Ecosostenibilità e rigenerazione urbana – analisi dell’esperienza dei CdQ II a Torino
~ 5 ~
perdita di risorse ambientali; è quindi una dichiarazione tesa ad assicurare a scala
urbana la sostenibilità ambientale.
Le conferenze successive fino ad oggi hanno tutte riguardato l’implementazione e le
migliorie delle sopracitate Conferenze Europee, riconfermando gli stessi principi,
definendo nuovi impegni, rafforzando le basi tecnologiche di Agenda 21, in
considerazione di uno sviluppo sostenibile da globale a locale.
A seguito di questo percorso sulla sostenibilità si può dire che il Contratto di Quartiere,
in particolare nell’esperienza piemontese, rappresenta un’opportunità per avviare
processi di riqualificazione urbana, come definita dal Libro verde sull’Ambiente Urbano,
attraverso una sperimentazione che si articola in quattro temi di ecosostenibilità,
descritti in seguito. Alcuni di questi, quelli definiti di qualità morfologica, si indirizzano
prevalentemente verso interventi sul tessuto urbano, mentre altri, quelli definiti di
qualità ecosistemica, si rivolgono maggiormente alla dimensione fisico‐ambientale e
tecnologica dell'edificio, con particolare riguardo al risparmio di risorse e al
miglioramento della qualità ambientale, secondo quanto richiamato dall’Agenda 21 e in
tutte le Conferenze sull’ambiente. Si nota quindi come il tema sperimentale sia entrato a
far parte delle politiche e dei processi decisionali dei programmi complessi.
La mia relazione è strutturata in quattro capitoli.
Il primo capitolo (I programmi complessi) è una descrizione di cosa e quali sono i
programmi complessi e dell’importanza dell’influenza dell’Unione Europea su di essi (§
1.1).
Nel secondo capitolo (I Contratti di Quartiere II) ho esposto le caratteristiche e i
contenuti dei CdQ II e quali sono i loro riferimenti normativi (§ 2.1, 2.2). In seguito, per
fornire esempi, ho descritto sinteticamente i casi del Piemonte (§ 2.3) e i due casi di
Torino: uno si trova nella zona nord della città, via Ghedini (§ 2.4.1.) e l’altro è situato
nella zona sud, via Dina (§ 2.4.2).
Il terzo capitolo (L’Importanza dell’ecosostenibilità: principi, caratteristiche, strumenti di
riferimento, normative e vantaggi) parla dei quattro temi dell’ecosostenibilità come
indirizzi di sperimentazione dei CdQ II (§ 3.1, 3.2), dei vantaggi che questi temi possono
portare all’interno di quartieri degradati e delle modalità di valutazione dei progetti
candidati (§ 3.3).
Il capitolo quattro (Il C.d.Q. II di Via Parenzo a Torino) rappresenta, in qualche modo,
l'atto conclusivo del presente lavoro, trattando l'analisi di uno specifico caso di CdQ II a
Torino: Via Parenzo. Obiettivo del capitolo, coincidente con lo scopo ultimo della tesi, è
quello di analizzare se e come uno strumento di riqualificazione urbana, come il
Contratto di Quartiere, sia stato in grado di investire sufficientemente nel campo anche
in termini di ecosostenibilità. I dati su cui mi sono basata per effettuare questa analisi
sono stati presi dai dossier di candidatura dei gruppi partecipanti al programma, dove
sono stati descritti gli interventi per la progettazione sperimentale dei quartieri in
oggetto.
Infine, nelle conclusioni ho cercato di riflettere sugli elementi che potrebbero costituire
le linee guida per la definizione di programmi e politiche di rigenerazione urbana, basati
anche sui principi sperimentali dell’ecosostenibilità e dello sviluppo sostenibile.
