8
conto anche dell’impatto che i conflitti, le persecuzioni e le calamità naturali hanno
sui processi migratori in e dalla regione3.
Questo tipo di migrazione è principalmente causato dalle crescenti disuguaglianze
economiche presenti tra e all’interno dei paesi della regione, che portano i gruppi
vulnerabili, come i migranti economici, i rifugiati politici e le vittime dei disastri
naturali a vedere nell’immigrazione una strategia per il miglioramento delle loro
condizioni di vita4.
L’espansione e la liberalizzazione del capitalismo nel paese ha portato a
un’intensificazione dell’attraversamento dei confini da parte dei migranti della
regione. Dal momento che la politica sudafricana verso l’immigrazione continua ad
essere fortemente restrittiva e il sentimento pubblico molto ostile, la maggior parte
di coloro che si stanziano, in modo permanente o temporaneo, nel paese continuano
ad essere prevalentemente immigrati clandestini.5
Queste valutazioni sono particolarmente pregnanti per quanto riguarda il caso
dell’immigrazione mozambicana in Sudafrica.
3
E. Anglotsson, J, van Garderen, Towards a Responsible Framework for the Arrest, Detention and
Repatriation of Illegal Foreigners: A Human Rights Perspective of the Immigration Bill, in Penultimate
Report on the International Migration White Paper, in www.queensu.ca/samp/policy-dev/PenRep.htm,
p.1.
4
E. Anglotsson, J, van Garderen, Towards a Responsible Framework for the Arrest, Detention and
Repatriation of Illegal Foreigners: A Human Rights Perspective of the Immigration Bill, in Penultimate
Report on the International Migration White Paper, in www.queensu.ca/samp/policy-dev/PenRep.htm,
p.1.
5
J. Crush, V. Williams, Transnationalism and African immigration in South Africa, in Migration Policy
Brief no. 9, in www.queensu.co.za/samp.htm, 2000, p. 7.
9
I primi flussi migratori dal Mozambico verso il Sudafrica ebbero inizio dalla
seconda metà del XIX secolo, quanto l’industria mineraria sudafricana, in stretta
collaborazione con il governo statale sudafricano e i governi coloniali inglese e
portoghese, ha dato l’avvio ad un mercato del lavoro regionale per il lavoro
minerario. Tale mercato, come si preciserà in seguito, è stato spesso definito
“impero del lavoro” o “sistema regionale economico”, fondato sul reclutamento di
lavoratori migranti, prevalentemente attraverso il meccanismo del lavoro forzato.6
La storia del Mozambico è da sempre contrassegnata da vicende traumatiche.
La spartizione coloniale di fine del XIX secolo significò la costituzione in colonia
sotto dominio portoghese di un vasto territorio ecologicamente, etnicamente e
politicamente molto variegato sia nella composizione che nei suoi riferimenti
storico-economici.7
Lo sfruttamento coloniale si fondò, come indicato precedentemente, su forme di
reclutamento e di gestione coercitiva della forza lavoro (lavoro forzato, coltivazioni
obbligatorie), visto che gran parte delle finanze coloniali dipendevano dai redditi
provenienti dall’emigrazione di lavoratori nelle regioni minerarie e agricole del
Sudafrica.8
Il Mozambico divenne, durante il periodo coloniale e non solo, il principale
serbatoio regionale di forza lavoro per le miniere d’oro del Witwatersrand, mentre la
6
J. Crush, Contract Migration to South Africa: Past, Present and Future, paper pubblicato in
www.queensu.ca/samp, p. 2.
7
A. M. Gentili, Il Leone e il Cacciatore. Storia dell’Africa Subsahariana, Nuova Italia Scientifica (NIS)
ed. Roma, 1995, p. 287.
8
Idem, p. 288.
