6
Ciò appare paradossale specialmente per i progetti di maggiore rilevanza
politica, quelli che generalmente si qualificano con il termine “riforma”. Questi
progetti, per definizione, sarebbero teoricamente destinati a produrre e/o
accompagnare processi di mutamento, dispiegando il loro effetto su ampi settori
della vita sociale e su zone diffuse del territorio nazionale.
Invece le norme legislative prodotte al termine del gioco parlamentare,
rielaborate e dimensionate a seconda delle necessità, riescono solo ad allentare
la tensione sociale, riuscendo a soddisfare sia l’immediatezza di talune pretese
che l’idea stessa del cambiamento. Esse inoltre riescono a dare risposta ad
alcune domande emergenti di adeguamento o di rinnovamento, e ciò rende
possibile una sorta di acquietamento anche di quelle forze sociali
potenzialmente più spinte verso il cambiamento sociale.
Ne consegue che le riforme legislative, per come vengono concepite, per le
forze che agiscono sugli schemi delle prime stesure, per come si sviluppano e si
modificano nel corso dei procedimenti parlamentari, non possono essere
considerate elemento trainante nei processi di mutamento sociale, avendo
semmai un ruolo frenante e di controllo.
L’utilizzo di case-studies, che nello specifico di questo lavoro riguarda l’iter
legislativo della riforma penitenziaria, può essere particolarmente efficace nello
studio del processo di formazione delle leggi perché consente di osservare e
porre in risalto attraverso una “storia” legislativa concreta le differenze tra le due
facce dell’attività parlamentare, quella formale prevista dalla Costituzione e dai
Regolamenti, e quella che si afferma realmente nella pratica quotidiana.
7
Introduzione
Tra i fattori esogeni del mutamento sociale molti studiosi annoverano le “norme
di diritto”.
I punti di vista tendono però a differenziarsi intorno alla questione che pone la
domanda se il diritto possieda o meno l’effettiva capacità di introdurre/produrre
all’interno di una società determinati mutamenti sociali e culturali.
La quantità e la diversità degli studi e delle teorie che negli anni si sono
susseguiti segnalano la complessità della tematica per le sue molteplici
implicazioni.
Il tentativo di ottenere il mutamento sociale per mezzo del diritto sembra essere
un tratto caratteristico del mondo moderno che ha affidato allo strumento
legislativo compiti di orientamento e di pianificazione. L’idea di progettare il
futuro, allo scopo di prevederne e orientarne gli sviluppi, trova sbocco nel diritto
costituzionale che costituisce proprio quella forma di diritto cui è demandato il
compito di travalicare il presente per indirizzare la società verso specifici valori
ed obiettivi.
Oggi, invece, vi sono forti dubbi sulla capacità del diritto a svolgere con
successo il ruolo affidatogli, per la difficoltà dimostrata a mantenere le
prerogative che nel passato gli avevano conferito una collocazione da
protagonista. Ciò vale soprattutto per il diritto formalmente emanato dagli organi
istituzionali deputati a svolgere tale funzione.
La tesi di fondo del presente lavoro è basata sulla convinzione che il diritto sia
inadatto a svolgere un ruolo trainante nei processi di cambiamento.
Una ragione prevalente di tale insufficienza si ritiene possa essere individuata
nella difficoltà a concepire/sviluppare/approvare riforme legislative
effettivamente nuove, sia nei contenuti, che negli scenari organizzativo-
strutturali che esse possono far prefigurare.
Non si pongono qui problemi di natura applicativa e di efficacia delle norme –
non costituendo un obiettivo di questo lavoro - ma un problema che investe il
processo di formazione delle stesse, e dunque riguarda la probabilità che esse
8
nascano con contenuti e linguaggi “originali”, in grado di scuotere assetti
costituiti e modelli tradizionali.
