14
1960, n. 1019, e con quello del 5 maggio 1965, sostanzialmente
simile al primo ed avente lo stesso ambito di applicazione.
Per tutti i settori al di fuori dell'industria, invece, l'art. 25 della
legge 12 agosto 1977, n. 675 (abrogato dall'art. 4, comma 16, legge
23 luglio 1991, n. 223) disponeva che, nel caso in cui non fossero
previste procedure sindacali, l'intenzione di procedere ai
licenziamenti per riduzione del personale avrebbe dovuto essere
comunicata all'allora Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima
Occupazione, che avrebbe, poi, provveduto a convocare le parti.
Agli Stati membri è stato assegnato un termine due anni per
uniformare la propria legislazione ai precetti comunitari, ma l’Italia
non ha rispettato tale termine, avendo provveduto al suddetto
adeguamento soltanto con la l. 23 luglio 1991 n. 223.
Tale comportamento aveva indotto la Corte di Giustizia della
Comunità Europea con la sentenza dell’8 Giugno 1982, in causa
91/82
1
e con la sentenza del 6 Novembre 1985, in causa 131/84
2
a
dichiarare lo Stato italiano inadempiente agli obblighi del Trattato
CEE per la mancata attuazione della direttiva 17 Febbraio 1975, n.
129, mirante a rendere operativa in ambito europeo una comune
nozione e disciplina del recesso intimato per "motivi non inerenti
alla persona del lavoratore".
1
Con la sentenza dell’8.6.82, causa 91/82, F. it. 1982, IV, 353,con nota di Mazzotta, L’Italia, la CEE ei
licenziamenti collettivi; Foglia, Obblighi comunitari e licenziamenti collettivi, in Dir. lav. 1982, II p.
383; la Corte di Giustizia delle comunità europee ha dichiarato che la Repubblica italiana è venuta
meno agli obblighi che ad essa incombono in forza del trattato, non avendo adottato, entro il termine
prescritto, le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva CEE 75/129.
2
Con la sentenza del 6.11.85, causa 131/84, F. it. 1986, IV, 109, sempre la Corte di Giustizia delle
comunità europee ha dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno anche agli obblighi che le
incombono più specificatamente in virtù dell’art. 171 dello stesso trattato, per non essersi conformata
alla sentenza della Corte di giustizia dell’8 Giugno 1982.
15
La citata Direttiva è stata poi modificata nel 1992 dalla
Direttiva
92/56/CEE del 24 Giugno 1992 ed entrambe sono state abrogate,
successivamente, dalla Direttiva n. 59 del 20 Luglio 1998, del
Consiglio dell’Unione Europea del 20 Luglio 1998 che, in sostanza,
ripropone il testo della Direttiva 75/129/CEE coordinato con le
modifiche ed integrazioni apportate dalla Direttiva 92/56/CEE. Ai
sensi dell’art. 8 della Direttiva 98/59/CEE le Direttive n. 75/129/CEE
e n. 92/56/CEE sono state abrogate, fatti salvi gli obblighi degli stati
membri relativi ai termini di attuazione delle suddette Direttive
(rispettivamente il 19 febbraio 1977 per la direttiva n. 75/129 e il 24
giugno 1994 per la Direttiva n. 92/56).
1.2. Presupposti dei licenziamenti collettivi
Esaminando l’evoluzione della disciplina dei licenziamenti collettivi attraverso
le tre tappe fondamentali che partono dagli accordi interconfederali e, passando per
Bruxelles (direttive comunitarie), arrivano al traguardo della l. n. 223/91, si può
riscontrare un’evoluzione anche nella delimitazione dei presupposti di operatività
della disciplina differenziata per i licenziamenti collettivi, e dunque della nozione o
fattispecie di licenziamento collettivo, per la decisa superiorità assunta dal profilo
quantitativo ai fini della definizione dei licenziamenti collettivi.
Una ricognizione storica sulla nozione dei licenziamenti collettivi, nella
vigenza dell’accordo interconfederale del 1965, è opportuna per meglio apprezzare la
16
successiva evoluzione e mettere a fuoco ragioni e caratteri dell’attuale disciplina
legislativa
3
.
Ciò che risalta delle disposizioni dell’accordo interconfederale del 1965 è
l’assenza di requisiti numerici precisi; infatti, l’art. 1 dell’accordo si limita a precisare
che il campo di applicazione di quella regolamentazione, differenziata rispetto a
quella dei licenziamenti individuali
4
, comprende i licenziamenti determinati dalla
necessità di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro
5
. L’assenza di valori
numerici ha favorito una ipervalutazione del parametro “qualitativo-causale” della
riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, non sono mancate letture
6
volte ad
estendere l’applicazione della disciplina anche al licenziamento di un solo
dipendente, purché dovuto a riduzione di personale; per altro verso, si giungeva a
eslcudere dal campo di applicazione ipotesi eclatanti come quella della cessazione
totale di attività dell’azienda
7
. Non si sarebbe, infatti, trattato di riduzione di
personale, dal momento che i lavoratori sarebbero stati tutti licenziati
8
. Sia nell’uno
sia nell’altro caso, la mancanza di indicazioni circa il quantum di recessi atti ad
integrare il carattere collettivo del licenziamento ha favorito quelle letture, oggi
superate.