10
città di Lourenço Maques (l’attuale Maputo) divenne il principale porto della ricca
regione agricola e mineraria del Transvaal9. Attraverso il sistema del pagamento
differito, il lavoratore migrante riceveva in Sudafrica solo una parte del salario,
mentre l’ammontare restante gli veniva consegnato solo al ritorno nella colonia
d’origine. In questo modo, si poteva controllare il ritorno e si assicurava alle casse
coloniali un notevole guadagno, poiché le rimesse degli emigrati venivano restituite
dal Sudafrica in oro, vendibile sul mercato internazionale, realizzando un guadagno
superiore al monte salari da restituire ai lavoratori10.
Dopo l’indipendenza, avvenuta in Mozambico il 25 giugno 1975, la partenza dei
coloni portoghesi mise in crisi settori strategici dell’economia, in particolare quello
industriale e agricolo, portando ad un rapido deterioramento dei livelli di
produzione.
Il governo indipendente, guidato dal movimento di liberazione del Frente de
Libertação de Moçambique (FRELIMO) si trovò davanti un paese con un’economia
arretrata e debole, condizioni aggravate dalla forte ostilità dei paesi vicini, in primis
il Sudafrica che iniziò progressivamente a diminuire la domanda di forza lavoro
mozambicana per le proprie miniere11.
Già dal 1991, il governo bianco dell’apartheid aveva fatto approvare l’Alien Control
Act (ACA) legislazione incentrata sugli imperativi ideologici degli ultimi anni del
9
A. M. Gentili, Il Leone e il Cacciatore. Storia dell’Africa Subsahariana, Nuova Italia Scientifica (NIS)
ed. Roma, 1995, p. 288.
10
Idem, p. 289.
11
Ibidem, p. 371.
11
regime, che divenne lo strumento attraverso cui controllare l'immigrazione in
Sudafrica.
Nonostante la transizione democratica, che ha dato l’avvio alla cosiddetta rainbow
nation, un nuovo stato basato su nuovi diritti e opportunità concesse a tutti i propri
cittadini, la legge per il controllo dell’immigrazione è rimasta in vigore.
Impossibile, quindi, comprendere la linea politica verso l'immigrazione del 'nuovo'
Sudafrica senza prima analizzare in modo dettagliato l'Alien Control Act così come
configuratosi durante il periodo dell'apartheid e poi riformulato dal Dipartimento
degli Affari Interni del governo dell'ANC dopo il 1994. Allo stesso modo, risulta
fondamentale analizzare le conseguenze che tale continuazione con il passato (che
appare contraddittoria) ha avuto sulla gestione dell'immigrazione nel paese.
Reputando necessario analizzare nel profondo le tipologie dei flussi migratori verso
il Sudafrica a partire dal 1994 per poter meglio comprendere le misure legislative
adottate dal nuovo Sudafrica verso l’immigrazione, il I capitolo di questo studio,
attraverso l’utilizzo di fonti tratte soprattutto dalle pubblicazioni del Southern
African Migration Project (SAMP), fornirà alcuni dati esemplificativi sulle origini
di queste migrazioni, considerando l’Africa Australe, in generale, e in Sudafrica in
particolare.
Nel far questo, di fondamentale rilievo risulta la questione del lavoro migrante e
delle sue tipologie che hanno caratterizzato l’immigrazione nel paese, con
un’attenzione particolare ai cambiamenti che si sono in esso evidenziati dopo il
rafforzamento delle misure esclusive ad opera del nuovo governo sudafricano. Nello
specifico, ci si riferisce alle misure di controllo poliziesco dell’immigrazione, quali
12
l’arresto e la detenzione e deportazione forzata degli immigrati clandestini presenti
nel paese.
Successivamente, nel corso del II capitolo, verrà più specificatamente analizzato il
contesto giuridico e legale attraverso cui il nuovo Sudafrica ha sviluppato la propria
politica verso l’immigrazione.
Date le forti connessioni con riferimento a questa questione tra il vecchio regime
dell’apartheid e il nuovo governo democratico, si inizierà con il verificare quali
siano state le principali direttrici delle politiche del regime dell’apartheid verso
l’immigrazione in generale e la presenza soprattutto di migranti neri, con particolare
attenzione alla formazione dell’ACA.
