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La letteratura scientifica attuale evidenzia come la natura interpersonale del dolore
cronico porti inevitabilmente a conseguenze negative sia per il paziente che per le
persone ad esso vicine. In tal modo il dolore cronico si conferma come patologia non
solo individuale. Influisce sulla relazione di coppia modificando le dinamiche pre-
esistenti e i ruoli nella vita pratica quotidiana, affettiva e sessuale.
Allo stesso modo vengono radicalmente modificate le relazioni sociali amicali e
professionali. La situazione finanziaria è infatti un problema non secondario che si
trovano ad affrontare le famiglie con un paziente con dolore cronico: i pazienti più gravi
si trovano nell’impossibilità di continuare la propria professione, quelli meno gravi
devono comunque rinunciare alle prospettive di avanzamento di carriera e ricorrere a
riduzioni dell’orario di lavoro dove possibile. Questo comporta preoccupazioni sul
futuro finanziario, ulteriormente aggravato dalle spese mediche relative alle visite ed ai
trattamenti.
Dal punto di vista finanziario il dolore cronico comporta oltretutto un problema
anche per lo Stato data l’alta percentuale di persone che ne sono affette e la conseguente
perdita di produttività annua. Oltre a ciò, l’inappropriatezza delle cure, oltre che essere
causa di insuccesso terapeutico, comporta un aggravio della spesa sanitaria per l’uso
improprio delle risorse e per il controllo delle complicanze.
Attualmente la ricerca indica un altro importante dato che riguarda i partner: le loro
risposte, e quelle dei familiari in genere, alle espressioni di dolore del paziente possono
sia attenuare il problema che esacerbarlo e cronicizzarlo.
Aumenta, inoltre, per i partner il rischio di sviluppare problemi di salute che vanno
ad intaccare il loro benessere psicologico e fisico, a causa dei molti stressor cui sono
sottoposti.
L'elaborato si apre con una parte dedicata agli aspetti fisiologici e all’inquadramento
tassonomico del dolore cronico, analizzando anche gli effetti fisiologici, mentali e
sociali, ed i più comuni metodi di valutazione. Nel secondo capitolo invece viene
descritto il significato dell’esperienza personale di dolore. Il terzo capitolo è dedicato,
infine, alle conseguenze del dolore cronico sulla vita di coppia. In appendice, si propone
un possibile protocollo di intervento, tenendo in considerazione gli aspetti individuali e
relazionali del dolore cronico trattati nel corso dell’elaborato.
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1 IL DOLORE CRONICO
Il dolore è un’esperienza soggettiva cosciente, multifattoriale e multidimensionale,
che comprende componenti sensoriali-discriminative, affettivo-motivazionali e
cognitivo-valutative (De Felice et al., 2000). Non è, quindi, una sensazione primitiva ma
il risultato di un processo di elaborazione centrale complesso, indotto quasi sempre
dall’attivazione del sistema nocicettivo. E’ una percezione risultante dalla elaborazione
psicologica, mentale, di un messaggio fisico, elettrico, chimico dell’apparato
nocicettivo. La percezione del dolore porta nei percorsi più nascosti della mente e degli
affetti, dei desideri e delle paure, della rabbia e della tenerezza, ed è difficile da studiare
e descrivere in modo slegato dall’esperienza individuale proprio per questo (Ercolani e
Pasquini, 2007).
Il dolore acuto è una sorta di spia che qualcosa non va nell’organismo e proprio per
questo motivo gli è riconosciuto un ruolo indispensabile per la conservazione della
salute e della vita. Non è così per il dolore cronico, che diventa esso stesso malattia, o
conseguenza di una malattia diagnosticata. Anche il dolore cronico però porta con sé
significati, che non appaiono tali fin dall’inizio e che sono ben nascosti nelle pieghe
dell’anima e dell’inconscio. Il dolore cronico segnala anch’esso un disagio, che non è
malattia del corpo, ma dell’anima, un male di vivere che chiamiamo solitamente
depressione o equivalente depressivo o disturbo di somatizzazione (Ercolani e Pasquini,
2007). Il messaggio non riguarda il corpo e la sua integrità, ma esprime un malessere
psicosociale, che si evidenzia attraverso il corpo, utilizzato inconsapevolmente come
visualizzatore di ansie, paure, rabbie croniche e risentimenti mal riconosciuti ed
elaborati, traumi rimossi e identità malformate. Se a un messaggio del corpo si risponde
con attenzioni rivolte solo al corpo, si rischia di non cogliere quella richiesta di aiuto,
spesso non consapevole, che viene gridata dal corpo, ma che non nasce da lì, anche se
possiamo trovare dei correlati fisici, chimici e clinici.
