1.INTRODUZIONE
modelli di processo (1.6) e, tra i sistemi di monitoraggio delle risorse forestali, si è dimo-
strato uno dei più efficienti ed economicamente competitivi, grazie soprattutto all‟alta riso-
luzione spaziale e alla frequenza di acquisizione, che dà la capacità di fornire un monito-
raggio continuo e a basso costo delle variabili forestali coinvolte nel processo di stima.
v. Le piante interagiscono continuamente con l‟ambiente circostante. Il clima, in particolare,
ha un‟influenza diretta sulla produttività forestale, per gli effetti che induce sulla fisiologia
vegetale. In territori montuosi, in particolar modo, la variabilità climatica provoca risposte fi-
siologiche nella vegetazione anche a breve distanza. Questa tesi propone un metodo per
integrare nello studio modellistico della produttività, un approccio geostatistico per
l‟interpolazione dei dati climatici (1.7).
1.2. La funzione delle foreste nel ciclo del carbonio
L‟aumento della temperatura globale di 0.75°C registrato nel corso del secolo scorso viene
attribuito all‟incremento della concentrazione di CO e di altri gas serra (CH, NO, CFCs).
242
Dall‟inizio dell‟era industriale a oggi la concentrazione di biossido di carbonio (CO) in atmosfera
2
è passata da 280 a 370 parti per milione in volume. La principale causa è la combustione delle
fonti fossili energetiche che, nel corso dei soli anni ‟90, ha provocato un accumulo annuale in at-
mosfera compreso tra i 5.9 e i 6.7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.
Secondo Prentice et al. (2001) gli ecosistemi terrestri ogni anno riescono a fissare una quan-
tità di CO compresa tra 0.5 e 1.5 miliardi di tonnellate pari a circa il 90% del carbonio terrestre
2
mondiale (Houghton, 1996). Gli ecosistemi forestali, che occupano il 30% della superficie terre-
stre, sono in grado di immagazzinarne grandi quantità con la fotosintesi perché sottraggono ani-
dride carbonica all‟ambiente e la convertono in biomassa vegetale (Lassere et al., 2006), contri-
buendo in maniera sensibile a contenere il livello di CO (La Marca et al., 1993). Il carbonio viene
2
successivamente rilasciato nell‟ambiente per i processi di respirazione autotrofa (circa la metà
della sostanza organica prodotta) ed eterotrofa, o per altri processi di natura antropica come gli
incendi e/o le utilizzazioni forestali. Se il bilancio in entrata e in uscita è positivo allora gli ecosi-
stemi forestali agiscono come serbatoi (sink), nel caso opposto sono sorgenti (source) di carbo-
nio (Schimel, 1995). Il tempo di permanenza del carbonio negli ecosistemi forestali varia da pochi
giorni per gli essudati radicali ad alcuni secoli per la biomassa legnosa o la frazione recalcitrante
della sostanza organica del suolo. Le principali componenti del bilancio e dell‟allocazione del car-
bonio in una foresta che si trova in una fase di crescita sono rappresentate dalla quantità e
6
1.INTRODUZIONE
dall‟andamento temporale della Produzione Primaria Netta (NPP), dalla sua allocazione nelle di-
verse componenti, dalla longevità delle radici, dai tassi di decomposizione radicale e dall‟ingresso
di carbonio nella lettiera epigea e i suoi relativi tassi di decomposizione. Foreste mature indistur-
bate mostrano uno scambio netto di carbonio con l‟atmosfera mentre le foreste giovani, in gene-
re, hanno bilanci negativi. La produttività ecosistemica dipende dal tipo di foresta, dall‟età,
dall‟ambiente fisico, dalla latitudine, dal clima (Valentini et al., 2000).
Una gestione opportuna delle risorse forestali è dunque indispensabile nel quadro delle stra-
tegie di azione tese ad apportare un significativo effetto nella riduzione della quantità CO atmo-
2
sferica (Borghetti et al., 2001).
1.3. La gestione forestale in Italia prima e dopo il protocollo di Kyoto
Nel rapporto FAO sulle Risorse Forestali Mondiali del 2005 (FRA 2005), la superficie fore-
stale italiana indicata è di circa 10 milioni di ettari, un terzo del territorio nazionale, che corrispon-
de al 5% di quella totale europea, e conferisce all‟Italia il sesto posto della classifica dei paesi eu-
ropei con la maggiore estensione forestale, insieme a Svezia, Finlandia, Spagna, Francia e Ger-
mania (Russia esclusa) (UN/ECE-FAO, 2000).
