4
Dopo questo primo inquadramento, il discorso si indirizza
sulla nozione di contratto in Labeone, secondo la cui definizione
“contractum…ultro citroque obligationem, quod Graeci συνάλλαγµα
vocant, veluti emptionem venditionem, locationem conductionem,
societatem…”. Si tratta dell’unica definizione di contratto
rinvenibile in D.50.16.19, del Libro XI del Commentario
all’Editto di Ulpiano e sulla quale autori quali Santoro, Gallo,
Grosso e Guarino si sono confrontati.
Differente è la posizione dei Bizantini, di cui si occupa il
terzo paragrafo del primo capitolo, i quali tendevano a mettere
in risalto la conventio insita nei contratti che poteva richiedere,
come elemento perfezionatore, la forma o la dazione del bene.
Tra tutti, Teofilo che, nella sua parafrasi delle Istituzioni
giustinianee definisce il contratto come “conventio et consensus”
rivolto alla costituzione di un’obbligazione. Si tratta
fondamentalmente di una nozione di contratto che abbraccia
tutti i contratti consensuali obbligatori ad effetti reciproci e che
ricomprende anche i contratti innominati.
5
Un aspetto sul quale è stata posta una particolare
attenzione riguarda la quadripartizione dei contratti. Le
obligationes che ex contractu nascuntur, vengono difatti distinte in
obligationes re, verbis, litteris o consensu contractae che stavano ad
indicare l’elemento obbligante, contrariamente a quanto era
sostenuto dal pensiero Bizantino secondo il quale esse
costituivano solo il quid per perfezionare il contratto.
Proposti anche altri criteri di classificazione dei contratti.
Tra questi è posto l’accento sulla distinzione tra contratti
unilaterali e bilaterali; i primi caratterizzati dal prevedere a
carico di una sola parte ed a favore dell’altra un’obbligazione;
bilaterali erano, invece, quei contratti che davano vita ad
obbligazioni reciproche tra le parti. Ma vi erano anche altri tipi
contratti tra i quali quelli da cui scaturiva un’azione principale
ed un iudicium contrarium.
Accanto a queste due categorie fondamentali di
obbligazioni, come vedremo, il sistema contrattuale romano,
caratterizzato dal principio di tipicità, conosceva anche altri
criteri di classificazione e distingueva tra contratti formali e non;
6
astratti e causali; contratti di ius civile e di ius gentium. In epoca
giustiniana invece, si iniziò a parlare anche di bonae fidei
contractus, con cui si indicavano tutti quei contratti i cui effetti
erano regolati dalla fides bona.
La seconda parte del lavoro è incentrata sul tema dei
contratti innominati nella dottrina romanistica. Essa parte da
una premessa generale ed è seguita da un’analisi relativa ai
contratti innominati in epoca classica e al discusso problema
delle loro origini classiche o postclassiche.
Al riguardo, si sottolinea come alcuni autori abbiano
contestato l’esistenza, già in diritto classico, dei contratti
innominati, basandosi su alcune incongruenze emerse dagli
studi condotti sulle azioni poste a tutela dei contratti
innominati. Si è, infatti, osservato che proprio la pluralità di
denominazioni con cui nelle fonti viene designata l’actio
praescriptis verbis costituirebbe, un fatto del tutto inconsueto per
l’epoca.
Uno sguardo attento è dato anche alle testimonianze
labeoniane sulle conventiones e a quella che viene individuata
7
quale causa delle convenzioni atipiche. A tutela delle
convenzioni innominate invece, il nostro discorso si riconduce ai
mezzi individuati da Labeone e fondamentalmente all’actio
praescriptis verbis a cui egli attribuisce natura di a. civilis in
factum.
Tuttavia, alcuni autori, ritengono che tale qualificazione
non appartenga al giurista e ne escludono anche l’origine
classica ritenendola un “prodotto” dell’epoca postclassica.
Ed è proprio l’argomento relativo all’estensione
giustinianea dell’actio praescriptis verbis che conclude il secondo
capitolo del presente lavoro.