Secondo la prospettiva assunta nel ragionamento che sarà sviluppato nel
prosieguo del lavoro, la presupposta incapacità del diritto a produrre mutamento
sociale risiede sia in ragioni di tipo strutturale, sia in ragioni di natura dinamico-
processuale. Motivi, cioè, essenzialmente legati alla “domanda”; alla fonte di
iniziativa e alle procedure di formazione delle proposte di legge; all’egemonia
degli apparati burocratici sulle bozze dei disegni di legge governativi; all’iter
seguito nel corso del procedimento legislativo; alla natura essenzialmente
politica dello spazio parlamentare in cui hanno luogo le negoziazioni per la
mediazione degli interessi.
Il processo di formazione delle norme legislative non può essere infatti
osservato solo nell’aspetto tecnico-istituzionale, essendo che ad esso si affianca
e si sovrappone un processo di natura politica, su cui pesa l’influenza di molte
forze sociali e di molti sistemi di interesse che possono opporsi, o quantomeno
fare resistenza, ai possibili cambiamenti.
Il problema non è di poco conto poiché investe fino in fondo tutte le questioni
che ruotano intorno al rapporto società/diritto.
Lo studio di tali tematiche è affidato alla sociologia del diritto poiché la scienza
giuridica a cui tradizionalmente è affidato il compito di occuparsi dei fenomeni
giuridici non può da sola spiegare i fenomeni giuridici in quanto fenomeni sociali.
Per le ragioni di cui sopra, il presente lavoro intende utilizzare prioritariamente i
contributi degli studiosi della sociologia del diritto, senza tuttavia precludersi di
attingere agli studi di altre discipline, ogniqualvolta ciò dovesse rendersi
necessario. Come afferma Treves, tra i vari rami della sociologia del diritto, si
possono distinguere quelli esplorati soltanto dagli specialisti della materia e
quelli che da tempo sono stati esplorati da specialisti di altre materie con le quali
la materia stessa finisce col coincidere. Tra le ricerche sociologico-giuridiche
che si svolgono in un’area almeno in parte coincidente con quella della scienza
politica e della sociologia politica, vanno annoverate proprio quelle sulla
produzione delle norme e sul processo legislativo
1
.
1
Treves R., Sociologia del diritto, Giulio Einaudi editore, Torino 1988, pp. 228-230.
9
A queste ricerche si farà costante riferimento, utilizzando in particolare modo gli
esiti e le riflessioni scaturite dalle ricerche finanziate dal CNR e dirette da
Alberto Predieri sul processo legislativo nel Parlamento italiano;
o le analisi contenute nel volume “Come lavora il parlamento” (1974), curato
da Cantelli, Mortara, Movia.
Saranno inoltre utilizzati documenti istituzionali della sfera pubblica, prodotti
nell’ambito dell’apparato amministrativo e burocratico dello Stato, e in quello
delle sedi del sistema parlamentare. Questi documenti, benché datati,
costituiscono delle importanti “tracce fisiche” in grado di dire ancora molto su
taluni aspetti della cultura e dei sistemi che li hanno prodotti, ben sapendo
tuttavia che essi «rispecchiano esattamente quello che la loro definizione
suggerisce, e cioè la dimensione istituzionale dei fenomeni studiati»
2
.
In aggiunta ai documenti istituzionali che si sono potuti consultare o acquisire -
documenti della politica (atti parlamentari), documenti amministrativi (bozze di
studio, testi normativi, circolari), materiale giudiziario (sentenze) – si è cercato di
unire una dimensione più personale che tenesse conto dell’interesse di chi
scrive per la materia trattata, e della lunga esperienza maturata in prima
persona nel sistema penitenziario italiano che ha rappresentato un’importante
fonte empirica, direttamente osservabile.
Alla luce di ciò, si è inteso mettere a frutto le proprie esperienze di studio e di
lavoro per tentare di ripercorrere e “rileggere” la storia legislativa della riforma
dell’Ordinamento penitenziario, partendo da una dimensione concettuale in
grado di utilizzare, travalicandola, quella più “emotiva” che caratterizza il vissuto
di chi osserva i fenomeni in qualità di lavoratore.
L’utilizzo di case-studies può essere particolarmente efficace nello studio e nella
comprensione dei processi di formazione delle leggi, e degli esiti degli stessi.
La scelta caduta sulla riforma penitenziaria non è stata però determinata solo
dall’interesse e dalle conoscenze personali nello specifico settore: essa
costituisce di fatto un esempio reale ed interessante per lo studio dei processi
legislativi.