Ecosostenibilità e rigenerazione urbana – analisi dell’esperienza dei CdQ II a Torino
~ 6 ~
1 I PROGRAMMI COMPLESSI
In Italia, fino agli anni ’80 dello scorso secolo, i principi di recupero e rigenerazione
urbana di zone degradate si sono dimostrati scarsi e deboli. I programmi e i modelli di
azione in campo urbanistico sono stati per un lungo periodo di tempo concentrati
sull’espansione della città e sul recupero, puramente in termini strutturali e “materiali”
dei quartieri condizionati dal degrado; il partenariato, il contributo economico
comunitario, la sostenibilità in termini di risparmio energetico degli insediamenti e gli
altri elementi che compongono uno strumento di rigenerazione urbana completo sono
venuti alla luce solo in seguito, grazie ad un nuovo passaggio di integrazione europea,
avvenuto negli anni ’90, e ad una riorganizzazione istituzionale italiana che ridistribuisce
le competenze della Pubblica Amministrazione.
Dopo questa breve premessa si può affermare che, nel contesto italiano, i programmi
complessi per la rigenerazione urbana si svilupparono a partire dagli anni ‘80, all’interno
del sistema delle politiche per la casa, in particolare all’interno delle linee di
programmazione nazionale e regionale del C.E.R. (Comitato per l’Edilizia Residenziale). È
infatti con la legge 5 agosto 1978, n. 457 “Norme per l’edilizia residenziale” che furono
previsti i primi finanziamenti statali per il recupero di immobili e quartieri degradati
facenti parte dei Piani di Recupero. Gli interventi previsti per questi Piani di durata
decennale comprendevano:
‐ gli interventi di edilizia sovvenzionata, diretti alla costruzione di abitazioni e al
recupero del patrimonio edilizio degli enti pubblici;
‐ gli interventi di edilizia convenzionata e agevolata, diretti alla costruzione di abitazioni
e al recupero del patrimonio edilizio esistente;
‐ l'acquisizione e l'urbanizzazione di aree destinate agli insediamenti residenziali.
Con questo Piano decennale si avviarono, nelle Regioni italiane, le prime esperienze di
programmazione e progettazione integrata, per dar risposta ad alcune questioni e
problematiche fra loro interconnesse e derivate dalle espansioni residenziali pubbliche
nelle periferie urbane italiane. Altri esempi di problematiche che emergono sono la
monofunzionalità e la ghettizzazione (dal punto di vista sociale) dei quartieri di edilizia
economica e popolare, la scarsa qualità dell’edilizia e dei servizi, la mancata o ritardata
realizzazione di infrastrutture secondarie, l’isolamento rispetto al contesto urbano
limitrofo, la mancanza di interazione tra progettazione e utenti, ma anche la difficoltà a
reperire risorse finanziarie pubbliche per gli interventi.
Con la L. n. 457/78 sono state inoltre rideterminate le funzioni del C.E.R., del C.I.P.E.
(Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) e delle Regioni, alle quali
veniva affidato il compito di realizzare (sulla base della legge nazionale) i propri
programmi quadriennali per l’edilizia residenziale pubblica, dopo aver individuato il
fabbisogno abitativo regionale. È avvenuto dunque il decentramento di alcune funzioni
dallo Stato alle Regioni, senza però apportare modifiche all’assetto degli enti pubblici
che operavano nel settore dell’edilizia residenziale pubblica.
Il Piano decennale ha ottenuto dunque un certo successo in termini di sviluppo dei
concetti, ma non si può affermare però che abbia risolto in tutto e per tutto i problemi
di natura critica dei quartieri degradati: la L. 457/78 ha ovviato alla criticità del degrado
Ecosostenibilità e rigenerazione urbana – analisi dell’esperienza dei CdQ II a Torino
~ 7 ~
strutturale degli edifici ma le problematiche relative alla complessa situazione in per sé
dei quartieri periferici non ha ottenuto effetti di miglioria osservabili, così come non si
riscontrano azioni che facciano utilizzo di tecnologie ambientali per il risparmio delle
risorse energetiche applicate alle costruzioni o alle ristrutturazioni degli immobili.