L’analisi delle principali fattispecie di contratti innominati
è invece affrontata nel terzo capitolo, a conclusione dell’intero
percorso. Primo oggetto di approfondimento è il contratto
innominato unilaterale. La dottrina, infatti, ritiene che della
categoria dei contratti innominati facessero parte anche delle
fattispecie non caratterizzate dallo scambio di prestazioni quali,
l’accordo, detto inspiciendum o experiendum dare, in base al quale
un soggetto consegnava ad un altro un oggetto affinché ne
8
stabilisse o ne facesse stabilire da un altro il valore; la datio; il
pactum de retro vendendo, a condizione che se ne riconosca
l’autonomia rispetto alla vendita.
Segue l’analisi del contratto estimatorio che si presentava
come un contratto a struttura associativa, in cui il proprietario
del bene si assicurava il vantaggio di una remunerazione fissa,
mentre chi assumeva l’incarico di vendere il bene, affrontava il
rischio di un ricavo inferiore o superiore al prezzo di stima.
Come vedremo, l’aestimatum era il negozio in virtù del
quale un soggetto dava un bene ad un altro, stabilendone il
valore, e quest’ultimo assumeva l’impegno di venderlo e
restituire il ricavato nei limiti della stima. Se il bene veniva
venduto ad un prezzo superiore alla stima effettuata, la
differenza tra i due importi costituiva il guadagno.
Tra i contratti bilaterali invece, prefigura la permuta, la cui
sussunzione entro la categoria dei contratti innominati, viene
collocata da alcuni autori in epoca giustinianea. Per questi
contratti, il vincolo obbligatorio non sorgeva per effetto ed in
conseguenza del solo accordo tra venditore e compratore, ma
9
era indispensabile che vi fosse anche il compimento della
prestazione.
Proprio in virtù di questa loro caratteristica, alcuni autori
ritengono che i contratti innominati dovrebbero essere accostati
più ai contratti consensuali che a quelli reali, conclusione a cui
giunge anche l’elaborazione sistematica posteriore a
Giustiniano.
A tal riguardo, in epoca postclassica, si registrò una
progressiva assimilazione tra la permuta e la compravendita e
di tale assimilazione ci è giunta testimonianza attraverso alcune
costituzioni imperiali.
A conclusione dell’intero lavoro è stata avanzata una
accurata analisi sui mezzi di tutela in caso di permuta e sulle
diverse ipotesi di contratti innominali bilaterali. A proposito di
quest’ultimo punto, la prima testimonianza di contratto
bilaterale è costituita da D.19.5.1.1 (Pap. 8 quaest.), in cui però
l’incertezza delle parti non consente di dire se il contratto
dedotto sia un’ipotesi di locazione d’opera o di cose.
10
CAPITOLO PRIMO
CENNI SUL SISTEMA CONTRATTUALE ROMANO
§.1. Il contratto quale fonte di obbligazioni.
L’espressione “fonti delle obbligazioni” si riferisce a tutti
quei fatti giuridici da cui hanno origine delle obbligazioni.
Generalmente, si tratta di fatti, dipendenti dalla volontà umana,
leciti o illeciti.
Quando l’atto è illecito, l’obbligazione sorge contro la
volontà umana, come sanzione per il comportamento tenuto,
concretatosi nella violazione di una norma giuridica.
Tra gli atti leciti, invece, alcuni sono riconducibili a delle
dichiarazioni di volontà bilaterali, il cui scopo è fare in modo
che le parti si vincolino a tenere reciprocamente un certo
comportamento, altri sono atti leciti bilaterali che non hanno lo
11
scopo di creare delle obbligazioni, o situazioni differenti, da cui
sorgono delle obbligazioni
1
.
Il problema delle fonti delle obbligazioni e della loro
classificazione è affrontato in un passo di Modestino, D.44.7.52
pr
2
. e da altre fonti riconducibili, per lo più a Gaio. Una prima
indicazione la si trae, infatti, dalle Institutiones (Gai, 3.88) in cui
si afferma che “omnis enim obligatio vel ex contractu
3
nascitur
4
vel
ex delicto
5
”.