2
Corbetta P., Metodologia e tecniche della ricerca sociale, il Mulino, Bologna 1999, pp. 468.
10
La riforma penitenziaria rappresenta una vicenda per molti aspetti esemplare del
modo in cui il Parlamento e le forze politiche italiane hanno affrontato le riforme
negli anni del dopoguerra, fino agli anni Settanta. Ciò in quanto, come afferma
Neppi Modona «…dal suo esito è infatti possibile trarre un giudizio generale sui
rapporti tra spinte riformatrici e resistenze degli apparati burocratici, tra
l’impegno delle forze politiche di sinistra e il livello di maturazione culturale della
coscienza popolare, ed esprimere valutazioni che investono tutti i settori delle
istituzioni giuridiche che ancora attendono l’adeguamento ai valori della
Costituzione ed ai nuovi equilibri di forza presenti nella realtà italiana»
3
.
In sostanza, la riforma penitenziaria può essere considerata emblematica di
processi più generali che riguardano la formazione delle norme legislative
all’interno del nostro sistema istituzionale, con particolare riferimento ai progetti
di iniziativa governativa per le riforme.
I dati fondamentali che riguardano l’iter di riforma (28 anni tra la prima iniziativa
di studio del 1947 e l’approvazione finale del 1975; 13 anni perché il primo
progetto venga presentato al Senato; 15 anni di percorso parlamentare)
rivelano, seppure in forma indiretta, le difficoltà frappostesi al processo di
riforma penitenziaria, ufficialmente avviato nella prospettiva di realizzare un
indispensabile adeguamento normativo agli indirizzi costituzionali, culturali e
operativi che i tempi richiedevano
4
.
Le ragioni e i fattori che influenzano l’iter legislativo della riforma carceraria non
sembrano però riconducibili allo specifico della materia trattata, come spesso
viene indicato, ma a ragioni di altra natura che ne condizionano variamente il
percorso di elaborazione-approvazione, analogamente a quanto avviene per
altri progetti di pari rilevanza politica.
La riforma dell’Ordinamento penitenziario segue, in sostanza, le linee
tendenziali dell’attività legislativa del dopoguerra per quel che concerne le
grandi riforme e, ancor più specificamente, le riforme del penale.
Giuliano Vassalli, nel 1972, riferendosi al Codice penale vigente in Italia, scrive
«Tutti conoscono altri esempi di codici penali sopravvissuti a rivolgimenti politici
3
Neppi Modona G., Appunti per una storia parlamentare della riforma penitenziaria, in “La questione
criminale”, 1976, p. 365.
4
Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione,
Giuffrè Editore, Milano 1997, p. 1.
11
e sociali profondi…Ciò che invece può stupire, nella durata del codice penale
italiano, è il fatto che esso sia nato come emanazione dichiarata e solennizzata
di un regime totalitario, e precisamente del regime fascista (1922-1943), e che
esso abbia resistito assai oltre la caduta di detto regime…Il codice del 1930,
definito “fascista” fin dall’epoca della sua formazione e della sua entrata in
vigore, ha governato l’Italia per dodici anni di regime fascista e per quasi trenta
anni di regime democratico e dichiaratamente “antifascista”.»
5
.
Queste considerazioni contribuiscono a rinforzare la convinzione che le norme
di diritto non inducono, trainandolo, il mutamento sociale; semmai esse,
opportunamente amministrate e controllate, possono rallentarlo.
Altre riflessioni provengono dai contributi delle ricerche sul Parlamento.
Il volume Come lavora il Parlamento fornisce una visione d’insieme dell’attività
legislativa parlamentare italiana negli anni fra il 1948 ed il 1968. Dagli studi
compiuti emerge che negli anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione
repubblicana, e fino agli inizi degli Anni Settanta, l’attività legislativa del
Parlamento non si qualifica per la predisposizione e l’approvazione di grandi
progetti di riforma – progetti di attuazione costituzionale, di codificazione o
revisione dei codici, proposte di interesse generale oppure di interesse
sezionale ma rivolti a grandi settori della vita nazionale - quanto piuttosto per
l’azione di “cesura” e “innesto” che privilegia soprattutto la domanda proveniente
da ambiti particolaristici. Cioè, nel corso delle prime legislature, l’attività del
Parlamento si caratterizza per la tendenza a deliberare, per lo più in sede di
Commissione parlamentare, una legislazione microsettoriale che prevale
nettamente sulle leggi di maggiore rilevanza
6
.
