo le teorie dell’interazionismo simbolico
5
il linguaggio svolge un ruolo
cruciale nello sviluppo e nella conservazione delle società nonché nella
strutturazione delle attività mentali individuali.
Di fatto, i media rappresentano una parte centrale dei processi comunicativi
umani, e di conseguenza influenzano le costruzioni di significato soggettive e
condivise dei soggetti singoli e collettivi.
Questo trova riscontro nei cambiamenti che ogni nuovo media apportò nelle
società e negli individui, in base anche al fatto che esso fosse o usato
liberamente (e per incentivare la creatività e la crescita culturale) o proibito e
controllato da un centro di potere (e dunque anche usato per la modificazione e
l’occultamento delle produzioni culturali non accette).
Prendendo il contesto culturale della Sardegna e delle sue isole, si può notare la
ricorrenza dell’uso delle conquiste tecnologiche comunicative da parte delle
popolazioni immigranti e colonizzanti per l’importazione o imposizione a
diversi livelli di una qualche caratteristica culturale.
La conoscenza, il controllo e l’uso di un nuovo medium di comunicazione
portava a introdurre dei cambiamenti che potevano interessare la lingua, la
religione, la medicina, la legislazione, l’educazione, l’informazione e
addirittura la percezione di se stessi e del mondo.
4 Crf. Dijk J.V., Sociologia dei nuovi media, Il mulino, Bologna 2002.
5 Cfr. M. De Fleur, S. Ball-Rokeach, Teorie delle comunicazioni di massa, Bologna, Il mulino, 1995,(cap.1.2.2
L’interazionismo simbolico p 50-52)
19