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In una situazione di profondo disagio sono anche i bambini costretti a
vivere fuori della propria famiglia. Gravi carenze psicologiche e
pedagogiche dei genitori, malattie mentali di essi o gravi irregolarità della
condotta, difficoltà abitative ed economiche della famiglia, disfunzioni
relazionali familiari impongono l'allontanamento del bambino dal suo
originario e carente ambiente di vita e la sua collocazione in una struttura
( prima della nuova legge, la L. 149 del 28 marzo 2001, erano degli istituti)
assistenziale educativa o in una famiglia sostitutiva. Ed anche la
dissoluzione del nucleo familiare provoca spesso l'allontanamento del
minore dal suo nucleo familiare: quasi il 50% dei bambini ricoverati in
strutture residenziali o dati in affidamento familiare hanno alle spalle una
famiglia separata o divorziata o una famiglia monoparentale all'origine o a
seguito di morte del partner.
E’ pensando a queste problematiche riguardanti minori e famiglie che si è
posta l’attenzione all’affido familiare e alle sue multiproblematiche; questo
lavoro di ricerca nasce principalmente da una riflessione sulla complessità di
tale intervento, sulle conseguenze psichiche che si hanno sul fanciullo e
sulla famiglia. In esso, infatti, si ritrova la compresenza di una pluralità di
soggetti, sia istituzionali che non, i quali vengono chiamati a collaborare ad
un progetto manifestando differenze sia culturali che metodologiche.
L’elemento che ha portato a compiere un’analisi dettagliata di tale
fenomeno è stato il fatto di voler comprendere quali siano le possibili cause
che fanno sì che un fanciullo venga allontanato dalla sua famiglia di origine,
ciò ha il fine di raggiungere una maggior consapevolezza in merito alle
esigenze dei fanciulli stessi e dei loro genitori rendendo più facile il loro
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ricongiungimento e quali cause portano le famiglie affidatarie a riabbandonare
il bambino e a far si che questo avvenga sempre meno frequentemente.
Sono le molteplici domande alle quali non si è riusciti a trovare risposta
sull’affido che hanno portato a trovare nella pedagogia una risposta alle
sofferenze causate magari da affidi sbagliati, nel senso non di mancata
volontà da parte dei genitori affidatari, ma soprattutto mancata
preparazione da parte di tali genitori ad una nuova “avventura”,
apparentemente semplice ma in realtà articolata, la paura di non essere in
grado di affrontare una situazione così complessa. E’ proprio grazie ai
quesiti che si pongono giornalmente le famiglie protagoniste che si è potuto
affrontare un lavoro di questo genere.
L’intero lavoro parte dal presupposto, ormai consolidato, che l’affido non
debba essere un intervento rivolto unicamente al minore, ma un
provvedimento programmato ed attivato nei confronti dell’intero nucleo
d’origine, con il supporto della pedagogia, quindi della formazione familiare,
teso al cambiamento della struttura relazionale su cui si organizza il sistema
familiare.
All’origine dell’allontanamento del fanciullo dai genitori si presuppone che
ci sia uno stato di malessere e di disagio non solo nella relazione genitore-
figlio ma dell’intero nucleo familiare.
Ci si serve della pedagogia sociale per poter far si che tutto ciò non avvenga
e che con gli insegnamenti di tale disciplina si possa far sì che la rete di
famiglie affidatarie possa sempre aumentare.
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Ed è proprio con la storia della pedagogia sociale che si introduce il 1°
capitolo, dando uno sguardo alle origini di tale disciplina ed alle difficoltà
che ha incontrato per formalizzare la sua specificità pedagogica nell’ambito
della marginalità e della devianza minorile e quindi le varie trasformazioni
subite.
Perché partire dalla pedagogia sociale? Proprio perche è da tale disciplina
che si può cogliere il concetto di solidarietà così come quello dell’ aver cura
dal punto di vista prettamente pedagogico applicato alla realtà e quindi alle
famiglie affidatarie. Un vecchio detto per una nuova prospettiva
pedagogica: per educare un bimbo ci vuole un villaggio, il motto che esprime
pienamente il pensiero della pedagogia sociale e cioè il concetto di solidarietà
secondo la pedagogia: esserci nella società, impegnarsi per il bene comune,
solidarietà è servizio agli altri e con gli altri quindi un servizio alla persona.
Educare all’appartenenza significa portare il soggetto a non perdere la
propria identità personale.
E’ promuovendo i concetti della pedagogia sociale tra educazione sociale e
socializzazione che si ha la possibilità di estendere la rete delle famiglie affidatarie.
Il compito primario è quindi quello di promuovere con la socializzazione il
senso di appartenenza e quello di una propria identità, nella condivisione di
regole e stili di vita e nella prospettiva della produttività.
Dopo aver esplicato nei concetti della pedagogia sociale e nell’ evoluzione
storica di tale disciplina i vari motivi che rendono la pedagogia sociale una
delle protagoniste principali di tale argomento e in cosa potrà essere utile,
nel 2° capitolo si è voluto raccontare una storia vecchia come il mondo,
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quella dell’abbandono dei bambini più sfortunati di altri che rappresenta
solo l’inizio del lungo e complesso cammino che porterà alla nascita
dell’affido e dell’ accoglienza.