I dati raccolti ed elaborati dai ricercatori inducono alle seguenti conclusioni: «il
tipo di progetto di legge che appare caratterizzare l’iniziativa legislativa del
Parlamento italiano può essere individuato in una richiesta di provvedimento
diretto a modificare l’apparato strutturale o strumentale della pubblica
amministrazione in modo da renderlo più idoneo a soddisfare gli interessi facenti
capo ad un gruppo ristretto di persone, in molti casi costituito dal personale
5
Vassalli G., La riforma del codice penale italiano del 1930 in “Scritti giuridici”, Vol. IV, Giuffré,
Milano 1997, pp. 41-42.
6
Ghezzi M. L., Ricerche sul processo legislativo nel Parlamento italiano, in “Sociologia del diritto”,
Rivista semestrale V/1978/2, Giuffrè Editore, Milano, p. 441
12
stesso che provvede al funzionamento dell’apparato...non vi è dubbio alcuno
neppure sulla natura frammentaria ed episodica della legislazione stessa che
corregge, interpreta e adatta piuttosto che mutare i principi di fondo »
7
.
Dalle valutazioni sopra riportate si deduce che l’entrata in vigore della
Costituzione non coincide con modifiche sostanziali al vigente sistema giuridico.
Tale constatazione pone delle domande circa le ragioni alla base della mancata
realizzazione delle riforme costituzionali nell’Italia del dopoguerra.
Con l’osservazione e la ricostruzione delle linee tendenziali dell’attività
legislativa di quel periodo è possibile formulare l’ipotesi - che si va ad
approfondire nel corso del lavoro – secondo cui i fattori maggiormente incidenti
siano da ricondurre a questioni di natura politica e alla sostanziale debolezza
delle istanze e delle pretese di cambiamento provenienti dalle forze sociali del
Paese nel suo complesso.
Appare al riguardo eloquente l’espressione di Carlo Bortolani quando afferma
che la Costituzione «è una legge fondamentale la cui attuazione è in gran parte
affidata al grado di consenso e di consapevolezza dei cittadini»
8
.
La debolezza di spinte provenienti dal basso, non in grado di influire
efficacemente sul tipo di domanda legislativa di cui i governi e il Parlamento si
fanno promotori, trova la sua giustificazione nel fatto che, almeno fino alla fine
degli anni Sessanta, «il sistema economico e sociale, e soprattutto i rapporti tra
le classi, non subirono mai, in Italia…un rivolgimento veramente profondo»
9
,
cosicché, nell’insufficienza di forze e propulsioni coerenti con lo spirito e i
principi costituzionali, anche disposizioni normative emanate in periodo fascista
possono sembrare adatte alla società italiana.
In questa direzione vanno anche le analisi di Tullio-Altan che, insieme ad a altri
studiosi, affronta il discorso sul fenomeno definito di “arretratezza socio-
culturale” della società italiana la quale, anche dopo la proclamazione della
Repubblica, avrebbe continuato a mantenere modelli culturali inadeguati allo
sviluppo di una grande democrazia
10
.
7
Cantelli F., Mortara V., Movia G., Come lavora il Parlamento, Giuffrè, Varese 1974, pp. 108-122.
8
Bortolani C., Guida alla Costituzione, Zanichelli, Bologna 1983, p. 10.
9
Vassalli G., Scritti giuridici, Volume IV, Giuffrè, Mlano 1997, p. 44.
10
Tullio-Altan C., I valori difficili. Inchiesta sulle tendenze ideologiche e politiche dei giovani in Italia,
Bompiani, Milano 1974; Tullio-Altan C. e Marradi A., Valori, classi sociali e scelte politiche, Bompiani,
13
Una svolta per le riforme si registra invece nei primi anni Settanta, quando in
tempi circoscritti si realizza un imponente programma di modifiche legislative
che, nella valutazione di Giuseppe Mammarella, «fa degli anni ’70 il periodo più
intensamente riformista nella storia della Repubblica»
11
.