1.1 Anatomia e fisiologia del dolore
E’ attualmente accettato che il concetto di trasmissione diretta del dolore non è
sufficiente per chiarire il meccanismo con il quale il dolore si verifica. Sono coinvolti
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livelli di complessità diversi. I segnali possono essere modificati a ogni livello, dai
recettori periferici attraverso i nervi periferici fino alla colonna spinale e al cervello; lo
stesso processo dolorifico può agire di per sé sui neuroni che trasmettono il dolore.
Perciò il sistema nervoso, un tempo considerato un insieme di connessioni fisse, è oggi
reputato un sistema soggetto a modificazioni, ovvero plastico (Munafò e Trim, 2001).
Esiste un ampio spettro di stati dolorifici: da un paziente che non lamenta dolore
nonostante un grave danno tessutale (ad esempio su un campo di battaglia), ad un altro
paziente debilitato dal dolore cronico pur in assenza di una diagnosi precisa. In casi
come questo diagnosi e trattamento possono rivelarsi estremamente difficili e richiedere
la conoscenza delle diverse tipologie e dei diversi meccanismi del dolore.
1.1.1 I recettori del dolore
La nocicezione è il processo sensitivo in base al quale uno stimolo lesivo viene
captato a livello periferico e trasmesso al cervello, dove viene riconosciuto e
localizzato, potenziato o inibito e infine memorizzato. Questo processo si basa sulla
presenza nei tessuti di nocicettori, cioè di sensori costituiti da terminazioni libere di
nervi periferici, afferenti primari, in grado di rispondere in maniera differenziata agli
stimoli nocivi (concetto di “soglia”), presenti praticamente in ogni organo (Ercolani e
Pasquini, 2007). Esistono diversi tipi di recettori:
- nocicettori cutanei unimodali, rispondono soprattutto a stimoli meccanici
intensi, specie se provocati da oggetti appuntiti o taglienti, capaci di ledere i
tessuti;
- nocicettori cutanei polimodali, rispondono a stimoli meccanici, termici e chimici
di alta intensità, con ampio campo recettoriale;
- nocicettori muscolari e articolari, hanno una soglia di stimolazione termica
attorno ai 45°C, per cui rispondono sia agli stimoli meccanici intensi che alle
alte temperature;
- nocicettori viscerali, sensibili a modificazioni di tensione dello strato muscolare,
della mucosa o della sierosa.
La prima fase del processo di nocicezione è la trasduzione: in risposta allo stimolo il
neurone si depolarizza e trasforma l’energia algogena (meccanica, termica, chimica) in
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impulsi di tipo elettrochimico (Bonica, 1992). I nocicettori sono spesso stimolati da una
serie di sostanze chimiche, dette mediatori, che hanno il compito di attivare la
trasmissione dell’input e/o di sensibilizzare gli stessi nocicettori in modo da abbassarne
la soglia di risposta. Quando si verifica un danno tessutale infatti, questo produce nella
sede della lesione un fenomeno detto sensibilizzazione (iperalgesia primaria).
L’aumentato rilascio di neuropeptidi quali la sostanza P, la bradichinina e le
prostaglandine, oltre a partecipare all’infiammazione, determina il fenomeno
dell’iperalgesia tramite la modificazione della sensibilità dei nocicettori (Ercolani e
Pasquini, 2007).