L‟Italia, fin dai primi anni novanta, ha intrapreso iniziative in ambito ambientale, che purtrop-
po si sono rivelate insufficienti, ponendoci in una condizione di ritardo normativo rispetto al resto
dei paesi europei.
La gestione delle risorse forestali è stata indicata dall‟Italia come una delle misure per con-
seguire, nel corso del primo periodo di impegno 2008-2012 del protocollo di Kyoto, la riduzione
del 6.5% delle emissioni rispetto al 1990; per gli impegni sottoscritti dovrà riportare i bilanci tra
assorbimenti ed emissioni dei gas serra per le attività relative all‟articolo 3.3 e 3.4 del Protocollo.
L‟Inventario Nazionale delle Foreste e del Carbonio (IFNC) ha lo scopo, tra gli altri, di deter-
minare il potenziale nazionale di fissazione del carbonio derivante dalla gestione forestale. Inoltre
attraverso l‟istituzione del Registro Nazionale dei Serbatoi di Carbonio, sarà possibile la certifica-
zione dei flussi di carbonio nel periodo 2008-2012 derivante da attività di afforestazione, rifore-
stazione, deforestazione, gestione forestale dei suoli agricoli e dei pascoli.
Le foreste italiane, come del resto quelle europee, si trovano al di sotto delle proprie poten-
zialità di accrescimento a causa delle eccessive utilizzazioni operate in epoche recenti. Questa
situazione potrebbe portare, attraverso un‟opportuna operazione di gestione forestale, ad un pro-
cesso di espansione e di maturazione dei sistemi forestali, con conseguente incremento degli
7
1.INTRODUZIONE
stock di carbonio in termini di biomassa.
Uno studio realizzato dall‟APAT e dall‟Università di Padova (Dipartimento Territorio e Sistema
Agro-Forestale) relativo agli stock di carbonio rappresentati dai soli fusti dei nuovi impianti bo-
schivi realizzati nel periodo 1990-2000, riporta, per il periodo compreso dal 1990 al 2040, un ac-
-1
cumulo di biomassa di 10,1 MtC, di cui 0,86 MtC anno nel Primo Periodo di Impegno (2008-
-1-1
2012) con una media di 0,17 MtC anno (pari a 0,63 MtCO anno). Una proiezione del contri-
2eq
buto dell‟intero patrimonio forestale nell‟assorbimento di CO, con l‟esclusione degli impianti rea-
2
-1
lizzati tra il 1990 e il 2000, ha previsto un assorbimento di 2,4 MtC anno nel periodo 2008-2012,
-1
e di 1,1 MtC anno per il periodo 2013-2017.
1.4. La stima della produttività delle foreste a scala regionale
La tematica della contabilizzazione dei flussi di carbonio ha interessato la comunità scientifi-
ca soprattutto negli ultimi anni, a seguito delle azioni da intraprendere nell‟ambito degli accordi in-
ternazionali sui cambiamenti climatici, nei quali la gestione forestale viene indicata come uno de-
gli strumenti per mitigare gli effetti dell‟aumento di COatmosferica, una delle maggiori cause
2
dell‟effetto serra. Le difficoltà di ottenere dei dati reali sull‟assorbimento del carbonio aumentano
quando si indagano le foreste naturali e semi-naturali, in quanto i fattori da considerare sono per
la maggior parte sconosciuti, e i parametri ambientali implicati nel processo variano nel tempo e
nello spazio (Griffis et al., 2003).
Attualmente le metodologie per ottenere una stima della variazione negli stock di carbonio
per ampie superfici forestali, è principalente basata sulle informazioni fornite dagli inventari
forestali, benchè siano stati proposti metodi alternativi come la fotogrammetria aerea, e nuovi
approcci innovativi come, per esempio, la tecnica del LIDAR (Patenaude G, 2004).
Nel settore forestale, i metodi convenzionali sono basati su misure puntuali a terra degli
accrescimenti legnosi che sono dispendiose in termini di risorse economiche e umane. L'eddy-
covariance è una tecnica micrometeorologica basata sul principio della turbolenza atmosferica,
usata per determinare i flussi verticali su un'area. Questo metodo adopera torri opportunamente
realizzate e consente di misurare direttamente i principali termini del flusso di carbonio.
L‟impianto e la gestione delle torri è complesso e costoso e non consente una copertura
completa e sufficiente del territorio. Entrambi questi metodi, inoltre, non consentono di valutare in
modo quantitativo le possibili conseguenze di cambiamenti di uso del suolo e/o climatici e di
progettare eventuali interventi di gestione, che un soggetto potrebbe intraprendere.