Si racconta la favola dell’abbandono che purtroppo è una favola reale, dai
suoi primi anni con la nascita dei brefotrofi e degli orfanotrofi, per poi
narrare una favola che purtroppo tanto favola non è ma che accomuna tutti
i bambini che hanno dovuto subire l’abbandono, l’assenza di un passato e di
una propria identità.
Continuando con la descrizione di tali istituti si arriva a parlare della legge
che ha definito la chiusura decisiva degli orfanotrofi entro lo scorso 2006,
L. 149 del 28 marzo 2001, i problemi e le polemiche che tale scadenza ha
provocato; il problema realistico e principale è sicuramente il posto in cui
accogliere così tanti bambini che poco prima erano accolti in delle
grandissime camerate. Dopo questa legge si passa dai vecchi e tristi modelli di
Istituti alle nuove villette familiari, o meglio si dovrebbe passare.
Nel lavoro affrontato in questa tesi si va a descrivere anche l’esperienza
fatta personalmente che ha dato la spinta principale ad intraprendere questo
lavoro. E’ stata l’impressionante differenza che si nota, visitando la
comunità c.ed.ro con la quale si è lavorato, tra il vecchio modello di istituto
con i lunghissimi corridoi, le grandi camerate e il grande giardino ed il
nuovo modello composto dalle villette familiari che ospitano attualmente i
fanciulli.
Attraversare i lunghissimi corridoi è davvero suggestionante, sembra di
attraversare delle realtà del tutto lontane quando invece, purtroppo, ancora
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oggi esistono ed è difficile sradicarle, anche se si vede uno spiraglio di luce
con la nuova legge che ha deciso di abolire tali forme di istituti.
Nel 3° capitolo si va a delineare la giusta alternativa alla casa famiglia e
quindi al diritto del minore di avere una famiglia, come citato anche nella
legge 149/01 “Diritto del minore ad una famiglia”, si sta quindi parlando
dell’ affidamento, una concreta soluzione per le sofferenze del fanciullo,
quale altra forma di aiuto al fanciullo e alla famiglia in difficoltà. L’affido è
finalizzato a realizzare un intervento preventivo e riparatore e rappresenta
un mezzo per garantire al bambino un ambiente familiare idoneo.
Cos’è l’affido, chi sono i protagonisti principali di tale cammino, i diritti e i
doveri delle famiglie affidatarie e delle famiglie d’origine, i diritti del
fanciullo.
Il ruolo che l’educatore riveste nel cammino dell’affido e dell’accoglienza è
fondamentale per lo sviluppo educativo dei fanciulli.
L’educatore esperto nell’arte di far diventare vita vissuta i principi guida:
responsabilità, socialità, reciprocità, temporalità, sistemicità, testimonianza. Deve
essere capace di promuovere attraverso l’esempio, il tendere al
miglioramento di se, nei singoli e nella comunità.
Nel 4° capitolo dopo aver parlato della pedagogia per illustrare il perché
tale disciplina può essere di fondamentale aiuto, anzi è colei che può
cambiare qualcosa nei percorsi di affido/accoglienza, si va a narrare la
storia dell’abbandono perché è quello il punto di partenza che porta poi a
tale percorso ed in seguito, dopo aver spiegato cosa sia l’affido, si va ad
illustrare il progetto della formazione delle famiglie affidatarie/accoglienti per far sì
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che appunto venga visto e preso in considerazione come una soluzione alla
sofferenza dei fanciulli abbandonati; vengono di seguito spiegate le finalità
di tale progetto, le attività da svolgere, i tempi, la metodologia ed i vari
modi per poter promuovere la cultura dell’affido- accoglienza, estendere anche al
maggior numero possibile di case famiglie questo nuovo modo di intendere
l’affido/ accoglienza grazie all’aiuto della pedagogia.
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Capitolo primo
Pedagogia sociale: chi è costei?
1.1. Uno sguardo alla storia della pedagogia sociale
Introdurre l’argomento con degli accenni alle origini e all’attuale significato
della pedagogia sociale è importante perché è proprio da tale disciplina che
parte l’intervento pedagogico, le ricerche e le conseguenti proposte, poiché
essa ha come mission quella di occuparsi dei problemi dell’uomo e dei propri
ambienti di vita quotidiana e quindi della società complessa e dei suoi
contesti educativi con relativi processi educativi.
L’origine della pedagogia sociale risale a molto tempo prima della
istituzione delle cattedre nelle diverse università.
Le sue istanze, le tematiche, le sue connotazioni si possono ritrovare
agevolmente in molti autori (pedagogisti e filosofi dell’educazione del
passato), all’interno delle loro riflessioni (e teorie dell’educazione, della
scuola), nonché nelle loro concezioni dell’uomo, del bambino, della
relazione docente/allievo, genitore/figlio…
Si da ora uno sguardo alla pedagogia sociale a partire dall’ ottocento,
iniziando con Natorp e il neocriticismo, che vuol formalizzare l’identità
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culturale della pedagogia sociale, dando ad essa ed alla sociologia unità ed
inseparabilità.