1.1.2 Le vie ascendenti
Una volta avvenuta la trasduzione, avviene la fase della trasmissione. Gli impulsi
elettrici vengono infatti trasmessi dalla periferia verso il cervello. Le fibre che veicolano
le informazioni dolorifiche possono essere:
- fibre A-beta, mieliniche, di grosso diametro, rispondono a stimolazioni
meccaniche sia di bassa che di alta intensità;
- fibre A-delta, lievemente mielinizzate e perciò aventi una minore velocità di
conduzione rispetto alle precedenti, rispondono a stimoli meccanici e termici ad
intensità elevata e a stimoli chimici;
- fibre C, non mielinizzate e quindi lente, di piccolo diametro, rispondono a
stimoli meccanici, termici e chimici ad alta intensità e rappresentano gli
afferenti primari provenienti dai visceri.
Per raggiungere il sistema nervoso centrale i nervi periferici percorrono vie
anatomiche ben definite. Il corpo cellulare di tali nervi si trova in un rigonfiamento a
livello delle radici posteriori dei nervi spinali (gangli delle radici dorsali) in entrambi i
lati della colonna spinale, nella quale poi si inseriscono. La zona di ingresso è la regione
delle corna dorsali dove avviene sia la trasmissione sinaptica tra il neurone afferente e le
vie ascendenti centrali, sia la prima modulazione dell’informazione nocicettiva,
attraverso complessi meccanismi inibitori pre e post sinaptici dovuti all’attività degli
interneuroni spinali e del sistema modulatorio discendente (Munafò e Trim, 2001).
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Come avviene per tutte le fibre sensoriali, l’informazione che proviene dai
nocicettori non arriva direttamente al cervello, ma lo raggiunge per tappe successive e
percorsi diversi: passa attraverso una prima stazione a livello del midollo spinale e del
tronco encefalico, una seconda più complessa a livello del talamo, centro di
ridistribuzione e di analisi, per arrivare in aree diverse della corteccia cerebrale dove
avviene la valutazione e l’interpretazione dei segnali e la loro memorizzazione (Ercolani
e Pasquini, 2007).
I segnali trasmessi dalle fibre A-delta vengono effettivamente percepiti e interpretati
in aree molto specifiche della superficie cerebrale (la corteccia sensitiva), dove una
mappatura del corpo riserva una maggiore estensione (ovvero un numero maggiore di
neuroni) alle aree sensitive ben innervate e un’estensione minore alle aree dotate di
minore sensibilità. Questa impostazione consente sia la rapida percezione sia la
localizzazione del possibile danno. Il dolore secondario bruciante trasmesso dalle fibre
C presenta una distribuzione cerebrale molto più ampia e viene quindi localizzato con
minore facilità; probabilmente esso rende conto anche dei profondi risvolti emozionali
correlati al dolore cronico.
La via nocicettiva ascendente più sviluppata è il tratto spinotalamico, costituito da
fasci di fibre che originano a livello del corno dorsale del midollo e terminano nei nuclei
talamici. Esistono altri tratti definiti che trasportano la sensazione del dolore
percorrendo la colonna spinale fino a raggiungere le aree deputate del cervello, alcune
ipsilaterali e altre controlaterali. L’informazione nocicettiva non è però il prodotto della
sola attività delle vie ascendenti ma è la conseguenza dell’interazione tra due sistemi:
quello della trasmissione nocicettiva ascendente e quello della modulazione
antinocicettiva discendente (Ercolani e Pasquini, 2007).
1.1.3 Le vie discendenti
Oltre alle vie del dolore che risalgono dalla periferia verso il cervello lungo la
colonna spinale, esistono altre fibre neuronali che discendono dal cervello e influenzano
la trasmissione, e, quindi, la percezione, degli stimoli dolorifici. Questa modulazione
della sensazione dolorosa può verificarsi in qualsiasi punto, ma avviene in modo
particolare a livello delle corna dorsali.
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La materia grigia che circonda l’acquedotto cerebrale (la sostanza grigia
periacqueduttale, PAG) e molte altre strutture della base cerebrale sono in grado di
attivare le vie discendenti. Si ritiene che tale controllo della trasmissione del dolore
dalla periferia alle zone cerebrali, nelle quali viene percepito, si verifichi grazie
all’inibizione dei mediatori chimici dell’attivazione nocicettiva. Questo processo
avviene tramite la liberazione di diversi tipi di neurotrasmettitori (tra cui oppioidi
endogeni, sostanza P, serotonina, noradrenalina), per molti dei quali è possibile
modificare farmacologicamente l’attività. Ci sono poi anche stimoli naturali che
attivano il sistema inibitorio discendente e includono lo stress (analgesia stress-indotta),
la paura e l’ansia, l’esercizio intenso e prolungato e l’attività sessuale (Munafò e Trim,
2001).