Con riferimento alla circostanza che vede concentrarsi nel 1975 l’approvazione
di molte delle riforme precedentemente ostacolate, e con l’obiettivo di ricercare
e valutare tutti gli elementi che possono contribuire a verificare la domanda
posta al fondo di questo lavoro, diventa importante comprendere “quali forze
determinano o contrastano il mutamento del diritto, cosa dà luogo a nuova
normazione o tiene in vita norme e istituzioni vecchie”.
Rispetto a questo punto si intraprende e si sviluppa un ragionamento (a
cominciare dal secondo capitolo), basato sulla seguente ipotesi generale: “Il
Sessantotto…genera forti istanze di cambiamento, teoricamente in grado di
produrre energie e propulsioni volte ad influire sull’ordinamento giuridico
vigente; da sole, tuttavia, queste forze non sarebbero state sufficienti a produrre
mutamenti. Il verificarsi in parallelo di mutamenti politici di un certo rilievo, facilita
la formazione del consenso su progetti di legge che, per rilevanza politica,
richiedono una ‘quantità’ di consenso non misurabile in termini correnti di
semplice maggioranza”.
Per verificare la fondatezza di tale ragionamento, si procede all’approfondimento
di due questioni principali: l’una riguardanti gli aspetti e i mutamenti socio-
culturali del periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni
Settanta, l’altra connessa ai mutamenti politici intervenuti negli stessi anni e la
loro presunta incidenza sulla formazione del consenso utile e necessario
all’approvazione di grandi riforme.
Non si ha ovviamente l’obiettivo di fornire un quadro complessivo della storia
degli Anni Sessanta/Settanta in Italia (e delle complicate vicende che l’hanno
preceduta e caratterizzata), perché essa non costituisce materia di specifica
riflessione del presente lavoro; ci si limita a focalizzare l’attenzione su quei
fattori che, nella prospettiva di chi scrive, appaiono rilevanti e determinanti per la
comprensione delle tematiche qui oggetto di trattazione.
Milano 1976; Tullio-Altan C. e Cartocci R., Modi di produzione e lotta di classe in Italia, ISEDI-
Mondadori, Milano 1979; Tullio-Altan C., La nostra Italia, Università Bocconi Editore, Milano 2000.
11
Mammarella G., L’Italia Contemporanea, Il Mulino, Bologna 1990, p. 454.
14
Nella fase storica coincidente con il “Sessantotto”, l’espandersi dello spazio di
congiunzione tra istituzione parlamentare e società civile contribuisce a dare
voce a una pluralità di soggetti, portatori di nuove espressioni e di nuove pretese
che il Parlamento non può ignorare.
E’ per questo che le riforme del 1975 possono essere in parte considerate il
frutto di un movimento più vasto in difesa dei diritti civili dei cittadini, la cui spinta
ideale va necessariamente riconosciuta e apprezzata
12
. Nelle riforme approvate
in quegli anni, ed anche nella riforma penitenziaria, appare infatti evidente il
nesso tra diritti dell’uomo e società, tra mutamento sociale e nascita di nuovi
diritti. Non a caso, il problema dei diritti e le questioni inerenti le forme di
esercizio e di tutela degli stessi segnano più volte il dibattito parlamentare e
costituiscono alcuni dei punti più difficili che ostacolano l’iter legislativo di alcune
leggi importanti (es. diritto di famiglia, consultori familiari, disciplina degli
stupefacenti e prevenzione e cura degli stati di tossicodipendenza) .
L’esame accurato di un procedimento legislativo appare di grande importanza
per comprendere come nasce il diritto nasce e come prende forma; si tratta in
genere di una vicenda complessa che si esplica tra spinte riformatrici e
dinamiche regressive, tra dichiarazioni ufficiali e comportamenti dissimulati, tra
movimenti di opinione e intese politiche.