8
1.INTRODUZIONE
I modelli di accrescimento forestale implementati nei GIS (Geographic Information System) e
guidati da dati telerilevati fornsicono stime spaziali dei flussi di carbonio tra foreste e atmosfera. I
modelli di processo semplificato su base fisiologica oggi hanno raggiunto un buon livello di
affidabilità e le stime di tutti i principali termini del ciclo del carbonio sono sufficientemente
accurate (Waring & Running, 1998). Tutti i modelli di processo, da quelli più complessi a quelli più
semplici, si basano sul principio di assorbimento e utilizzo della luce da parte delle piante, che
fornisce energia al sistema per la fissazione di carbonio in biomassa vegetale. Esistono
differenze nel modo di rappresentare tali processi e nel numero e nel tipo delle variabili richieste.
Non esistono modelli che funzionano meglio di altri, ma ci sono differenze che fanno si che non
tutti possano essere adatti ad un particolare caso di studio. Nella fase di scelta bisogna quindi
considerare i seguenti aspetti:
a) La risoluzione spaziale: gli studi posssono essere rivolti a piccoli bacini o all‟intero globo.
Cambia il livello di dettaglio e di conseguenza sono diversi i problemi da affrontare. Uno
2
studio a scala ecologica (< 1 km) esige risultati più dettagliati di uno condotto a scala
2
globale (>10 km).
b) La scala temporale: i modelli a scala mensile sono molto più semplici, quelli a scala
giornaliera richiedono una grande mole di dati aggiuntivi che spesso non sono disponibili.
c) L’area di studio: le particolari caratteristiche di una data area di studio potrebbero
indirizzare verso modelli particolari che si adattano meglio di altri alla situzione indagata.
d) I dati in ingresso e in uscita: i modelli a seconda della loro complessità richiedono un
certo numero di variabili in ingresso che possono già indirizzare la scelta verso quelli più
adatti allo scopo della ricerca. Bisogna, inoltre, cosiderare quali sono i risultati attesi.
e) Dati disponibili per la validazione: la validazione permette di determinare la qualità del
lavoro svolto. Individuare prima quali saranno poi i dati per confrontare i risultati otteuti è
fondamentale nella scelta del modello da usare e nella successiva fase di elaborazione.
1.5. Il telerilevamento e la modellistica forestale
La possibilità di integrare i dati telerilevati ha consentito applicazioni a scala spaziale dei
modelli ambientali (Franklin et al, 1997). Il telerilevamento satellitare si è ormai affermanta come
tecnologia usata per l‟inventariazione e il monitoraggio delle foreste (Hyyppä et al., 2000) e offre
la possibilità di misurare le variabili guida dei modelli, descrittive dello stato della vegetazione
(Waring & Running, 1998), con frequenze elevate di acquisizione e a risoluzioni molto elevate
9
1.INTRODUZIONE
con dispendio minimo di risorse. La possibilità di integrarre i dati telerilevati ha consetito dunque
applicazioni a scala spaziale dei modelli. I modi di integrare i dati telerilevati e i modelli
ambientali, secondo Plummer (2000), possono essere ricondotti a quattro diverse strategie
alternative:
1) Stima delle variabili dei modelli con dati telerilevati;
2) Test e verifica dei risultati di output dei modelli con i dati telerilevati;
3) Aggiornamento dei modelli con dati telerilevati;
4) Validazione tramite i modelli dei dati telerilevati;
La prima è sicuramente quella più comune (Fig.1): i dati telerilevati forniscono le variabili guida
dei modelli ( es. radiazione solare, indici di vegeta-
zione, classificazioni della copertura del suolo) con
una risoluzione e una frequenza d‟acquisizione mol-
to elevata (Jørgensen, 1994) così da fornire un mo-
nitoraggio efficiente e a costi contenuti dello stato
delle foreste.
I sensori posti sui satelliti misurano la radiazio-
ne riflessa o emessa dalla superficie terrestre che
successivamente viene “tradotta” in informazione
utile per i modelli ecologici usando alcune funzioni
derivate empiricamente o teoricamente (Coughlan
& Dungan, 1996). Tra le variabili forestali quelle più
utilizzate ai fini modellistici sono l‟indice di area fo-
gliare (LAI), l‟intercettazione e l‟assorbimento della
radiazione foto sinteticamente attiva (FPAR), non-
Figura 1: I dati telerilevati forniscono sia dati di
ché tutti gli indici di vegetazione, in particolare
input che variabili guida per i modelli ecologici
(da Plummer, 2000.)
l‟NDVI (Landsberg & Hingston, 1996; Waring &
Running, 1998).
1.6. I modelli di processo
I modelli di accrescimento forestale sono stati sviluppati per simulare i processi fisiologici e
restituire stime di grande interesse per la gestione delle risorse forestali (White et al., 1998).