Nel 1994, il nuovo governo democratico decise di continuare a tenere in vigore la
precedente legislazione verso l’immigrazione, provvedendo, successivamente,
all’avvio di progetti che portassero all’attuazione di una nuova politica verso
l’immigrazione. Ci si riferisce alla formulazione di progetti di riforma quali il Draft
Green Paper on International Migration, il Draft White Paper on International
Migration , fino ad arrivare all’Immigration Bill, approvato nel 2000 e che
rappresenta la nuova politica verso l’immigrazione del governo sudafricano. Nello
stesso contesto, verranno analizzate le tre amnistie, approvate, tra il 1995 e il 1997,
dal governo dell’ANC a favore di alcune particolari categorie di migranti presenti
nel paese e, nello specifico, verso i lavoratori migranti nelle miniere, i cittadini della
SADC e i rifugiati mozambicani. Tutti questi provvedimenti di amnistia hanno
avuto un forte impatto sui cittadini mozambicani presenti in Sudafrica.
13
Riprendendo alcune delle analisi precedentemente fatte, nel contesto
dell’immigrazione in Sudafrica, il Mozambico svolge un ruolo, sia storico che
politico-economico estremamente rilevante, che verrà analizzato nel corso del III
capitolo.
Sin dalla sua formazione, nel 1891, i governi coloniali portoghese e inglese hanno
contribuito a creare stretti legami di dipendenza tra i lavoratori mozambicani e le
miniere e le aziende agricole sudafricane.
Tale dipendenza, nonostante le strategie di destabilizzazione del Sudafrica e il suo
progressivo rifiuto di reclutare forza lavoro mozambicana dopo il 1975 (rifiutando,
al contempo, di riconoscere l’autorità a governare del FRELIMO), è cresciuta dopo
lo scoppio in Mozambico della guerra civile tra il FRELIMO e il movimento di
guerriglieri della Resistencia Nacional Moçambicana (RENAMO – finanziata
economicamente da ex coloni portoghesi e anche strategicamente dalla Rhodesia e
dal Sudafrica).
Nel 1982, l’espansione della RENAMO si concretizzò in una serie di attacchi contro
le principali strutture del paese (inclusi ferrovie, scuole e ospedali) che, insieme alle
devastazioni provocate da ripetute crisi di siccità, resero palese la necessità di
trovare una soluzione.
Nel marzo 1984, venne firmato l’Accordo di Nkomati con il Sudafrica, che
concludeva intensi negoziati tra i due paesi per cercare di creare un clima di
convivenza12. L’Accordo prevedeva la cessazione dell’ostilità in cambio
12
A. M. Gentili, Il Leone e il Cacciatore. Storia dell’Africa Sub-sahariana, Nuova Italia Scientifica (NIS)
ed. Roma, 1995, p. 375.
14
dell’espulsione dal Mozambico dei membri in esilio dell’ANC. Nonostante il fatto
che il governo mozambicano abbia tenuto fede all’Accordo, il governo sudafricano
continuò a finanziare i ribelli.
Nel 1986, Samora Machel, leader carismatico del FRELIMO nonché primo
presidente del Mozambico indipendente, morì in un misterioso incidente aereo13,
avvenuto in territorio sudafricano, e gli succedette Joaquim Chissano.
Nel 1990, quando il contesto politico sudafricano iniziava a manifestare i primi
segni del futuro crollo del regime dell’apartheid, FRELIMO e RENAMO
ricominciarono a negoziare. Gli accordi, resi possibili dall’intensa opera dei
negoziatori (Comunità di Sant’Egidio, Chiesa cattolica, governo italiano, dello
Zimbabwe e del Kenya) hanno portato al raggiungimento di un accordo per il
cessate il fuoco definitivo. Nel novembre dello stesso hanno è stata mutuata la
nuova Costituzione del Mozambico, che ha incluso la nozione di democrazia
multipartitica.
Il 15 ottobre 1992, a Roma, il presidente Chissano firmò con Afonso Dhlakama la
Dichiarazione di Pace, che, nei mesi successivi, fu seguita dall’invio di un
contingente di pace ONU (ONUMOZ), con lo scopo di sorvegliare la fase di
transizione e che lasciò il paese nel 1995.