3
De Marchis, I licenziamenti collettivi (vecchi e nuovi), in Riv. giur. lav. , 1993,II, p. 47; Mazziotti,
Riduzione di personale e messa in mobilità, in Ferraro, Mazziotti, Santoni, Integrazioni salariali,
eccedenze di personale e mercato del lavoro, Napoli, Jovene, 1992, p. 105.
4
Occorre notare che il precedente accordo interconfederale , del1950, si riferiva ai licenziamenti
individuali per riduzione di personale . Magrini, Licenziamenti individuali e collettivi: separatezza e
convergenza delle tutele, in AIDLASS, Licenziamenti collettivi e mobilità, Milano, Giuffré, 1991, p.
97; Giugni, La disciplina interconfederaledei licenziamenti nell’industria, Milano, Giuffré, 1954.
5
Sulla nozione di licenziamenti collettivi nella disciplina del 1965 v. Galantino, I licenziamenti
collettivi, Milano, Giuffré,1984, p. 98 ss.; Magrni, op. cit., p. 9 ss. e p. 119 ss.; Ventura, licenziamenti.
II. Licenziamenti collettivi, voce Enc. Giur. Treccani, XIX, p. 11 ss.; Genovina, I licenziamenti,
Collana di dottrina e giurisprudenza di diritto del lavoro diretta da G. Giugni, Torino, Utet,1988, p.
211 ss.
6
Mancini, Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro, I, Milano,Giuffré,1962, p. 374 ss. (riferito
all’accordo del 1950); di recente, cfr. Napoli, I licenziamenti, in Digesto, ora in Questioni di diritto
del lavoro, Torino, Giappichelli, 1996, p. 257.
7
Mazziotti, Riduzione di personale e messa in mobilità, in Ferraro, Mazziotti, Santoni, Integrazioni
salariali, eccedenze di personale e mercato del lavoro, Napoli, Jovene, 1992, p. 108; v. anche Del
Punta, I licenziamenti collettivi, cit., p. 290.
8
Cass. 20 maggio 1981, n. 316, in Mass. giur. lav., 1982, p. 699; Cass. 29 gennaio 1988 n. 796, in Foro
it.,1989, I, c. 3184. Sul punto anche Magrini, Licenziamenti individuali e collettivi, cit., p. 127;
Ventura, Licenziamenti, cit., p. 13.
17
Lo strumento più importante di cui si è servita la giurisprudenza si rintraccia
nella c.d. nozione “ontologica” di licenziamento collettivo
9
.
I tre caratteri essenziali di quella figura erano il ridimensionamento aziendale,
l’esperimento delle procedure sindacali, la pluralità dei dipendenti interessati
10
.
L’ordine in cui sono stati enunciati i tre requisiti non è causale; il dato quantitativo
risultava ultimo nei confronti degli altri due. Infatti, nell’individuazione dei
licenziamenti collettivi il profilo causale assumeva un rilievo primario e la riduzione
o trasformazione di attività o di lavoro insieme al rispetto delle procedure
determinava la natura collettiva del licenziamento. E la svalutazione del dato
quantitativo era avvalorata dall’enucleazione di un’ulteriore figura di licenziamento,
quella dei licenziamenti individuali plurimi, cioè licenziamenti di una pluralità di
lavoratori, che rimanevano però licenziamenti individuali, poiché non assumevano i
tratti del licenziamento collettivo. Nel quadro così delineato, risultava fondamentale
il ridimensionamento aziendale in cui si concretava la riduzione/trasformazione di
attività/lavoro, perché diveniva un importante elemento distintivo del licenziamento
collettivo rispetto al licenziamento individuale. A questo punto bisognava stabilire
che dovesse intendersi per “ridimensionamento” dell’azienda, cioè quali interventi
organizzativi integrassero la riduzione o trasformazione di attività o di lavoro
11
.
L’evoluzione della giurisprudenza su questi aspetti è stata rilevante. Partendo
da posizioni restrittive per le quali era necessario un vero e proprio
ridimensionamento strutturale dell’impresa, che comportasse una stabile riduzione
dei posti di lavoro
12
, i giudici hanno poi allargato l’applicazione della disciplina
9
Magrini, Licenziamenti, cit. , p. 132.
10
Sul punto Magrini, Licenziamenti, cit., p. 116 ss.; Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, Padova,
Cedam, 1980, p. 100 ss.; Ventura, Licenziamenti, cit., p. 16 ss.