Questi appartengono a due categorie: quelli “empirici” e quelli di “processo semplificato”. I primi
10
1.INTRODUZIONE
sono basati su relazioni di regressione determinate sperimentalmente (MacFarlane et al., 2000),
e hanno il limite di essere sito-specifici e sono anche poco flessibili perché incapaci di simulare i
processi fisiologici indotti da variazioni ambientali. I modelli di processo incorporano e tengono
conto degli effetti della variabilità ambientale sull‟ecosistema e riescono a quantificare gli effetti
prodotti sulle foreste dai cambiamenti climatici dall‟aumento della COe delle deposizioni di azo-
2
to. Landsberg e Gower (1997) hanno confrontato diversi modelli e hanno concluso che alcuni
concetti fondamentali sono condivisi:
a) La produttività primaria lorda viene stimata sulla base della quantità di luce assorbita dal-
le piante, e sull‟efficienza di uso della luce stessa;
b) Il coefficiente di uso della luce teorico si riduce per le limitazioni ambientali imposte alla
crescita forestale (White et al., 2000). Le piante riducono l‟attività fotosintetica teorica
perché reagiscono agli stress ambientali (elevata VPD, siccità, gelate, elevate temperatu-
re).
c) Il rapporto tra produttività primaria netta e quella lorda è relativamente costante per di-
verse specie forestali;
I primi modelli necessitavano di molti parametri e diverse variabili, per cui erano difficili da
parametrizzare. MAESTRO (Wang, 1990) è stato uno dei primi, richiedeva un elevato numero di
parametri per la descrizione della chioma e produceva stime con un intervallo orario. Le prime
semplificazioni sono state introdotte dal modello FOREST-BGC (Running & Gower, 1991;
Running, 1994) che impiegava il LAI per la descrizione della struttura della chioma basandosi sul-
la legge di intercettazione di Beer-Lambert., e adottava un intervallo di calcolo giornaliero che
permetteva di ridurre il numero di input. Il 3-PG (Landsberg & Waring, 1997) è uno dei più sem-
plici in quanto adopera uno schema mensile, e usa principi e relazioni semplificate (es. McMurtie
et al., 1990) rispetto agli altri modelli più complessi.
La modellistica ha fatto molti progressi ma alcuni processi restano ancora sconosciuti e, per-
tanto, nella loro rappresentazione vengono generalmente utilizzati approcci di tipo empirico piut-
tosto che meccanicistico, dando luogo a modelli ibridi. È il caso dei meccanismi di allocazione
della biomassa che sono rappresentati con una semplice ripartizione della biomassa tra la com-
ponente epigea e quella ipogea secondo dei rapporti fissi derivanti da dati sperimentali (Waring &
Running, 1998). L‟allocazione della sostanza organica all‟interno delle piante rimane uno dei pun-
ti critici sui quali la ricerca deve ancora dare delle risposte definitive. Esistono modelli che hanno
sviluppato approcci innovativi per la rappresentazione dei fenomeni di allocazione della sostanza
11
1.INTRODUZIONE
organica (Magnani et al., 2000) dove viene introdotto il principio della limitazione idraulica
all‟allocazione, pertanto i rapporti non sono più considerati fissi ma hanno una risposta dinamica
alle limitazioni idrauliche indotte dalle variabili ambientali all‟interno della pianta stessa (Magnani
et al., 2002).
Un punto chiave della modellistica forestale resta la parametrizzazione. Come regola gene-
rale i parametri dovrebbero essere sempre assegnati per misure dirette e indipendenti, o per ana-
logia con altre specie o casi studiati simili (Battaglia et al., 1997; 2004). Se questo non è possibile
i valori dovrebbero essere determinati calibrando i modelli, in un processo chiamato “stima dei
parametri”. L‟altra possibilità è assegnare i valori basandosi su quelli riportati in letteratura riferiti
alle stesse specie oggetto dello studio (Sands, 2004). A differenza di modelli usati in ambito agra-
rio, quelli forestali sono molto più complessi se non altro perché gli ecosistemi forestali sono mol-
to più complessi e difficili da modellare rispetto ai più semplici sistemi agronomici.