Lo studio dei circuiti e delle vie e la conoscenza delle strutture cerebrali e midollari
interessate non forniscono però dati sufficienti per comprendere tutti gli aspetti
funzionali alla base della risposta nocicettiva e in particolar modo del dolore nell’uomo.
Nel dolore acuto i meccanismi cellulari sono relativamente semplici nella loro
dinamica, soprattutto se paragonati a quelli del dolore cronico, in cui il sistema dei
nocicettori, dei neurotrasmettitori, dei loro recettori, e anche i neuroni stessi, subiscono
un insieme di modificazioni che si riassumono nel concetto di neuroplasticità, cioè del
modificarsi del sistema in seguito a nuovi eventi. Da studi recenti sono emerse alcune
forme di plasticità neuronale con spiccata localizzazione nei circuiti midollari, la cui
esistenza potrebbe chiarire la natura e il trattamento delle condizioni di iperalgesia
(Ercolani e Pasquini, 2007). Nel dolore cronico, infatti, gli effetti della plasticità si
mantengono ben oltre il tempo di durata degli stimoli stessi, trasformando il dolore in
malattia. La plasticità si manifesta in pratica con un’amplificazione dello stimolo e un
suo autoalimentarsi.
1.1.4 Percezione del dolore
La percezione, cioè la presa di coscienza del dolore, è la fase conclusiva del processo
di nocicezione. E’ il meccanismo ancora in parte sconosciuto attraverso il quale l’evento
nocicettivo diventa un fenomeno soggettivo portando alla diversificazione delle risposte
nelle diverse persone.
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Recenti evidenze sperimentali sottolineano come l’elaborazione centrale dello
stimolo doloroso dipenda da molteplici variabili, comprese quelle psicologiche che, in
diversa misura, modulano la soglia dolorosa e la specificità della riposta al dolore del
singolo individuo (Ercolani e Pasquini, 2007). Sulla regolazione centrale dello stimolo
doloroso agiscono infatti numerosi fattori, alcuni di tipo cognitivo, altri di tipo
motivazionale-affettivo, altri ancora di analisi spazio-temporale, ma anche variabili
endogene sia di tipo congenito, geneticamente stabilito, sia determinate da stimoli
ambientali cronici. Il passaggio dallo stimolo nocicettivo alla percezione del dolore
viene influenzato da numerose variabili: una parte di esse si riferisce al controllo
centrale del dolore e comprende aspetti metacognitivi, la struttura di personalità, il
coping, lo stato emotivo al momento dello stimolo; altri possono riguardare lo stato
funzionale del sistema nervoso centrale, l’età, il sesso, la predisposizione genetica verso
una suscettibilità individuale al dolore, in termini di sensibilità recettoriale soggetto
specifica, presentata dai circuiti preposti alla trasmissione e alla elaborazione
dell’impulso algogeno.
1.2 Inquadramento tassonomico
Come era stato sottolineato già nel 1953 da J.J. Bonica, la mancanza di definizioni
precise e di una tassonomia rigorosa è stata una delle maggiori barriere alla diffusione
delle informazioni scientifiche nel campo dello studio del dolore. Proprio per questo un
momento particolarmente significativo per tutti gli studiosi del campo è stata la
pubblicazione nel 1986 della “Classificazione del dolore cronico” a cura della
International Association for the Study of Pain (IASP), rivista nel 1994 a cura della
Task Force on Taxonomy (Merskey e Bogduk, 1994).
Il dolore viene definito dalla IASP come un’esperienza sensoriale ed emotiva
associata a danno tessutale in atto o potenziale o descritta in termini di danno. Il dolore
è sempre soggettivo. Esso è appreso nei primi anni di vita mediante esperienze correlate
a lesioni tessutali. I biologi riconoscono che quegli stimoli che causano dolore sono in
grado di creare un danno tessutale. Di conseguenza per ogni individuo il dolore è una
sensazione associata ad un danno dei tessuti.