A seguito degli effetti della L. 457/78 nasce l’esigenza di strutturare diversamente i
programmi e le politiche per l’edilizia residenziale pubblica, con l’avvio di
un‘integrazione sociale e funzionale (programmi che includano l'edilizia sociale, l’edilizia
convenzionata, l’edilizia a libero mercato, i servizi ed altre attività), un‘integrazione di
risorse pubbliche e private e un’integrazione di tipologie di interventi (programmi che
includano sia nuove costruzioni che il riuso di aree ed edifici esistenti); è infatti grazie a
questa legge che a livello regionale si avviano le prime esperienze di progettazione e
programmazione integrata, con l’utilizzo di risorse non solo pubbliche ma anche private.
Il vero passo in avanti di questi programmi si ha a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, quando, a
seguito della crisi del mercato immobiliare, si formò un sodalizio tra risorse economiche
e soggetti differenti, il cui unico obiettivo non era più l’espansione della città ma la
valorizzazione e il recupero del patrimonio esistente. Non fu solo questo particolare a
far crescere, nel corso di questo periodo, i programmi complessi; infatti l’integrazione
avvenuta nel corso degli anni con l’Europa comprovò una sorta di competizione con gli
altri Stati, in quanto i finanziamenti derivanti dai bandi di concorso hanno portato alla
necessità di velocizzare le scelte, le procedure e le tecniche, al fine di poter ottenere i
finanziamenti europei proposti dai bandi di gara per la rigenerazione urbana delle città
europee.
I programmi complessi si costituiscono perciò come strumenti programmatici ed
attuativi in campo urbanistico, la cui finalità è quella di rispondere alla sempre più
complessa configurazione dei problemi delle città, non solo strutturali ma quindi anche
sociali ed ambientali, delle politiche urbane e dei processi decisionali, che stanno alla
base di queste politiche.
I programmi complessi, in generale, rispondono alle esigenze di riqualificazione di parti
di città o di territorio in condizioni di degrado fisico, sociale ed ambientale. Le
caratteristiche di questi programmi permettono di contraddistinguerli da altri Piani e
Programmi per alcuni fattori fondamentali, quali la presenza di finanziamenti pubblici
specifici per l’edilizia residenziale pubblica (fondi ex Gescal), la loro durata di orizzonte
temporale di breve‐medio termine, la presenza di rapporti negoziali tra soggetti pubblici
e privati e il coinvolgimento di numerosi soggetti nel processo decisionale (Canevari,
Sampietro, 2000).
Si possono distinguere due famiglie di programmi complessi, differenti per obiettivi e
per origine:
1. la prima riguarda i Programmi complessi di trasformazione e riqualificazione
urbana
1
, che concernono le politiche di tipo urbanistico;
1
I programmi complessi sono istituiti a livello nazionale, ma vanno menzionati anche programmi di
iniziativa comunitaria come i Progetti Pilota Urbani il e Programma Urban, finanziati dai F.E.S.R. (Fondi
Europei di Sviluppo Regionale), meglio descritti nel § 1.1.
Ecosostenibilità e rigenerazione urbana – analisi dell’esperienza dei CdQ II a Torino
~ 8 ~
2. la seconda tratta gli Strumenti di programmazione negoziata2, dove al centro vi
sono temi a carattere economico‐produttivo, necessari per definire strategie di sviluppo
locale che toccano anche il territorio (Saccomani, 2004).
I programmi della prima famiglia sono: i Programmi integrati, i Programmi di recupero
urbano, i Programmi di riqualificazione urbana, i Programmi di riqualificazione urbana e
di sviluppo sostenibile del territorio e i Contratti di Quartiere. Ad essi si possono
affiancare altri strumenti di origine comunitaria, ossia l PIC Urban e i Programmi Pilota
Urbani (§ 1.1).