1
Si pensi al legato per damnationem; al pagamento dell’indebito ed alla
tutela.
2
Nella testimonianza attribuita a Modestino vengono poste sullo stesso
piano obbligazioni ex peccato (maleficio), singoli genera contractuum, le
obbligazioni verbis, re e consensu contractae. Accanto a queste vengono
anche menzionate le obbligazioni ex lege, iure honorario e necessitate.
3
Cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli 1993, pag.
292, secondo cui nelle Institutiones Gaio avrebbe riservato il termine
contractus ad atti o dichiarazioni bilaterali, in ossequio alla concezione
propria dei veteres.
4
Cfr. Cfr. TALAMANCA, Voce Contratto e patto nel diritto romano, in Dig.
It., vol. IV, Torino 1989, pag. 58 ss., secondo cui, in epoca decemvirale
nelle obligationes ex contractu non erano ricomprese né le obligationes
consensu né quelle litteris contractae. Tra quelle verbis contractae erano,
invece, regolate sia la sponsio/stipulatio che quegli atti con cui veniva
assunto il ruolo di vas o praes. Questi atti erano anche quelli più antichi
con cui ci si poteva obbligare per fatto proprio o altrui, fungendo da
garanti nei confronti di terzi. I vades ed i praedes non erano, infatti, altro
che dei garanti. La sponsio appariva, invece, più collegata alla sfera
sacrale e presupponeva un giuramento (exsecratio capitis). La sponsio
influì sulle altre due figure, trasformando il vincolo di soggezione del
debitore al creditore da materiale in ideale, per cui il debitore smise di
essere considerato un ostaggio. Non si esclude che tali figure siano
servite, originariamente, a garantire il pagamento della composizione
12
Nelle Res Cottidianae
6
, l’iniziale bipartizione delle fonti si
trasforma in una tripartizione. Nel Libro II (D.44.7.1. pr.) si dice,
infatti, che “obligationes aut ex contractu nascuntur aut ex maleficio
aut proprio quoddam iure ex variis causarum figuris”.
Nelle Istituzioni imperiali, la tripartizione diviene una
quadripartizione
7
: le obbligazioni nascono “ex contractu aut quasi
ex contractu aut ex maleficio aut quasi ex maleficio”. Ai contratti ed
ai delitti vengono affiancate le due categorie dei quasi-contratti
e dei quasi-delitti (I. 3.13.1)
8
. Le categorie dei quasi-contratti
9
e
volontaria per illecito. Doveva anche essere già conosciuto il mutuo
informale ed il nexum come gestum per aes et libram.
5
Cfr. GROSSO, Il sistema romano dei contratti, Torino 1950, pag. 1 ss.;
VOCI, La dottrina romana del contratto, Milano 1946, pag. 69 ss.
6
TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990, pag. 510,
ricorda che la paternità gaiana delle Res cottidianae e, quindi, della
tripartizione in esse contenuta, è stata spesso posta in discussione.
Questa circostanza è stata posta anche in evidenza da GROSSO, Voce
Contratto, in Enc. Dir., Milano 1961, vol. IX, pag. 750. Entrambi gli autori
ricordano anche che è prevalsa l’opinione secondo cui il giurista avrebbe
effettivamente pubblicato una nuova versione delle Institutiones, le Res
cottidianae, ma che l’opera più conosciuta sia rimasta la prima.
7
Cfr. GROSSO, Voce Contratto, cit., pag. 750, secondo cui si tratterebbe
di una sistematica bizantina.
8
Cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, cit., pag. 293.
9
Cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, cit., pag. 294, il quale
osserva che i quasi-contratti erano accomunati dall’assenza di un atto
bilaterale destinato a far sorgere un’obbligazione.
13
dei quasi-delitti
10
servono ad equiparare alcune figure di
obbligazioni a quelle ex contractu o ex delicto, sia a facilitare
l’individuazione della disciplina applicabile agli istituti
riconducibili a tali fattispecie. Alcuni autori
11
attribuiscono a
questa quadripartizione il merito di aver chiarito
definitivamente che per contratto si intendeva l’accordo di
volontà produttivo di obbligazioni.