Natorp intende la pedagogia sociale come sapere specificamente
pedagogico in stretto rapporto con la filosofia , una particolare filosofia
dell’educazione orientata da un obiettivo prassico.
Fra le teorie dell’ ottocento si ha quella di John Dewey che afferma: "con
l’avvento della democrazia e delle moderne condizioni industriali è
impossibile preparare il fanciullo ad un ordine preciso di condizioni"
1
.
Perciò l’educazione per svilupparne pienamente la personalità, deve aver
presente solo la necessità d’inserire l’educando adeguatamente nei
cambiamenti sociali.
2
Nel novecento, con Bergemann e Diesterweg si avverte la necessità di
chiarire le relazioni esistenti tra sapere pedagogico e strutture sociali.
Pedagogia come scienza impegnata nell’analisi del sociale. Pensiero
pedagogico con connotazioni politiche, ma sempre propositive ed attive.
La pedagogia sociale come scienza empirico-prassica impegnata nell’analisi
dei bisogni sociali e soprattutto nella proposta di ipotesi di cambiamento.
Nel secondo dopoguerra in Italia si hanno delle proposte ed esperienze
educative a forte impatto socio-politico indirizzate all’infanzia ma anche ad
adolescenti ed adulti, la pedagogia come “scienza emancipativa”. Il
problema della formazione dell’uomo e del cittadino della neo- repubblica
1
Calaprice S., Pedagogia generale e pedagogia sociale, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2005, p. 134.
2
Pastore. A., Lezioni di filosofia, Società editrice internazionale, Torino 1998, p. 345.
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trova fondamento nella struttura democratica dello Stato e si esprime nella
necessità di offrire alla popolazione strumenti di crescita culturale e di
emancipazione sociale.
Con Bertin si parla di pedagogia impegnata nella progettualità della società.
Per parlare poi con Laporta dell’imprescindibile rapporto tra educazione e
politica. La politica “assorbe tutto ciò che si chiama educazione”, e
l’educazione può “costituire un fattore essenziale di ogni realtà politica”
3
.
Pedagogia come scienza dell’educazione profondamente implicata nelle
scelte politiche e nelle trasformazioni sociali. Per Volpi non esiste
distinzione tra oggetti ed ambiti di ricerca della pedagogia generale e sociale.
La pedagogia sociale studia la formazione dell’uomo nei vari contesti socio-
strutturali.
In particolare analizza il “ processo educativo nelle modalità qualificanti” e
nei “processi di socializzazione all’interno di vari aggregati umani, a livello
micro – macro- strutturale”; l’ottica è di tipo ricognitivo - interpretativa
che prende in considerazione l’intero campo della prassi didattico -
educativa nei suoi molteplici fattori, elementi, processi” e “indaga
configurando modelli di intervento.
Riassumendo le varie definizioni date nel corso dei secoli e soprattutto tra
gli anni ’80 e ’90 è emerso che la pedagogia sociale è stata vista come
3
Calaprice S., Pedagogia generale e pedagogia sociale, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2005, p. 135.
15
scienza diagnostica e terapeutica secondo Frabboni, come una scienza
propositiva secondo Izzo ed infine come una scienza di intervento.
Sempre negli anni ’80- ’90 la pedagogia sociale come scienza in relazione
con il mutamento sociale, ridefinisce le sue aree di ricerca e di intervento,
allo scopo di individuare modelli e strategie di formazione individuale e
collettiva. Ed è in tal senso che la pedagogia esprime l’impegno
emancipativo dell’educazione come processo che mira a trasformare la
realtà esistenziale sulla base della motivazione, secondo un’ottica critica che
prefigura gli scenari del futuro prossimo.
Il dibattito intorno allo statuto epistemologico della pedagogia sociale è
tuttora aperto, nel tentativo di definirne campi e metodi di indagine,
nonché i rapporti di interrelazione con le altre “scienze dell’educazione”.
La riflessione pedagogica ha quindi iniziato negli anni Settanta un percorso
lungo ma ricco di cambiamenti e nuovi indirizzi. Si pensi ai programmi per
la scuola elementare, alla nascita degli asili nido, all'introduzione
dell'educatore in carcere, dell’educatore negli istituti, all'affermarsi della
pedagogia del dissenso, una pedagogia che trova la voce più autorevole
nella denuncia al modello scolastico emarginante e monoculturale di quegli
anni. La denuncia fatta da Don Milani porta finalmente a criticare un
modello scolastico che si manteneva escludente, emarginante e capace solo
di selezionare.
Fino a quando non è stata avviata una riflessione sulla presenza di
condizioni di diversità, di disuguaglianza, di svantaggio, l'educazione non ha
avuto spazi e campi adeguati per esplorare contesti diversi da quello
scolastico. Sempre nello stesso periodo cominciano a uscire le prime