In talune fasi del processo di formazione delle norme legislative alcune forze
occupano una posizione più incisiva e determinante; altre forze possono
subentrare in una fase più avanzata dell’iter, influenzandone i tempi di
percorrenza e i contenuti delle norme. Si osserva infatti che nel lungo periodo le
situazioni evolvono in direzione di una maggiore complessità, poiché col
trascorrere del tempo tendono ad entrare in partita nuove parti che
rappresentano interessi e avanzano pretese, cosicché si innalza il livello del
conflitto che a sua volta causa il prolungamento dei tempi decisionali.
I negoziati che si rendono necessari per raggiungere il consenso spingono
inevitabilmente verso punti centripeti che allontanano le istanze provenienti dalle
parti più estreme. Così le riforme - dovendosi adattare alle richieste ed alle
esigenze provenienti dalle conflittuali forze politiche e sociali che ne influenzano
l’intero processo di formazione – più che artefici di mutamenti socioculturali
12
Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., (1997), cit., p. 1.
15
possono considerarsi il prodotto di laboriose trattative politiche, nonchè il
prodotto di mutamenti sociali già avvenuti, o in atto.
Ciò appare paradossale specialmente per i progetti di maggiore rilevanza
politica, quelli che generalmente si qualificano con il termine “riforma”. Questi
progetti, per definizione, sarebbero teoricamente destinati a produrre e/o
accompagnare processi di mutamento, dispiegando il loro effetto su ampi settori
della vita sociale e su zone diffuse del territorio nazionale.
Tuttavia, per il fatto che le riforme importanti costituiscono progetti destinati a
soddisfare entità composite, non coincidenti con specifici gruppi di interesse,
esse determinano immancabili reazioni conflittuali – rapportabili all’ampiezza e
alla contrapposizione degli interessi in gioco, ai contenuti valoriali delle norme,
all’estensione dell’area di incidenza, all’impatto sugli interessi acquisiti - che ne
rallentano il cammino procedurale di approvazione e ne indeboliscono la
potenziale carica innovativa.
L’esperienza della riforma dell’Ordinamento penitenziario costituisce ancora una
volta un esempio esplicativo cui potersi riferire.
Tale riforma, ufficialmente auspicata e invocata sin dal 1947 da gran parte delle
forze politiche per la riconosciuta incompatibilità tra la legislazione all’epoca
vigente e i nuovi principi e presupposti dello Stato democratico, avrebbe potuto
attendere ancora molto, come di fatto è avvenuto per i codici penale e di
procedura penale, qualora non si fossero verificati eventi storico-politici che ne
hanno consentito l’approvazione, se le pressioni di alcuni gruppi d’interesse non
fossero state particolarmente efficaci, se l’impalcatura della riforma nella fase di
dirittura d’arrivo - pur presentando tratti di novità - non avesse garantito la
stabilità e la continuità dell’istituzione penitenziaria secondo assetti e prerogative
consolidati.
In sostanza, il filo conduttore del lavoro tende a dimostrare la non sostenibilità di
quelle tesi che vedrebbero il diritto in posizione di indipendenza dalla politica e
dalla cultura, essendosi potuti osservare legami certamente significativi tra
“processo legislativo” e istanze del mondo sociale (forze politiche, apparati
burocratici e amministrativi dello Stato, forze sociali nel loro complesso).
16
Il luogo privilegiato della contrattazione, dove il conflitto si inasprisce e si
ricompone, è proprio il Parlamento, setting ideale in cui si realizza il “gioco della
corda da guerra” secondo la metafora di Friedman.
Il prodotto che ne deriva, riconoscibile nelle norme legislative approvate, è quasi
sempre un risultato compromissorio tra spinte riformatrici e resistenze al
cambiamento. Infatti, come afferma Friedman, la redazione finale di un testo
«non riflette soltato il gruppo sociale che ha prevalso, ma riflette anche
l’influenza degli sconfitti nella misura in cui questi ultimi hanno avuto ed
esercitato un qualche potere.»
13
.