Di seguito fornisco una descrizione sommaria dei principali strumenti che fanno parte
dei programmi complessi di trasformazione e riqualificazione urbana:
Programma integrato di trasformazione urbana – “PII” (art. 16, L. 179/92, Delibera
CIPE 16 marzo 1994): è promosso dai comuni per riqualificare il tessuto urbanistico,
edilizio ed ambientale tramite interventi che incidono sulla riorganizzazione urbana di
zone con elevata dimensione; è considerato il capostipite dei programmi complessi. Gli
elementi di innovazione consistono nella pluralità di funzioni, nell’integrazione tra
diverse tipologie di intervento e nel concorso di finanziamenti sia pubblici che privati;
Programma di recupero urbano – “PRU” (art. 11, L. 493/93, DM. LL. PP. 1 dicembre
1994): il suo obiettivo è la riqualificazione dei quartieri di edilizia residenziale pubblica
attraverso la manutenzione, il restauro e risanamento e la ristrutturazione degli edifici
esistenti e la realizzazione, manutenzione e ammodernamento delle urbanizzazioni
(servizi pubblici, impianti, servizi a rete, ecc.), la nuova edificazione di completamento e
l’integrazione. I comuni promuovono la formazione dei P.R.U. sulla base delle
indicazione di procedure programmatiche statali e regionali. Le tipologie di intervento
sono articolate in una proposta unitaria da parte di soggetti pubblici e privati, che deve
garantire il contenimento degli investimenti pubblici e la presenza obbligatoria di risorse
aggiuntive private. Al fine di approvare un P.R.U., in variante agli strumenti urbanistici,
può essere utilizzato l’Accordo di Programma (cfr. § 2.2). Il Programma di recupero
urbano coniuga il recupero di un quartiere di edilizia pubblica con la creazione di nuove
polarità urbane.
Programma di riqualificazione urbana – “PRiU” (art. 3, L. 179/92, DM. LL. PP. 21
dicembre 1994): è uno strumento di programmazione e attuazione di interventi di
riqualificazione delle grandi aree urbane. Gli ambiti sono individuati in relazione al
degrado edilizio, urbanistico, ambientale, economico e sociale, alle opere di
urbanizzazione previste, al ruolo strategico del programma rispetto al contesto urbano e
metropolitano. Tali programmi richiedono obbligatoriamente interventi e finanziamenti
pubblici e privati. I tipi di intervento previsti sono: l’acquisizione di immobili da destinare
a servizi o a residenza pubblica, le urbanizzazioni e la riqualificazione di spazi pubblici, la
realizzazione, l’ampliamento, la manutenzione, il restauro e il risanamento, la
ristrutturazione di edifici residenziali e non e la ristrutturazione urbanistica. Un primo
2
La legge 104/95 definisce per la prima volta in maniera formale il concetto di “Programmazione
negoziata”: una regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra soggetto pubblico competente e
la parte o le parti pubbliche e private per l’attuazione di interventi diversi, riferiti ad un’unica finalità di
sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza.
Ecosostenibilità e rigenerazione urbana – analisi dell’esperienza dei CdQ II a Torino
~ 9 ~
elemento di innovazione consiste in una riconfigurazione spaziale e funzionale di parti di
città, mediante l’attuazione di un insieme coordinato ed integrato di interventi pubblici
e privati realizzati in regime di convenzione. Un secondo elemento di innovazione è dato
dalla possibilità di integrarsi con altri programmi di trasformazione già in corso con altri
finanziamenti;
Programma di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio –
“P.R.U.S.S.T.” (DM. LL. PP. 8 ottobre 1998): di obiettivi più ambiziosi, questo programma
considera ambiti territoriali anche vasti, si configura come programma territoriale, non
più concentrato sul singolo ambito urbano. Il coordinamento ed il riordino devono
essere effettuati in un ottica strategica, questa visione implica la capacità di avviare
processi di co‐pianificazione. Inoltre l’integrazione delle risorse private rappresenta un
elemento fondante in riferimento alla partecipazione obbligatoria dei soggetti privati a
finanziamento, per una quota pari almeno a un terzo del costo complessivo delle opere
in programma. Gli elementi caratterizzanti e di innovazione consistono nella:
a. promozione di uno sviluppo sostenibile sotto il profilo economico, ambientale e
sociale, con particolare riguardo alla tutela ambientale, valorizzazione del patrimonio
storico, artistico e architettonico;
b. aumento di benessere per la collettività;
c. sistema integrato di attività economiche, azioni per l’occupazione e la formazione,
rafforzamento e adeguamento delle infrastrutture come precondizione per
promuovere lo sviluppo sostenibile;
d. valorizzazione del capitale fisso sociale ;
e. affiancamento sul territorio degli interventi previsti da altre iniziative avviate sulla
base di strumenti negoziali (come i Patti Territoriali o i Contratti d’Area).