11
Zilio Grandi, La nozione di licenziamento collettivo, in Miscione M., Il rapporto di lavoro
subordinato: garanzie del reddito, estinzione e tutela dei diritti, in Carinci F. Diritto del lavoro.
Commentario, Torino, Utet, 1998, vol. III, p. 417.
12
Cass., s.u., 27 febbraio 1979, n. 1270, in Riv giur. lav, 1979, II,p. 27; Cass. 13 febbraio 1982, n. 922,in
Riv. giurd. Lav., 1982, II, p. 64.
18
includendo nella fattispecie anche le ipotesi di mera riduzione dell’elemento
personale dell’impresa, tutti quei casi, quindi, in cui l’impresa, per la natura
dell’attività svolta, potesse effettuare il ridimensionamento senza dover modificare,
trasformare o sopprimere le sue strutture organizzative o materiali
13
. In tal modo
erano ricomprese nella fattispecie anche le ipotesi dei c.d. licenziamenti
“tecnologici”, che in un primo momento erano stati esclusi
14
. Si è giunti fino al punto
di affermare la natura collettiva del licenziamento in tutti i casi in cui l’imprenditore
adottasse il proprio potere di dimensionare l’azienda riducendo il personale.
La rilevanza del profilo causale si avvertiva in particolare nell’esclusione di
quei licenziamenti determinati da una soppressione di reparti o uffici che, non
incidendo sulla attività economica, risultavano essere solo una mera modifica dello
svolgimento dell’attività economica o dell’organizzazione del lavoro
15
.
In conclusione, ciò che si rileva nella vigenza degli accordi interconfederali era
il ridimensionamento aziendale. Tutto ciò ha focalizzato l’attenzione non sulla
distinzione fra il licenziamento per motivi personali e il licenziamento per motivi
economici, bensì su quella fra licenziamento individuale per motivi economici e
quello collettivo per motivi economici
16
.
Il dibattito sopra sintetizzato non ha dato il dovuto conto alla disciplina
comunitaria nel frattempo emanata, a partire dal 1975
17
; se, infatti, la disciplina
13
Cass. 16 gennaio 1975, n. 172, in Riv. giur. lav., 1975, II, p.79.
14
Ventura, Licenziamenti, cit., p. 11; Del Punta, Licenziamenti collettivi per riduzione di personale, in
Giust. civ, 1983, I, p. 470 ss.
15
Cass. 28 giugno 1979, n. 3648, in Riv. giur. lav., 1980, II, p. 42.
16
Del Punta, La legge n. 223/91 e i licenziamenti collettivi: un primo bilancio teorico, in Quad. dir. lav.
re. ind., 1997, n. 19, p. 15.
17
Il quadro comunitario sui licenziamenti collettivi si compone di tre direttive succedutesi dal1975 ad
oggi: la n. 129 del 17 febbraio 1975 è quella principale nella quale contenuta la disciplina
fondamentale della materia; nel1992 quella direttiva è stata integrata su alcuni aspetti dall dir 92/56
del 24 giugno; infine nel 1998, il legislatore comunitario ha provveduto al coordinamento dei
contenuti delle due direttive, fondendole in una terza direttiva , la n. 98/59 del 20 luglio, che ha
abrogato quelle precedenti. Biagi, Vecchie e nuove regole in tema di licenziamenti collettivi: spunti
comunitari e comparati, in dir. rel. ind., 1992, n.2, p. 151 ss., ora anche in Montuschi, Tiraboschi,
Treu, Marco Biagi, un Giurista progettuale. Scritti e scelti, Milano Giuffré, 2003, p. 407 ss.; Granata ,
Le direttive comunitarie in materia di licenziamenti e l’ordinamento italiano, in Quadr. Dir. lav. rel.
ind., 1997, n. 19, p. 159 ss.; Roccella, Treu, Diritto del lavoro delle comunità europee, 2002, 3^ ed.,,,
19
interconfederale svalutava il profilo quantitativo a vantaggio di quello causale, il
legislatore comunitario ha fatto il contrario. La direttiva comunitaria adotta un mix
“quali-quantitativo” per circoscrivere l’ambito dei licenziamenti collettivi e,
soprattutto, al contrario della vecchia disciplina italiana, presta attenzione ai
parametri quantitativi, adottando una definizione generica ed ampia per delimitare
l’area causale
18
individuata in uno o più motivi non inerenti alla persona del
lavoratore.
Interpretando in senso negativo la fattispecie dei licenziamenti, si intende così
limitare alle sole ipotesi di licenziamenti dovuti a cause “oggettive”, derivanti da
ragioni “economico-produttivo e tecnico-organizzativo”
19
, con esclusione dei recessi
determinati da motivi soggettivi. Allo stesso tempo, l’indicazione comunitaria può
essere letta nel senso di ricomprendere, senza esclusioni, tutte le ipotesi di
licenziamento derivanti da motivi oggettivi.