Queste classificazioni hanno dato origine ad una serie di
problemi interpretativi, che si sono, per lo più, incentrati
sull’individuazione della figura del contractus. Questo termine è
considerato meno risalente del sostantivo delictum
12
.
Prima di affrontare le questioni interpretative strettamente
inerenti il contratto, è opportuno chiarire che, originariamente,
la responsabilità per illecito non integrava un rapporto
obbligatorio. La primitiva responsabilità per atto illecito era,
infatti, caratterizzata dall’esposizione dell’offensore alla
10
I quasi-delitti erano, invece, illeciti creati dal diritto pretorio. Cfr.
ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, cit., pag. 294.
11
Cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, cit., pag. 293.
12
Cfr. TALAMANCA, Voce Contratto e patto nel diritto romano, in Dig. It.,
vol. IV, Torino 1989, pag. 58, secondo cui questa circostanza si fonda su
considerazioni di carattere generale, legate allo sviluppo della società
più che su precise indicazioni delle fonti.
14
vendetta da parte dell’offeso, possibilità che lo stesso
ordinamento giuridico tendeva a riconoscergli
13
.
La vendetta costituiva, quindi, una sanzione di carattere
afflittivo, da cui non sorgeva alcun rapporto obbligatorio né una
responsabilità.
Solo verso la fine della Repubblica iniziò a parlarsi di
obligatio ex delicto
14
.
Secondo Talamanca, in Gai 3.88 per “contractus” si
intendeva qualunque “atto lecito produttivo di obbligazioni” e
ricomprendeva anche tutte quelle figure che, in seguito,
sarebbero rientrate tra le obligationes quasi ex contractu
15
.
13
Ci troviamo, dunque, innanzi ad una vendetta legalizzata.
14
Sia Talamanca che Arangio-Ruiz ricordano che per il delitto privato
(delictum, maleficium), originariamente, la reazione da parte dell’offeso
poteva consistere in una vendetta ( vindicta) libera ed incontrollata. Il
regime del taglione (talio) pose un freno a questa pratica,
proporzionando la reazione dell’offeso al danno subito. Infine, la
commissione degli illeciti iniziò ad essere sanzionata tramite una pena
pecuniaria, determinata dal giudice, che l’offensore doveva
corrispondere all’offeso. La possibilità di ricorrere alla pena pecuniaria
era già prevista nell’ambito delle XII Tavole. Per evitare la vendetta ed
addivenire ad una diversa composizione della lite l’offensore chiedeva
la pactio che l’offeso poteva concedere o meno, dettandone anche le
condizioni. Cfr. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, op. cit.,
pag. 364; TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, op. cit., pag. 616
15
Ne rimaneva fuori, l’oportere, fatto valere con le azioni divisorie, con.
L’actio aquae pluviae arcendae, con la condictio ex causa furtiva, e con l’actio
ad exhibendum .
15
Questi problemi sono stati in parte risolti dalla
tripartizione delle Res cottidianae, in cui compaiono le “variae
causarum figurae”
16
, categoria entro cui vennero ricondotti tutti
quegli istituti che non potevano nè essere considerati
propriamente dei contratti né dei delitti.
Nell’ambito delle Res Cottidianae, il termine contractus
avrebbe assunto un significato più ristretto e specifico, ossia
quello di “negozio bilaterale volto all’assunzione di un vincolo
obbligatorio” che diventerà ancora più pregnante e tecnico nella
compilazione giustinianea
17
.
16
In questa categoria i giuristi hanno fatto rientrare anche alcuni
rapporti obbligatori tutelati dallo ius honorarium (per lo più illeciti
pretori). Ne sono, invece, rimasti fuori alcune obbligazioni dello ius civile
(l’a. aquae pluviae arcendae, la condictio ex causa furtiva ed altre condictiones
(c. ob turpem o iniustam causam)
17
Cfr. TALAMANCA, Voce Contratto e patto nel diritto romano, cit., pag.
58 ss.