Contratto di Quartiere I – “C.d.Q. I” (DM. LL. PP. 22 ottobre 1997): ricade
nell’ambito della sperimentazione di edilizia residenziale pubblica e prende avvio dal
quadro finanziario e tecnico‐procedurale dei P.R.U. Obiettivo dei contratti è il
raggiungimento di elevati standard di vivibilità all’interno dei quartieri residenziali di
edilizia economica e popolare, anche tramite la coesione sociale. Gli obiettivi sono
perseguiti mediante una molteplicità di azioni in settori diversi che vanno dal sociale alle
trasformazioni urbane. Per ottenere le pluralità di azioni è stato previsto l’intervento di
risorse private e le convenzioni tra P.A. ed associazioni, inoltre al fine di garantire una
comunicazione diffusa sono state messe in atto le procedure di partecipazione e
comunicazione con i cittadini;
Contratto di Quartiere II – “C.d.Q. II” (L. 21/01, DM. 27 dicembre 2001 e DM. 23
aprile 2003): l’obiettivo è incrementare la dotazione di infrastrutture di quartieri
degradati con disagio abitativo e occupazionale, favorendo misure e interventi che
incrementino l'occupazione, la coesione sociale e l'adeguamento dell'offerta abitativa
attraverso la partecipazione di investimenti privati;
I programmi della seconda famiglia sono stati introdotti per la prima volta dalla legge
Finanziaria del 1995, che ha riservato finanziamenti per "strumenti di programmazione
negoziata", le loro procedure sono state definite da una delibera del CIPE del 21 marzo
Ecosostenibilità e rigenerazione urbana – analisi dell’esperienza dei CdQ II a Torino
~ 10 ~
1997. Gli strumenti regolati da questa delibera sono: l'Intesa istituzionale di programma,
il Contratto di Programma, l'Accordo di programma quadro, il Patto territoriale e il
Contratto d'area. A questi si può aggiungere il recente programma Integrato di Sviluppo
Locale (PISL), strumento definito dall’Unione Europea, che rappresenta una sorta di
regionalizzazione degli strumenti di programmazione negoziata, frutto di un Accordo di
Programma Quadro, tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti e le Regioni.
Gli obiettivi strategici sono comuni a questi strumenti, obiettivi che in genere
caratterizzano le politiche di sviluppo locale come:
‐ promuovere l'azione dei soggetti locali nel produrre innovazione;
‐ rafforzare la qualità dei contesti locali migliorandone la performance e la
competitività;
‐ sviluppare meccanismi istituzionali per combinare risorse ed attori diversi, sia
pubblici che privati;
‐ promuovere comportamenti cooperativi, ossia "fare società locale".
Un questione rilevante è il tentativo di costituire coalizioni locali, definire il territorio
interessato dalle azioni locali attraverso la definizione di un network di attori, piuttosto
che attraverso partizioni geografiche predefinite.