1.7. L’interpolazione dei dati climatici
La qualità degli strati informativi è fondamentale quando questi vengono usati come variabili
guida dei modelli implementati nei GIS, con lo scopo di ottenere poi stime estese su ampi territori
della produttività forestale. In questo contesto il ruolo ricoperto dalle variabili climatiche è di pri-
maria importanza (Matsushita, 2004). Troppe volte, infatti, l‟uso improprio di tali variabili ha porta-
to a stime distorte, dovute al fatto che spesso tali superfici (layer) venivano acquisite da fonti e-
sterne, senza la possibilità di testare la reale affidabilità e soprattutto la qualità delle variabili rap-
presentate. Vista l‟importanza di questi layer, e considerando che possono inficiare sulla qualità
dei risultati, i dati climatici interpolati dovrebbero essere prodotti ad hoc per perseguire gli scopi
della ricerca e le risoluzioni spaziali e temporali che tale ricerca richiede o, in alternativa, prima di
usarli dovrebbero essere condotti dei test e andrebbero anche validati con misure dirette delle
stazioni meteorologiche. L‟approccio geostatistico per l‟interpolazione dei dati climatici dovrebbe
quindi costituire un punto chiave nella stima della produttività forestale su ampi territori, ottenuta
con i modelli di accrescimento forestale (1.6).
In questa ricerca viene messo in risalto il ruolo dell‟interpolazione dei dati climatici come
strumento integrato nei GIS a disposizione della ricerca forestale. L‟approccio geostatistico delle
variabili climatiche (precipitazioni, temperature, umidità, radiazione solare ecc.) deve essere con-
dotto studiando attentamente le caratteristiche topografiche, ambientali e climatiche dell‟area di
studio. Questo deve poi servire per individuare metodi di interpolazione che permettono di mini-
12
1.INTRODUZIONE
mizzare gli errori delle stime delle superfici prodotte. I dati di base, costituiti dalle registrazioni
giornaliere delle stazioni meteorologiche, vanno esaminati con cura, soprattutto dal punto di vista
statistico, per eliminare ogni possibile fonte di errore, che va corretto prima di procedere con le
operazioni di interpolazione. È importante, inoltre, che tutte le superfici finali siano poi confrontate
e validate con misure dirette delle variabili oggetto di studio per risultare poi in grado di rappre-
sentare la reale variabilità spaziale del clima di un dato territorio. Soltanto dopo queste operazioni
le variabili climatiche interpolate possono poi costituire validi input dei modelli ambientali.
L‟interpolazione spaziale di dati puntuali, quali appunto i dati raccolti dalle stazioni meteoro-
logiche, costituisce oggi uno strumento a disposizione della ricerca forestale e scientifica in gene-
rale, soprattutto perché la geostatistica è diventata uno strumento integrato nei moderni sistemi di
informazione territoriale (SIT). Esistono, infatti, pacchetti software implementati nei SIT che diven-
tano sempre più intuitivi e rivolti ad utenti che non sono propriamente esperti di statistica (Bailey
& Gatrel, 1995). Questa pronta disponibilità di strumenti geostatistici costituisce un indubbio van-
taggio se questi vengono usati sulla base di conoscenze di base. L‟interpolazione spaziale costi-
tuisce, infatti, un processo interattivo guidato dall‟utente, che determina quindi la qualità del risul-
tato finale prodotto.
Grazie alla geostatistica quindi la modellistica forestale ha la possibilità di integrare uno
strumento in grado di fornire strati informativi climatici e non solo, che contribuisce ad ottenere
stime più precise dei principali termini degli scambi di flusso di carbonio tra foreste e atmosfera e
che, di conseguenza, aiuta a comprendere meglio e ad approfondire le conoscenze sul funzio-
namento dei complessi ecosistemi forestali.
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2.OBIETTIVI
2. OBIETTIVI
L‟obiettivo principale di questa tesi è quello di fornire una stima dei principali termini dei flus-
si di carbonio tra foreste e atmosfera a scala ecologica. Questi dovranno essere rappresentati da
strati informativi di Produttività Primaria ed Ecosistemica Netta in grado di interpretare la variabili-
tà spaziale dei fenomeni ad una scala che risulti utile dal punto di vista operativo. Le mappe pro-
dotte devono permettere confronti con dati di incremento riportati nei PAF.
Per valutare gli effetti della variabilità spaziale del clima sulla produttività forestale nell‟area
di studio saranno inoltre prodotte superfici climatiche con metodi di interpolazione in grado di mi-
nimizzare gli errori. Le procedure di interpolazione dovranno tenere conto della realtà e delle ca-
ratteristiche climatiche del territorio. Questi strati dovranno costituire strati informativi di buona
qualità in gradi di poter essere adoperati per ricerche future.
La metodologia dovrà essere di semplice implementazione e ripetibilità, in modo tale da
permettere una facile applicazione e ripetibilità a casi di studi diversi. Tutti gli strati informativi
prodotti nel corso delle elaborazioni dovranno rappresentare la realtà dei fenomeni indagati.
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