Scegliere tra le procedure abbreviate e quelle ordinarie, chiedere pareri non
vincolanti, svolgere consultazioni e indagini conoscitive, proporre emendamenti,
chiedere votazioni a scrutinio segreto, sono tutte opzioni legittime ma che, a
seconda delle circostanze, assumono significati diversi: lasciar cadere il
progetto, adoperarsi per la mediazione politica e la ricerca del consenso,
concorrere all’acuirsi del conflitto.
Le norme legislative prodotte al termine del gioco parlamentare, rielaborate e
dimensionate a seconda delle necessità, configurano quasi sempre una parziale
e moderata modifica al sistema giuridico vigente.
Pur tuttavia le nuove norme riescono in parte ad allentare la tensione sociale,
potendo soddisfare sia l’immediatezza di talune pretese che l’idea stessa del
cambiamento. Non solo, nel riuscire a dare risposta ad alcune domande
emergenti di adeguamento o di rinnovamento, si rende possibile una sorta di
acquietamento anche delle forze sociali potenzialmente più spinte verso il
cambiamento sociale.
Per queste ragioni, il diritto non può essere considerato un elemento trainante
nei processi di mutamento sociale, avendo semmai un ruolo frenante e di
controllo.
13
Friedman L.M., Il sistema giuridico nella prospettiva delle scienze sociali, trad. italiana G. Tarello, il
Mulino, Bologna, 1978, pp. 258.
17
Capitolo I
Il processo di formazione delle norme legislative tra elementi di
conservazione e stabilità, e istanze di mutamento
1. Come nasce la domanda
Molti mutamenti sociali, afferma Luciano Gallino, sono connessi a mutamenti dei
sistemi culturali, ed è per questo che la dizione “mutamento sociale e culturale”
è così comune nel linguaggio sociologico contemporaneo. Una volta stabilito
che esistono tanti tipi di mutamento sociale e culturale quanti sono gli elementi
dei molti sistemi che compongono una società, continua lo studioso, ognuno di
questi elementi può operare come fattore del mutamento o presentarsi come
effetto di esso.
La quantità e la diversità degli studi e delle teorie che negli anni si sono
susseguiti indicano, da un lato, la complessità dell’argomento, dall’altro, i rischi
derivanti dallo «smembramento concettuale di una totalità» nel «frammentare la
realtà organica di una società in una serie di istituzioni, strutture e sfere di
attività tra loro isolate, e dotate di una fittizia autonomia rispetto al sistema
globale»
14
.
Molte teorie sul mutamento sociale hanno ambizioni generalizzanti, altre si
propongono di individuare e descrivere le tappe “necessarie” del mutamento,
altre ancora ne cercano il motore o le forme.
In linea generale, «La sociologia moderna, nelle sue forme scientifiche, tende
tuttavia a ripudiare l’idea secondo cui esisterebbe una causa dominante del
mutamento sociale e tende allo stesso tempo a riconoscere la pluralità dei tipi di
mutamento»
15
.
14
Gallino L., Dizionario di Sociologia, Utet, Torino 1993, pp. 437-441.
15
Boudon R., Bourricaud F., Dizionario critico di sociologia, Armando Editore, Roma 1991, pp. 324-329.
18
I fattori di mutamento sociale possono considerarsi di tipo endogeno,
determinati cioè da cause interne al sistema sociale considerato, esogeni, nel
caso abbiano origine all’esterno di esso, o misti.
Tra i fattori esogeni, Luciano Gallino annovera le “norme di diritto”. Egli ritiene
che le norme di diritto, comunque emanate col fine esplicito di introdurre in una
società determinati mutamenti sociali e culturali, possono essere considerate
elementi del mutamento «senza che ciò contrasti con la tradizionale
interpretazione della legislazione e del diritto in genere come sistemazioni
razionali, a posteriori, di mutamenti dei valori, del costume, dei rapporti sociali
già avvenuti in modo autonomo»
16
. Non si può insomma, secondo lo studioso,
disconoscere l’utilizzo nella realtà dello strumento giuridico allo scopo di avviare
mutamenti sociali e culturali del tutto nuovi, e spesso di segno contrario alla
direzione dei mutamenti indotti dall’automatismo dei meccanismi sociali in
essere.