Ci si sofferma, a titolo esemplificativo, su due degli strumenti più usati: il Patto
territoriale e il Contratto d'area:
Patto Territoriale (D.L. 8 febbraio 1995, n° 32): è una linea di programmazione
avviata in modo sperimentale dal CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro)
con le camere del commercio e altri soggetti, per la promozione del partenariato sociale
ed economico, al fine di introdurre azioni di sviluppo locale. Il patto territoriale è
l’accordo tra vari soggetti promotori per l’attuazione di un programma di intervento nei
settori dell’industria, servizi, turismo, tra di loro integrati. L’obiettivo è la promozione
dello sviluppo locale compatibile con uno sviluppo ecosostenibile, finalizzato a integrarsi
con le linee della programmazione regionale, definendo il soggetto responsabile, gli
impegni, le attività e gli interventi da realizzare con l’indicazione dei soggetti attuatori, i
tempi e le modalità di attuazione;
Contratto d’area (art. 2, comma 203, L. 662/1996 ): è lo strumento operativo
funzionale per la realizzazione di un ambiente economico favorevole all’attivazione di
nuove iniziative imprenditoriali e alla creazione di nuova occupazione nei settori
dell’industria, agroindustria, servizi e turismo, attraverso condizioni di flessibilità
amministrativa, investimenti qualificati e relazioni di accesso al credito favorevoli. Le
aree dove può essere stipulato il contratto d’area devono essere zone industriali colpite
da gravi crisi occupazionali o aree di sviluppo industriale o nuclei di industrializzazione. Il
contratto d’area può essere sottoscritto da enti pubblici, economici, società, banche o
altri operatori finanziari e deve indicare gli obiettivi inerenti a nuove iniziative
imprenditoriali, gli eventuali interventi infrastrutturali, i soggetti attuatori, i tempi e le
modalità di attuazione, il responsabile del coordinamento degli interventi, i costi e le
risorse finanziarie. Per l’attuazione le amministrazioni e gli enti pubblici definiscono un
accordo che individua gli adempimenti di competenza (Ombuen et al., 2000).
Ecosostenibilità e rigenerazione urbana – analisi dell’esperienza dei CdQ II a Torino
~ 11 ~
1.1 L’INFLUENZA DELL’UNIONE EUROPEA: L’INIZIATIVA COMUNITARIA
URBAN
I Contratti di Quartiere I e II, così come i P.R.U. del Piemonte
3
, sono stati influenzati
dall’iniziativa comunitaria Urban, da cui prendono spunto per i contenuti innovativi che
riguardano la riqualificazione della città fisica e sociale.
Un considerevole numero di cittadini europei vive in aree urbane; nonostante le città
siano dei centri di sviluppo economico, all’interno di esse possono comparire gravi
problemi sociali, come fatturazioni che dividono le città per contesti di scala di reddito,
problemi ambientali legati al degrado e alla mancata manutenzione dei quartieri ed
infine economici. L'iniziativa comunitaria URBAN è dunque uno strumento della politica
di coesione dell'Unione Europea che si propone come obiettivo la riqualificazione delle
zone e dei quartieri urbani in crisi, finalizzata ad istituire forme di collaborazione di
quartiere in zone urbane povere, con lo scopo di affrontare problemi di sviluppo grazie
ai programmi integrati.
Il programma di iniziativa comunitaria (PIC) Urban è stato uno tra i più avanzati
programmi complessi sperimentati fino ad oggi in Italia, innovativi sono i contenuti del
programma che riguardano sia la città fisica che quella sociale, presentando così un
evoluzione rispetto ai primi programmi di recupero o di riqualificazione urbana
(Palermo, 2002). Il programma è stato avviato nel 1994, a seguito di una prima
esperienza comunitaria positiva denominata Progetto Pilota Urbano (PPU). Il PPU rientra
nel quadro delle azioni innovative del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR 1989‐
93 e 1997‐99) e mira a correggere gli effetti di una crescita urbana squilibrata,
rivitalizzare le città con inserimento di nuove attività e promuovere forme di partnership
pubblico‐privato. Si tratta quindi di un progetto di innovazione urbana e di
sperimentazione in materia ambientale, sociale ed economica, rapportato ad una scala
ridotta rispetto a Urban. Grazie ai risultati incoraggianti di quest’ultimo è partito nel
1994 il programma Urban I.