La traumatica esperienza della guerra e il prolungarsi della profonda crisi sociale
economica che essa aveva causato in Mozambico aveva portato molti mozambicani
13
A. M. Gentili, Il Leone e il Cacciatore. Storia dell’Africa Sub-sahariana, Nuova Italia Scientifica (NIS)
ed. Roma, 1995, p. 375.
15
ad attraversare i confini con il Sudafrica e molti dei rifugiati si rifiutarono di tornare
al loro paese d’origine anche dopo la conclusione definitiva della guerra.
Dato il forte impatto della presenza di questi cittadini mozambicani in territorio
sudafricano, si analizzerà in modo approfondito la formulazione dell’amnistia a loro
dedicata del 1997, il progetto di rimpatrio volontario, organizzato con il sostegno
dell’ONU per far fronte all’emergenza e le procedure attraverso cui il governo vi ha
dato attuazione.
Nella parte conclusiva dell’ultimo capitolo, grazie all’apporto inchieste svolte per
conto del SAMP, come quella descritta da Fion De Vettler nel suo studio dal titolo
Sons of Mozambique: Mozambican Miners and Post-Apartheid South Africa14, si
analizzerà la condizione degli immigrati sudafricani in Sudafrica, i motivi che li
hanno portati a raggiungere lo stato e quelli che li portano, nella maggior parte dei
casi, a non tornare in Mozambico.
Sempre nel III capitolo, come nella parte conclusiva di questo elaborato, si
analizzeranno quelle che sono state e sono le reazioni del Sudafrica nei confronti
degli immigrati sudafricani, con particolare riferimento ai casi di aggressioni
xenofobe contro gli abitanti mozambicani delle townships sudafricane delle prime
settimane del maggio 2008, che sempre più stanno contribuendo a convincere molti
mozambicani a tornare alla machamba, a rientrare in Mozambico dopo anni di vita e
di lavoro in Sudafrica.
14
F. De Vettler, Sons of Mozambique: Mozambican Miners and Post-Apartheid South Africa, in
Migration Policy Series no. 8, Idasa e SAMP eds, Cape Town, 1998
16
1. ORIGINI DELLA MIGRAZIONE ATTRAVERSO I CONFINI
NELL’AFRICA AUSTRALE
Il Southern African Migration Project (SAMP) ha condotto delle ricerche a livello
nazionale in Botswana, Lesotho, Mozambico, Namibia per verificare le esperienze di
lavoro migrante vissute dalla popolazione adulta di ogni paese. Agli intervistati è
stato chiesto di riportare la storia di lavoro migrante delle loro famiglie.
Tabella 1: Storia Familiare di Lavoro Migrante
Botswana Lesotho Mozambico Namibia
Ha personalmente visitato il Sudafrica 40% 81% 29% 38%
I genitori hanno lavorato in Sudafrica 41% 83% 54% 26%
I nonni hanno lavorato in Sudafrica 26% 72% 38% 23%
[D. A. Mc.Donald, On Borders: perspectives on International migration in Southern Africa, SAMP
e St. Martin’s Press eds, Cape Town, 2000]
Nonostante si possano evidenziare delle differenze a seconda del paese d’origine, si
può, in base a questi dati, affermare che molti dei cittadini adulti di questi hanno
avuto genitori o nonni che hanno lavorato in Sudafrica nel passato. Ad esempio, in
ognuno dei casi considerati, circa un quarto o più degli intervistati ha avuto dei nonni
che hanno lavorato in Sudafrica (dal 23% della Namibia al 72% del Lesotho). Questi
dati confermano il fatto che il lavoro migrante lungo i confini internazionali non
rappresenta una novità per i paesi membri della SADC15.
In effetti, la migrazione attraverso i confini dei paesi SADC è iniziata ben prima
della delineazione dei confini coloniali e può essere datata a circa 150 anni fa. I paesi
15
J. Crush, S. Peberdy, V. Williams, International Migration and Good Governance in the Southern
African Region, in Migration Policy Brief no. 17, SAMP ed., 2006, p. 7.