Posto dunque per scontato il rapporto di reciproca influenza tra diritto e società,
e considerato l’ampio utilizzo nelle società moderne del diritto come elemento
strumentale di cambiamento, si tratta di capire se nella realtà concreta esso
possiede effettivamente le caratteristiche per operare come motore di
cambiamento; si tratta di vedere se esso può costituire elemento
tendenzialmente idoneo a interrompere, se richiesto, il rapporto di continuità con
il passato per contribuire ad avviare e trainare un eventuale nuovo corso.
Il tentativo di ottenere il mutamento sociale per mezzo del diritto sembra essere
un tratto caratteristico del mondo moderno che ha affidato allo strumento
legislativo compiti di orientamento e di pianificazione del futuro. Oggi, invece, vi
sono forti dubbi sulla capacità del diritto a svolgere con successo il ruolo
affidatogli e a mantenere determinate sue prerogative.
Mentre il problema non si pone per il diritto consuetudinario in quanto esso si
fonda principalmente sulla consuetudine e sulla tradizione
17
e per questo può
16
Gallino L., Dizionario di Sociologia, cit., p. 440.
17
Con tale affermazione, si intende solamente riferirsi al particolare rapporto tra diritto consuetudinario e
tradizione, e non a definire il complesso fenomeno del diritto consuetudinario che può essere descritto,
secondo l’espressione di un noto filosofo del diritto statunitense, come un linguaggio di interazione che
deve la sua efficacia al fatto di essere direttamente espresso nel comportamento reciproco degli uomini
(Fuller L.L., Il diritto e l’interazione tra gli uomini, in “Nuovo Sviluppo”, rivista semestrale di Scienze
Umane a cura dell’I.S.S.A.S., Roma, Quaderno 2004, p. 5-7).
19
ben essere considerato più un elemento di persistenza che di cambiamento, la
questione appare più problematica se riferita al diritto formalmente emanato
dagli organi istituzionali deputati a svolgere tale funzione.
Innanzitutto è opportuno considerare che il processo di formazione delle norme
legislative non può essere considerato solo come procedimento di natura
tecnico-istituzionale. Ad esso si affianca e si sovrappone una funzione di natura
politica, su cui pesa l’influenza di molte forze sociali e di molti sistemi di
interesse che possono opporsi, o quantomeno fare resistenza, ai possibili
cambiamenti. Per questo, nel trattare l’argomento, assume particolare rilievo
«l’impossibilità di scindere in pratica le due facce dell’attività parlamentare quella
cioè formale (il dover essere) e quella informale (quello che è)»
18
.
Il problema non è di poco conto perché esso investe fino in fondo tutte le
questioni che ruotano intorno al rapporto società/diritto.
Lo studio di tali tematiche è affidato alla sociologia del diritto poiché la scienza
giuridica a cui tradizionalmente è affidato il compito di occuparsi dei fenomeni
giuridici non può da sola spiegare i fenomeni giuridici in quanto fenomeni sociali.
La chiave di lettura che utilizza la sociologia del diritto, afferma Pocar, tiene
conto «della natura sociale delle regole giuridiche, considerando le ragioni per le
quali certe regole giuridiche e non altre vengono in essere, il modo in cui tali
regole agiscono sulle relazioni sociali, in rapporto ad altri tipi di regole sociali
diverse dal diritto…e quale sia la relazione tra i fenomeni giuridici e altri
fenomeni sociali, come in particolare la diffusione delle idee e la condivisione dei
valori, che hanno natura in parte simile e in parte diversa, ma, al pari delle
regole giuridiche, rappresentano un fattore rilevante nell’indirizzare i
comportamenti e le scelte degli individui e dei gruppi che agiscono nella
società»
19
.
Per le ragioni di cui sopra, il presente lavoro intende utilizzare prioritariamente i
contributi degli studiosi della sociologia del diritto, senza tuttavia precludersi di
attingere agli studi di altre discipline ogniqualvolta ciò dovesse rendersi
necessario.
18
Cantelli F., Mortara V., Movia G., Come lavora il Parlamento, Giuffrè, Varese 1974, p. 2.
19
Pocar V., Guida al diritto contemporaneo, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pp.3-4.