I programmi Urban I e II hanno come obiettivo lo sviluppo coerente ed equilibrato di
forme di integrazione sociale, di sviluppo economico, di protezione dell’ambiente,
basato su iniziative di partenariato locale. Entrambi i programmi sono finanziati da
contributi europei (FSE e FERS) e risorse private.
URBAN I (1994‐1999) proponeva di affrontare il degrado urbano di 118 città europee.
Sulla base di questo successo l’Unione Europea ha deciso di estendere l’esperienza con
URBAN II per il periodo 2000‐2006.
Per comprendere la portata di questo programma cito le azioni che sono state previste
per Urban I, e sono:
• il sostegno alle piccole e medie imprese locali esistenti e l’incentivazione alla nascita di
nuove imprese;
• la promozione dell’occupazione a livello locale;
3
La Regione Piemonte è stata l’unica regione italiana che con l’attuazione dei P.R.U. ha richiamato
esplicitamente i principi di Urban I sia come metodo progettuale che come dispositivo valutativo
(Governa, 2004).
Ecosostenibilità e rigenerazione urbana – analisi dell’esperienza dei CdQ II a Torino
~ 12 ~
• il potenziamento e l’adeguamento dell’offerta di servizi sociali;
• il miglioramento delle infrastrutture e dell’ambiente;
• il coinvolgimento delle risorse locali.
Le aree oggetto degli interventi erano:
• i centri storici;
• i quartieri situati all’interno di aree di declino industriale;
• i grandi quartieri di edilizia pubblica;
• le borgate periferiche.
URBAN II (2000‐2006) ha come obiettivo la rivitalizzazione economica e sociale delle
città in crisi, al fine di promuovere uno sviluppo urbano sostenibile. Si è concentrato in
50 zone urbane europee con una popolazione minima di 20.000 abitanti, che hanno
dimostrano l’esigenza di un risanamento socio‐economico o l’esistenza di una situazione
di declino definita sulla base di indicatori introdotti dagli Stati membri e dalla
Commissione UE. I beneficiari dell’Iniziativa sono state zone urbane situate all’interno o
all’esterno delle regioni indicate agli Obiettivi 1 e 2 dei Fondi Strutturali e caratterizzate
da almeno 3 delle seguenti condizioni:
‐ alto tasso di disoccupazione a lungo termine;
‐ scarsa attività economica;
‐ elevata povertà ed emarginazione;
‐ necessità di riconversione a seguito di problemi socio‐economici locali;
‐ forte presenza di gruppi sociali svantaggiati (immigrati, minoranze e profughi);
‐ bassi livelli di istruzione, mancanza di specializzazione e elevato tasso di abbandono
scolastico;
‐ alto tasso di delinquenza;
‐ evoluzione demografica precaria;
‐ ambiente in forte degrado.
Come detto, le aree eleggibili a URBAN II sono state selezionate sulla base di indicatori
socioeconomici e secondo altri fattori, quali la qualità del programma proposto,
l’equilibrio nella distribuzione dei programmi all’interno dello Stato membro e la
coerenza con le azioni nazionali e dell’Unione Europea.
Sono stati infine ammessi 70 programmi a livello europeo, di cui 31 coinvolgono i
quartieri del centro città, 27 le zone periferiche, 4 le zone miste e 8 le intere città. Ogni
Stato membro ha scelto i propri siti e si è occupato della ripartizione dei finanziamenti.
La selezione è avvenuta per mezzo di un concorso in cui gli Stati membri hanno
presentato le proposte (Italia, Francia e Grecia) o tramite un’analisi statistica fondata
sugli indicatori stabiliti dagli orientamenti dell’Unione Europea (Paesi Bassi, Danimarca,
e Portogallo).