L’area causale dei licenziamenti assume rilevanza collettiva nel momento in
cui essa è integrata dal dato quantitativo, cioè un numero minimo di licenziamenti
effettuati in un determinato arco di tempo, che la normativa comunitaria articola
partendo da una base minima di 10 licenziamenti
20
.
La conclusione che si può trarre dall’impostazione comunitaria sembra essere
la seguente; nel momento in cui nell’impresa si verifichino delle condizioni dovute a
p.302 ss.; Fogli, Santoro Passatelli, Profili di diritto comunitario del lavoro, Torino, Giappichelli,
1996; Gonzales Biedma, Licenziamenti per riduzione di personale, Bayolos Grau, Caruso, D’ Antona,
Sciarra, Dizionario del diritto del lavoro comunitario, Bologna, Monduzzi, p. 305 ss.; Blanpain,
Colucci, Il diritto comunitario del lavoro e il suo impatto sull’ordinamento giuridico italiano,
Padova, Cedam, 2000, p. 427; Arrigo, Il diritto del lavoro dell’ Unione Europea, Giuffré, Milano,
2001, p. 62 ss.; Garofano, Chicco, Licenziamenti collettivi e diritto europeo, in AA. VV., I
licenziamenti per riduzione del personale in Europa, Bari, Cacucci, 2001, p. 1; Pocar, Viarengo,
Diritto comunitario del lavoro, Padova Cedam, 2001, p. 327.
18
Garofano, Chico, Licenziamenti collettivi, cit., p. 9 ss.; Roccella, Treu, Diritto del lavoro, cit., p. 302;
Veneziani, Stato e autonomia collettiva, Bari, Cacucci, 1992, p. 313.
19
Roccella, Treu, Diritto, cit. p.303. Anche Garofano, Chieco, Licenziamenti collettivi, cit., p. 9.
20
Nel primo caso, si ha riguardo a licenziamenti effettuati nell’arco di 30 giorni, se i licenziamenti sono
almeno 10, in stabilimenti che occupano abitualmente un numero di dipendenti compreso tra 20 e
100, ovvero almeno il 10% dei lavoratori se si tratta di stabilimenti che occupano abitualmente tra i
100 ed i 300 lavoratori, o ancora almeno 30 lavoratori, per stabilimenti con almeno 300 dipendenti.
Nel secondo caso, l’arco temporale considerato è di 90 giorni, ed il numero minimo di licenziamenti
di 20.
20
ragioni aziendali (organizzative, produttive, ecc.), tali da creare le premesse per
l’espulsione di un certo numero (rilevante) di lavoratori, il legislatore comunitario
ritiene che quella vicenda richieda il coinvolgimento dei lavoratori mediante forme di
partecipazione (informazione/consultazione) dei loro rappresentanti.
La legge n. 223/91, nell’ambito del complessivo riordino degli istituti e delle
regole in materia di gestione delle eccedenze di personale e di sostegno
all’occupazione ed al reddito, è intervenuta nella materia dei licenziamenti collettivi,
incrociando la disciplina, e le procedure, con quelle relative alla cassa integrazione
guadagni straordinaria, da un lato, ed alla mobilità, dall’altro lato.
La nuova disciplina della materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di
personale
21
risulta dal combinato disposto degli artt. 4, 5 e 24 della legge n. 223/91.
L’art. 24 individua, in attuazione alla normativa comunitaria, la fattispecie dei
licenziamenti per riduzione di personale; gli artt. 4 e 5, cui fa rinvio l’art. 24,
prevedono le regole (c.d. procedure di mobilità) che l’imprenditore deve rispettare,
sia nell’ipotesi che può definirsi di licenziamenti per riduzione di personale in senso
stretto, sia nell’altra ipotesi, generalmente individuata come messa in mobilità, cioè
di licenziamenti che conseguono ad un previo periodo di Cassa integrazione
straordinaria, durante o al termine del quale l’imprenditore ritenga di non essere in
grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a
misure alternative
22
.
In definitiva, i licenziamenti collettivi risultano alimentati da due canali
paralleli, da un lato i licenziamenti per riduzione di personale e dall’altro lato il
collocamento in mobilità a seguito di Cigs, i quali sfociano entrambi nelle procedure
di mobilità. È opportuno partire dall’art. 24 l. n. 223/91, che individua per la prima
volta nel nostro ordinamento una nozione legale di licenziamento collettivo (per
21
Art. 24, comma 5, l. n. 223/91, che richiama l’art. 11 della l. 604/66.
22
Sulla distinzione di recente Cass. 17 ottobre 2002, n. 14736, in Mass. giur. lav. p. 877.